8. Il rapporto dell’abuso del diritto con la discrezionalità del giudice
8.1. Abuso del diritto e interpretazione: analogia, norme di principio, bilanciamento d
Analogia, ragionamento per principi, bilanciamento di interessi sono tecniche che
consentono di capire meglio cosa fa il giudice quando riconosce un abuso del diritto
199.
196 Tale profilo di discrezionalità è individuato da V.VELLUZZI, L’abuso del diritto dalla prospettiva della
filosofia giuridica, op. cit., p. 169.
197 Sul principio di legalità, e la sua “crisi”, e i rapporti con il principio di determinatezza, cfr. M.DONINI, Il
volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, 2004, p. 145 ss.; F.GIUNTA, Il giudice e la legge penale. Valore e crisi della legalità oggi, in A.A.V.V., Studi in
ricordo di Giandomenico Pisapia, Milano, 2000, pp. 63 ss.; F. PALAZZO, Legalità e determinatezza della
legge penale: significato linguistico, interpretazione, e conoscibilità della regula iuris in G.VASSALLI (a cura di), Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, pp. 49 ss.
198 Sulla portata del divieto di analogia in diritto penale G. VASSALLI, Analogia nel diritto penale, in
A.A.V.V., Digesto delle discipline penalistiche, Torino, 1987, pp. 158 ss.
199 V.VELLUZZI, Interpretazione e tributi, Modena, 2015, p. 40 segnala come siano tecniche interpretative
La correlazione tra tecniche interpretative e abuso del diritto è così forte da far dubitare
della sostanza stessa della categoria, come argomento o istituto.
A tal proposito, un’attenta dottrina civilistica tende a negare la rilevanza dell’abuso del diritto come istituto, a favore della sua consacrazione come argomento del ragionamento giuridico200 o come schema di
ragionamento201. Secondo tali impostazioni, l’abuso del diritto sarebbe lo strumento attraverso cui, rispettivamente, sottrarre il caso concreto ad una fattispecie astratta permissiva e sottoporlo ad una regola diversa, di tipo repressivo202, ovvero attraverso cui risolvere un conflitto tra principi insistenti sul caso concreto203.
L’abuso del diritto non sarebbe invece una fattispecie a sé stante, poiché non spiegherebbe quale sia la struttura del fatto (che uso?) né l’effetto giuridico (regolato come?)204.
Orientata diversamente, nel senso della ricostruzione del divieto di abuso del diritto come autonomo principio e quindi come istituto, dato dall’esistenza di una fattispecie di divieto, nel quale è possibile una sussunzione, e dalla produzione di effetti, sebbene generalissimi, è, come si è fin qui visto, la giurisprudenza civile degli ultimi anni205.
All’interno di questo dibattito di teoria generale, pur senza anticipare discorsi da svolgersi
in seguito, ci sembra utile chiarire da subito come non possa darsi uno statuto univoco
(come fattispecie o come argomento) dell’abuso del diritto nel diritto penale.
Non è infatti possibile negare tout court una rilevanza del problema di sussunzione di fatti
echeggianti l’abuso del diritto quando l’abuso di poteri privatistici è, in diversi modi sui
quali ci soffermeremo, elemento della fattispecie penale (si pensi all’abuso dei mezzi di
correzione previsto dall’art. 571 c.p., o alle condotte di accesso abusivo a un sistema
informatico o telematico dell’art. 615 ter c.p.).
In altri casi, diversamente, dell’abuso del diritto è fatto uso come criterio di risoluzione del
caso concreto, e dunque come argomento (come si vedrà, ciò è quanto avvenuto in una
recente stagione nel diritto penale tributario).
divieto di abuso come principio del diritto, il bilanciamento tra interessi tutelati da diverse norme di principio.
200 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op.cit., pp. 317 ss.
201 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., pp. 491 e 492.
202 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op.cit., pp. 317 ss.
203 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., 2012, pp. 491 e 492.
204 In questi termini A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., p. 298.
205 V. c.d. sentenze di Natale n. 3005, 30056,30057 del 23.12.2008 e c.d. sentenza Renault n. 20106 del
Come è stato anticipato, l’abuso del diritto viene spiegato principalmente come risultato
applicativo di tre meccanismi: l’analogia, l’applicazione diretta dei principi, il
bilanciamento di interessi.
Muovendo dal primo di essi, si è sostenuto in dottrina che il ragionamento seguito
dall’interprete nell’affermazione dell’abuso del diritto segua lo schema dell’analogia,
finendo per estendere una norma lato sensu sanzionatoria a un’ipotesi non ricompresa in
essa
206.
In particolare, approfondendo i momenti dell’accertamento dell’abuso del diritto, si nota
come esso si componga di due fasi: una prima fase di sussunzione, in cui si valuta la
corrispondenza tra il comportamento concreto in osservazione e la fattispecie permissiva
attributiva del potere, e una seconda fase di valutazione, in cui si applica la legge secondo
la ratio legis
207.
Questa seconda fase, a ben vedere, non si risolve, tuttavia, in una semplice interpretazione
teleologica secondo l’intenzione del legislatore, o nel solo superamento
dell’interpretazione letterale alla luce di un principio
208. Rispetto a tali interpretazioni, vi
sarebbe un qualcosa in più, consistente nella disapplicazione della disposizione permissiva
nel caso concreto, nella sottrazione, alla norma permissiva individuata, del caso prima
facie in essa ricompreso, e nell’applicazione, in suo luogo, di un’altra norma, di tipo
repressivo
209.
Come è noto, l’applicazione di una norma a un caso in essa non ricompreso è il risultato
tipico del procedimento analogico, da cui il ragionamento in questione si differenzia, a ben
vedere, per la presenza, in origine, anziché di una lacuna da colmare, di una norma da
ridurre
210.
Tale diversità si supera, tuttavia, constatando che la norma da non applicare è frutto di una
disposizione sovra-inclusiva, che presenta una lacuna assiologica
211perché non dà il
206 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op.cit., pp. 317 ss. 207 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., pp. 317 e 318. 208 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., p. 322. 209 Ibidem.
210 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., p. 323.
211 La lacuna assiologica esprime non tanto la mancanza di una norma, quanto la mancanza di una distinzione
di cui la norma avrebbe dovuto tener conto, non un caso privo di disciplina, ma un caso con una cattiva disciplina. Per tale definizione v. R.GUASTINI, Defettibilità, lacune assiologiche, e interpretazione, in Nevus,
2010, p. 57. L’Autore spiega come la lacuna assiologica richiami il problema dell’interpretazione restrittiva, che a sua volta è il risultato della tecnica interpretativa della c.d. dissociazione, che consente all’interprete di introdurre nella norma delle distinzioni nuove, scomponendo la fattispecie in classi distinti alle quali devono seguire conseguenze distinte. Tecnica vicina, ricorda l’Autore, al c.d. distinguish dei giudici di common law, che come si è già detto supra è lo strumento che consente oltreoceano di arrivare a soluzioni equiparabili a quelle assicurate dall’abuso del diritto.
dovuto rilievo a un elemento rilevante alla luce della ratio della norma permissiva, che se
esplicitato porterebbe a dare al caso concreto una regolamentazione diversa
212.
Così, nel diritto civile, l’individuazione del metodo analogico sotteso all’abuso del diritto
consente alla dottrina in questione di affermare la compatibilità dell’abuso del diritto con il
metodo giuspositivistico, distinguendo un’analogia praticabile in condizioni di correttezza,
cioè in effettiva presenza di una riconoscibile lacuna assiologica, da un’interpretazione
rifacentesi a clausole generali come la buona fede, portatrice di ideologie di equità, in
mancanza di lacune
213.
Già qui si potrebbe dar spazio a osservazioni sulla praticabilità di questo metodo analogico,
per giunta in presenza di una lacuna assiologica, nel diritto penale, ma preferiamo
effettuare prima altri rilievi, che ci saranno utili nel ragionamento a seguire.
Riprendendo il rapporto tra abuso del diritto e analogia, con riferimento alla stessa
sentenza Renault del 2009, vi è stato in dottrina
214chi ha messo in evidenza che la vicenda
in oggetto potesse essere ricondotta al divieto dell’art. 9 l. n. 192/1998, applicabile secondo
la giurisprudenza di legittimità anche fuori dall’ambito del contratto di subfornitura, senza
necessità di scomodare la categoria dell’abuso del diritto. La medesima norma relativa
all’abuso di dipendenza economica, tuttavia, viene da altri ritenuta come sintomatica
dell’esistenza del generale divieto dell’abuso del diritto, e quindi espressione dello
stesso
215.
Ora, se si ammette l’esistenza di un principio generale di divieto di abuso del diritto, in
effetti, dal punto di vista degli effetti non cambia poi molto tra l’applicazione diretta del
divieto-principio e l’applicazione analogica del divieto-regola sintomatico di quel
principio.
Il discorso sull’analogia non è, in fondo, così distante dal discorso sui principi216, posto che possono
estendersi per analogia le norme che per il loro contenuto possono ricondursi a un principio, mentre le norme che enunciano un principio sono suscettibili di applicazione diretta217.
212 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., p. 328. 213 A.GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, op. cit., p. 329.
214 M. LIBERTINI, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contratto e
Impresa, 2013, p. 7; V.VELLUZZI, L’abuso del diritto dalla prospettiva della filosofia giuridica, op. cit., p. 165.
215 V. retro.
216 Sul rapporto tra c.d. analogia legis e c.d. analogia juris e, più in generale, tra ragionamento analogico e
ragionamento per principi, si rinvia a G. CARCATERRA, Analogia I) Teoria generale, in A.A.V.V., Enciclopedia Giuridica, Roma, 1988, pp. 1 ss.; L. CIANI, Analogia II) Teoria generale, in A.A.V.V.,
Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, pp. 349 ss.; N.BOBBIO, L’analogia e il diritto penale, in Rivista
penale, 1938, pp. 152 ss.
È stato ben spiegato, in passato, come l’applicazione del principio a una situazione di fatto può avvenire in modi diversi: il principio può avere un valore qualificatorio immediato rispetto alla situazione da disciplinare se si applica ad essa direttamente, o può avere valore qualificatorio mediato se si applica attraverso una norma a esso subordinata218. La scelta tra applicazione mediata, tipica dell’analogia, o immediata del
principio, tipica del ricorso ai principi, dipende dal contenuto della situazione da qualificare, a seconda che essa si presenti più affine al fatto ipotizzato nella norma subordinata o al fatto ipotizzato nel principio219. Il
ragionamento di somiglianza sotteso all’analogia sarebbe dunque il ragionamento nella ricerca e applicazione del principio220sotteso alla regola.
Diverso è se, invece, non si ammette l’esistenza di un generale divieto di abuso del diritto
quale principio sotteso alla norma da applicare analogicamente, ma si ritiene che attraverso
l’argomento dell’abuso possano trovare applicazione norme espressione di altri principi
che sarebbero stati derogati impropriamente dalla norma attributiva del diritto, ad esempio
quelli in tema di responsabilità civile.
Questa particolare analogia, volta a estendere la portata della norma negativa (con effetti di
disconoscimento di tutele, di inefficacia dell’atto, di responsabilità, e via dicendo) a
discapito della norma permissiva, risponde a quel senso di proporzionalità sotteso al
procedimento analogico
221che consente di stabilire che il caso della cui abusività si discute
somigli più a un caso di responsabilità che a un caso di esercizio del diritto, ad esempio per
la presenza di un importante danno arrecato a terzi.
Se dunque l’abuso sarebbe l’argomento a cui spetta il compito di restringere la portata di
una norma, lasciando vuoto uno spazio su cui si allargherebbe un’altra norma applicata
analogicamente, sembra quasi ovvio concludere che la norma destinata ad essere applicata
analogicamente in chiave sanzionatoria non può essere una norma penale, ostandovi il
divieto di analogia vigente in materia.
La valutazione di somiglianza presuppone infatti dei giudizi dell’interprete
222, sugli
elementi comuni tra caso disciplinato e caso non disciplinato, che richiedono un vaglio
degli interessi e controinteressi rilevanti molto simile a quello posto alla base delle scelte di
tipizzazione riservato, nel diritto penale, alla scelta legislativa.
223Così, ad esempio, un
elemento di somiglianza rintracciato nel danno a terzi può essere ragione per applicare le
218 M.S.GIANNINI, L’analogia giuridica, op. cit., p. 46. 219 M.S.GIANNINI, L’analogia giuridica, op. cit., p. 52. 220 Ibidem.
221 V. L.GIANFORMAGGIO, Analogia, in A.A.V.V., Digesto delle discipline privatistiche, 1988, p. 325:
«Questa ricostruzione dell’analogia è la più vecchia e tradizionale: il fondamento dell’analogia nel diritto è il nucleo razionale dell’idea della giustizia distributiva, cioè l’eguaglianza».
222 L. GIANFORMAGGIO, Analogia, op. cit., p. 325 osserva: «se è vietata la vendita dei libri osceni, sarà
analogicamente vietata la vendita dei libri gialli (…) o invece quella dei dischi osceni?».
norme sulla responsabilità civile, mentre la constatazione di una comune offesa al bene
patrimoniale non consente di applicare analogicamente la norma che prevede un delitto
contro il patrimonio. Si verificherebbe altrimenti un’assimilazione di offese che
contraddice il carattere frammentario del diritto penale
224.
Come si diceva, tuttavia, la tendenza giurisprudenziale è quella di ignorare questo
ragionamento analogico e di ricostruire l’abuso del diritto come principio ordinamentale,
inespresso ma desumibile dalla lettura di più norme legislative e costituzionali
225, ovvero
positivizzato dall’art. 54 della Carta di Nizza
226.
In questo caso l’individuazione della sanzione per il comportamento abusivo dipende dalla
diretta applicazione del principio, che impone, come conseguenza, di «rifiutare la tutela ai
poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio»
227,
valutando la forma di volta in volta migliore a tal fine (inefficacia, inopponibilità,
responsabilità, ecc.).
A scendere più in profondità, va segnalato come l’applicazione diretta del principio-divieto di abuso del diritto, pur eguale nel risultato, si giustifichi e manifesti per ragioni e con forme diverse a seconda che a esso si dia rilievo costituzionale, legandolo alla buona fede e agganciandolo all’art. 2 Cost., ovvero rilievo europeo, ritenendolo limite, posto dall’art. 54 della Carta di Nizza, all’esercizio delle libertà economiche e personali riconosciute dalla stessa fonte, o ancora ricostruendolo come un principio generale dell’ordinamento.
Non sono poche le ripercussioni sul piano interno della scelta di rintracciare il fondamento del divieto di analogia nel divieto di abuso del diritto comunitario. In primo luogo, non vi sono ostacoli a che il giudice interno possa fare diretta applicazione del divieto comunitario di abuso del diritto, anche per limitare l’applicazione del diritto comunitario. In secondo luogo, sia per evitare differenziate applicazioni di abusi e di diritti comunitari, nonché in virtù del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, dovrebbe svilupparsi una intensa frequenza di rinvii pregiudiziali al giudice europeo sulla portata dei diritti e sull’abuso del diritto, con la conseguenza di uno schiacciamento della nozione di abuso del diritto interna con quella comunitaria. Infine, il divieto di abuso del diritto dell’art. 54 della Carta di Nizza potrebbe essere considerato come un parametro interposto di costituzionalità per violazione diretta degli artt. 11 e 117 Cost.228
Riprenderemo successivamente il problema dell’applicazione diretta di principi nel diritto
penale, per riconoscere gli abusi, laddove esso verrà concretamente in rilievo negli abusi
224 ibidem.
225 Sentenza Renault n. 26679 del 2009.
226 Sentenza Tribunale Torino, Sez. lavoro, 14.09.2011. 227 Sentenza Renault n. 26679 del 2009.
228 Considerazioni mutuate da M.PANDIMIGLIO, L’abuso del diritto nei trattati di Nizza e di Lisbona, op. cit.,
penalmente rilevanti. Ci limitiamo qui a segnalare, tuttavia, come laddove sia il legislatore
a lasciare la porta aperta (o semichiusa) a un’interpretazione che consenta il ricorso a
principi per integrare elementi normativi nella fattispecie entri inevitabilmente in gioco un
elemento di indeterminatezza, da arginare
229. Laddove, invece, sia il giudice ad arrogarsi il
compito di ricorrere ai principi superando il dato legislativo a disposizione, è facile che il
confine tra interpretazione ammessa e divieto di analogia venga superato
230.
Lasciando per ora da parte il problema e riprendendo gli schemi argomentativi sottesi
all’abuso del diritto, secondo altra impostazione ancora, l’abuso del diritto non
postulerebbe il ricorso all’analogia
231, né sarebbe un principio autonomo
232, ma «uno
schema di ragionamento»
233che viene in rilievo quando una fattispecie concreta «debba
essere compresa nei termini di un conflitto tra principi regolativi rivali che richiede di
essere ricomposto attraverso reciproci dimensionamenti»
234ovvero «un sintagma che, più
o meno appropriatamente generalizza specifiche composizioni di virtuali antinomie»
235,
destinato a svolgersi, di volta in volta, a seconda del problema concretamente rilevante,
con riferimento allo sviamento, alla proporzionalità, alla correttezza
236.
Posizione, questa dello schema di ragionamento, che appare vicina a quella di chi sostiene
che l’abuso del diritto sarebbe «una norma che si nutre di altre norme (…); una norma sulle
norme; una metanorma»
237.
229 Si pensi al problema classico dell’abuso d’ufficio e dei rapporti tra la violazione di norme richiesta all’art.
323 c.p. e i principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione dell’art. 97 Cost., su cui v. cap. 4.
230 Questo è quanto accaduto nella giurisprudenza penal-tributaria di alcuni anni fa, che ha ritenuto di poter
sanzionare penalmente fattispecie elusive in assenza di appositi divieti, ancorando i precetti dell’oggi abrogato art. 37 bis d.P.R. 600/1973 alle sanzioni dell’art. 4 d.lgs. 74/2000, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. 158/2015 (su cui v. cap. 5).
231 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., pp. 491 e 492.
232 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., p. 489.
233 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., p. 490.
234 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., p. 488.
235 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., p. 489.
236 M.BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente orientata
del traffico giuridico, op. cit., p. 490. L’Autore sostiene, ad esempio, che una questione ricostruita nelle forme dell’abuso del diritto societario, quale è la delibera di aumento di capitale intesa solo a svalutare le partecipazioni del socio di minoranza, non si comprende tanto postulando una generale applicabilità dell’art. 1375 c.c. ai rapporti sociali, quanto ricostruendo i principi che in simili casi vengono in conflitto, ad esempio con riferimento alla tutela del valore della partecipazione del socio e alla validità delle delibere assembleari (pp. 492, 493).
237 C. FERNANDES CAMPILONGO (trad. a cura di A. FEBBRAIO), L’abuso del diritto come strumento di
Dunque il problema non sarebbe tanto quello di concretizzare il principio generale del
divieto di abuso del diritto, ma quello di concretizzare e rapportare tra loro i vari principi
che si affacciano dal dato normativo e vengono in gioco nel caso concreto: ad esempio, i
principi costituzionali che ispirano le norme che pongono i singoli diritti, il dovere di
solidarietà sociale, da cui deriva il principio di buona fede, i c.d. principi generali, come il
neminem laedere degli atti emulativi, che accompagna l’istituto dai suoi albori.
L’idea di risolvere i conflitti tra principi attraverso reciproci dimensionamenti richiama, appunto, la tecnica del bilanciamento. Secondo l’opinione tradizionale, il metodo di applicazione del bilanciamento è ciò che caratterizza le norme di principio rispetto alle regole: l’applicazione di principi richiede un bilanciamento di interessi che consenta di valutare il peso che di volta in volta il principio riveste rispetto al caso da decidere, nel confronto con altri principi238. Il bilanciamento, quindi, esprime una ponderazione, una composizione di
interessi in conflitto239.
In dottrina vi è stato chi ha rilevato che l’abuso del diritto consentirebbe ai giudici di
effettuare quello che oltreoceano viene definito un ad hoc balancing
240, cioè un
bilanciamento case by case, volto a risolvere il conflitto concreto
241e non a definire la
rispettiva portata dei principi e ad affermare una regola stabile ripetibile in futuro
242.
Vi è stato altresì chi ha sottolineato come questa tendenza di risolvere controversie
attraverso l’uso di principi e la loro ponderazione concreta, «anche correggendo e
modificando profondamente le interpretazioni letterali», costituirebbe una delle
conseguenze del c.d. neocostituzonalismo
243.
Quest’attivismo giudiziario nell’applicazione dei principi, attualmente forte nel diritto
civile, incontra diverse resistenze penetrando nel campo penale, dove le cose sono molto
diverse.
238 Il problema è spiegato nelle pagine di R.DWORKIN, Taking rights seriously, Londra, 1977, che chiarisce
come «we make a case for a principle, and for its weight, by appealing to an amalgam of practice and other principles in which the implications of legislative and judicial history figure along with appeals to community practices and understandings» (p. 36). I principi quindi si differenzierebbero dalle regole, che sarebbero «applicable in all- or - nothing fashion» (pp. 24 ss.).
239 A.MORRONE, Bilanciamento (giustizia cost.) in A.A.V.V., Enciclopedia del diritto, Annali, II, 2008, p.
185.
240 G.PINO, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso) in G.MANIACI (a cura di),
Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, Milano, 2006, pp. 146 ss.