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4.2.1.1 «Ils croient qu’ils sont de vraies personnes»

Elisa, nata in una Cité abitata ormai solo da «masques derrière des masques derrière des masques» (p. 32), impara poco a poco le categorie attraverso cui definire e rendere spiegabile il comportamento delle persone che la circondano. Il romanzo, descrivendo Desprats dal punto di vista straniante della bambina, si apre con quest’ammissione “a posteriori”: «elle ne savait pas que c’était un homme-machine» (p. 11). Ma il corpo eccezionale di Elisa, in cui le facoltà umane sono «infiniment multipiée[s]» (p. 81), è dotato di una capacità empatica che l’aiutano a decifrare la realtà senza la necessità di incasellarla in categorie:

Elle ne savait pas bien pourquoi, mais quand il sentait le tabac, ou l’herbe coupée, et que sa moustache était jaunie, il était davantage…là. Elle sentait très bien, alors, s’il était gai, ou sérieux, ou préoccupé – mais toujours comme il l’aimait. C’était Grand-Père. (p. 11)

La presenza percepita dai sensi di Elisa è meno materiale, ma non per questo è del tutto falsa:

Elisa attendait chaque jour la surprise, et accueillait Papa avec gratitude, avec transport, même s’il n’était pas souvent là de la même façon que Grand-Père, même si elle ne pouvait sentir – comme l’odeur du tabac, ou la chaleur de la lumière qui était Grand-Père – son plaisir d’être avec elle, son amour pour elle. (p. 19)

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Il sapere cyborg di Elisa è un sapere sintonizzato alla risonanza, non alla dicotomia (Haraway, 1991). «Le toucher léger de l’empathie» (p. 266) veicola un sapere soggettivo, un sapere del corpo (dei sensi, dove l’oggettività non è possibile), un sapere che parte da sé, invece che da categorie stabili e precostituite. L’empatia di Elisa le permette di fare un’intima esperienza dei confini, della loro costruzione e decostruzione, e della loro inadeguatezza. Al contrario di Elisa, Paul, che conosce la realtà degli ommachs (il neologismo creato da Vonarburg dalla fusione di “hommes” e “machines”), cerca la verità di Desprats cercando di incasellarlo:

La voix est celle de Richard Desprats. Le visage, encadré d’une courte barbe blond-roux, est celui du Desprats d’il y a… longtemps. Un masque synthétique. Mais dessous ? Homme, ou machine ? Un sourire satisfait pétille dans les yeux bruns. Paul observe le jeu expressif de la chair synthétique, incapable de décider si Desprats est vraiment derrière. (p. 31)

Le inferenze che Paul ricava dall’osservazione di Desprats lasciano un senso di indecifrabilità, in una confusione inestricabile di categorie e CBA: un sorriso può brillare dagli occhi di una macchina?

Quando Elisa dividerà nelle categorie vraie personne e homme-machine quelli che finora aveva percepito solo come due diversi livelli di presenza, pensa di aver imparato qualcosa, ma ha solo dato un nome diverso (con i suoi significati e le sue gerarchie) alla percezione che conosceva fin troppo bene:

Il [Papa] était vraiment là, ce jour-là, et Elisa pouvait sentir qu’il n’aimait pas du tout parler de ces choses. Elle savait comme faire la différence maintenant, parce qu’elle savait qu’il y avait une différence : quand c’était une machine, la personne n’était pas là ; elle ne sentait rien. (p. 24)

L’unica informazione veramente nuova che Elisa impara dalla categoria “vera persona” e quella che ci aveva anticipato nella seconda ammissione di ignoranza che apre il romanzo: «elle ne savait pas qu’il pouvait mourir» (p. 11). Desprats esala l’ultimo respiro mentre il suo avatar robotico abbraccia Elisa, intrappolandola. Quando Paul arriverà a liberarla, tranciando le braccia della macchina, per Elisa lo choc di «cette chose horrible» è reale quanto la morte dell’umano Desprats:

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Il fit apparaître une flamme froide au bout du bâton, et commença à découper le bras droit de Grand-Père. Il était si calme en faisant cette chose horrible, et l’odeur que dégageait Grand-Père était si inhabituelle et si désagréable (une odeur de brûlé, mais pas du tout comme l’odeur de tabac) (p. 20)

Il trauma della morte di Grand-Père è ciò che innesca nella crescita di Elisa il graduale processo di comprensione della realtà che la circonda attraverso le categorie che la regolano e le danno (un) significato:

Il ne fallut pas tellement longtemps à Elisa pour comprendre (…) Grand-Père était une machine. Et Gil, Marianne, Pierre, Sandra, tout le monde était une machine. Même Papa était une machine.

Il fallut un peu plus de temps à Elisa pour comprendre qu’il y avait les vraies machines – comme Gil, Marianne, tous ses compagnons de jeu – et les

hommes-machines : Grand-Père, ou Sybille, ou Papa. Une Machine avec

quelqu’un dedans. Non, derrière. Enfin une machine qui correspondait à quelqu’un de vivant, à une vraie personne, quelque part dans la Cité. (p. 24)

Le “giuste” categorie stabiliscono una gerarchia di verità: ci sono le vere macchine, gli umani-macchina (né veramente l’uno, né veramente l’altro, ma tutti e due), e le vere persone:

« (…) Sibylle et Maxime, dont elle ne connaissait rien, en réalité, puisqu'elle comprenait qu'elle n'avait rien vu d'autre que leur machine. Les machines étaient jeunes, comme Papa, Sibylle blonde et rose, Maxime brun et trapu. Mais eux, comment étaient-ils, eux ? » (p. 28, corsivo mio.)

L’accento sul pronome personale segnala l’invalicabile barriera innalzata dalle categorie apprese da Elisa: le macchine attraverso cui vivono le persone della Cité sono diventate anche per lei solo delle maschere che celano una verità che non può esprimersi per loro tramite. La differenza descrittiva percepita in modo non problematico dall’empatia di Elisa, ha acquistato un valore gerarchico, che sanziona l’attraversamento tra le categorie. Se gli ommachs hanno perso verità agli occhi di Elisa, le vraies machines vengono bollate come mere “imitatrici”, non autorizzate a confondersi con l’umano:

« Mais ce ne sont pas de vraies personnes ! protesta Elisa. Ils croient qu’ils sont de vraies personnes, mais moi je sais que ce n’est pas vrai !

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– Et si je les reprogrammais pour qu’ils sachent que ce sont des machines, tu préférerais ? »

Après plusieurs essais, Elisa décida que, oui, elle préférait. (p. 30)

Per Elisa bambina, che si è appena scoperta sola in una città fantasma (p. 28), è importante che le macchine “sappiano qual è il loro posto”, per non contaminare la sicurezza della sua identità di vraie personne.

Crescendo, e sviluppando un controllo sempre maggiore del proprio corpo, fino alla metamorfosi di sesso, Elisa imparerà a trovare proprio nella confusione delle categorie la sua identità in continua trasformazione. Elisa è una cyborg, che trascende le categorie di sesso, ma soprattutto quella di umano. Il controllo del suo corpo e le sue capacità rigenerative la pongono oltre i limiti di una vera persona. L’umanità per lei si configura come una performance: quando è tra le “vere persone” di Dehors Elisa imita l’umano rinunciando alla padronanza sul suo corpo: «elle a sué abondamment dans la salle commune, pour faire comme tout le monde et ne pas attirer l’attention» (p. 100). Anche la macchina Desprats performa l’umanità attraverso l’imitazione di un corpo che reagisce agli stimoli, per superare il test a cui i Viételli sottopongono gli sconosciuti che arrivano alla porta della loro comunità:

« Passa ta main dans le guichet », dit la voix (…) Ah, dit Ostrer, je t’avais bien

dit que ça me servirait un jour. Il passe à son tour la main dans le guichet, (…)

sursaute et montre son sang synthétique à ceux qui les observent derrière la porte. (p. 93)

Al corpo “incontrollabile” la narrazione associa un’altra caratteristica nella definizione dell’umano, che viene fuori dal confronto con l’inumanità di Desprats:

Elle n’est pas sûre d’ailleurs qu’il exprimerait une émotion quelconque s’il parlait à haute voix. Le simulacre programmé par Desprats lui parait très inhumain, chaque fois qu’elle entre en contact avec de véritables êtres humains.

Mais quel besoin a-t-il de s’encombrer d’émotions ? Il est programmé pour n’en manifester que lorsque c’est nécessaire. (p. 101)

Le emozioni, CBA umana per eccellenza (tanto da essere negata ai più oppressi “altri” della storia: gli animali non umani) fanno parte dell’imprevedibilità del corpo umano e possono

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essere solo imitate dalla razionalità programmata della macchina. Elisa, allo stesso tempo umana e più che umana, può sfuggire dal carattere inevitabile delle categorie, esprimendo la sua libertà nella scelta tra di esse. Alla vista delle donne della comunità di Viételli massacrate da Paul, Elisa sceglie di non “s’encombrer d’émotions”:

Elisa, reprends-toi ! subvocalise Ostrer, en lui touchant l’épaule.

Délibérément, cette fois, elle contrôle son corps. Elle coupe l’adrénaline, elle ralentit les battements de son cœur, elle fait sécréter des substances calmantes. (p. 103)

Quando invece viene sorpresa dalle sue paure, sceglie di affrontarle per non sfuggire alla realtà:

Elle sait qu’elle pourrait contrôler son corps, effacer cette émotion, mais ce serait un mensonge. Non, il faut accepter cette angoisse, en examiner la cause, accepter d’être humain. (p. 102)

L’interrogazione continua sui confini della sua identità cyborg (e dell’identità in genere), permettono ad Elisa di esplorare e creare relazioni che sorpassano le barriere tra le categorie e ne mettono in questione la costruzione, abituandola a riconoscere le somiglianze più che le differenze. Nonostante i suoi sforzi per ricordarsi che Desprats è solo una macchina (p. 123), al pensiero di non vederlo più viene sopraffatta da una tristezza reale, anche se “absurde” (p. 127). Nelle sue riflessioni, la frontiera invalicabile tra vere persone e vere macchine sfuma sempre di più:

Elle se rend compte qu’elle parle au simulacre comme si c’était une personne réelle ; mais comment faire autrement ? Dans la mesure où un être humain emmagasine des données, établit des corrélations entre elles, en tire des conclusions et répond aux stimuli, le simulacre est une personne réelle. (p. 81)

Riconfigurando e facendo dialogare le informazioni legate alle categorie umani/macchine – in un gioco che ricorda quello consigliato da Sacks «with shifts in the properties of a category, and shifts in the rules for use» (Sacks, 1992, p. 402) – il testo presenta degli inquietanti parallelismi tra la programmazione informatica e quella sociale, mettendo in evidenza le limitazioni di entrambe:

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(…) inutile d’attendre une grande subtilité de l’ommach ; il n’a pas été programmé pour cela. Et une femme n’est certainement pas censée prendre l’initiative de la conversation. (p. 205)

Il testo associa spesso CBA delle macchine alla categoria umana: «Sybille Horner a cessé de fonctionner à 2104» (p. 75). Il risultato è molto simile a ciò che Le Guin diceva dei suoi androgini: le macchine delle Cité, più che predire che saremo tutte macchine «in a millennium or so», ci permettono di osservare «in the peculiar, devious and thought- experimental manner proper to science fiction, that if you look at us at certain odd times of day in certain weathers, we already are» (Le Guin, The Language of the Night: essays on Fantasy and Science Fiction, 1993, p. 153).