3. I limiti interni ed esterni del diritto scriminante
3.1. Abuso del diritto potenzialmente scriminante come esercizio improprio sul piano funzionale e
3.1.1. Il problema funzionale dell’esercizio del diritto
Nel tentativo di tracciare il contenuto tipico
305del diritto scriminante, una prima categoria
di confini individuata è proprio quella dei limiti funzionali, cioè le finalità ordinamentali
per cui il diritto è riconosciuto
306.
Tanto sembra coerente con la valorizzazione di quel criterio teleologico, che assume un
ruolo centrale per la valutazione dell’abuso nel diritto extra-penale, dato dallo sviamento
funzionale del concreto esercizio del diritto rispetto alla finalità ordinamentale.
Tuttavia, il riconoscimento dei limiti funzionali del diritto scriminante, nel diritto penale, è
questione ingrovigliata con il problema della presenza di elementi di natura psicologica
nell’ambito della scriminante dell’art. 51 c.p., e questo rende il ricorso al criterio
teleologico alquanto problematico.
Sul punto si registra in verità un ampio dibattito
307, che si colloca nel problema più
generale della presenza di elementi soggettivi nelle scriminanti
308.
304 Così si esprimeva la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011 (v. retro cap. 1). 305 Parla del diritto come di una «causa a liceità a condotta nominata» A.SPENA, Diritti e responsabilità
penale, op. cit., p. 348, invece di causa di giustificazione dal “tipo aperto” C.PERINI,F.CONSULICH, (a cura di), E.PALIERO, Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano. Lezioni del corso di diritto penale progredito, op. cit., p. 124.
306 F.MANTOVANI, Esercizio del diritto (dir. pen.), op. cit., p. 664.
307 La ricostruzione delle diverse opinioni sul punto è ben svolta da F.BELLAGAMBA, La problematica
È noto infatti che il nostro ordinamento è, secondo l’opinione dominante, improntato al principio di rilevanza oggettiva delle scriminanti, desunto dalla previsione dell’art. 59 c. 1 c.p., per cui le circostanze che escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti. In base a tale disposizione, che nega rilievo non solo alla volontà dell’effetto scriminante, ma anche all’elemento psicologico minimo della rappresentazione, si conclude che l’unico elemento di rilievo è quello oggettivo dato dal concreto atteggiarsi del bilanciamento degli interessi in gioco309.
Secondo altra posizione, tuttavia, non può negarsi tout court la presenza di elementi soggettivi nella struttura delle scriminanti310, dovendo valutarsi in base alla singola causa di giustificazione la necessità o meno di un
particolare atteggiamento psicologico dell’agente.
All’interno di questo dibattito, con riferimento all’art. 51 c.p., le varie opinioni possono
ricondursi a tre posizioni principali.
Un primo orientamento attribuisce una rilevanza generale allo scopo dell’azione che si
candida a giustificazione, distinguendo la titolarità del diritto dal suo esercizio, e
argomentando che l’esercizio del diritto per scopi diversi da quelli per i quali esso è stato
attribuito integrerebbe abuso del diritto e sarebbe escluso dall’operatività della
scriminante
311. Conformemente all’elaborazione civilistica sul punto, si osserva che, se a
un diritto è immanente un certo scopo ordinamentale, esso è tale solo nell’ambito di tale
scopo e non può considerarsi esercizio del diritto il fatto che da tale scopo si discosti.
312Dunque affinché l’esercizio del diritto possa scriminare è necessario che l’agente abbia
agito con scopo corrispondente alla finalità avuta di mira dal legislatore nel riconoscere il
diritto.
308 Sul tema degli elementi soggettivi delle cause di giustificazione cfr. G.SPAGNOLO, Gli elementi soggettivi
nella struttura delle scriminanti, Padova, 1980; F. SCHIAFFO, L'elemento soggettivo nelle cause di
giustificazione: prospettive di riforma, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1994, pp. 1003 ss.
309 D.PULITANÒ, Diritto penale, op. cit., 2007, p. 251.
310 A.CADOPPI,S.CANESTRARI,A.MANNA,M.PAPA, Trattato di diritto penale, Parte generale, II, op. cit.,
p. 229.
311 Si veda M.LEONE, L’esimente dell’esercizio di un diritto, Napoli, 1970, pp. 83 ss. secondo cui l’esercizio
del diritto, diversamente dall’adempimento del dovere anch’esso previsto all’art. 51 c.p., è un «atto di impulso volontario e libero», per cui si rende necessario rinvenire un limite alla sua capacità scriminante. L’Autore individua tale limite muovendo dalla teoria degli atti di emulazione per affermare che l’esercizio del diritto deve esprimersi con contorni tali da non realizzare uno scopo illecito, essendo altrimenti un mero pretesto per realizzare la violazione della norma penale. Si veda altresì V.CAVALLO, L’esercizio del diritto
nella teoria generale del reato, Napoli, 1939, pp. 100 ss. e A.LANZI, L’art. 51 c.p. e le libertà costituzionali, op. cit., pp. 34 ss.
312 S.MEDIOLI DEVOTO, L’esercizio di un diritto. Critica e rivalutazione dell’art. 51 c.p., op. cit., p. 543. Si
deve segnalare come la corrispondenza tra fine ordinamentale e scopo concreto dell’agente sia elemento necessario, ma non sufficiente, per affermare la presenza dell’esercizio di un diritto. In tal senso F.VIGANÒ, Art. 51 c.p., op. cit., p. 750 rileva come il mero fine di esercitare il diritto non valga da solo a ritenere lecita la condotta (così ad esempio non sarà lecita, ma configurerà appropriazione indebita, la condotta del depositario che, pretendendo invano il pagamento del corrispettivo per la custodia della cosa, decida di venderla per soddisfarsi sul ricavato).
Una seconda opinione, specularmente contraria a quella testé riferita, sul presupposto che
non esiste una norma che preveda in via generale l’abuso del diritto e in base al principio
di rilevanza oggettiva delle scriminanti previsto dall’ art. 59 c. 1 c.p. , nega possa darsi
rilievo al fine per cui è esercitato il diritto per escludere l’operatività dell’art. 51 c.p.
313.
Tralasciando l’argomento, attualmente superabile alla luce delle considerazioni svolte nel
primo capitolo, dell’inesistenza di una norma che preveda in generale il divieto di abuso
del diritto, l’intuizione della tesi in esame ruota intorno alla rilevanza oggettiva
dell’esercizio del diritto. L’art. 59 c. 1 c.p. consentirebbe di ritenere integrato l’esercizio
del diritto a prescindere dall’intenzione di chi agisce, e dalla conformità delle facoltà
esercitate con quelle ammesse dagli scopi ordinamentali. In ogni caso, il comportamento
sul piano penale sarebbe scriminato, in quanto la rilevanza oggettiva delle cause di
giustificazione comporta che il fatto resti lecito qualunque sia il fine che ha in concreto
animato il soggetto nell’esercizio del suo diritto
314. Diversamente, dando rilievo allo scopo
dell’agente si introdurrebbe un «limite di carattere psicologico» che troverebbe il suo
limite di operatività nell’art. 59 c.1 c.p.
315. Così, ad esempio, si osserva, che un giornalista
che riferisce fedelmente circostanze lesive dell’altrui reputazione contenute
nell’esposizione orale di un perito, realizza un fatto lecito di diffamazione, giustificato dal
diritto di cronaca, anche nell’ipotesi in cui egli sia animato in verità dal fine di gettare
discredito in campagna elettorale su un avversario politico del giornale per cui scrive
316.
Una terza posizione, intermedia rispetto alle due presentate, afferma, infine, che lo scopo
dell’azione, più che come limite generale, potrebbe avere rilevanza quale limite
all’esercizio del diritto solo se previsto, a monte, dalla legge attributiva dello stesso
317. In
questo senso, quindi, l’art. 51 c.p. farebbe riferimento all’ambito operativo del diritto
extra-penale, individuato dalle disposizioni che ne attribuiscono la titolarità
318, sicché il
limite funzionale opererebbe laddove previsto quale elemento a «sicura struttura
soggettiva», come ad esempio accade per il diritto di proprietà e il divieto di atti emulativi
dettato dall’art. 833 c.c.
319, che vieta l’esercizio del diritto dominicale al solo fine di
313 Questa la tesi di I.CARACCIOLI, L’esercizio di un diritto, Milano, 1965, pp. 138 ss.
314 Così G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte Generale, op. cit., p. 233. 315 I.CARACCIOLI, L’esercizio di un diritto, op. cit., p. 138.
316 Ibidem.
317 I.CARACCIOLI, L’esercizio di un diritto, Milano, 1965, p. 139
318C.F.GROSSO, L’errore sulle scriminanti, Milano, 1961, p. 115 ss..; G.MARINUCCI,E.DOLCINI, Manuale
di diritto penale. Parte Generale, op. cit., p. 233.
319 Questa è anche la posizione di F.VIGANÒ, Art. 51 c.p., op. cit., p. 751, per i quali ove la singola norma
condizioni la propria operatività alla presenza di un certo elemento soggettivo, come nel caso dell’art. 833 c.c., il fine potrà rilevare per paralizzare l’efficacia scriminante della norma, mentre «in assenza di elementi a
nuocere o molestare altri, ovvero per il diritto di accesso al fondo di cui all’art. 843 c.c.,
che prevede precipue finalità capaci, ove ricorrenti, di scriminare la fattispecie di invasione
di terreni o edifici dell’ art. 633 c.p.
320.
La complessità e varietà di situazioni che possono verificarsi, nonché il fondo di verità
presente nelle tesi contrapposte, ci induce a spingere più in profondità la riflessione.
Sul punto sono necessarie alcune considerazioni, poiché si registra una commistione tra il
problema della funzione del diritto esercitato, che è un problema di limite, e gli scopi
personali perseguiti esercitando il diritto, che è un problema di componente soggettiva.
Cerchiamo, allora, di fare un po’ di ordine.
Come si diceva, un orientamento intermedio configura l’esercizio del diritto come una
scriminante mista
321, in cui la presenza di un elemento soggettivo, espressivo di un valore
di intenzione, è richiamato per relationem dalla normativa extra-penale, dando così rilievo
agli scopi legati all’esercizio del diritto in quest’ultima.
Ci sembra che presupposto del discorso, sia che possa – nel campo extra-penale –
distinguersi tra esercizi di diritti per i quali rileva il perseguimento di uno scopo, un
atteggiamento psicologico dell’agente, e diritti per i quali l’atteggiamento del soggetto
sarebbe neutro.
La dottrina che opina in questo senso dà così importanza, a ben vedere, a due ordini diversi
di scopi, che possiamo definire come scopi vietati (è il caso del fine emulativo dell’art. 833
c.c.)
322e scopi imposti (è il caso della finalità di costruzione o riparazione del muro, o di
recupero di animali e cose dell’art. 843 c.c.).
Si può notare che tra essi vi è una differenza: nel primo caso l’esercizio del diritto (di proprietà) non vede la predeterminazione di un unico fine, ma piuttosto quella di un fine che non può essere perseguito, cioè il fine emulativo; nel secondo caso la norma, imponendo al proprietario di permettere l’ingresso o il passaggio nel suo fondo ad altri, attribuisce una facoltà (di ingresso nel fondo altrui) per alcuni fini specifici individuati, come la riparazione del muro, o il recupero di animali. Ciò non vuole dire che anche nel primo caso il diritto non abbia anche esso una sua ratio e un suo scopo ordinamentale (così, ad esempio, per la proprietà si
sicura struttura soggettiva, la regola generale dell’art. 59 co.1 comporterà l’irrilevanza del fine in concreto perseguito».
320 C.PERINI,F.CONSULICH, (a cura di), E.PALIERO, Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano.
Lezioni del corso di diritto penale progredito, op. cit., p. 129.
321 C.PERINI,F.CONSULICH, (a cura di), E.PALIERO, Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano.
Lezioni del corso di diritto penale progredito, op. cit., p. 131.
322 Osserva F.BELLAGAMBA, I problematici confini della categoria delle scriminanti, op. cit., p. 351 che
l’art. 833 c.c. più che indicare lo scopo da perseguire nell’esercizio del diritto di proprietà indica lo scopo vietato.
potrebbe dire che il diritto è riconosciuto al fine di garantire la libertà di godere e disporre dei propri beni, ma detto scopo non è esplicitato nella norma attributiva, rimanendo ricavabile aliunde).
L’elemento comune a tali scopi è quello di essere espressamente indicati nella norma
attributiva della facoltà (nel caso dell’art. 843 c.c.) o comunque, nella disciplina legislativa
del diritto (nel caso dell’art. 833 c.c.).
Accanto a queste ipotesi di scopi rilevanti previsti nella normativa ordinaria, la dottrina
richiama anche ad altri diritti nelle quali la finalità da perseguire nell’esercizio del diritto
sarebbe predeterminata a monte, e dunque richiedibile anche nell’accertamento della
scriminante, come, ad esempio, lo jus corrigendi caratterizzato dallo scopo lato sensu
pedagogico
323.
In questo caso, a ben vedere, l’individuazione dello scopo è nella normativa extra-penale,
ma in modo implicito, e richiede un’opera più intensa dell’interprete nella sua definizione,
ad esempio deducendo l’esistenza di un “diritto” di rimproverare, che potrebbe scriminare
dal reato di ingiuria (art. 594 c.p., oggi per la verità abrogato ad opera del d.lgs. 7/2016), al
fine di educare, dalla disposizione dell’art. 30 Cost., per cui «è dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».
Ora, se l’individuazione dell’elemento soggettivo passa dalla valorizzazione dello scopo
imposto o vietato, esplicito nel dato legislativo già alla luce di un’interpretazione letterale,
alla valorizzazione dello scopo implicito, ricavabile alla luce di un’interpretazione
teleologica, e si ritiene che anche esso debba combaciare con l’elemento psicologico
dell’agente, si assiste a un annacquamento della capacità selezionante del criterio per
relationem della rilevanza degli elementi soggettivi nell’esercizio del diritto.
E se a ciò si aggiunge, nei diversi settori del diritto extra-penale, l’idea alla base del divieto
di abuso del diritto per cui ogni diritto ha la sua ratio, e dunque il suo scopo, che ne segna
il limite interno, non si può che concludere che la presenza di una componente soggettiva
rintracciabile nella disciplina del diritto, da eccezione, diventi regola.
In altre parole: affermando una corrispondenza tra scopo del diritto rintracciabile nella
normativa extra-penale e presenza di un elemento soggettivo nella scriminante dell’art. 51
c.p., quando si aderisce alla lettura teleologica delle norme extra-penali, presupposto
dell’abuso del diritto, la valutazione di elementi soggettivi nella causa di giustificazione
dell’art. 51 c.p. non è più eventuale, «a seconda che questi siano o meno previsti dal dettato
delle norme oggetto di rinvio»
324, ma costante.
Dovrebbe allora il giudice, in ogni caso, per riconoscere l’operatività dell’art. 51 c.p.,
verificare la coincidenza tra lo scopo dell’agente e la ratio del diritto?
Non ci sembra che possa giungersi a queste conclusioni, ritenendo che la constatazione
dell’esistenza ordinamentale di un limite funzionale del diritto, e dunque la possibilità del
suo abuso, debba tradursi, ai fini della giustificazione penale, necessariamente in uno
sforzo positivo di accertamento di un elemento soggettivo intenzionale rivolto all’interesse
sottostante al diritto.
Si è visto, nel primo capitolo, come l’abuso del diritto sia un esercizio improprio del diritto
sul piano modale e funzionale, e come la dottrina ricostruisca ormai la categoria non tanto
come un problema soggettivo di animus, ma piuttosto di sviamento dalla funzione, che si
accompagna a modalità disapprovabili di condotta, a sacrifici intollerabili
325.
La strumentalizzazione di un diritto a uno scopo avulso a quello ordinamentale, che è il
nucleo dell’abuso del diritto, non è solo questione del foro interno, ma ha una sua
oggettività, data dalla produzione di un risultato disapprovato dall’ordinamento, in quanto
non coincidente con la funzione di tutela dell’interesse per cui il diritto è stato
riconosciuto. Affermare che a un diritto è immanente un certo scopo, come fa la dottrina
dell’abuso del diritto, vuol dire valorizzare la ratio e l’interesse sotteso al diritto, non
l’atteggiamento psicologico dell’agente.
L’individuazione di un limite funzionale del diritto, allora, più che imporre una valutazione
degli scopi soggettivi dell’agente, richiede l’accertamento dell’esistenza, nel caso concreto,
della rispondenza della condotta all’interesse tutelato dal diritto, a cui l’ordinamento
accorda prevalenza attraverso l’art. 51 c.p.
324 C.PERINI,F.CONSULICH, (a cura di), E.PALIERO, Oggettivismo e soggettivismo nel diritto penale italiano.
Lezioni del corso di diritto penale progredito, op. cit., p. 132.
325 In questo senso, a compendio di quanto riferito nel primo capitolo, v. G.MERUZZI, L’oggettivazione del
divieto di abuso tra diritto civile e diritto commerciale, in G. VISINTINI (a cura di), L’abuso del diritto,
Napoli, 2016, pp. 111 ss., per cui si registra la «tendenza, ormai del tutto univoca in dottrina, a considerare il divieto dell’abuso come una fattispecie oggettivata, la cui operatività prescinde dalla presenza e dalla prova dell’intento riprovevole o comunque illecito in capo a chi l’abuso pone in essere» (p. 111 e p. 112). L’Autore ricorda inoltre come «è la stessa sentenza Renault a riconoscere la natura oggettiva dell’abuso, affermando la necessità che la valutazione in ordine alla sussistenza dell’abuso prescinda da ogni indagine sulla presenza di un animus nocendi (…). È l’obiettiva divergenza tra l’interesse tutelato dalla norma e la finalità sottesa alla sua attribuzione a connotare in termini di abusività la condotta. In altri termini, ai fini del giudizio di abusività non conta l’aver voluto danneggiare colui che subisce la condotta abusiva, bensì l’aver fatto uso del diritto riconosciuto per il perseguimento di scopi che, in ragione della complessiva attività posta in essere, appaiono diversi da quelli per cui realizzazione il diritto è riconosciuto dall’ordinamento» (p. 113).
Cerchiamo dunque di precisare le nostre conclusioni sul limite funzionale, riprendendo
quanto fin qui detto.
La fattispecie scriminante, si è chiarito, è l’esercizio del diritto. Ciò sia in base a
un’interpretazione letterale (l’art. 51 c.p. parla di “esercizio”), sia in base a
un’interpretazione teleologica, ancorata tanto sull’intentio del legislatore storico, quanto,
soprattutto, sulla ratio della norma che è accordare prevalenza, nel conflitto tra interesse
tutelato dal diritto e interesse tutelato dalla norma penale, al primo di essi.
Riconoscere un limite funzionale come limite interno di ogni diritto non significa imporre
al giudice di vagliare la corrispondenza dell’animo dell’agente con quel limite, ma
piuttosto di valutare la ricorrenza, nel caso concreto, dell’interesse fondante il diritto.
Riprendendo l’esempio del giornalista che esercita – diremo, correttamente - il diritto di
cronaca, raccontando fatti lesivi della reputazione di un avversario politico della sua testata
editoriale, non può che convenirsi sull’indifferenza e neutralità del fine personale
perseguito nell’esercizio del diritto, sia esso quello di informare, di vendere un maggior
numero di copie, di ottenere una promozione, o, persino di offendere la reputazione di un
avversario politico.
Ci sembra condivisibile l’idea che, in assenza di un elemento che esplicitamente lo
imponga, non sia necessario un accertamento in positivo della finalità personale
coincidente con la volontà di esercitare il diritto, per ritenere integrata la scriminante in
questione, qualora essa sia oggettivamente presente: diversamente, si finirebbe per
introdurre un limite in via interpretativa non desumibile dall’art. 51 c.p.
326.
Inoltre, non ha asilo nel nostro ordinamento l’idea per cui non può essere «conforme al
diritto una condotta che, secondo la rappresentazione dell’autore, costituisce realizzazione
di un delitto»
327, né è richiesto che l’agente si renda conto di essere in presenza di una
situazione giustificante, e che debba essere motivato dalla realizzazione di una condotta
lecita
328.
Il disinteresse del giudice penale per lo scopo soggettivo del giornalista che sta esercitando
il diritto di cronaca, tuttavia, non significa che il diritto di cronaca non abbia una sua ratio
o un limite interno funzionale, dato dall’interesse della collettività all’informazione diffusa,
che è ciò che consente di affermare che di “cronaca” possa parlarsi.
326 I.CARACCIOLI, L’esercizio di un diritto, op. cit, p. 138 osserva come «il fine di esercitare il diritto» non
sia «elemento costitutivo necessario della scriminante in esame».
327 K. ROXIN (trad. a cura di S. MOCCIA), Antigiuridicità e cause di giustificazione, problemi di teoria
dell’illecito penale, op. cit., p.77.