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L’abuso del diritto potenzialmente scriminante nella giurisprudenza Alcuni esempi

Fin qui si è cercato di delineare il problema dell’abuso del diritto scriminante, rifuggendo

dalle tentazioni di tipo induttivo che avrebbero spinto a guardare come si orienta la prassi

nei suoi confronti

354

. Non si può celare, tuttavia, come, nell’incertezza sui termini concreti

entro cui deve svolgersi il contemperamento tra diritto e norma incriminatrice, intervenga

in soccorso proprio l’interpretazione giurisprudenziale

355

.

La giurisprudenza riconosce nell’abuso una situazione che cade fuori dalla scriminante

dell’art. 51 c.p., affermando ad esempio che: «per la configurazione dell’esimente

dell’esercizio di un diritto (…) è necessario altresì che l’attività posta in essere costituisca

una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione; poiché, in caso

contrario – si superano i confini dell’esercizio lecito e si configurano ipotesi di abuso del

diritto stesso, che ricadono fuori dalla sfera di operatività dell’art. 51 c.p.»

356

.

Si è scelto, all’interno dell’ampia trattazione dedicata ai diritti scriminanti, di prendere in

considerazione il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e il diritto di

difesa (art. 24 Cost.), consci di come i diritti costituzionalmente garantiti siano quelli che

                                                                                                                         

353 F. VIGANÒ, Art. 51 c.p., op. cit., p. 751; I. CARACCIOLI, L’esercizio del diritto, op. cit., p. 113; D.

PULITANÒ, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, op. cit., p. 327: «Se la lesione di interessi

penalmente protetti fa parte del contenuto tipico del diritto (poniamo, della libertà di manifestazione del pensiero) per la produzione dell’effetto scriminante non occorre altro».

354 Si segnala come, in altri settori dell’ordinamento, la scoperta dell’abuso del diritto, in particolare di quello

processuale, abbia sollevato un dibattito anche sui rapporti tra dottrina e giurisprudenza e sui rispettivi ruoli. Così G.VERDE, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo la lettura del recente libro di Tropea) in

Rivista di diritto processuale, 2015, p. 1088 afferma: «i giudici, insomma, non applicano la norma processuale, ma la governano. Se questa è un’evoluzione inevitabile, non possiamo che prenderne atto. Dobbiamo, però, denunciare l’obsolescenza delle norme costituzionali che avevano assegnato al giudice ben diverso ruolo e che su tale presupposto avevano designato una nomina e una carriera di tipo burocratico, quale male si adatta alla loro attuale funzione. Per quanto riguarda il ruolo dei cultori del processo civile, già da tempo ho osservato che dobbiamo abbandonare la pretesa di costruire sistemi e che dobbiamo tornare ai temi in cui i nostri avi insegnavano processura civile, limitandoci ad esporre in forma ordinata e ragionata ciò che risulta dai repertori di giurisprudenza.». A ciò ribatte M. F.GHIRGA, A proposito del recente libro di

Tropea, di abuso del processo e di positivismo giuridico, op. cit., p. 385 sottolineando l’esigenza di strumenti dottrinari capaci di «offrire sistematicità ad esigenze emerse nella prassi applicativa».

355 Così T.PADOVANI, Diritto Penale, op. cit., p. 150.

356 Cass. Pen., Sez. III, 08.05.1996, n. 5889. Nel caso in esame si è ritenuto che abitare un immobile

anteriormente al rilascio della licenza di abitabilità non significhi “esercitare” il diritto di proprietà, ma abusare dello stesso.

assumono maggior rilievo nella concreta casistica dell’esercizio del diritto quale

scriminante

357

.

Con riguardo ai rapporti tra libertà di espressione (artt. 21 Cost. e 10 C.E.D.U.)

358

e delitto

di diffamazione (art. 595 c.p.), concentriamo la nostra attenzione sull’abuso del diritto di

critica, essendo assai frequenti gli arresti giurisprudenziali dove espressamente si fa

riferimento ad un abuso del diritto di critica per negare il riconoscimento della scriminante

dell’art. 51 c.p.

359

.

Il diritto di critica è la situazione giuridica soggettiva che esprime la libertà di dissentire dalle opinioni espresse dagli altri, sottoponendo a vaglio censorio le altrui tesi, opinioni e condotte360.

                                                                                                                         

357 D.PULITANÒ, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, op. cit., p. 323.

358 L’art. 21 Cost. sancisce il diritto per tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero attraverso la

parola, lo scritto e qualunque altro mezzo di diffusione. La norma recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni». Similmente, l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce che «1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. 2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».

359 Giova precisare che, stante la mole ingente di materiale giurisprudenziale disponibile, dovendo procedere

necessariamente a selezione, si è scelto di riferire solo di sentenze penali che trattino di abuso del diritto di critica. Ciò in quanto ci si prefigge l’obiettivo di studiare come i penalisti si rapportino, più o meno consapevolmente, con l’abuso del diritto potenzialmente scriminante, mutuando quel che è utile dal diritto civile. Nondimeno va segnalato come vi sia una sostanziale conformità nell’elaborazione dei limiti dell’esercizio del diritto di critica nei due rami dell’ordinamento, e dunque nel delinearsi degli abusi. Si veda a tal fine ex multis: Cass. Civ., Sez. II, 13.07.2010, n. 16387, Cass. Civ., Sez. II, 30.05.2007, n.12727; Cass. Civ., Sez. III, 27.06.2000, n. 8734; Cass. Civ. Sez. III, 07.10.1997, n. 9743 (da segnalarsi in quanto chiamata a pronunciarsi su quello che la Corte di Appello di Bologna qualificava come “un abuso colposo” del diritto alla libertà di critica sindacale); Cass. Civ. S.U., 12.04.2005, n. 7743; Cass. Civ. S.U., 20.04.2004, n. 7505 (entrambe queste ultime pronunciate all’esito di procedimenti disciplinari del C.S.M., e dunque sulla libertà di critica di membri dell’Ordine Giudiziario).

360 R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte Generale, op. cit., p. 690. Chi critica esprime un giudizio

personale, una presa di posizione supportata da argomentazioni che collegano fatti e circostanze. Così G. CASSANO,M.SGROI, La diffamazione civile e penale, Milano, 2011, p. 146.

Con riferimento a esso, si è assistito negli anni al formarsi di un’opinione consolidata in dottrina e giurisprudenza su quali siano i limiti di esercizio.

Secondo l’opinione tradizionale il diritto di critica è soggetto alle limitazioni elaborate con riferimento al diritto di cronaca361, vale a dire i limiti della verità o verosomiglianza della notizia diffusa, della pertinenza

(cioè dell’esistenza di un interesse alla diffusione) e della continenza (cioè la correttezza delle espressioni utilizzate), ma con l’adattamento reso necessario dalla diversa natura dell’attività. È evidente, infatti, che, rispetto alla cronaca, tali limiti debbano rimodellarsi tenendo conto della forte presenza della componente soggettiva di chi esprime la critica, e dunque il suo pensiero, la sua formazione, il suo modo di vedere le cose362. Così, con riferimento al canone di verità o verosomiglianza, nel momento in cui si va ad esprimere un giudizio su un fatto, e non a raccontarlo semplicemente, l’elemento della verità può essere preteso solo nel suo contenuto minimo363. A tal proposito, in una sentenza recente364 i giudici di legittimità ricordano che al

                                                                                                                         

361 Il diritto di cronaca è posto a tutela dell’attività giornalistica mediante la quale si narrano fatti, opinione e

comportamenti altrui (G. CASSANO, M. SGROI, La diffamazione civile e penale, op. cit., p. 112). Riconducibile anche essa alla libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., la cronaca è soggetta a dei limiti sui quali si è formato un orientamento ormai consolidato. La giurisprudenza di legittimità, a partire da una famosa sentenza del 1984, nota come “sentenza decalogo” (Cass. Civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259) i cui contenuti sono stati ribaditi lo stesso anno dalle Sezioni Unite Penali (Cass. Pen. S.U., 30 giugno 1984) ha chiarito che il diritto di cronaca può avere efficacia scriminante rispetto al reato di diffamazione se sono rispettati i tre limiti di verità o verosomiglianza, pertinenza e continenza. In base a tali limiti, un fatto, che se conosciuto determina la lesione dell’altrui reputazione, può essere reso noto purché sia vero, cioè vi sia corrispondenza tra fatto accaduto e fatto narrato, purché rivesta interesse per l’opinione pubblica e purché l’esposizione dei fatti sia improntata a correttezza e non si traduca in una gratuita aggressione dell’altrui reputazione. Limiti particolari sono stati poi ricostruiti dalla giurisprudenza per la cronaca giudiziaria, dove il requisito della verità oggettiva della notizia non impone chiaramente che il giornalista debba verificare il contenuto stesso dell’accusa, poiché altrimenti il suo lavoro verrebbe a sovrapporsi a quello della polizia giudiziaria e della magistratura (così Cass. Pen., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 39503; Cass. Civ., Sez. III, 9 marzo 2010, n. 5657). A riguardo si è affermato che, ai fini dell’efficacia esimente della cronaca giudiziaria, la notizia propalata deve rispecchiare fedelmente il contenuto del provvedimento giudiziario e qualora essa riguardi la fase delle indagini preliminari, debba offrire la fedele riproduzione del contenuto dell’addebito, e che il requisito della continenza dell’esposizione si specifica, con riguardo alla delicata fase delle indagini preliminari e in ragione della fluidità ed incertezza del contenuto delle investigazioni, nel dovere di un racconto asettico, senza enfasi od indebite anticipazioni di colpevolezza (Così Cass. Pen., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 39503). Ulteriori indicazioni sulle limitazioni al diritto di cronaca vengono per la pubblicazione di un’intervista con contenuto diffamatorio, per la quale le Sezioni Unite penali hanno stabilito che un’intervista che presenti profili di interesse pubblico (per la rilevanza del personaggio intervistato, per i soggetti coinvolti, la materia in discussione o il contesto dell’intervista stessa) non espone il giornalista all’addebito di un concorso per diffamazione se l’intervista contiene affermazioni lesive della reputazione altrui (Cass. Pen., S.U. 16.10.2001, n. 37140). In generale per una trattazione completa della giurisprudenza sul tema si rinvia a R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte Generale,

op. cit., p. 688.

362 La critica consiste nella manifestazione di giudizi e non nel racconto di fatti obiettivi, essa può essere

pertanto essere anche parziale ed ideologicamente orientata: cosìR.GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte Generale, op. cit., p. 691. Secondo una massima giurisprudenziale pedissequamente richiamata negli arresti in materia, il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto «il primo non si concretizza, come l’altro, nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un’interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti». Così Cass. Pen. Sez. V, 16 aprile 1993, Barile, m. 194300, richiamata tra le altre, in Cass. Pen., sez. V, 31 gennaio 2011, n. 3372.

363 In questo senso, allora, è richiesto che «i fatti oggetto della critica non debbano essere strumentalmente

manipolati o travisati, essendo sufficiente che venga riportata correttamente l’essenza dell’accadimento o della notizia che costituisce lo spunto per la critica». Così Cass. Pen., sez. I, 4 luglio 2008, n. 35646. Si veda inoltre Cass. Pen., Sez. V, 28 ottobre 2010, n. 4938, per cui «il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla

giornalista d’opinione può richiedersi di non essere mendace (limite della verità o verosomiglianza), ma non può chiedersi di essere neutro, dovendosi distinguere, così come fa la Corte E.d.u365 statements of facts e value judgements, e quindi “giornalismo che riferisce i fatti” e “giornalismo che formula giudizi di critica politica”. Quanto al requisito di continenza, la Corte di Cassazione si è mostrata alquanto tollerante nel delineare i confini della correttezza del linguaggio critico, ritenendoli superati essenzialmente in presenza di espressioni o giudizi che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in un vero e proprio attacco personale e in un’iniziativa di discredito in termini generali della persona366.

A ben vedere la giurisprudenza individua i limiti del diritto di critica elaborando indici a partire dagli elementi concreti che ha a disposizione, e valorizzando dunque dati come la funzione che la concreta manifestazione del pensiero riveste nella realtà sociale, la pletora di destinatari che raggiunge, le qualità professionali o meno del loro mittente, e via dicendo. Di critica con funzione scriminante si discute infatti con riferimento a plurimi rapporti sociali, come si evince dalla giurisprudenza in punto di critica politica367,

societaria368, pubblicitaria369, nei rapporti condominiali370.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica». Può accadere di trovare in giurisprudenza anche arresti nei quali il requisito della verità viene disatteso, come laddove si sostiene che «quando il discorso giornalistico ha contenuto esclusivamente valutativo e si sviluppa nell’alveo di una polemica intensa e dichiarata tra opposte concezioni e su tematiche fortemente dibattute, i limiti scriminanti rispetto al reato di diffamazione a mezzo stampa sono quelli della rilevanza sociale dell’argomento e della correttezza delle espressioni utilizzate» Così Cass. Pen., sez. V, 5 marzo 2004 n. 19334. Secondo l’orientamento prevalente, tuttavia, la critica deve pur avere sullo sfondo dei fatti veri, per cui «anche la giurisprudenza che sembra limitare il canone in parola con riferimento all’esercizio del diritto di critica (…) in realtà non esclude affatto il requisito della veridicità del fatto posto a base delle opinioni. Con riferimento a queste ultime soltanto riconosce che, essendo frutto della manifestazione di un punto di vista soggettivo, sia ammissibile un margine apprezzabile di opinabilità». Così Cass. Pen. Sez. V, 08.11.2004, n. 43539.

364 Cass. Civ., Sez. III, 31 ottobre 2014, n. 4931, con nota di S.TURCHETTI, Diffamazione e diritto di critica:

rientra nel dissenso motivato riferire di procedimenti penali, ancorché risalenti e conclusi senza condanne, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 luglio 2015. La sentenza è occasione per segnalare come l’elaborazione giurisprudenziale dei limiti all’esercizio del diritto di critica prenda corpo, con pari impegno, tanto nelle aule giudiziarie penali quanto in quelle civili, stante la possibilità, per il danneggiato da comportamenti ingiuriosi o diffamatori, di cercare ristoro in entrambe le sedi.

365 Si veda Corte Edu, Mengi c. Turkey, 27 febbraio 2013, ric. n. 13471/05 e n. 38787/07. Nella sentenza

citata, pronunciata per la vicenda di una giornalista turca che, criticando dei disegni di legge di modifica di alcuni reati, si era lasciata andare a commenti sulle qualità personali di un professore chiamato a ricoprire il ruolo di “esperto” nello studio della riforma, la Corte distingue tra “giudizi di fatto” e di “valore”, spiegando come, mentre l’esistenza del fatto può essere soggetta a prova, il giudizio di valore non può esserlo, e dunque la richiesta di dimostrare la verità di un giudizio di valore finisce per determinare un effetto dissuasivo sulla libertà di informare.

366 N.MENARDO, Sui limiti del diritto di critica politica a mezzo stampa, in Giurisprudenza Italiana, 2013, p.

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367 Con riferimento alla critica politica, la giurisprudenza è costante nel ritenere lecito l’utilizzo di

espressioni particolarmente aspre, attesa la conflittualità dei dibattiti e la necessità di richiamare l’attenzione del pubblico. Notiamo quindi come espressioni dure, capaci di integrare un’offesa alla reputazione, vengono scriminate se tenute in un contesto di critica politica. Così ad esempio, mentre l’attribuzione dell’epiteto “fascista” a un comune cittadino integra il reato di ingiuria (art. 594 c.p., oggi depenalizzato a seguito del d.lgs. 7/2016) o diffamazione (art. 595 c.p.), la stessa è scriminata se rivolta ad un politico di professione, laddove si intende far riferimento a un comportamento ritenuto arrogante e antidemocratico, improntato a scarso rispetto verso gli avversari politici, in modo comprensibile ai più «stante l’esperienza del secolo scorso ancora viva nel ricordo di molti italiani». V. Cass. Pen. sez. V, 20 luglio 2007 n. 29433, riferita in L. ZACHENO, Alcune riflessioni in merito alla scriminante del diritto di critica, in Il Giudice di Pace, 2011,

p.264 ed altresì in V.DURANTE, Il “caso Allievi”: la diffamazione tra libertà di ricerca scientifica e libertà di critica politica”, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2007, p. 1420 ss. Il concetto in questione è

In giurisprudenza, l’abuso del diritto di critica trova spazio negli argomenti utilizzati per

negare l’applicazione della scriminante dell’art. 51 c.p., e dunque la sua nozione si

consolida, come prevedibile, intorno al superamento dei limiti di esercizio del diritto.

In particolare, l’abuso cade con il superamento dei limiti della continenza espressiva,

secondo un principio costantemente ripetuto, per cui «ciò che determina l’abuso del diritto

è la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione, è l’uso

dell’argumentum ad hominem, inteso a screditare l’avversario politico mediante

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

ben espresso in Cass. Civ. S.U., 12.04.2005, n. 7743, per cui «l’attuale fase della vita politica nazionale è caratterizzata dalla trasformazione del linguaggio nel senso di una maggiore aggressività, se non proprio da un generale e progressivo imbarbarimento del costume e del linguaggio politico, che ha portato a una desensibilizzazione del significato offensivo di certe espressioni e quindi a un ampliamento dei limiti della continenza formale della critica politica». Si veda inoltre Cass. Pen., Sez. V, 3 ottobre 2012, n. 38437 per cui «in tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora la notizia divulgata riguardi atti e comportamenti di uomini politici, il diritto di critica, in quanto estrinsecazione della dialettica democratica, deve essere garantito anche qualora i toni dei giudizi espressi siano aspri e irriverenti, col solo limite del rispetto dei tradizionali canoni dell’interesse pubblico della notizia, della verità dei fatti assunti quali presupposti della critica e della continenza del linguaggio, che non deve trascendere in attacchi personali privi di qualunque giustificazione». Si richiami altresì la sentenza della Suprema Corte su una vicenda nota alle cronache in anni recenti, vale a dire Cass. Pen., Sez. V, 07.06.2006, n. 19509, per cui fu ritenuta integrante esercizio del diritto di critica la frase «Fatti processare, buffone! Rispetta la legge, rispetta la democrazia o farai la fine di Ceausescu e di don Rodrigo» pronunciata da un giornalista free-lance nei confronti di Silvio Berlusconi, ritenuta nei limiti della continenza in quanto «l’epiteto “buffone”, opportunamente contestualizzato, perde la sua carica lesiva e va comunque inserito nell’ambito della critica politica, che si esprime con toni anche aspri e sgradevoli».

368 Cass. Pen., Sez, V, 24 marzo 2010, n. 11277.

369 In giurisprudenza la critica commerciale ha margini più stretti della critica politica: la prima, infatti,

diversamente dalla seconda, persegue un fine privato, quello di far risaltare le doti del prodotto che si pubblicizza, e non può sconfinare in atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 2 c.c., che vieta la diffusione di notizie e apprezzamenti sull’attività del concorrente idonei a determinarne il discredito. Così R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte Generale, op. cit., p. 692. V. ad esempio Cass. Pen., Sez. V, 11

novembre 2008, n. 42020, in cui si definivano “porcherie” i prodotti di un rivale economico, e ciò viene ritenuto fuoriuscire dal diritto di critica e costituire una semplice invettiva, sottolineando come il giudizio sia espresso aprioristicamente, e non in base a una dimostrazione documentata.

370 Quanto ai questi ultimi, si può ricordare il caso dell’amministratore di condominio che scriva una lettera ai

condomini per rendere noto «il mancato pagamento della quota dovuta per l’adeguamento dell’impianto elettrico dell’edificio» da parte di uno di essi, definito un «anarcoide che intralcia e fomenta e mantiene un comportamento scorretto». Sulla vicenda si è pronunciata Cass. Pen., sez. IV, 10 gennaio 2006, n. 282, con