5.3 Caratteristiche, peculiarità e punti di sovrapposizione tra sex work e pornografia
5.3.5 La comunità
La sex worker “classica” lamenterebbe una difficoltà di accesso alle informazioni precedente il proprio ingresso e l'inizio dell' esercizio della professione, riguardo alcuni aspetti del lavoro sul campo di ordine pratico, e sottolinerebbe l'acquisizione di un know how in progress, ottenuto grazie al confronto con le colleghe, in itinere. Nel caso della pornografia, soprattutto grazie a internet, decaloghi su come fare un (DIY) porno, suggerimenti, avvertenze e simili sono invece estremamente diffusi e le/i performers con un percorso già avviato offrono costantemente consigli, informazioni ai/alle aspiranti performers.
Sai, ho una serie di consigli da mamma chioccia che dò a tutt*, li rifilo a tutt* i/le giovani e di ognuno se ne può parlare per mezz'ora […] Scopri perché sei qui e fallo tuo. Abbi un piano per dopo. Gestisci direttamente i tuoi soldi. Non frequentare partner senza un posto di lavoro, una macchina e un posto dove vivere. Non fare niente davanti alla macchina da presa che non ami fare a casa e in privato, questo vale il triplo per il sesso anale. Fissa un prezzo al di sotto del quale non ti alzerai neanche dal letto. Se hai bisogno di un giorno di riposo, prendi un giorno di riposo! E abbi sempre una vita sessuale privata che è solo per te. E la prima volta che un tuo partner utilizza il tuo lavoro contro di te durante una discussione, mandalo via. Perché è per due, perché è molto difficile essere una puttana in questa cultura e trovare l'amore e la partnership. Quindi questa è la lezione da mamma chioccia che dico alla gente [...] Avere una vita sessuale personale. E importante, non importa quanto scopi per soldi, a un certo punto il sesso deve essere solo per te. Um, e, non mi interessa quello che fai, purchè tu lo faccia per te” (N., performer prevalentemente mainstream, donna cisgender, USA)
Nel caso del sex-work classico, lo scambio delle informazioni più che a tracciare un profilo professionale farebbe parte di quelle strategie adottate per rendere sicura e redditizia la propria professione. Si tratterebbe di creare e avere accesso ad una sorta di banca dati informale. Le informazioni scambiate sarebbero di diverso tipo: quelle sui clienti (che non rispettino le regole, che rappresentino un pericolo, i loro profili al fine di soddisfare l'incontro tra domanda e offerta di prestazioni e pratiche), passando per quelle sui movimenti delle forze dell'ordine, per opportunità di lavoro, per medici e professionisti da contattare fino alle nuove tecnologie a disposizione (Day, 2007:64-65). Una vera e propria rete di informazioni, conoscenze e relazioni. Nel sexwork classico, la scelta di condividere o non condividere alcune informazioni è, in linea generale, dettata da un'attenta valutazione dei benefici derivanti dallo scambio ma, ripeto, non sarebbe, almeno in linea generale,
accessibile all'esterno dell'ambiente lavorativo stesso e dunque consultabile prima di prendervi parte.
Così Paola Tabet ( 2016:87) riporta una testimonianza di Carla Corso (Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute):
“...E una cosa che impari sulla strada, parlando con le altre. Io non sapevo neanche che si usava il preservativo. I primi rapporti sono stati pagati male, molte volte non pagati. Non sapevo che bisognava dare i soldi prima. Non riuscivo a farmi pagare.”
Noah D. Zatz (1997:23), citando Joan NestlE s, sottolinea l'importanza che la comunità assume nel “creare” potere e autonomia nell'ambito di interazioni sociali apparentemente prive di potere. Ma offre anche un'altro spunto di riflessione:
“...Anche se alle donne è stato insegnato, in gran parte, a capire la propria sessualità in un certo modo, esse possono sviluppare comunità in cui la sessualità viene nuovamente articolata attraverso il lavoro culturale collettivo. I gruppi per i diritti delle prostitute sono stati organizzati per il raggiungimento proprio di questo tipo di riarticolazione (Jenness 1993)...”
Sia che ci si focalizzi sulle lavoratrici dell'industria pornografica (in questo caso ci riferiamo soprattutto alle performers del femporn ma, come nel caso di N., possiamo anche riferirci ad alcune del mainstream) sia che allarghiamo lo sguardo al sex-work in generale, siamo dunque di fronte a comunitàcapaci di produrre apprendimento, costruire significati e sviluppare aspetti sociali identitari.
Nel caso delle performers è possibile sottolineare come la questione dei membri della comunità presenti delle peculiarità rispetto al sex work classico. In quest'ultimo, come si evince anche dalla riflessione sullo scambio di informazioni accennata precedentemente, a fare parte della comunità sarebbero le lavoratrici e altri soggetti “interverrebbero” come eventuali alleati. Nel caso dell'industria pornografica audiovisiva la questione assume dei contorni più sfocati.
In effetti, potremo identificare altri soggetti che, seppur non in modo uniforme e continuativo, possono far parte della comunità, non solo in quanto alleati ma proprio come membri capaci di contribuire ai tre aspetti sopra elencati (apprendimento, costruzione di significati, aspetti sociali identitari). La natura stessa delle informazioni sopra nominate, accessibili (almeno in parte) senza necessariamente essere una lavoratrice dell'industry, ci suggerisce un grado di apertura maggiore rispetto al sex work in generale.
anche quei soggetti che organizzano festival dedicati, blogger e influencer e, nel caso di feminist e queer porn soprattutto(durante gli awards 2015 la regista Ovidie ha ribadito con forza “We are a community. We do are a community!”), l'audience.
Fare comunità assume un ruolo fondamentale non solo nella condivisione e diffusione di valori comuni di riferimento, nel sentire di far parte di qualcosa o nell'agire riconoscimento reciproco ma anche nell'ottenere supporto e vantaggi dal lavoro in rete, come vedremo meglio nel cap. 6 sul lavoro nel porno.
Y, raccontando di aver venduto un suo film alla Good Vibration, famoso sexy shop femminista, racconta:
[...] Altrimenti [se non avesse venduto loro il film], non credo che sarebbe andato così bene, se fosse stato tutto “marrone” [...] la maggior parte dei negozi di adulti che vendono questo genere di contenuti non sono nelle comunità “brown110” o non hanno minoranze marroni o nere o non rappresentano una grande percentuale della loro clientela, quindi questo film non avrebbe mai venduto veramente [...] Uh, siamo una comunità. Siamo una comunità, ci facciamo affidamento sulle informazioni e uh, sugli esempi, esempi vicini perché siamo una comunità E una buona cosa che siamo una comunità. Le persone mainstream, sono una comunità. Siamo una comunità [...] Sì, um, penso ad esempio agli eventi, ai casting, la comunità ti supporta nel trovare la gente per il tuo film, um, e così io. Penso solo che sia importante, è sempre importante essere una comunità, essere una rete ...” (Y., regista/produttrice, donna nera cisgender, USA)
Come anticipato, non ho inserito l'audience nel mio lavoro, tuttavia nel corso della ricerca, la questione si è manifestata più e più volte nelle interviste alle/agli insiders.
Al ruolo di “etichettamento” esterno è stata dedicata una parte nel capitolo 3 ma vorrei concentrarmi su una criticità collegata al mondo dell'audience che merita una problematizzazione.