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La riforma dell’abuso d’ufficio (art 323 c.p.) ad opera della legge 86/1990

Nel documento LA RILEVANZA PENALE DELL’ABUSO DEL DIRITTO (pagine 167-169)

3. La parabola della fattispecie abuso d’ufficio (art 323 c.p.): dall’abuso innominato alla violazione

3.2. La riforma dell’abuso d’ufficio (art 323 c.p.) ad opera della legge 86/1990

Tali auspici rimasero tuttavia delusi. Con la legge n. 86/1990 la norma fu modificata, ma

del Codice Zanardelli si riprese non tanto l’elemento del disvalore di evento, quanto

l’espressione “abuso di ufficio”, in luogo di quella di “abuso di poteri”, per descrivere la

condotta incriminata.

La scelta, consapevole, di non richiedere l’accertamento di un evento, fu dettata dal timore

di un depotenziamento sanzionatorio dell’abuso, e della conseguente dilatazione della sfera

del tentativo, laddove l’intervento penale fosse arrivato prima della concreta produzione di

un danno o di un vantaggio

638

.

Tuttavia, per rendere più tangibile il disvalore del fatto, il legislatore del 1990 pensò,

all’interno di un ampio intervento sui delitti contro la Pubblica Amministrazione, a una

caratterizzazione più marcata del dolo specifico

639

dell’art. 323 c.p., prevendo che il

vantaggio o il danno avuti di mira dall’agente fossero ingiusti, distinguendo il vantaggio

patrimoniale da quello non patrimoniale, e ammettendo – stante l’abrogazione dell’art. 324

                                                                                                                         

635 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 45.

636 V. L. GRANATA, I lineamenti giuridici dell’abuso di ufficio e la inefficacia dell’attuale formula

legislativa, in Giustizia Penale, 1955, p. 752. Per una rassegna dei tentativi di riforma dell’art. 323 c.p., in precedenza della legge n. 86/1990, v. L.PICOTTI, Il dolo specifico, Milano, 1993, p. 266, nota 10.

637 S.PIZZUTI, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 25.

638 P.PISA, Abuso di ufficio, op. cit., p. 12. La voce enciclopedica dedica ampio spazio alla ricostruzione dei

lavori parlamentari che consentirono di approdare alla formulazione legislativa della legge n. 86/1990.

c.p. - che il pubblico ufficiale potesse perseguire un proprio vantaggio con la condotta

abusiva

640

.

L’accertamento del reato richiedeva dunque la verifica della condotta di abuso sul piano

obiettivo, la presenza del dolo generico dato dalla consapevolezza e volontarietà del

comportamento, e, infine, l’individuazione del dolo specifico del vantaggio o danno

ingiusti

641

.

Anche la nuova versione della norma poneva, con riferimento agli elementi della condotta e del dolo specifico, diversi problemi interpretativi.

Con riferimento al dolo specifico, ci limitiamo a segnalare come dall’introduzione della clausola di “ingiustizia” per qualificare il danno o il vantaggio perseguiti dall’agente scaturì un forte dibattito tra chi sosteneva che il requisito fosse pleonastico, in quanto l’ingiustizia sarebbe conseguita all’abusività del comportamento incriminato642 e chi, invece, riconosceva l’autonomia di tale elemento, ritenendo il giudizio

sull’ingiustizia riguarderebbe solo il fine perseguito, mentre quello sull’abuso il mezzo (atto, comportamento) con cui il fine viene perseguito 643.

Rimaneva insoluto, inoltre, nonostante la buona volontà legislativa, il problema della determinatezza della fattispecie, poiché, a fronte della più dettagliata descrizione del dolo specifico, si perdeva il riferimento ai poteri e alla funzione nella condotta, sostituiti dal più vago concetto di “ufficio”. Così, mentre la dottrina tendenzialmente metteva in evidenza come l’abuso fosse un’«oggettiva strumentalizzazione dell’ufficio»644, svincolata dall’adozione di un atto amministrativo in senso tecnico645, rimaneva incerta la capacità della

locuzione di comprendere gli abusi di qualità e le violazioni di doveri646, che, anche ammettendo cadessero

fuori dall’abuso di poteri, era dubbio fossero interni o esterni all’abuso d’ufficio.

Infine, si continuava a discutere, come in passato, sulla rilevanza oggettiva o soggettiva del dolo specifico, dividendosi tra chi riteneva che tale elemento contribuisse a descrivere la direzione offensiva del comportamento647 e chi, invece, valutava l’elemento come aspetto psicologico della colpevolezza648.

                                                                                                                         

640 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio (I agg.), op. cit., pp. 1 ss.

641 In questo senso, espressamente, anche la giurisprudenza di legittimità, per cui v. Cass. Pen. S.U. 20

giugno 1990, Monaco.

642 In questo senso S.SEMINARA, Il delitto di abuso di ufficio, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura

Penale, 1992, p. 579.

643 Così M. PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio (I agg.), op. cit., p. 4. che afferma: «il dolo

specifico (…) serve a esprimere la effettiva proiezione della condotta verso una direzione negativamente valutata dall’ordinamento giuridico, cioè a tipicizzare un contenuto di disvalore oggettivo in termini di potenzialità lesiva del fatto».

644 P.PISA, Abuso di ufficio, op. cit., p. 5.

645 M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio (I agg.), op. cit., p. 3.

646 v. L. STORTONI, La nuova disciplina dei delitti dei p.u. contro la p.a.: profili generali e spunti

problematici, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, 1990, p. 717 afferma che il termine abuso «ha un preciso significato se riferito ad un dato giuridico che descrive rapporti tra i soggetti quali è il potere, perde inevitabilmente di certezza riferito ad un’entità organizzativa quell’ufficio».

647V.M.PARODI GIUSINO, Abuso innominato d’ufficio (I agg.), op. cit.. che afferma: «il dolo specifico (…)

serve a esprimere la effettiva proiezione della condotta verso una direzione negativamente valutata dall’ordinamento giuridico, cioè a tipicizzare un contenuto di disvalore oggettivo in termini di potenzialità lesiva del fatto». V. anche L.PICOTTI, Il dolo specifico, op. cit., dove si afferma: «si deve pertanto escludere che il legislatore (…) sia qui scivolato in un diritto penale della volontà, o dell’atteggiamento interiore: egli

Solo pochi anni dopo, tuttavia, si registrò una vera e propria inversione di tendenza, per cui

il legislatore dovette farsi carico, più che del timore per il depotenziamento sanzionatorio

dell’abuso d’ufficio, del suo sovra-utilizzo, che finiva per produrre una vera e propria

situazione di paralisi dell’attività amministrativa, a seguito delle numerose indagini penali

sull’operato dei pubblico ufficiale

649

.

Sul piano giuridico, la norma, a cui era stato ricondotta la fattispecie di peculato per distrazione e di interesse privato in atti d’ufficio, e che aveva visto il passaggio dalla clausola di sussidiarietà, presente nella versione originaria, a quella di consunzione “salvo che il fatto non costituisce più grave reato”, si era trasformata in un «gigantesco contenitore»650 in cui ricadevano tante condotte tra loro diverse, di gravità variabile, accomunate

solo dal ricorrere di una cattiva amministrazione dolosa.

Nel documento LA RILEVANZA PENALE DELL’ABUSO DEL DIRITTO (pagine 167-169)