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Le Silence de la Cité di Élisabeth Vonarburg

4.1.3 «Call me by my name»

4.2. Le Silence de la Cité di Élisabeth Vonarburg

Élisabeth Vonarburg è una delle voci più autorevoli della SF quebecchese, riconosciuta come un riferimento tanto per la SF canadese che per la SF francofona in generale, definita «l'une des rares écrivaines francophones qui puisse rivaliser avec les grandes auteures étasuniennes de science-fiction, comme Ursula Le Guin» (Bozzetto, 2001, p. 13). Nata a Parigi nel 1947, nel 1974 si trasferisce in Canada, dove giocherà un ruolo fondamentale per il mondo nascente della SF quebecchese. Nel 1979 organizza la prima convention quebecchese sulla SF, Le congrès Boréal, che da allora premia il miglior romanzo dell’anno votato dai fan e che nel 2011 si è fuso con il premio Aurora, conferito dall’Association canadienne de la science-fiction et du fantastique, diventando les prix Aurora-Boréal. Con i suoi articoli sulla rivista specializzata Solaris, della quale diventerà direttrice letteraria, e con il suo lavoro di traduzione di opere anglofone di SF (iniziato nel 1979 con la traduzione di The Birthgrave - La tombe de naissance di Tanith Lee) avvicinerà di molto gli ambienti anglofoni e francofoni della SF canadese. La maggior parte dei suoi romanzi e gran parte dei suoi racconti sono pubblicati in francese e poi tradotti in inglese, un privilegio per un autore quebecchese di SF.

In un intervista con Natache Vas-Deyres, alla domanda “cosa la spinge a scrivere”, Vonarburg risponde: «tout simplement (!) le besoin de respirer, un terme qui, je m’en rends compte, est en l’occurrence un synonyme de “comprendre”» (Vas-Deyres, 2014). Il bisogno di comprendere l’ha portata alla fantascienza:

La science-fiction m’a permis d’écrire tout court, à seize ans, lorsque pour des raisons diverses j’avais fui la littérature... ordinaire (pas celle que je lisais, bien sûr, mais pour en écrire... aïe !) et que la poésie s’était révélée hors de ma portée adolescente. C’est pour cela que je voue à la SF un amour et une reconnaissance indéfectibles, en dehors de ses qualités intrinsèques. (Vas- Deyres, 2014, pp. 143-144).

Vonarburg si dichiara «presque prête à accepter la ridicule étiquette de para-littéraire» (Vonarburg É. , 1994, p. 454) per la SF, perché il suo essere «à-coté», rivendicato o imposto, costituisce innegabilmente uno spazio di libertà rispetto alla letteratura canonica. Quello spazio di libertà rivendicato dalle scrittrici femministe, che ha partire dagli anni ’60 entrarono a forza nel mondo della SF, cambiando «à jamais le visage du genre» (Vonarburg,

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1994, p. 456). Per Vonarburg, la contaminazione femminista del genere è necessaria, perché la SF, non solo «permet de faire jouer divers personnages dans divers modèles de sociétés afin d'éclairer et critiquer (et non fuir et ignorer) les (…) situations actuelles», ma va più lontano, permettendo d’immaginare modelli davvero altri:

(…) et pour cela d'autres façons de poser les questions qui sont, ou devraient selon [elle], à la base de toute pensée féministe : « qu'est-ce qu'être femme ? », par exemple, (ou, si on l'exprime en termes science-fictifs, « qu'est-ce qu'être la moitié femelle de l'espèce dimorphique qui habite la planète Terre ?» — une optique un peu différente...). Qu'est-ce, corrélativement, qu'être homme ? Et, la question fondamentale de la SF : « qu'est-ce qu'un être humain? » (Vonarburg É. , 1994, p. 454)

Per Vonarburg la convergenza di SF e pensiero femminista è «obligée» (Vonarburg É. , 1994, p. 454), entrambi, reagendo alla realtà ne immaginano altre, partendo da una domanda: «comment ce sera... si c'était différent?» (Vonarburg, 1985, p. 11) La SF offre all’immaginario altri cronotopi rispetto ai «contraignants Ici-&-maintenant ou Ailleurs-&-hier de la littérature non science-fictive où nous sommes condamnées aux modes réactifs de la déploration, de la constatation ou de la révolte» (Vonarburg É. , 1994, p. 454). L’inevitabilità della realtà ha per Vonarburg «quelque chose d'un peu déprimant, d'un peu monotone et de fort peu propice aux modes véritablement créatifs de l’imaginaire» (Vonarburg É. , 1994, p. 454).

Le Silence de la Citè, pubblicato in Francia nel 1981, è il suo primo romanzo ed è subito un successo, consacrato come miglior romanzo di SF dal Grand Prix de la SF française, dal Prix Boréal e il Prix Rosny aîné. Nel 1992 pubblica il suo seguito, Chronique du Pays des mères, la cui traduzione inglese vince il premio speciale del Philip-K. Dick Award del 1994, oltre al Grand Prix de la science-fiction et du fantastique québécois, al Prix Aurora e al Prix Boréal. La predilezione per le narrazioni complesse e non lineari caratterizzano tutti i testi di Vonarburg (in particolar modo i racconti) e lasciano a chi legge il compito di decifrare e far reagire tra loro i significati proposti da un testo in cui il punto di vista non è mai definitivamente determinato. Si passa da una focalizzazione zero a una interna, dal racconto di un sogno a una narrazione, senza che la sognatrice abbia la certezza di aver vissuto o sognato, in un universo o un altro. Con la consapevolezza del carattere non

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oggettivo di qualsiasi verità, Vonarburg crea dei giochi di specchi che rifrangono e scompongono le azioni dei personaggi, rendendo impossibile tracciare una linea netta tra il sé e l’altro, in un invito continuo a esplorare il sé trovandoci ciò che si pensava dell’altro. Le Silence de la Cité segue e costruisce l’interiorità di Elisa, dividendo la sua storia in quattro parti, ogni capitolo corrispondente a una nuova presa di coscienza e a un nuovo modo di concepire sé stessa e il rapporto con gli altri. La prima parte si apre con il punto di vista di Elisa bambina, alle prese con la decifrazione del mondo che la circonda: la Cité, l’ultima sopravvissuta delle città sotterranee completamente tecnologizzate costruite per proteggere pochi umani privilegiati dai cataclismi e radiazioni che hanno colpito la Terra. La narrazione alterna il presente di Elisa – la sua crescita e le sue scoperte filtrate dal suo sguardo ingenuo– al passato oscuro di Paul, Papa per Elisa, scienziato folle e disumano per lo sguardo più oggettivo di chi legge. «Dernière enfant de la Cité», frutto degli esperimenti genetici di Paul, Elisa impara a conoscere il suo corpo e le sue straordinarie facoltà di auto- rigenerazione con un «jeu bizarre»:

Papa mettait à Elisa une sorte de chapeau de fils, et il la coupait au bout d’un doigt. Ça ne faisait pas mal longtemps. D’ailleurs le jeu consistait à avoir mal le moins longtemps possible, à guérir le plus vite possible. Il suffisait d’arrêter le sang et de refermer la coupure. Il lui avait expliqué : elle pouvait le faire si elle le voulait. Et elle le faisait. (p. 18)

Oltre a Papa-Paul, è Grand-Père-Desprats a seguire l’educazione di Elisa nei suoi primi anni ed è grazie a lui che scopriamo, insieme a Elisa, che fuori dai confini della Cité esiste il mondo di Dehors («L’Extérieur, ou la Surface, comme il disait aussi») che vive in un futuro post-apocalittico che sembra una fotografia fin troppo verosimile del nostro prossimo futuro:

Les accidents nucléaires accumulés, les pollutions, les petites guerres partout, et trop de gens, et juste assez à manger, et la Terre elle-même qui se fâche, les tremblements de terre, les volcans réveillés, les climats qui changent, les

famines, les épidémies et enfin les grandes marées, qui ont changé l’aspect des continents. (p. 39)

Mentre la vita nelle Cité sembra scorrere fuori dal tempo, grazie al lusso di una tecnologica genetica che ha permesso di allungare la durata media di vita a più di cento anni, in

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superficie le generazioni dell’umanità sopravvissuta si succedono rapidamente, passando «des tribus primitives aux chefs de guerre» (p. 60). Al momento della storia, dopo trecento anni dall’inizio del “Declino”, la popolazione di Dehors, «sur le territoire qui etait autrefois l’Europe» (p. 84), è divisa in clan, le Chefferies: comunità composte principalmente da donne ma controllate unicamente dagli uomini. Una mutazione genetica, provocata da quello che gli scienziati della Cité chiamano “virus T”, «fausse la redistribution aléatoire des sexes: il fait plus de femelles que de mâle» (p. 65). Dehors le donne, troppo numerose «ne sont pas grand-chose devant les homme-rois, les hommes rares, les précieux reproducteurs» (p. 87). Anche se il grado di oppressione varia geograficamente, le donne sono ridotte in schiavitù: «au mieux des esclaves dans des harems, au pire des esclaves dans les cuisines, les champs et les mines» ( p. 87). La gerarchia sociale è mantenuta attraverso il mito religioso, che incolpa le donne della declino della civilizzazione:

Au temps des Abominations, elles ont refusé de donner la vie, elles ont voulu changer leur corps pour pouvoir être les égales des hommes, et Dieu les a justement punies en les condamnant à produire beaucoup de filles qui seront esclaves comme elles le sont devenues elles-mêmes. (p. 108)

Alla terribile realtà dell’Extérieur, sopravvive la finta realtà dell’ultima Cité rimasta attiva, nella quale gli ultimi abitanti ultracentenari vivono «par l'intemediaire des robots». Elisa dovrà passare per il trauma della morte di Desprats per capire che tutte le persone con cui è entrata in contatto nella sua infanzia si dividono in vraies machines o hommes-machines: «une machine qui correspondait à quelqu'un de vivant, a une vraie personne, quelque part dans la Cité» (p. 24).

Con la morte di Desprats e le coordinate della storia ricostruite, i tempi dei punti di vista di Elisa e di Paul si allineano per raccontare il presente, in cui un’Elisa adolescente collabora con Paul (non più Papa), al suo Projet: creare una nuova razza umana che con il potere di auto-rigenerazione di Elisa possa sopravvivere all’ambiente ostile di Dehors. Elisa, è ignara del lato oscuro del suo creatore (e, ora, amante), le torture e gli esperimenti inflitti alla gente dell’Extérieur che nasconde a Elisa dietro la facciata di scienziato dedito alla causa dell’umanità. Si sveglierà dal sogno grazie alle rivelazioni di Sybille, l’ultima abitante della Cité, che per questo viene brutalmente uccisa da Paul, smascherando definitivamente la sua follia megalomane. Ma Elisa non resta sola: la morte di Sybille ha risvegliato «le fantôme

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électronique di Desprats» (p. 77), una simulazione elettronica incredibilmente fedele all’originale, che dalla morte del vero Desprats ha continuato ad immagazzinare i dati della Cité, pronta ad attivarsi in caso di morte violenta. Se già Sybille le aveva fatto aprire gli occhi sulla realtà, è con il simulacro di Desprats che la quête di Elisa prende corpo, in tutti i sensi del termine: dalle immagini registrate dalle telecamere della Cité il computer-Desprats ha scoperto che il corpo di Elisa non ha solo la capacità di auto-rigenerarsi, ma anche quella, ancora più straordinaria, di subire una metamorfosi completa. Desprats ha una missione per Elisa: disattivare tutte le Cité sparse per il mondo e lasciare «vivre leur propre vie» agli esseri umani di Dehors. La prima parte si chiude con la fuga di Elisa, trasformata in Hanse e accompagnata da un robot, che si spaccerà per il muto Ostrer. D’ora in poi sarà solo il punto di vista di Elisa a raccontarci la storia. La seconda parte ci racconta dell’arrivo dei due nella Chefferie dei Viételli, dopo aver «arrêté tous les Cités, sauf une». Qui Elisa scoprirà che Paul è ancora vivo e arma con i robot della Cité il capitano di un altro clan in cambio di donne da trasformare in cavie da laboratorio. Ma anche Paul ha scoperto la nuova identità di Elisa, e tenterà di costringerla a tornare con lui, finché Elisa, per difendere Judith, la figlia di Viételli, lo ucciderà. Disattivata anche l’ultima Cité – e con essa il simulacro di Desprats – Elisa si ritrova sola ma finalmente libera di scegliere. La prima scena della «troisième partie» (p. 135) ci fa assistere alla nascita della primogenita del nuovo Projet: Elisa ha scelto di costruire una nuova comunità fuori dalla Cité, popolata dai suoi enfants, di cui è madre e padre, e le cui capacità metamorfiche permetteranno di ricostruire una nuova e migliore umanità.

Tutti gli enfants nascono femmine e vengono educate sin da subito a conoscere le loro proprietà fisiche e genetiche; a sette anni affrontano la loro prima “metamorfosi” nel sesso maschile, in seguito alternano i due sessi ogni due anni, anche se il Projets prevede che saranno tutti maschi alla fine, per poter agire liberamente all’Extérieur «qu’ils ne se fixent pas trop tôt dans un corps mâle. (…) Ils seront mieux équipés ainsi pour changer un peu les choses à l’Extérieur; une empathie plus facile avec les femmes» (p.145). La comunità di Bois-du-Lac cresce e si modifica con l’apporto degli enfants, che costringeranno Elisa a confrontarsi con l’eredità di Paul e con le sue responsabilità. Il finale della terza parte si riflette sul primo: Abram, la primagenita nel suo corpo maschile, fugge dalla comunità quando scopre il passato di Elisa grazie alla memoria della Cité, e la spinge a seguirlo e

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tornare a Viételli. La quarta parte ci risveglia dal sogno quasi utopico della comunità degli enfants per riportarci alla realtà di Dehors, quella di Judith. L’attuale moglie dei capo dei Viételli, Manilo, la prima donna e l’ultima persona con cui Elisa abbia fatto l’amore, è alla guida delle “femmes libres”, una rivolta resa possibile inconsapevolmente da Elisa-Hanse, quando sotto richiesta di Judith aveva convinto Viételli ad armare anche le donne per sconfiggere Paul. Abbandonata la Chefferie, hanno fondato Libéra, la città delle donne libere:

Elles sont restées dans le marais, elles ont réussi à y vivre. II y a eu quelques tentatives pour les en déloger, mais le terrain n'est pas très... propice à la bataille. Des femmes ont commencé à les rejoindre, petit à petit, venues de la région, puis d'un peu partout, surtout du nord et de l'est.

Elisa si ritrova in una nuova missione, che non riesce ad accettare pienamente: aiutare le donne di Libéra a prendere Viételli con la violenza e ribaltare il regime patriarcale, imponendo agli uomini la schiavitù. Ancora una volta Elisa si domanderà «qui détient la vérité» (p. 280): Judith, che «subit les conséquences réelles du mythe», ma che vuole distruggerlo costruendone un altro? O Elisa, che crede di avere la soluzione a tutto, nei suoi enfants «ni femme ni homme, mais ce qu’on veut», che forse non ha lasciato davvero liberi di decidere cosa volessero essere?

Con la morte di Judith e Manilo, e con la liberazione degli enfants dal Projets, Elisa scoprirà che non esistono verità monolitiche che non nascondano la realtà di chi viene oppresso per confermare quella verità.