• Non ci sono risultati.

I limiti della narrazione di Genly, il cui punto di vista maschile domina l’intero testo, insieme all’uso dei pronomi maschili e alla preponderanza di caratteristiche maschili per personaggi gender-free, sono stati messi in evidenza in molte critiche del romanzo, che lo hanno accusato spesso di non andare «far enough in its depiction of androgyny» (Attebery, 2002, p. 131). Allo stesso tempo, c’è anche chi ha visto in questi stessi limiti e nell’incapacità di Genly di comprendere e predire gli eventi l’espressione di una resistenza da parte degli androgini all’appropriazione:

Le Guin exposes the “blindness” of scientific “neutrality” to its own cultural biases. Ai as an anthropologist, observer, and envoy exemplifies the limitations of a discourse that seeks above all to privilege itself, along with particular ways of viewing the world. However, not only do the androgynes elude Ai’'s colonizing discourse; they cast doubt on his own subjectivity. (Mona, 1997, p. 72)

Il fallimento di Genly rappresenta il fallimento di qualsiasi discorso che si pretende neutrale. Primo fra tutti, quello che nega a che punto l’uso di nomi e pronomi maschili

88

escluda, di fatto, le donne dal discorso. In questo, la scelta ingenua di Le Guin – che lei stessa riconoscerà tale solo molti anni dopo – può rivelarsi un luogo di osservazione privilegiato della forza e della coercizione dell’ideologia patriarcale.

4.1.2.1 «He means he, no more, no less»

La scelta del pronome maschile viene tematizzata in due luoghi molto diversi di Left Hand: la prima volta in apertura del romanzo da Genly, introdotta come una vacancy a cui il lettore potrà dare un senso solo proseguendo nella lettura; la seconda volta dall’unica voce femminile del romanzo, l’Investigatrice Oppong, che, dopo aver analizzato i dettagli della sessualità getheniana, ci illustra le motivazioni della sua scelta terminologica. Genly ce lo dice en passant, quando ci presenta per la prima volta Estraven: «Wiping sweat from his dark forehead the man – man I must say, having said he and his» (p. 12). Significativamente, l’espressione di questa costrizione grammaticale nasce dalla necessità di descrivere Estraven: questo è solo il primo caso in cui il tentativo di Genly di venire a patti con un mondo senza genere viene illuminato principalmente attraverso la loro relazione. Descrivendo la folla di persone che partecipano alla parata con cui si apre il romanzo, l’Inviato terrestre non si è posto il problema dell’identificazione maschile dei geteheniani: il re è inequivocabilmente «the king» (p. 9), come lo sono i «lords and mayors», e i «forty men in yellow» (p. 10). Estraven, invece, in prima istanza ci viene presentato come una persona, in una descrizione che – nonostante evochi caratteristiche più facilmente associabili al maschile – sfrutta la mancanza di flessione di genere della morfologia inglese, mantenendosi grammaticalmente neutra:

The person on my left – a stocky dark Karhider with sleek and heavy hair, wearing a heavy overtunic of green leather worked with gold, and a heavy with shirt, and heavy breeches, and a neck-chain of heavy silver links a hand broad – this person, sweating heavily replies (…) (p. 11)

Continuando il racconto e non potendo più evitare i pronomi e la declinazione di genere, Genly sente il bisogno di giustificare la sua scelta, ponendo il lettore per la prima volta davanti al problema dell’identificazione di genere dei getheniani, e lo fa sottolineandone la costrizione (I must say) e seminando così, inconsapevolmente, un dubbio di inadeguatezza.

89

Anche Ong Tot Oppong ci presenta l’uso del pronome maschile come una costrizione dettata da semplificatorie, ma a suo parere fondate, regole grammaticali:

Yet you cannot think of a Gethenian as ‘it’. They are not neuters. They are potentials, or integrals. Lacking the Karhidish ‘human pronoun’ used for persons in somer, I must say ‘he’, for the same reasons as we used the masculine pronoun in referring to a transcendent god: it is less defined, less specific, than the neuter or the feminine. (p. 85)

Ma subito dopo, senza forse rendersene conto, si contraddice, aggiungendo: But the very use of the pronoun in my thoughts leads me continually to forget that the Karhider I am with is not a man, but a manwoman. (p. 85)

La contraddizione rivela gli impliciti nascosti nella sua giustificazione: se i pronomi che usa influenzano la sua percezione maschile dei getheniani, si insinua il dubbio che l’uso del maschile sia molto meno neutro e molto più specifico di quanto Oppong (e la stessa Le Guin, come vedremo ora) vorrebbe sostenere. In questo il testo dice molto di più di ciò che la sua autrice voleva fargli dire: nella prima versione (1976) di Is Gender Necessary?, Le Guin risponde alle critiche con le stesse motivazioni della sua personaggia, sostenendo la sua scelta come obbligata e in qualche modo irrilevante.

“He” is the generic pronoun, damn it, in English. (I envy the Japanese, who, I am told, have a he/she pronoun.) But I do not consider this really very important. The pronouns wouldn’t matter at all if I had been cleverer at

showing the “female” component of the Gethenian character in action. (Le

Guin, 1993, pp. 169-170)

Nella versione Redux (1987) dello stesso saggio, l’autrice farà ancora eco alla sua Investigatrice, commentando in nota alla citazione precedente: «If I had realized how the pronouns I used shaped, directed, controlled my own thinking, I might have been ‘cleverer’» (Le Guin, The Language of the Night: essays on Fantasy and Science Fiction, 1993, p. 170). Nell’introduzione all’edizione del 1989 della raccolta di saggi in cui si trovano le due versioni di Is Gender Necessary?, Le Guin non esita più nel posizionarsi in contrapposizione alla pervasività di un discorso patriarcale che fa coincidere maschile e neutro:

90

The principal revision involves the so-called “generic pronoun” he. It has been changed, following context, euphony or whim, to they, she, one, I, you or

we. This is, of course, a political change (just as the substitution of he for they

as the “correct” written form of the singular generic pronoun – see the OED – was a political act). Having resistingly, reluctantly, but finally admitted that

he means he, no more, no less, I can’t let it stand in these essays, because it

misleads. When I wrote in the early seventies about “the artist who works from the center of his own being”, I did not intend to refer to male artists only, still less to imply that artists are, or should be, male; but that is what the words say and imply. The existence of women artists is not (in the grammarians’ cute phrase) “embraced” by the male pronoun; it is (in the non-cute Argentinean usage) “disappeared” by it. I was in fact disappearing myself in my own writing – just like a woman. Well, no more of that. (Le Guin, The Language of the Night: essays on Fantasy and Science Fiction, 1993, p. 2)

Quella dei pronomi è solo una delle prove di quanto le implicazioni della categorizzazione di genere siano tanto importanti quanto occultate. Anche le altre scelte narrative effettuate da Le Guin, che le sono state ricriminate al pari della scelta del maschile neutro come punti deboli del romanzo, possono rivelarsi invece preziose se analizzate come elementi rivelatori del repertorio con cui il mondo narrativo inevitabilmente dialoga. Come le convinzioni di Genly vengono messe alla prova nell’incontro con l’alieno, anche il lettore fa esperienza dell’inadeguatezza delle sue conoscenze pregresse, che possono così essere ristrutturate, aprendo a un’attenzione più profonda sulle categorie sessuali.