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L’art 323 c.p nella versione originaria del 1930 (abuso innominato)

Nel documento LA RILEVANZA PENALE DELL’ABUSO DEL DIRITTO (pagine 162-167)

3. La parabola della fattispecie abuso d’ufficio (art 323 c.p.): dall’abuso innominato alla violazione

3.1. L’art 323 c.p nella versione originaria del 1930 (abuso innominato)

La versione originaria dell’art. 323 del Codice Rocco costruiva la fattispecie punitiva

dell’abuso del potere del pubblico ufficiale principalmente intorno al disvalore dato dagli

scopi perseguiti dall’agente. In particolare, l’art. 323 c.p. dava rilievo a un abuso di poteri,

inerenti la funzione del pubblico ufficiale, del quale uniche specificazioni, nel dato

legislativo, erano che esso dovesse tradursi in un fatto non preveduto già come reato, e che

dovesse essere compiuto dall’agente per recare ad altri un danno o per procurargli un

vantaggio.

Il dato oggettivo, quindi, appariva scarno e indeterminato

613

, così da portare il dibattito

dottrinale a riempire di contenuto i due elementi citati per esclusione

614

, attraverso il

raffronto con altri reati, sul presupposto – ricavabile dal testo normativo – del titolo

sussidiario della norma

615

, che veniva in rilievo solo in assenza di violazioni di altre norme

penali.

Dall’abuso rilevante ex art. 323 c.p. uscivano allora i fatti di omissione riconducibili agli artt. 328 e 329 c.p., i fatti di violenza riconducibili agli artt. 610 e 61 n. 9 c.p., i fatti di usurpazione di pubbliche funzioni riconducibili all’art. 347 c.p., i fatti di abusi di qualità riconducibili all’art. 317 c.p., i fatti riconducibili agli altri delitti contro la Pubblica Amministrazione come l’interesse privato in atti d’ufficio (art. 324 c.p.),

                                                                                                                         

612 A.M.STILE,C.CUPELLI, Abuso d’ufficio, op. cit., p. 37.

613 L.STORTONI, L’abuso di potere nel diritto penale, op. cit., pp. 263 ss.

614 A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso d’ufficio, in Diritto Penale e

processo, 1999, pp. 106 ss. osserva: «La tipicità della condotta di abuso, in sé stessa piuttosto debole per le genericità del termine abuso veniva in qualche modo rinforzata dall’esterno, grazie alla esistenza di queste altre incriminazioni che ne delimitavano l’effettiva portata».

l’utilizzazione di invenzioni o di segreti compiuti per ragioni d’ufficio (art. 325 c.p.), la rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.) e l’istigazione all’inosservanza di doveri (art. 327 c.p.)616.

La norma lasciava comunque molti problemi irrisolti nell’interpretazione dell’abuso dei

poteri.

Tra essi, ad esempio, la dottrina si interrogava sul rapporto tra l’abuso e il fatto commesso,

domandandosi se l’art. 323 c.p. richiedesse due elementi distinti, e nel caso se l’abuso

dovesse essere il mezzo per la commissione del fatto o il fatto il mezzo dell’abuso, ovvero

un unico elemento, vale a dire la condotta abusiva

617

.

Non era chiaro, poi, se il comportamento incriminato fosse solo quello che sfociava

nell’adozione di un atto amministrativo tipico, ovvero anche quello che comportasse lo

sfruttamento della posizione giuridica del pubblico ufficiale

618

, anche in assenza del

compimento di un’attività tipica, ma in presenza di un’attività materiale

619

.

Ci si domandava, inoltre, in che rapporti fosse l’abuso di poteri con la violazione di doveri,

registrandosi divisioni tra chi escludeva la rilevanza della violazione dei doveri nell’art.

323 c.p.

620

e chi, invece, riteneva che l’abuso dei poteri inerenti la funzione comportasse la

violazione dei doveri relativi all’uso del potere, e l’adozione di un atto contrario ai doveri

d’ufficio

621

.

Come si diceva, tuttavia, la selezione della rilevanza penale del fatto rispetto alla generica

illegittimità di diritto pubblico era prevalentemente rimessa sul dato soggettivo della

consapevolezza e volontà dell’illegittimità dell’uso del potere (dolo generico) e su quello

finalistico del perseguimento dello scopo di recare danno o provocare vantaggio (dolo

specifico).

                                                                                                                         

616 V. S. PIZZUTI, Abuso innominato d’ufficio, Firenze, 1982, pp. 16 ss.; M. PARODI GIUSINO, Abuso

innominato d’ufficio, in A.A.V.V., Digesto delle discipline penalistiche, Torino, 1987, p. 43.

617 Così ad esempio v. C.MAIO, Dell’abuso innominato di ufficio e dell’interesse privato in atti di ufficio, op.

cit., p. 15, il quale ritiene che nel reato in esame la condotta sia «un’attività qualificata dallo abuso dei poteri del pubblico ufficiale» e l’evento sia il «fatto illecito che sia conseguenza della condotta del pubblico ufficiale» ed E.CONTIERI, Abuso innominato di ufficio, in A.A.V.V., Enciclopedia del diritto, Milano, 1998, p. 188, che distingue la condotta (attività qualificata dall’abuso dei poteri inerenti alle funzioni del pubblico ufficiale) ed evento (il compimento di un fatto, illegittimo alla stregua dell’ordinamento amministrativo, che sia conseguenza della condotta suddetta; contra M.PARODI GIUSINO Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p.

44 per cui «abuso e fatto coincidono, cioè il fatto che si commette consiste nell’esercizio abusivo dei poteri»; v. anche N. LEVI, I diritti contro la pubblica Amministrazione, Milano, 1935, p. 319; S. PIZZUTI, Abuso

innominato d’ufficio, op. cit., pp. 55 ss.; F.GRISPIGNI, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, Roma,

1953, p. 176.

618 L.STORTONI, L’abuso di potere nel diritto penale, op. cit., pp. 133 ss.; V. S.PIZZUTI, Abuso innominato

d’ufficio, op. cit., p. 55.

619 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit, p. 44.

620 A. GRIECO, Abuso innominato d’ufficio, in Giustizia Penale, 1950, pp. 261 ss.. 621 S. PIZZUTI, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 18 e p. 56.

Come rilevava la dottrina, la presenza di un comportamento scorretto sul piano

pubblicistico non imponeva di per sé una rilevanza penale del fatto, poiché era (ed è)

possibile ammettere un giudizio di illiceità (o illegittimità) operato alla stregua di una

norma amministrativa, a cui non consegue necessariamente anche l’applicazione di una

sanzione penale

622

. Quel che dotava di rilevanza penale il comportamento

amministrativamente viziato era, dunque, proprio la consapevolezza e volontarietà del

comportamento, nonché la sua finalità.

Giova precisare, tuttavia, come, pur nell’accordo sul risultato da affermare (vale a dire, che la condotta del pubblico ufficiale per avere rilevanza penale dovesse essere cosciente e volontaria e rivolta al perseguire un vantaggio o arrecare un danno) la dottrina utilizzasse in modo promiscuo il termine “abuso” rispetto all’illecito extra-penale e a quello penale. Così, a fronte di chi distingueva l’illegittimità amministrativa, esterna al diritto penale, dall’abuso richiesto dalla fattispecie623

,

vi era chi parlava già di abuso con riferimento alla violazione extra-penale, riconoscendo allo stesso rilevanza penale solo in presenza di certi scopi624. Si tratta di una distinzione sottile, ma importante, posto che, come si è visto e si vedrà, una delle difficoltà maggiori del discorso è tenere insieme, riferendoli ai medesimi fatti storici, concetti che nel diritto civile, nel diritto amministrativo e nel diritto penale hanno significati diversi.

Nell’abuso innominato, quindi, la selezione delle condotte penalmente rilevanti, tra le

condotte di esercizio improprio del potere, tenute con atteggiamenti psicologici diversi e a

vari scopi, era rimessa in capo agli elementi del dolo generico e al dolo specifico.

Così, ad esempio, non commettevano abuso d’ufficio innominato, per assenza di dolo specifico, il preside di un istituto che, a seguito del danneggiamento di alcuni banchi, aveva sospeso indistintamente tutti gli alunni della classe fintanto che non avessero riparato, a loro spese, le suppellettili, ritenendo che «l’agente si sia determinato al provvedimento per non procurare un danno ovvero un vantaggio ad alcuno, ma per finalità

                                                                                                                         

622 C. F.GROSSO, Pubblico ufficiale che partecipa ad una deliberazione che giova a lui stesso o ad un terzo:

interesse privato in atti d’ufficio, abuso innominato o fatto penalmente irrilevante?,in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1966, p. 232.

623 V. ad esempio M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 44: «È evidente, comunque,

che non è affatto sufficiente che l’atto sia illegittimo in sé, essendo richiesta anche la coscienza e volontà di abusare del potere, più il dolo specifico: così non ogni atto illegittimo è abusivo, mentre ogni atto per essere abusivo deve essere illegittimo».

624 V. ad esempio C.F.GROSSO, Pubblico ufficiale che partecipa ad una deliberazione che giova a lui stesso

o ad un terzo: interesse privato in atti d’ufficio, abuso innominato o fatto penalmente irrilevante?, op. cit., p. 235: «Ora, ammettiamo pure che non astenersi dal prendere parte ad una deliberazione in violazione di una norma extra-penale che invece l’imponga, valga a concretare l’abuso che costituisce il nucleo obbiettivo del reato. Affinché il pubblico ufficiale possa venire punito ex art. 323 c.p. sarà pur sempre necessario provare, in più, che il pubblico ufficiale abbia agito con il dolo specifico richiesto esplicitamente dalla legge».

esclusivamente educativa», né i guardiacaccia che avevano sequestrato un fucile a persona in grado di dimostrare il rispetto delle disposizioni senza intento vessatorio ma «per eccesso di zelo»625.

In particolare, come si diceva, il fine della condotta, era l’unico tassello che, nel dato

legislativo, si aggiungeva all’abuso di poteri.

Tale situazione poneva principalmente due problemi, destinati a operare su piani diversi

626

,

all’art. 323 c.p.: uno di determinatezza e uno di oggettività.

Quanto al primo di essi (determinatezza), si mise da più parti in evidenza che l’elemento di

dolo specifico, per come descritto, non si mostrasse comunque sufficiente a contenere la

portata della fattispecie, in considerazione dei problemi di tassatività che lo stesso

presentava

627

.

Più precisamente, non era chiaro se nell’abuso innominato d’ufficio rientrasse anche il «fine privato» del pubblico ufficiale o se questo fosse unicamente un motivo psicologico, ma non un fine628, posto che, qualora il pubblico ufficiale avesse agito per se stesso si sarebbe stati al cospetto della diversa ipotesi delittuosa dell’art. 324 c.p. (interesse privato in atti d’ufficio)629, e se nel termine «altri» rientrasse anche la Pubblica Amministrazione e lo stesso ente di appartenenza del pubblico ufficiale630.

In realtà la Corte Costituzionale

631

, interrogata sul punto, salvò la fattispecie ritenendola

sufficientemente determinata proprio per la presenza del dolo specifico, il quale sarebbe

stato da solo sufficiente a contenere l’arbitrio applicativo.

La Corte Costituzionale, nel 1965, dichiarò infondata la questione di legittimità dell’art. 323 c.p. sollevata per la supposta violazione dell’art. 25 c. 2 Cost. A detta della Corte, la fattispecie non avrebbe lasciato spazio eccessivo alla discrezionalità dell’interprete, in quanto «il precetto penale in esame, mentre corrisponde

                                                                                                                         

625 Rispettivamente, Pretura di Cosenza, 16 aprile 1966 e Pretura Bra, 28 marzo 1962. I due provvedimenti

sono riportati da S.PIZZUTI, Abuso innominato d’ufficio, Firenze, 1982, p. 85.

626 Come è stato osservato (sebbene con riferimento alla formulazione della norma successiva al 1990, che

tuttavia, come si vedrà, riproponeva le stesse questioni) il problema della determinatezza e quello dell’oggettività si pongono su piani diversi: così, ad esempio, se il danno o il vantaggio avessero espresso l’elemento dell’evento, la norma sarebbe stata più oggettiva, ma sarebbe comunque apparsa indeterminata. Così P.PISA, Abuso di ufficio, in A.A.V.V., Enciclopedia Giuridica, agg.,1995, p. 17.

627 F. BRICOLA, In tema di legittimità costituzionale dell’art. 323 c.p., in Rivista Italiana di Diritto e

Procedura Penale, 1966, pp. 985 ss.

628 S.PIZZUTI, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 68.

629 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 45; C. F.GROSSO, Pubblico ufficiale che

partecipa ad una deliberazione che giova a lui stesso o ad un terzo: interesse privato in atti d’ufficio, abuso innominato o fatto penalmente irrilevante?, op. cit., p. 239.

630 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 45, contra F.BRICOLA, In tema di legittimità

costituzionale dell’art. 323 c.p., op. cit., p. 989. V. anche E.CONTIERI, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p.

190, per cui il fine deve consistere nel danno o vantaggio di un soggetto diverso dal pubblico ufficiale, che non sia l’ente pubblico a cui lo stesso appartiene, ma che può essere un altro ente pubblico.

all'intento di reprimere quei comportamenti dei pubblici ufficiali, che, pur essendo illegittimi, non rientrerebbero in un titolo specifico di reato, dà nello stesso tempo sufficiente garanzia che il pubblico ufficiale sia al coperto dalla possibilità di arbitrarie applicazioni della legge penale, il timore delle quali nuocerebbe anch'esso al buon andamento della pubblica Amministrazione e al sollecito perseguimento dei suoi fini (…). Né vale in contrario il rilievo che per determinare, in concreto, la sussistenza del reato si rende necessario prendere in esame l'eventuale violazione di norme non contenute nelle leggi penali, quali, nel caso di specie, le norme del Codice di procedura civile su gli obblighi del custode giudiziario. A parte che la possibilità di considerare come illecito penale la violazione di norme inerenti all'esercizio di una pubblica funzione, ovunque siano contenute, non dà luogo a dubbi di costituzionalità; nel caso dell'art. 323 del Codice penale elemento essenziale per la sussistenza del reato è il dolo specifico; vale a dire, l'intenzione di recare ad altri un danno o procurargli un vantaggio».

Quanto al secondo problema (oggettività), da più parti si segnalava che il difetto principale

che affliggeva l’art. 323 c.p., fosse proprio la sua debolezza sul piano oggettivo.

Il fatto che il legislatore chiedesse solo il perseguimento del danno o del vantaggio, ma si

disinteressasse della loro effettiva produzione, così come della creazione di un loro

pericolo (concreto), portava parte della dottrina a dubitare dello stesso fondamento della

norma, che sembrava sanzionare più la violazione di un dovere di fedeltà che la lesione di

un bene giuridico

632

.

A tale riflessione si rispondeva, tuttavia, che la norma vantava una capacità offensiva dei

valori espressi dall’art. 97 Cost., in quanto l’esercizio abusivo di poteri amministrativi era

in grado di offendere il buon andamento della Pubblica Amministrazione, e l’imparzialità

dell’attività amministrativa

633

.

Nel tentativo di recuperare questa oggettività, in dottrina vi fu chi mise in evidenza come

l’elemento finalistico del dolo specifico, in realtà, esprimesse la direzione oggettiva della

condotta verso il vantaggio o il danno, colorandola dell’elemento dell’idoneità

634

, almeno

                                                                                                                         

632 G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Appendice: La riforma dei delitti dei pubblici

ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, Bologna, 1991, p. 28.

633 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 42. Il richiamo alla tutela del buon andamento

e dell’imparzialità amministrativa espressi dall’art. 97 Cost. continua anche oggi a individuare l’oggettività giuridica protetta dall’art. 323 c.p.. Si segnali tuttavia come la giurisprudenza, in passato, riteneva che l’unico interesse tutelato dalla norma fosse quello dell’imparzialità e del buon andamento dell’attività amministrativa, mentre, in tempi più recenti, si è sviluppato un orientamento volto a sostenere il carattere plurioffensivo dell’abuso d’ufficio, riconoscendo rilevanza anche all’interesse del privato leso dall’attività illecita del pubblico ufficiale (v. Cass. Pen. 28.11.2007, n. 329).

634 L. STORTONI, L’abuso di potere nel diritto penale, op. cit., p. 265 richiede che «alla direzione della

volontà corrisponda l’idoneità dell’azione rispetto all’obiettivo cui la volontà stessa è volta». V. anche N. LEVI, I delitti contro la pubblica Amministrazione, op. cit., p. 320; F.GRISPIGNI, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, op. cit., p. 177.

in astratto, così da poter escludere il reato se danno o vantaggio risultassero impossibili da

conseguire

635

.

Tuttavia, nella prospettiva di un diritto oggettivo, già all’epoca più voci si levavano

affinché la norma venisse modificata recuperando quel coefficiente di offensività presente,

sebbene in modo assai indeterminato, nell’antecedente storico dell’art. 175 del Codice

Zanardelli (abuso di autorità), che richiedeva la «lesione degli altrui diritti»

636

.

Il Codice Penale del 1889, all’art. 175, puniva «il pubblico ufficiale che, abusando del suo ufficio, ordina o commette contro gli altrui diritti qualsiasi atto arbitrario non preveduto come reato da una speciale disposizione di legge», prevedendo un aumento di pena «qualora agisca per un fine privato», e inoltre «il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, eccita taluno a trasgredire alle leggi o ai provvedimenti dell’autorità». La locuzione “contro gli altrui diritti” escludeva la punibilità di abusi commessi soltanto ad altrui favore, ed era interpretata nel senso di dare rilevanza alla lesione di un interesse privato637.

Nel documento LA RILEVANZA PENALE DELL’ABUSO DEL DIRITTO (pagine 162-167)