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Quando ci sono i principi ma non ci sono le regole: l’esempio dell’abuso dei mezzi di correzione

Nel documento LA RILEVANZA PENALE DELL’ABUSO DEL DIRITTO (pagine 186-197)

Il reato di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, previsto dall’art. 571 c.p., punisce

l’abuso del c.d. jus corrigendi.

La fattispecie in esame si caratterizza per la presenza centrale di una condotta di abuso, a

cui non si accompagna la previsione di alcun fine, portatore di disvalore, esplicitato, e la

cui punibilità è subordinata alla creazione di un pericolo per il soggetto destinatario del

potere correttivo, nel cui interesse tale potere deve essere usato, e che diventa vittima

dell’abuso dello stesso.

                                                                                                                         

735 Cass. Pen., Sez. VI, 12.07.2001, n. 33218; Cass. Pen., Sez. VI, 10.04.1989; Cass. Pen., Sez. VI,

29.10.1985; Cass. Pen. 17 aprile 1985.

736 G.L.GATTA, Sulla minaccia dell’esercizio di un potere pubblico. A proposito dei problematici rapporti

tra concussione e ‘induzione indebita’, in Diritto Penale Contemporaneo, 2 dicembre 2013, pp. 3 ss. fa riferimento a episodi di minaccia di mali di per sé “giusti” che diventano ingiusti per la strumentalizzazione del potere del pubblico ufficiale: ad esempio, la minaccia da parte della polizia giudiziaria alla prostituta di procedere a identificazione se si rifiutano prestazioni sessuali; o la minaccia dell’appuntato dei carabinieri di sottoporre un locale notturni a controlli se si fosse preteso il saldo delle consumazioni. L’argomento è trattato anche in G. L. GATTA, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, op. cit., pp. 214 ss.

Caratteristica di questa fattispecie è che essa trova applicazione anche in contesti (come

quello familiare) nei quali non vi è una previa regolamentazione legale, amministrativa o

contrattuale dell’uso del potere correttivo o disciplinare e dove, dunque, il giudizio sul suo

uso muove da considerazioni di principio, proporzione, quando non – addirittura- di buon

senso.

Innanzitutto, possiamo evidenziare come l’abuso di uno jus richiami alla mente la

categoria dell’abuso del diritto

737

, al quale possiamo ora tornare dopo l’incursione

nell’abuso di potere pubblicistico.

In tal senso, l’uso dello jus corrigendi viene generalmente ricondotto alla causa di

giustificazione dell’ art. 51 c.p.

738

.

A tal riguardo, deve però notarsi come, pur facendo comunque riferimento alla scriminante

citata, taluni riconducano la posizione in questione all’ “esercizio del diritto”, ed altri all’

“adempimento di un dovere”

739

, con riferimento al profilo dell’educazione dei soggetti

destinatari degli atti correttivi

740

.

Il dovere di correggere o educare minori e allievi potrebbe indurre, come già in passato, ad aderire all’idea di un interesse pubblico all’educazione dei fanciulli, e persino a ricondurre il potere abusato nell’art. 571 c.p. all’alveo del potere pubblico. In tal senso si è sostenuto che, in presenza di autorità o affidamento per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia su soggetti o minori o incapaci «alla base della posizione del soggetto agente deve esserci un potere di incidere sulle altrui posizioni soggettive senza consenso del soggetto passivo, potere che, per ciò stesso, non può legittimamente che essere pubblico»741.

Conscia di tale possibile duplice accezione della posizione in parola (come diritto e come

dovere), altra dottrina utilizza per lo jus corrigendi la qualifica di “diritto-dovere”

742

,

coerentemente con la locuzione utilizzata dall’art. 30 Cost.

Al di là delle questioni terminologiche, ciò che ci interessa chiarire è la natura della

posizione di cui indagare l’abuso.

                                                                                                                         

737 Il rilievo è presente anche nella dottrina civilistica, per cui v. ad esempio il recente M.V.DE GIORGI,

L’abuso nelle relazioni familiari, in G.VISINTINI (a cura di), L’abuso del diritto, Napoli, 2016, p. 103, che

rinvia agli artt. 571 e 572 c.p. in tema di abusi della responsabilità familiare.

738 v. retro.

739 Cfr. F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano, 1963, p. 209; G.BETTIOL, Diritto Penale, Padova,

1966, p. 99.

740 Giurisprudenza e dottrina sono ormai concordi nel ritenere che, soprattutto con riguardo ai minori, il

termine «correzione», presente nella dizione normativa, vada inteso come sinonimo di educazione, per cui v. ex multis Cass. Pen., Sez. VI, 02.04.2014.

741 L.STORTONI, L’abuso di potere nel diritto penale, op. cit., p. 45.

742 Si esprime in termini di diritto-dovere P.PITTARO, Il delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina,

A tal fine, ci sembra preferibile richiamare la definizione utilizzata in giurisprudenza, che

fa riferimento al «potere di cui alcuni soggetti sono titolari nell’ambito di determinati

rapporti (di educazione, di istruzione, di cura, custodia, ecc.), che deve essere esercitato

nell’interesse altrui, coi mezzi consentiti, in presenza dei presupposti, per le finalità sue

proprie, nei limiti dell’ordinamento»

743

.

Possiamo dunque aderire a questa impostazione, che considera il contenuto della posizione

di jus corrigendi come un potere privato, caratterizzante particolari relazioni

intersoggettive, e che come tutti i poteri non è illimitato, ma incontra confini esterni e

interni, ricostruibili all’interno del sistema di norme nel quale il potere è collocato, e

dunque anche alla luce dei doveri che incombono sul soggetto, titolare del potere.

Così chiarita l’essenza della posizione, può anche sciogliersi, in senso positivo, il dubbio

sulla sua attuale persistenza, sebbene in uno spazio giuridico molto più angusto che in

passato.

Alla luce di un certo anacronismo dello jus corrigendi744, la dottrina penalistica si è interrogata sulla

sopravvivenza o sulla tacita abrogazione dell’art. 571 c.p. nel passaggio dai rapporti verticistici e gerarchici che informavano i rapporti di famiglia, istruzione, lavoro, all’idea degli stessi come “formazioni sociali” in cui l’individuo sviluppa la sua personalità745 (art. 2 Cost.). Si è arrivati tuttavia a concludere per la sua

sopravvivenza nell’ordinamento, ma, al contempo, anche per la necessità di una sua interpretazione al passo con i tempi746.

Come si diceva, l’art. 571 c.p. punisce l’abuso del diritto di correzione, che oggi va inteso

come diritto-dovere di educazione, nell’interesse del soggetto destinatario del suo

esercizio.

                                                                                                                         

743 Cass. Pen., Sez. VI, 10. 09. 2012 (c.n.), in Diritto Penale Contemporaneo, 13 dicembre 2012, con nota di

A. MICHEAL, Bullismo tra ragazzini e limiti degli interventi correttivi dell’insegnante: la Cassazione

interviene in materia di art. 571 c.p.

744 L’espressione è di G.D.PISAPIA, Delitti contro la famiglia, Torino, 1953, p. 719.

745 A. VALLINI, L’eccesso dell’educatore, l’empatia del giudice. Ovvero dell’uso emotivo del potere, in

Criminalia, 2011, p. 474. L.IMPERATO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, in F.S.FORTUNA,

Reati contro la famiglia e i minori, Milano, 2006, p. 143 ss. ricostruisce i passaggi storici del progressivo passaggio da una potestà genitoriale da uno jus vitae ac necis a uno strumento a tutela del minore, da esercitare dentro confini definiti. Per una ricostruzione storica del “potere di punire” v. anche A. CALDARONI, Abuso dei mezzi di correzione: causa di giustificazione o mero arbitrio, Roma, 2009, p. 15 ss.. 746 Scrive ad esempio G.PISAPIA, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, in A.A.V.V., Digesto delle

discipline penalistiche, Torino, 1987, p. 30: «tale disposizione (…) anche se rappresenta l’espressione legislativa di una mentalità superata, dovrà ovviamente essere applicata ogniqualvolta ve ne siano i presupposti. Sarà compito del giudice, di interpretarla tenendo conto della realtà socio-culturale e del particolare momento storico in cui il fatto che deve giudicare è avvenuto». A. VALLINI, L’eccesso

dell’educatore, l’empatia del giudice. Ovvero dell’uso emotivo del potere, in Criminalia, 2011, p. 473 parla di «obsolescenza culturale» del reato.

Dobbiamo dunque analizzare più da vicino la struttura di tale reato, per cercare di

comprendere quali siano le classi di comportamento che esso abbraccia e intorno a quali

elementi sia costruito.

Può notarsi, allora, come un primo elemento valorizzato, sebbene implicitamente, dalla

fattispecie, sia proprio la titolarità del potere di correzione, caratteristico dei rapporti di

educazione, istruzione, cura, et alia, indicati nella norma.

Nonostante il testo faccia riferimento a chiunque per individuare l’agente, è ormai pacifico

che l’art. 571 c.p. sia un reato proprio

747

.

L’estensione del campo di applicazione della norma è dunque direttamente proporzionale all’ampiezza della platea di coloro che vantano, a vario titolo, poteri correttivi verso altri. Negli anni si è assistito a una riduzione delle ipotesi di titolarità di questo in capo a taluni soggetti, rispetto alla generalità dei consociati. In particolare è stato notato che, a seguito della scomparsa della potestà maritale ad opera della Riforma del diritto di famiglia del 1975, dell’eliminazione delle punizioni corporali nell’ambiente scolastico, dell’esclusione dell’impiego della forza fisica nei rapporti tra agenti di custodia e detenuti, dell’inammissibilità di coercizioni fisiche nel rapporto di lavoro, l’unico ambito in cui ancora si possa ravvisare uno jus corrigendi sia dato dal rapporto tra genitori e figli minorenni748. In passato, inoltre, era

possibile invocare l’esistenza di uno jus corrigendi anche in capo al soggetto non legato da precedenti rapporti giuridici con il destinatario dell’atto correttivo (ad esempio, il fanciullo estraneo che dia manifestazioni di indisciplina o ineducazione749). Ritenendosi l’interesse all’educazione dell’individuo non

solo un interesse di carattere pubblico, ma persino un interesse preminente su quello alla sua integrità psico- fisica750, si ammetteva che il terzo estraneo si ingerisse nella correzione del giovane screanzato o indisciplinato, mentre oggi è negata la possibilità che un terzo estraneo possa intervenire nell’educazione del minore, addirittura con poteri correttivi751.

Chiarito che l’art. 571 c.p. costituisce un reato proprio, dobbiamo chiarire se,

nell’economia della norma penale, la titolarità del diritto abusato costituisca effettivamente

un disvalore di personalità, o piuttosto un “valore”, una sorta di “privilegio”

752

.

                                                                                                                         

747 V. ex multis L.IMPERATO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, op. cit., p. 146; P.PITTARO, Il

delitto di abuso dei mezzi di correzione e disciplina, op. cit., p. 831.

748 G.PISAPIA, Abuso dei mezzi di correzione e disciplina, op. cit., p. 31 e p. 32. Sul rapporto tra insegnante e

alunno, datore di lavoro e lavoratore, tra genitore e figli maggiorenni, nonché su quello di coniugio v. anche L.IMPERATO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, op. cit., p. 147 ss.; P.PITTARO, Il delitto di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, op. cit., p. 832.

749 G. PISAPIA, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, in A.A.V.V., Digesto delle discipline

penalistiche, Torino, 1987, p. 31; F. RAMACCI, Atipicità del fatto e esercizio del diritto negli interventi correttivi o disciplinari, in La Giustizia Penale, 1969, pp. 404 ss.

750 G.BETTIOL, Diritto Penale, op. cit., p. 99.

751 A.CALDARONI, Abuso dei mezzi di correzione: causa di giustificazione o mero arbitrio, op. cit., p. 24. 752 Si esprime in questi termini F.RAMACCI, Atipicità del fatto e esercizio del diritto negli interventi correttivi

In altri termini, occorre capire se, dietro la previsione della norma, vi sia una scelta di

favore dell’ordinamento per il titolare dello jus corrigendi, in quanto tale, rispetto al

generico potenziale autore di altre fattispecie (comuni) volte a punire la produzione di un

pericolo all’integrità psico-fisica della vittima (ad esempio, ingiuria, o percosse), o

piuttosto se la norma intenda tipizzare il comportamento di chi, proprio per la sua

prossimità ai beni messi in pericolo, li offenda violando il suo compito istituzionale.

Concludendo nel primo modo, infatti, saremmo in presenza di un’ipotesi in cui l’uso

abusivo del diritto non è ciò che fonda la scelta di punire, ma piuttosto ciò che mitiga la

risposta penale di un comportamento comunque punito.

Tale questione può essere risolta solo sciogliendo il nodo sulla funzione che riveste l’art.

571 c.p. nell’ordinamento.

Possiamo allora dar conto di come, secondo un primo orientamento, la fattispecie penale

segna un limite all’esercizio del diritto di correzione, al comportamento lecito. Essa

avrebbe la funzione di punire condotte che, altrimenti, potrebbero essere considerate lecite

in quanto sorrette da finalità correttive, e nel far ciò porrebbe precisi limiti all’esercizio del

diritto di correzione, in presenza della creazione del pericolo per il destinatario dell’atto

correttivo

753

.

In questo senso, l’art. 571 c.p. descriverebbe «un tipo a sé stante di delitto doloso»

754

, che

amplierebbe l’area del penalmente rilevante, essendo chiamato a tutelare la convivenza

familiare e i rapporti a essa assimilabili, nei quali l’equilibrio è turbato dall’eccesso di uso

di mezzi afflittivi

755

.

Secondo altra opinione, la norma offre un favor, di minore pena, a chi compie fatti che

altrimenti integrerebbero altri reati (ingiuria, percosse, lesioni, ecc.) in occasione

dell’esercizio, tradottosi in abuso, dello jus corrigendi

756

.

In questa prospettiva, dunque, l’art. 571 c.p. punirebbe fatti che altrimenti sarebbero

sussunti, ad esempio, sub specie di percosse (art. 581 c.p.), ingiurie (art. 595 c.p.), lesioni

(art. 582 c.p.), in modo meno grave da quanto deriverebbe dall’applicazione di tali reati (in

questo senso, quindi, la norma andrebbe coordinata con l’avvenuta depenalizzazione

dell’art. 595 c.p. ad opera del legislatore del 2016).

                                                                                                                         

753 Così F.RAMACCI, Atipicità del fatto e esercizio del diritto negli interventi correttivi e disciplinari, in La

Giustizia Penale, 1969, p. 407.

754 C.FIORE, L’azione socialmente adeguata nel diritto penale, Napoli, 1966, p. 34. L’Autore ritiene che

senza l’art. 571 c.p. i fatti da questo incriminati potrebbero essere ritenuti non punibili, o punibili solo a titolo di colpa come forma di eccesso nella scriminante (p. 30 ss.).

755 C.FIORE, L’azione socialmente adeguata nel diritto penale, op. cit., p. 39.

Anche in questo caso notiamo un certo accavallarsi, nella riflessione, di piani e argomenti

diversi, che ci suggerisce di fare ordine.

A nostro avviso, la collocazione sistematica della norma e l’oggettività giuridica presidiata

rilevano come essa assolva il compito di descrivere, e punire, una specifica classe di

comportamenti: quelli di soggetti, per così dire “forti”, ai quali sono affidati poteri e

imposti doveri nei confronti di altri soggetti, per così dire “deboli”, e dunque è corretto

ritenere che la norma esprima un tipo a sé stante di delitto doloso, che punisce un abuso di

diritto.

Ciò non toglie che la scelta sanzionatoria, più blanda e favorevole rispetto ad altre norme penali in potenziale concorso con l’art. 571 c.p. rispetto al fatto concreto, derivi da un’opzione politico-criminale «di stampo medievale» per cui la norma offrirebbe «la consacrazione legislativa di quella concezione medievale, secondo cui perfino la morte inflitta dal genitore o dall’educatore è considerata fatto molto meno grave dell’omicidio volontario semplice e perfino dell’omicidio preterintenzionale»757.

Il trattamento di favore per l’agente offerto dall’art. 571 c.p. rispetto alle altre norme citate deve spiegarsi alla luce di un bilanciamento di interessi tra la tutela del soggetto “debole” e la sua esigenza di educazione e formazione, che può richiedere un intervento correttivo.

Insomma, mentre chi cagiona una lesione ai sensi dell’art. 582 c.p. lo fa in assenza di qualsiasi rapporto con la sua vittima, e non vi è quindi alcun elemento che in qualche modo mitighi la disapprovazione del comportamento, chi cagiona una lesione ai sensi dell’art. 571 c.p. lo fa agendo in una situazione di partenza approvata dall’ordinamento, in cui viene in gioco anche un interesse ulteriore del soggetto corretto.

Se tale bilanciamento non dovesse apparire più convincente, ragionevole o sostenibile, ritenendosi ad esempio che non sia costituzionalmente legittimo punire meno severamente la lesione cagionata dal genitore rispetto a quella cagionata da un estraneo, non rimarrebbe che concludere per l’illegittimità della risposta sanzionatoria dell’art. 571 c.p., dovendosi valutare poi se sia possibile considerare la stessa una norma di favore nei sensi intesi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 394/2006 o se la questione sia di esclusivo dominio legislativo.

La norma, tuttavia, non pone un limite al diritto di correzione, nel senso che esso può

essere esercitato finché non cagioni il pericolo di una lesione all’integrità psicofisica del

corretto.

L’esercizio dello jus corrigendi può, in ipotesi, diventare abuso già prima di mettere in

gioco l’incolumità della persona, e dunque non è la fattispecie penale a segnare il limite

estremo del comportamento lecito, fino al quale è tendenzialmente possibile spingersi

758

.

                                                                                                                         

757 V. G.PIOSELLI, Abuso dei mezzi di correzione, in A.A.V.V., Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, p.

171.

758 A.VALLINI, L’eccesso dell’educatore, l’empatia del giudice. Ovvero dell’uso emotivo del potere, op. cit.,

La fattispecie penale, piuttosto, indica quale abuso è punibile, e stabilisce che sia punibile

in modo più lieve di comportamenti simili cagionati in situazioni diverse.

Dal che deriva che, a nostro avviso, deve concordarsi con chi afferma che non può porsi un problema di riconoscimento della scriminante di jus corrigendi (e dunque di operatività secca dell’art. 51 c.p.) quando il fatto è di esercizio del potere e non di abuso, dovendosi concludere piuttosto per la sua insussistenza759. Di un rilievo scriminante dello jus corrigendi potrà discutersi, semmai, valorizzando l’errata supposizione di agire nell’esercizio di un diritto-dovere per errore sul fatto (art. 59 c. 4 c.p. e art. 51 c.p.), o un eccesso colposo nella stessa posizione (art. 55 c.p. e art. 51 c.p.), in presenza dei presupposti che suggeriscono di ritenere presenti tali particolari situazioni (ad esempio, nel caso del genitore che, ritenendo che il figlio abbia commesso un fatto riprovevole, lo insulti, o del genitore che, volendo dare uno schiaffo leggero al figlio, scivoli e accidentalmente gli procuri una lesione personale760).

Chiarito dunque che l’abuso, nell’art. 571 c.p., sia l’oggetto dell’incriminazione dei

comportamenti tenuti da soggetti qualificati, occorre valutare quando esso ricorra, e in

particolare se si abbia maggiore riguardo, nel suo accertamento, a quella che è la finalità

educativa soggettiva nella mente dell’agente o alla dimensione educativa oggettiva della

condotta.

Nel corso degli anni si è messo sempre più in evidenza, sia in dottrina che in

giurisprudenza, come il nesso tra il mezzo e il fine di correzione abbia significato sul piano

oggettivo e non già rispetto all’intenzione dell’agente

761

.

La condotta di esercizio del potere correttivo, dunque, può dirsi lecita finché

oggettivamente educativa

762

.

È interessante, a questo punto, porre alla luce quale sia il parametro per valutare la liceità,

o meno, della condotta.

Il testo della norma, come si diceva, abbraccia rapporti molto diversi, taluni dei quali sono

caratterizzati da una certa normativizzazione del potere disciplinare quanto a fatti

                                                                                                                         

759 In questo senso, L.IMPERATO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, op. cit., p. 143: «Il delitto in

discorso potrà venire a giuridica esistenza, ove l’esercizio astrattamente lecito dello jus corrigendi trasmodi nell’abuso». V. anche A.SPENA, Diritti e responsabilità penale, op. cit., p. 191 rileva come non si può dire

che eserciti il diritto in questione chi abusi dei mezzi di correzione e di disciplina, e specularmente che, finché si rimanga nei limiti di un esercizio dello jus corrigendi non si abusa di quei mezzi.

760 Gli esempi citati sono di P.SEMERARO, L’esercizio di un diritto, op. cit., p. 137 e p. 155.

761 L.IMPERATO, Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, op. cit., p. 143. V. anche A.SPENA, Diritti e

responsabilità penale, op. cit., p. 120, per cui: «costituiscono esercizio dello jus corrigendi quelle sole condotte che possano dirsi oggettivamente funzionali, adeguate, al perseguimento di finalità educative e correttive».

762 A.VALLINI, L’eccesso dell’educatore, l’empatia del giudice. Ovvero dell’uso emotivo del potere, op. cit.,

p. 475. Nello stesso senso anche L.STORTONI, L’abuso di potere nel diritto penale, op. cit., pp. 27 ss., che

denuncia la tendenza a un’interpretazione eccessivamente psicologicizzata della fattispecie, laddove la finalità di correzione e disciplina è un elemento di tipicizzazione dell’azione.

sanzionabili e a sanzioni infliggibili (ad esempio, l’ambito carcerario, l’ambito lavorativo),

altri da una totale assenza di precise regole positive (ad esempio, l’ambito familiare), altri

ancora da una situazione normativa intermedia che vede la presenza di norme di principio e

di indirizzo, che rimandano a concetti da integrare con valutazioni di tipo extra-giuridico,

sociale (ad esempio, l’ambito scolastico). Tutti questi rapporti sono caratterizzati

principalmente da norme che vietano l’utilizzo di taluni mezzi (che diventano quindi mezzi

illeciti)

763

.

Allora, per stabilire se si sia in presenza di un uso di un mezzo correttivo lecito, di un

abuso di un mezzo correttivo lecito, o, ancora, dell’uso di un mezzo correttivo illecito

764

,

laddove non vi è una puntuale codificazione del potere disciplinare, è necessario vagliare

“caso per caso” gli elementi di fatto (tipo di mezzo, luogo e durata dell’utilizzo, condizioni

psico-fisiche del destinatario, presupposti motivanti la condotta)

765

.

La valutazione dell’abuso con riferimento al fatto concreto porta con sé due conseguenze:

lo sviluppo di tipologie giurisprudenziali di abusi e di una certa “cultura del precedente” e

la presenza di un certo tasso di equità della decisione in assenza di parametri normativi

stabili.

La prima conseguenza, come si diceva, risiede nel fatto che, per evitare che la norma si

traduca in un giudizio ad hoc sulla vicenda concreta, si dia attenzione allo sviluppo di

tipologie giurisprudenziali di abuso che vengano in soccorso per assicurare un margine di

certezza applicativa.

Così, con riferimento all’ambito familiare, se l’inesistenza di disposizioni legislative di segno opposto, e il costume sociale consentono di ritenere possibile l’uso di una vis modica o modicissima766 per educare il figlio

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