6.3 Raccontare il proprio lavoro
6.3.1. b Regist* e Produttor*
Dal punto di vista di regist* e produttor*, ci sono molti punti di convergenza rispetto a quanto detto riguardo le motivazioni, anche se è rintracciabile un elemento interessante: se, da un certo punto di vista, le narrazioni de* performer sulle motivazioni e “i primi passi” giocano molto sulla questione identitaria e di sperimentazione dal punto di vista individuale ed “egodiretto”, qualcosa che, anche se come vedremo solo inizialmente, “si fà per sè”, nella ricostruzione di produttor* e regist*, alla componente soggettiva si aggiunge la volontà di incidere sulla società e sulla pornografia stessa, il riconoscimento della presenza di un* interlocutor*, in modo più esplicito, probabilmente proprio in virtù dei due tipi di professioni e della diversa centralità e messa in gioco del corpo e della sessualità per * performers. Quest*, come vedremo, tenderebbero invece a mobilitare quel repertorio narrativo nel momento in cui si affronti il tema della gestione del proprio lavoro e quella dello stigma.
Alcun* regist* e produttor* (ruoli che spesso coincidono trattandosi principalmente di piccole produzioni) raccontano di aver intrapreso la carriera nella pornografia perchè sollecitate dalla propria comunità, spesso subculturale; altre perchè insoddisfatte delle rappresentazioni stereotipate ed esotizzanti che la pornografia offriva di determinati soggetti (ad esempio trans* o afroamericane) o perchè interessate al tema della sessualità:
"Mi sono laureata alla scuola d'arte [nome omesso dall'autrice] nel 1998. Ero davvero interessata alla cinematografia femminista [...] e durante il secondo anno [di studio] ho cominciato a realizzare [...] che c' era un settore profondamente sottosviluppato, quello della pornografia. Inoltre avevo una rosa di interessi nel sesso e cose simili, quindi è stata una sorta di “mettere insieme” [cinematografia femminista e sesso]...” (S2, regista femporn, donna cisgender, USA)
Per altr* si è trattata di una strategia per raggiungere altri obiettivi, e realizzare il proprio sogno di avere un negozio specializzato nella vendita di sex toys, ma sempre con l'interesse di offrire rappresentazioni differenti. Y., ad esempio, ricostruisce l'inizio della sua carriera con queste parole:
“...Ho sempre avuto il sogno di gestire un negozio per adulti. Il raggiungimento dell'obiettivo però procedeva in modo molto lento, così ho deciso di utilizzare le mie competenze (al tempo lavoravo con mio zio nell'industria del cinema e della televisione) per creare contenuti per adulti. Volevo davvero farlo, non trovavo rappresentazioni di donne afroamericane o di altre minoranze...al tempo si trattava delle donne poi ho capito che la prospettiva doveva essere molto più ampia rispetto alle sole donne, una prospettiva sociopolitica [...] Partendo dal femminismo e dall 'essere queer, [volevo] offrire, rendere accessibile uno spazio per le persone di colore. Credo di esserci riuscita” (Y., regista/produttrice, donna nera cisgender, USA)
A levarsi fuori dal coro, è invece la voce di un regista, B., che racconta di aver intrapreso la carriera nel porno come porta di servizio per l'accesso al cinema mainstream. Il suo caso è estremamente interessante, dal momento che ha potuto produrre dei film con budget estremamente elevati rispetto a quell* di molt* collegh*, ha vinto dei premi ai FPA's ma, nonostante dimostri una certa consapevolezza delle gerarchie e degli ordini di genere e sessuali, non rivela alcun tipo di interesse “politico” o identitario, quanto, a primo impatto, una profonda preoccupazione per l'estetica di scarsa qualità dei prodotti pornografici, soprattutto queer e femminsiti Tale considerazione, in realtà, viene valutata dal regista come un'occasione per “lasciare il segno”, per fare arte all'interno dell'industry ed essere riconosciuto come artista a 360 gradi, qualcosa da cui trarre benefici di diversa natura:
“ Volevo entrare nel mondo della regia. E il mondo della regia non è un'industria a cui si ha accesso facilmente. Come spiegarmi? Beh, questo [porno] è un genere svilito, ostracizzato; credo che nessuno con delle reali abilità artistiche, nessun vero intellettuale si avvicinerebbe un secondo al porno. Voglio dire, i tuoi pari ti guarderebbero e ti chiederebbero il perchè di tale scelta. […] Io ho un punto di vantaggio: ho delle competenze ed esperienze artistiche e so che nel porno non ci sono Tarantino o Fellini o Kubrick. Non che mi stia paragonando a loro ma è solo per rendere l'idea del fatto che non ci fosse nel porno nessuno bravo...e ho pensato: eccomi!
Prima di tutto non sono un artista alla fame! Sono di quelli che fanno i soldi e sono bravi. Se una cosa non mi fa guadagnare...beh...non sono un missionario zelante, il mio zelo non è di tipo politico sessuale, è estetico, capisci?” (B, regista femporn, maschio cisgender, USA)
Il fatto che B. sottolinei in modo così deciso il possesso di determinate competenze ed esperienze, sembrerebbe adempiere a un obiettivo di distanziamento dall'industria pornografica; il gruppo dei pari, la comunità di riferimento, a differenza delle altre persone intervistate, non sarebbe quella degli/delle insiders o quella queer o femminista ma quella degli/delle artist*, quell* capaci, quell* che riescono a trarre un elevato profitto dalla propria arte. B. opera inoltre una gerarchizzazione tra le forme espressive artistiche e, in quache modo, rinforza quella marginalizzazione della pornografia rispetto a prodotti più “nobili”.
Questo tipo di argomento è estremamente diffuso nell'opinione pubblica e potrebbe dipendere, oltre che dal fatto che la pornografia venga considerata come un prodotto popolare di scarso valore culturale , da quel meccanismo di svalutazione e marginalizzazione sociale del sex work e dei vari body works (Selmi, 64, op cit) e dell'eccesso di significazione attribuito al sesso (Rinaldi, 2016).
D2, regista italiana che, tra le varie cose, ha lavorato anche a progetti pornografici (che lei definisce art pornography) descrive bene questo tipo di meccanismo:
“...Succede questa cosa qui con la sessualità - vuoi per imbarazzo o per semplice attrazione chimica - che se c'è di mezzo la sessualità tutto il resto perde di fuoco […] Quando [nome omesso dall'autrice] è stato presentato al [numero omesso dall'autrice] edizione del [nome omesso dall'autrice] Film Festival, in un contesto interamente cinematografico e non porno-erotico, il dibattito a seguire si è incentrato tutto sul porno. La questione era il porno, non il corto, o la mia storia di regista, o il mio stile di narrare, o la fotografia o il montaggio. La curiosità era tutta attorno alla rappresentazione della sessualità e al senso (è giusto o no? è riprovevole o no?) di metterla in scena e di rivendicare il cinema come mezzo espressivo per la sessualità esplicita, d'autore - non più solo il porno. Ma dell'autore poco si parlava, anzi nulla. Si parlava solo di porno […] subisco la ghettizzazione - ora so già che di tutto quello che ho fatto prima di questo cortometraggio solo pochi s'interesseranno perché io ormai sarò quella del porno.
Questa cosa mi fa sorridere ma a volte mi stupisce quanto sia radicata” (D2, regista, donna cisgender, Italia)
Se, da un lato, la narrazione di B si potrebbe interpretare tramite la percezione dello stigma verso la pornografia “i tuoi pari ti guarderebbero e ti chiederebbero il perchè di tale scelta”, come “forma di negoziazione e di resistenza allo stigma […], distanziamento
dall'altro abietto” (Rinaldi, 46-47: 2017) è comunque evidente un disconoscimento delle competenze dei talenti dei/delle collegh* regist* nel porno. Eppure, e in questo abbiamo un'altra differenza rispetto ai/alle performers, è innegabilmente necessario possedere un certo tipo di know-how tecnico per intraprendere la carriera di regista, anche nel porno. Soprattutto, come abbiamo visto con lo stralcio di intervista di S2, gli/le intervistat* non solo hanno tali competenze, ma veri e propri titoli che ne attestino la possessione: si tratta infatti di persone laureate o diplomate in varie accademie d'arte e/o cinematografiche, anche rinomate, spesso con diverse esperienze lavorative precedenti nel mondo del cinema e della televisione. Nel caso di S2, ad esempio, le esperienze precedenti erano state intraprese come qualcosa di propedeutico alla propria carriera nella pornografia, una sorta di banco di prova per poter apprendere e affinare, nell'atto pratico, ciò che si era affrontato dal punto di vista educativo e teorico in accademia:
Venivo da un'ottima scuola d'arte ma, per essere dirette, le esperienze precedenti erano fallite, per una serie di ragioni, ma perchè non sapevamo come fare film al tempo. Così ho cominciato a lavorare per la rete televisiva [nome omesso dall'autrice], che è un canale di soft-porn. Facevo per loro I montaggi e guardavo qualcosa come 350 film e 500 programmi all'anno e giravo nei weekend. E stato intensivo, guardavo 3 film o programmi al giorno. Facevo il montaggio, tagliavo in base alla censura richiesta dal dipartimento del lavoro. Così ho imparato esattamente fino a dove spingere il porno all'interno della legalità e ho preso quella direzione. Quando ho cominciato a fare le mie cose, speravo intensamente di diventare famosa, sia per il fatto di essere la prima donna a farlo in [nome paese omesso dall'autrice] sia per il tipo di montaggio, così duro rispetto a tutt* gli/le altr* [in riferimento all'elusione della censura]. (S2, regista femporn, donna cisgender, USA)
Vi è poi un altro fattore che distinguerebbe il primo accesso al campo di regist* e produttor*rispetto ai/alle performer: la necessità di un capitale economico da investire. Nonostante infatti sia possibile girare delle scene utilizzando il proprio smartphone o strumentazione tecnica più economica rispetto al passato, e sia possibile condividere il proprio prodotto tramite un semplice pc con connessione al web, intraprendere tale carriera a livello professionale implica, secondo gli/le insiders la necessità di un capitale iniziale. Così mentre alle/ai performers, in linea prettamente teorica, per iniziare, e solo per iniziare, basterebbe la voglia di mettere in gioco il proprio corpo e la propria sessualità, per * regist* e * produttor* vi sarebbe dunque un ulteriore ostacolo.125
K., performer, sottolinea con estrema accuratezza questo aspetto:
125 In questa sezione mi riferisco specificamente alle competenze e i profili per il solo accesso all'industria. La questione per * performers è sensibilmente diversa per lquanto riguarda la permanenza e lo sviluppo della carriera.
“...un sacco di persone queer e/o che si identificano come femministe arrivano qua [nella Baia di San Francisco] dicendo: 'produrrò questo contenuto, scriverò quest'altro, dirigerò quest'altro ancora […] e sarà una visione unica, tutta sul femminismo, sull'empowerment femminile, sulla body positivity; le mie idee sono così uniche e rivoluzionarie che troverò persone che la pensino come me che mi aiuteranno a rendere fruibile la mia idea radicalE . Invece arrivano qua e realizzano che questo posto è saturo, non sto dicendo che che non rimangano pensieri e idee uniche e innovative nel mondo, ma che ci sono un sacco di persone in questa zona che hanno lo stesso tipo di opinioni e credenze e visioni come le loro. E siamo tutt* pover* perchè abitiamo nell'area più cara di tutti gli Stati Uniti. E non realizzano, finchè non entrano nell' industry, di quanto denaro sia necessario per creare qualcosa, come uno studio, un sito web...non hanno idea […] poi realizzano che non possono chiedere a* performers di lavorare ai loro progetti gratis, che devono pagare la gente per produrre i propri contenuti” (K, performer, donna cisgender, USA).
Dopo aver tentato di delineare le motivazioni, i profili e le competenze che sostengono l'accesso all'industria pornografica, sia come performers che come regist* e produttor*, nel paragrafo seguente mi concentrerò invece sull'aspetto della permanenza nella carriera, provando a mettere in dialogo gli elementi emersi relativi ai soggetti intervistati con quelli attribuibili invece al contesto sociale e alla struttura dell'industry.