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Una questione di categorie

2.1 Alle origini del genere

Da una cultura all’altra, da un’epoca all’altra, la divisione degli individui in maschi e femmine è stata interpretata nel modo più vario e meno “naturale” che si possa immaginare, e ai due sessi sono stati attribuiti significati e valenze discordanti e contrastanti. Negli anni Trenta, le ricerche dell’antropologa Margaret Mead (come riassume Nicole-Claude Mathieu in un articolo del 1977) hanno permesso di «jeter sur notre propre culture un régard étonné» (Mathieu, 1977, p. 55). Mead ha studiato tre popolazioni della Nuova Guinea tanto vicine quanto diverse nella loro interpretazione sociale del sesso. A proposito della “personalità” di ogni sesso, conclude:

Ni les Arapesh, ni les Mundugumor n'ont éprouvé le besoin d'instituer une différence entre les sexes. L'idéal arapesh est celui d'un homme doux et sensible, marié à une femme également douce et sensible. Pour les

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Mundugumor, c'est celui d'un homme violent et agressif marié à une femme tout aussi violente et agressive. Les Chambuli, en revanche, nous ont donné une image renversée de ce qui se passe dans notre société. La femme y est le partenaire dominant; elle a la tête froide, et c'est elle qui mène la barque; l'homme est, des deux, le moins capable et le plus émotif. D'une telle confrontation se dégagent des conclusions très précises. Si certaines attitudes, que nous considérons comme traditionnellement associées au tempérament féminin - telles que la passivité, la sensibilité, l'amour des enfants - peuvent si aisément être typiques des hommes d'une tribu, et dans une autre, au contraire, être rejetées par la majorité des hommes comme des femmes, nous n'avons plus aucune raison de croire qu'elles soient irrévocablement déterminées par le sexe de l'individu. (Mead in Mathieu, 1977, p. 55)

I dati dell’etnologia ci insegnano che il contenuto delle qualità fisiche o psicologiche attribuite rispettivamente ad ognuno dei due sessi varia considerevolmente (e in modo spesso contraddittorio) da una società all’altra, insieme ai ruoli e ai compiti economici ricoperti dagli uomini e le donne:

(...) qu'il s'agisse de l'opinion conventionnelle chez une tribu des Philippines qu'aucun homme ne peut garder un secret, de l'allégation des Manus que seuls les hommes aiment jouer avec les enfants, du fait que la plupart des travaux domestiques sont décrétés trop sacrés pour les femmes par les Toda, de la croyance arapesh que la tête des femmes est plus robuste que celle des hommes. (Mead in Mathieu, 1977, p. 55)

È proprio per sottolineare questa variabilità culturale nelle interpretazioni sociali del sesso che il femminismo americano degli anni Settanta ha introdotto la distinzione tra sesso e genere, «assigning the term “gender” to the meanings of masculinity and femininity that a given culture attaches to the categories of male and female» (Fox Keller, 1992, p. 16). L’intento iniziale di tale distinzione era evidenziare l’importanza dei fattori sociali e culturali nella formazione di uomini e donne, ribadendo la verità della famosa affermazione di Simone de Beauvoir «on ne naît pas femme, on le devient», e concentrando l’attenzione su come si costruiscono i significati culturalmente associati ai due sessi e sui rapporti di potere che questi significati producono.

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Se l’origine intellettuale del concetto di genere sta nell’intuizione di Simone de Beauvoir che donne si diventa (e che tale divenire è frutto dell’adesione, più o meno cosciente, a modelli culturali e sociali), è solo negli anni Settanta che il termine “genere” viene introdotto nel discorso scientifico, quando l’antropologa Gayle Rubin conia l’espressione sex-gender system, ovvero l’insieme dei processi con i quali ogni società traduce la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e organizza, di conseguenza, la divisione dei compiti tra uomini e donne, differenziandone i ruoli. Anticipando molta letteratura scientifico-filosofica a venire, Rubin sostiene senza esitazioni che le differenze di genere sono il risultato oppressivo di risoluzioni sociali che impongono come donne e uomini debbano comportarsi. Nel suo The Traffic in Women (1975), Rubin indaga la natura e la genesi dell’oppressione sociale delle donne, convinta che solo un’analisi delle cause possa gettare le basi per un futuro senza gerarchie di genere. La sua teoria prende in prestito concetti dall’antropologia e dalla psicoanalisi, individuando nelle opere di Lévi-Strauss e Freud (attraverso Lacan) il luogo da cui cominciare a svelare «the system of relationships by which women become the prey of men» (Rubin, 1975, p. 158) e ponendo su di essi uno sguardo «idiosyncratic and exegetical» (Rubin, 1975, p. 159) che ne sviluppa le implicazioni più radicali e femministe fino ad allora ignorate o occultate:

They see neither the implications of what they are saying, nor the implicit critique which their work can generate when subjected to a feminist eye. Nevertheless, they provide conceptual tools with which one can build descriptions of the part of social life which is the locus of the oppression of women, of sexual minorities, and of certain aspects of human personality within individuals. (Rubin, 1975, p. 159)

Questa “parte della vita sociale” è quella che Rubin definisce “the sex/gender system”: «the set of arrangements by which a society transforms biological sexuality into products of human activity» (Rubin, 1975, p. 159). Nella sua analisi Rubin dimostra la necessità di tale concetto discutendo il fallimento del marxismo classico nella concettualizzazione dell’oppressione di genere (ed evidenziando, al contempo, i limiti del concetto di patriarcato14). L’analisi marxista, secondo Rubin, evidenzia l’utilità per il sistema

14 «The therm “patriarchy” was introduced to distinguish the forces maintaining sexism from other

social forces, such as capitalism. But the use of “patriarchy” obscures other distinctions. Its use is analogous to using capitalism to refer to all modes of production, whereas the usefulness of the term

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capitalistico del lavoro domestico delle donne, facendone il motivo della loro oppressione; tuttavia, il capitalismo ha solo ereditato e riconfigurato nozioni di “donna” e “uomo” che lo precedono di secoli. In Der Ursprung der Familie, des Privateigenthums und des Staats di Engels, Rubin trova un’intuizione a suo parere tanto fondamentale quanto ignorata, quella cioè della necessità di separare i rapporti di produzione dai rapporti di sessualità (Rubin, 1975, p. 164). Engels, infatti, distingue due aspetti della vita materiale:

on the one hand, the production of the means of existence, of food, clothing, and shelter and the tools necessary for that production; on the other side, the production of human beings themselves, the propagation of the species. (Engels in Rubin, 1975, p. 165)

Tanto i bisogni legati al primo aspetto quanto quelli legati al secondo, scrive Rubin, sono difficilmente soddisfatti in modo “naturale”:

Hunger is hunger, but what counts as food is culturally determined and obtained. Every society has some form of organized economic activity. Sex is sex, but what counts as sex is equally culturally determined and obtained. Every society has a sex/gender system – a set of arrangements by which the biological raw material of human sex and procreation is shaped by human, social intervention and satisfied in a conventional manner. (Rubin, 1975, p. 165)

Questo secondo aspetto della vita materiale viene esaminato da Rubin attraverso un’analisi dei sistemi di parentela, che sono fatti da – e riproducono – concrete forme di sessualità socialmente organizzata: «kinship systems are observable and empirical forms of sex/gender systems» (Rubin, 1975, p. 169). Per l’antropologia, un sistema di parentela non si compone di una lista di parenti biologici, ma è piuttosto un sistema di categorie e status che spesso contraddice le reali relazioni genetiche.

“capitalism” lies precisely in that it distinguishes between the different systems by which societies are provisioned or organized. (…) It is important – even in face of a depressing history – to maintain a distinction between the human capacity and necessity to create a sexual world, and the empirically oppressive ways in which sexual worlds have been organized. Patriarchy subsumes both meanings into the same term». (Rubin, 1975, pp. 167-168)

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L’esempio della popolazione dei Nuer riportato da Rubin risulta esplicativo in questo senso:

The Nuer define the status of fatherhood as belonging to the person in whose name cattle bridewealth is given for the mother. Thus, a woman can be married to another woman, and be husband to the wife and father of her children, despite the fact that is not the inseminator. (Rubin, 1975, p. 169)

Nel saggio Les Structures élémentaires de la parenté, Lévi-Strauss considera esplicitamente la parentela come imposizione di un’organizzazione culturale sui fatti della riproduzione biologica e, secondo Rubin, costruisce un’implicita teoria dell’oppressione di genere, riconoscendo l’essenza del sistema di parentela nello scambio delle donne tra gli uomini. Dal complesso gioco di scacchi costruito da Lévi-Strauss, Rubin isola due pezzi «particularly relevant to women» (Rubin, 1975, p. 171), la cui doppia articolazione porta al concetto di scambio delle donne: il dono – che Lévi-Strauss sviluppa da Marcel Mauss – e il tabù dell’incesto. Alla teoria di Mauss sul dono come espressione di un legame sociale tra i partner dello scambio, Lévi-Strauss aggiunge l’idea che i matrimoni siano una forma elementare di scambio in cui le donne sono il dono più prezioso. Il tabù dell’incesto deve quindi essere interpretato come un meccanismo che assicura che lo scambio avvenga tra famiglie e gruppi: il tabù impone sull’evento biologico della procreazione l’obiettivo sociale dell’esogamia e dell’imparentamento. Il risultato del dono di una donna è più profondo del risultato di altri doni perché la relazione così stabilita non è solo di reciprocità, ma di parentela: i discendenti dei partner dello scambio saranno legati dal sangue. Le donne, quindi, più che partner dello scambio ne sono il canale:

The exchange of women does not necessarily imply that women are objectified, in the modern sense, since objects in the primitive world are imbued with highly personal qualities. But it does imply a distinction between gift and giver. If women are the gifts, then it is men who are the exchange partners. And it is the partners, not the presents, upon whom reciprocal exchange confers its quasi-mystical power of social linkage. (Rubin, 1975, p. 174)

Come suggerisce Rubin in nota, quest’analisi della società basata sui legami tra gli uomini attraverso le donne rende le reazioni separatiste del movimento delle donne totalmente

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comprensibili: «separatism can be seen as a mutation in social structure, as an attempt to form social groups based on unmediated bonds between women» (Rubin, 1975, p. 175). Se Lévi-Strauss ha ragione nell’individuare nello scambio delle donne un principio fondamentale di parentela, la subordinazione delle donne può essere vista come un prodotto delle relazioni attraverso cui il sesso e il genere sono organizzati e prodotti: «there is an “economics” of sex and gender, and what we need is a political economy of sexual systems» (Rubin, 1975, p. 177).

Lévi-Strauss approfondisce la sua analisi della parentela nell’articolo La famille, in cui solleva la questione delle precondizioni necessarie al funzionamento dei sistemi di matrimonio analizzando la divisione sessuale del lavoro. Nonostante tutte le società abbiano un qualche tipo di divisione dei ruoli basata sul sesso, l’assegnazione di un particolare compito ad un sesso o all’altro varia enormemente. Lévi-Strauss conclude che la divisione sessuale del lavoro non è una specializzazione biologica, ma piuttosto «a device to institue a reciprocal state of dependency between the sexes» (Lévi-Strauss in Rubin, 1975, p. 178). La divisione sessuale del lavoro, quindi – scrive Rubin – può essere vista come il risultato di un altro tabù:

a taboo against the sameness of men and women, a taboo dividing the sexes into two mutually exclusive categories, a taboo which exacerbates the biological differences between the sexes and thereby creates gender. The division of labor can also be seen as a taboo against sexual arrangements other than those containing at least one man and one woman, thereby enjoining heterosexual marriage. (Rubin, 1975, p. 178)

La tesi nell’articolo di Lévi-Strauss presenta una messa in discussione radicale di tutti i rapporti sessuali umani, secondo la quale nessun aspetto della sessualità può essere considerato inequivocabilmente “naturale”; al contrario, tutte le forme evidenti di sesso e genere risultano costituite dagli imperativi dei sistemi sociali. Rubin nota, inoltre, come Lévi-Strauss sia pericolosamente vicino a dire che l’eterosessualità è un’istituzione: se gli imperativi biologici e ormonali fossero così travolgenti come si dice, non sarebbe necessario assicurare unioni eterosessuali tramite l’interdipendenza economica. A un livello più generale – e qui Rubin porta l’analisi molto oltre il punto di arrivo di Lévi-Strauss – l’organizzazione sociale del sesso si fonda sul genere, sull’eterosessualità obbligatoria e

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sulla limitazione della sessualità femminile. Il genere è quindi una divisione dei sessi imposta socialmente, è un prodotto delle relazioni sociali della sessualità:

Men and women are, of course, different. But they are not as different as day and night, earth and sky, yin and yang, life and death. In fact, from the standpoint of nature, man and women are closer to each other than either is to anything else – for instance, mountains, kangaroos, or coconut palms. The idea that men and women are more different from one another than either is from anything else must come from somewhere other than nature. (Rubin, 1975, p. 179)

Ben lungi dall’essere espressione di differenze naturali, un’identità di genere esclusiva è la soppressione di somiglianze naturali. La divisione dei sessi ha l’effetto di reprimere alcune delle caratteristiche personali di tutti, uomini e donne: «the same social system which oppresses women in its relations of exchange, oppresses everyone in its insistence upon a rigid division of personality» (Rubin, 1975, p. 180).

Dallo studio antropologico dei sistemi di parentela, l’analisi di Rubin si sposta in seguito sulla psicoanalisi, al fine di osservare i meccanismi attraverso i quali le convenzioni di sesso e genere vengono imposte ai nuovi nati. Descrivendo gli scarti prodotti negli individui dal loro confronto con le norme della sessualità della società in cui sono nati, la psicoanalisi, secondo Rubin, è una teoria femminista mancata:

According to the Freudian orthodoxy, the attainment of “normal” femininity extracts severe costs from women. The theory of gender acquisition could have been the basis of a critique of sex roles. Instead the radical implications of Freud’s theory have been radically repressed. (Rubin, 1975, p. 184)

La psicoanalisi offre una descrizione dei modi in cui i sessi vengono divisi e deformati, di come infanti “perversamente polimorfi” vengono trasformati in maschi e femmine. Riconoscendo le ambiguità della scrittura di Freud, Rubin si allontana esplicitamente dalle interpretazioni biologiste della psicoanalisi americana per prendere in considerazione la linea di pensiero sviluppatasi in Francia, che, a partire da Lacan, “de-biologizza” la teoria freudiana (Rubin, 1975). Insistendo sul fatto che la teoria freudiana, lungi dal parlare di anatomia, si concentra piuttosto sul linguaggio e sui significati culturali imposti

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all’anatomia, Lacan afferma che la psicoanalisi è lo studio delle tracce lasciate nella psiche degli individui come risultato del loro reclutamento nel sistema di parentela:

Kinship is the culturalization of biological sexuality on the societal level; psychoanalysis describes the transformation of the biological sexuality of individuals as they are enculturated. (Rubin, 1975, p. 189)

Nello schema di Lacan, la crisi edipica ha luogo nel momento in cui il bambino comprende il sistema e il suo posto in esso e viene risolta quando il bambino accetta quel posto e vi aderisce. Le informazioni relative al sistema sono contenute nella terminologia che definisce la parentela:

in the Lacanian theory of psychoanalysis, it is the kin terms that indicate a structure of relationships which will determinate the role of any individual or object within u Oedipal drama. For instance, Lacan makes a distinction between the “function of the father” and a particular father who embodies this function. In the same way, he makes a radical distinction between the penis and the “phallus”, between organ and information. The phallus is a set of meanings conferred upon the penis. (Rubin, 1975, p. 190)

La presenza o l’assenza del fallo porta con sé le differenze tra due status sessuali, “uomo” e “donna”, e un significato di supremazia degli uomini sulle donne: «the phallus also carries the meaning of the difference between “exchanger” and “exchanged”, gift and giver» (Rubin, 1975, p. 191).

La sorprendente corrispondenza tra Freud e Lévi-Strauss viene riassunta così da Rubin: Kinship systems require a division of the sexes. The Oedipal phase divides the sexes. Kinship systems include sets of rules governing sexuality. The Oedipal crisis is the assimilation of these rules and taboos. Compulsory heterosexuality is the product of kinship. The Oedipal phase constitutes heterosexual desire. Kinship rests on a radical difference between the rights of men and women. The Oedipal complex confers male rights upon the boy, and forces the girl to accommodate herself to her lesser right. (Rubin, 1975, p. 198)

L’organizzazione di sesso e genere che, secondo l’analisi di Lévi-Strauss, aveva la funzione di organizzare la società, ora organizza e riproduce solo sé stessa. Una rivoluzione femminista – sostiene Rubin – dovrebbe invocare la liberazione della vita sessuale umana

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dalle relazioni arcaiche che la deformano e, in ultima analisi – nella consapevolezza di non essere oppresse solo in quanto donne, ma anche dal dover essere donne (e uomini) – «it would liberate human personality from the straitjacket of gender» (Rubin, 1975, p. 200). Il sogno utopico con cui Rubin chiude il suo suggestivo saggio è lo stesso che muove questa tesi:

I personally feel that the feminist movement must dream of even more than the elimination of the oppression of women. It must dream of the elimination of obligatory sexualities and sex roles. The dream I find most compelling is one of an androgynous and genderless society, in which one’s sexual anatomy is irrelevant to who one is, what one does, and with whom one makes love. (Rubin, 1975, p. 204)