3. La parabola della fattispecie abuso d’ufficio (art 323 c.p.): dall’abuso innominato alla violazione
3.3. La disciplina dell’abuso d’ufficio (art 323 c.p.) attualmente vigente
Tanto suggeriva al legislatore del 1997 di operare un ridimensionamento dell’intervento
penale nel settore
651, sebbene, come si è osservato, tale scelta non fosse solo una “scelta
ha piuttosto voluto esprimere, attraverso la diversa qualificazione del fine soggettivo, una diversificazione in termini di tipicità» (p. 289) e «in conclusione, la criticata lettura in chiave meramente soggettiva del fine (…) impoverisce il complessivo significato oggettivo del fatto di abuso, penalmente rilevante, sovrapponendolo all’illecito amministrativo ed aprendo una prospettiva di mero presidio penale della fedeltà del funzionario all’istituzione in contrasto con le finalità dichiarate di rafforzare, invece, le garanzie della legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa» (p. 292).
648 S.SEMINARA, Il delitto di abuso d’ufficio, op. cit., p. 593.
649 A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso d’ufficio, in Diritto Penale e
Processo, 1999, p. 106. V. anche M.PARODI GIUSINO, Aspetti problematici della disciplina dell’abuso di
ufficio in relazione all’eccesso di potere ed alla discrezionalità amministrativa, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, 2009, p. 884: «è opinione assai diffusa che spesso le procure della Repubblica o i giudici di merito abbiano quasi utilizzato la elasticità dei contorni di questa previsione normativa per esercitare un vero e proprio controllo sulla pubblica amministrazione, sostituendo talora le loro valutazioni a quelle costituenti esercizio (in certi casi del tutto legittimo) della discrezionalità amministrativa ed ingenerando negli amministratori pubblici una fondata preoccupazione di essere incriminati per abuso di ufficio pur senza avere in realtà commesso alcun fatto illecito».
650 A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso d’ufficio, op. cit.; L.PICOTTI, Il
dolo specifico, op. cit., p. 271 ricorda come, secondo le stesse intenzioni del legislatore, la norma varata nel 1990 coprisse un’area di illiceità più ampia che in passato «occupando lo spazio lasciato libero dall’abrogazione della malversazione a danno di privati e dell’interesse privato in atti d’ufficio, nonché dell’eliminazione dell’ipotesi di distrazione prima contenuta nel peculato». V. anche M. ROMANO, I delitti
contro la Pubblica Amministrazione, op. cit., p. 257, secondo cui la fattispecie del 1990 «di nuovo incentrata su una condotta non meglio definita di abuso e su malferme mere finalità soggettive, accentuava per i pubblici operatori i rischi di iniziative giudiziarie arbitrarie, così da rallentare, se non talora paralizzare, l’azione amministrativa».
651 P.PISA, Abuso di ufficio, postilla di aggiornamento, in A.A.V.V., Enciclopedia Giuridica Treccani, agg.,
1997, p. 1; V. anche A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso d’ufficio, op. cit., p. 106.
tecnica”, ma una vera e propria “scelta di politica criminale”, per rendere l’ambito della
discrezionalità amministrativa inattaccabile da parte degli altri poteri
652.
Con la legge 16 luglio 1997, n. 234 si assiste allora a una totale riscrittura dell’art. 323 c.p.,
comportante una maggiore tipizzazione dell’illecito, che pur continuando a essere rubricato
“abuso d’ufficio”, perde il richiamo all’abuso nel precetto (sostituito da una più dettagliata
descrizione della condotta come “violazione di norme di legge o di regolamento” o di
“dovere di astensione”), diventa un reato di evento (dando rilievo alla produzione di un
danno o vantaggio patrimoniale ingiusto), e si arricchisce dell’elemento del dolo
intenzionale
653.
E con tale intervento si chiude la parabola dell’abuso d’ufficio fino ai giorni nostri, al netto
degli interventi sul piano sanzionatorio operati dalla Legge n. 190/2012.
Possiamo allora evidenziare come, nel suo cammino, l’abuso innominato abbia finito per
cedere il passo a un abuso «nominato e tipico»
654, che continua a chiamarsi “abuso” nella
rubrica della disposizione
655, ma ha perso ogni riferimento all’abuso nel precetto, nel quale
rileva, piuttosto, una condotta di violazione intenzionale di un parametro (norma di legge,
regolamento, dovere di astensione), che produce un evento.
Dovendo trarre un bilancio degli insegnamenti emergenti dal percorso a tappe dell’abuso
d’ufficio, ci sembra anzitutto che l’esigenza di intervenire sull’art. 323 c.p., cercando di
renderlo sempre più determinato, confermi l’assunto posto in premessa, e cioè che l’abuso
non può avere una rilevanza penale assoluta, sciolta dalla descrizione di specifici elementi
di disvalore e da contrappesi che importino determinatezza alla fattispecie.
Al contempo, la storia dell’abuso innominato dimostra che, più si descrivono nello
specifico tali elementi di disvalore, più l’abuso penalmente rilevante tende a svuotarsi
dall’atipicità caratteristica dell’abuso extra-penale, e a trasfigurare nell’illecito, nella
violazione di parametri.
Così è avvenuto per l’art. 323 c.p., nel quale, come si è detto, del concetto di abuso l’art.
323 c.p. resta traccia solo in rubrica.
652 Così A.MERLI, Il controllo di legalità dell’azione amministrativa e l’abuso di ufficio, in Diritto Penale
Contemporaneo, 16.11.2012, p. 3, che parla di una «vera e propria crociata per impedire una eccessiva concentrazione del potere nelle mani dei giudici e garantire l’autonomia dell’amministrazione».
653 V. A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso d’ufficio, op. cit. 654 M.ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, op. cit., p. 262.
655 Il riferimento alla permanenza dell’elemento dell’abuso nella rubrica dell’art. 323 c.p. è presente in A.
MERLI, Il controllo di legalità dell’azione amministrativa e l’abuso di ufficio, op. cit., p. 17. Tale situazione è oggetto di approfondita riflessione, all’interno del più ampio discorso sul ruolo delle rubriche delle disposizioni nel diritto penale e il loro contributo nella selezione dei fatti penalmente rilevanti, nella monografia in corso di elaborazione di C.SOTIS, Il limite, il senso, il senso de limite. Uno studio sulla tipicità penale.
Proprio questo dato, tuttavia, non va sottovalutato, anzi: il fatto che il reato continui a
chiamarsi “abuso d’ufficio” (e non “illegittimo esercizio del potere d’ufficio” o simili), ha
un suo peso importante nell’interpretazione della norma
656.
In altre parole: se il legislatore auspicava che la norma operasse una metamorfosi giuridica,
per cui l’abuso innominato avrebbe dovuto lasciare il posto alla pena per una secca
violazione intenzionale di norme e di doveri di astensione, nel lungo periodo, si è avverata
piuttosto una metempsicosi, per cui l’anima della vecchia fattispecie di abuso innominato è
trasmigrata nel “nuovo” art. 323 c.p.
Tanto si evince, appunto, sul piano ermeneutico: mentre è pacifica la riconduzione all’art.
323 c.p. di comportamenti contrari a regole, che potrebbero essere qualificati
semplicemente come “illeciti” extra-penali, si ha difficoltà, ma contemporaneamente
esigenza, di ricondurre alla fattispecie quei comportamenti che esprimono i significati
medianti i quali nella teoria generale e nel diritto civile si è soliti spiegare l’abuso, cioè lo
sviamento di potere o la violazione delle norme di principio.
Così, infatti, la possibilità di punire ex art. 323 c.p. condotte di uso improprio dei poteri
d’ufficio è al centro, da anni, del dibattito sulla riconducibilità alla norma, in presenza
degli altri elementi richiesti, degli atti affetti da c.d. eccesso di potere, vizio amministrativo
che accoglie la figura sintomatica dello sviamento di potere. Parimenti controversa è la
possibilità di interpretare la “violazione di norme di legge” come “violazione di norme
costituzionali”, in primis dell’art. 97 Cost.
I termini di tali questioni possono essere così brevemente riassunti.
Come è noto, a ridosso della Riforma del 1997, l’opinione dominante di dottrina e giurisprudenza657, avallata anche dalla Corte Costituzionale658, è andata nel senso di ritenere sussumibili nell’art. 323 c.p. le condotte che sfociassero in un provvedimento affetto dai vizi amministrativi di violazione di legge e di incompetenza (in quanto anche quest’ultima avrebbe comportato la violazione della norma attributiva del potere) ma non anche di eccesso di potere659, che invece era la situazione più affine all’abuso funzionale presente negli
antecedenti normativi del 1990 e del 1930 660.
656 A.MERLI, Il controllo di legalità dell’azione amministrativa e l’abuso di ufficio, op. cit., p. 17. 657 V. ad esempio Cass. Pen., 17.02.1998, n. 4075; Cass. Pen., 16.12.2002, n.1761.
658 V. C. Cost. n. 447/1988.
659 M.LOMBARDO, Il «nuovo» abuso d’ufficio e l’eccesso di potere, in Rivista Amministrativa, 2004, p. 592. 660 V. ad esempio F.INFANTINI, Abuso innominato d’ufficio, in A.A.V.V., Enciclopedia Giuridica, Torino,
1988, p. 4: «ci corre l’obbligo di precisare che l’abuso funzionale concretamente assumerà sempre la connotazione tipica dell’eccesso o dello sviamento di potere, ove si strumentalizzino i poteri o si sfrutti l’ufficio per arrecare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio».
Tanto viene affermato sulla base di plurime valutazioni, tra le quali più frequentemente si invocano l’espressa volontà storica del legislatore661 e la necessità di un sicuro regolamento di confini tra intervento penale e azione amministrativa662, per evitare alla magistratura di esercitare un «preteso (ancorché inesistente) potere di controllo e di indirizzo sull’esercizio della funzione amministrativa663».
Secondo altre posizioni, almeno in un primo momento minoritarie in dottrina, ma che trovano più spazio in giurisprudenza664, ed anche l’appoggio delle Sezioni Unite665, l’art. 323 c.p. non alluderebbe al vizio di
violazione di legge nel senso tecnico del diritto amministrativo, ma piuttosto alla violazione di norme, da rintracciarsi in leggi o regolamenti, e dunque al mancato rispetto di una gerarchia di fonti del diritto666. Tanto consentirebbe di dar rilievo, come condotta abusiva, anche a quelle forme di eccesso di potere, oggi peraltro riconducibili a violazioni della Legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990, come la violazione dei principi dell’attività amministrativa (art. 1), l’assenza di motivazione (art. 3), e, soprattutto, ai comportamenti tenuti in violazione del buon andamento e dell’imparzialità dell’attività amministrativa tutelati dall’art. 97 Cost.667.
Chi aderisce alla tesi della rilevanza delle violazioni dell’art. 97 Cost., o dell’eccesso di
potere osserva come, escludendo dall’art. 323 c.p. proprio quei comportamenti che non
appaiono ictu oculi illeciti, si arriverebbe a una normativa irrazionale che priverebbe di
661 M.ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, op. cit., pp. 260 ss. ricorda come l’intenzione
soggettiva del legislatore sia criterio interpretativo di primo piano non eludibile in mancanza di chiare indicazioni contrarie; ricorda in particolare come i sostenitori dell’esclusione dell’eccesso di potere traggano argomento dal fatto che nel corso dei lavori parlamentari fu rigettato l’emendamento proposto in sede di Commissione Giustizia di aggiungere al testo della norma, dopo le parole «leggi e regolamenti», anche «l’agire con manifesto ed oggettivo sviamento di potere» (p. 261).
662 A.M.STILE,C.CUPIELLI, Abuso d’ufficio, op. cit., p. 39.
663 R.RIZ, L’abuso d’ufficio nella pianificazione urbanistica, in A.A.V.V., Studi in ricordo di Giandomenico
Pisapia, I, Milano, 2000, p. 882
664 V. Cass. Pen., 11.03.2005 n. 12196; Cass. Pen. 18.10.2006, n. 38965, che danno rilievo alla condotta
dell’agente che contraddice il fine perseguito dalla norma.
665 Cass. Pen., S.U., 10.01.2012, n. 155, che dà precipuo rilievo allo sviamento di potere, affermando «per
qualsivoglia pubblica funzione autoritativa, in tanto può parlarsi di esercizio legittimo in quanto tale esercizio sia diretto a realizzare lo scopo pubblico in funzione del quale è attribuita la potestà, che del potere costituisce la condizione intrinseca di legalità. Secondo la giurisprudenza nettamente prevalente di questa Corte, si ha pertanto violazione di legge, rilevante a norma dell’art. 323 c.p., non solo quando la condotta di un qualsivoglia pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere (profilo della disciplina), ma anche quando difettino le condizioni funzionali che legittimano lo stesso esercizio del potere (profilo dell’attribuzione), ciò avendosi quando la condotta risulti volta alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è conferito. Anche in questa ipotesi si realizza un vizio della funzione legale, che è denominato sviamento di potere e che integra violazione di legge perché sta a significare che la potestà non è stata esercitata secondo lo schema normativo che legittima l’attribuzione».
666 A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso di ufficio, op. cit., p. 108. 667 Ibidem. In giurisprudenza attribuisce carattere precettivo al principio di imparzialità dell’art. 97 Cost.
Cass. Pen., 6.08.2013, n. 34086, e richiama invece il principio di imparzialità dell’art. 111 c. 2 Cost. Cass. Pen., 15.03.2013, n. 12370 in tema di distribuzione interna di procedure fallimentari all’interno di un ufficio giudiziario.
tutela penale proprio i comportamenti di sfruttamento del potere pubblico più insidiose,
che maggiormente la richiederebbero
668.
Si finisce insomma per cadere in un conflitto tra quanto suggerito da una interpretazione
letterale stretta della fattispecie, conforme alla volontà storica del legislatore, per cui la
violazione di norme di legge e di regolamento e di doveri di astensione è trasgressione di
regole positive, e un’interpretazione letterale estensiva in cui “violazione di norme di
legge” significa anche “violazione di norme di legge costituzionale”, e dunque di principi.
Quest’ultima, a ben vedere, è anche, e soprattutto, un’interpretazione teleologica, che sa
che la norma penale mira a punire gli abusi d’ufficio e a tutelare i valori dell’art. 97
Cost.
669.
Inquadrando così il problema, ci sembra anzitutto che possa ridimensionarsi l’attenzione
profusa intorno alla rilevanza del vizio amministrativo di “eccesso di potere”, la cui
presenza è, a limite, un sintomo della condotta sviata del pubblico ufficiale, che è oggetto
principale di interesse del diritto penale.
Sebbene sia indubbio, come già detto, che tale vizio amministrativo sia stato espressamente preso in considerazione, e scartato dalla portata della norma, nel corso dei lavori parlamentari, a nostro avviso continuare a impostare il problema della portata dell’abuso d’ufficio rispetto all’eccesso di potere è fuorviante.
Anzitutto, non è corretto ritenere che, non comprendendo nell’abuso d’ufficio le ipotesi di eccesso di potere, il giudice sia al riparo da tentazioni di sindacato del merito amministrativo, posto che l’eccesso di potere rappresenta comunque un vizio di legittimità dell’atto, e non di opportunità670. Semmai escludere l’eccesso di potere dai vizi sindacabili dell’atto può servire per escludere l’abuso d’ufficio in presenza di attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, e ammetterlo solo per l’attività vincolata671, ma anche tale strada non è percorribile laddove, ragionando in termini amministrativisti, vizi amministrativi di violazione di legge e di incompetenza sono possibili in presenza di entrambe le attività.
668 A.PAGLIARO, L’antico problema dei confini tra eccesso di potere e abuso di ufficio, op. cit., p. 109; C.F.
GROSSO, Condotte ed eventi del delitto di abuso d’ufficio, op. cit., p. 637 e p. 645.
669 Il problema interpretativo sottostante l’art. 323 c.p. viene ben spiegato da C.F.GROSSO, Condotte ed
eventi del delitto di abuso d’ufficio op. cit., pp. 637 ss.
670 M. LOMBARDO, Il «nuovo» abuso d’ufficio e l’eccesso di potere, op. cit., pp. 597 e 598 chiarisce
plasticamente l’equivoco: «Il sindacato sull’eccesso di potere non è un sindacato sul merito. Il primo è un sindacato estrinseco o indiretto sull’esercizio del potere, è un controllo volto a verificare il rispetto dei limiti interni all’esplicazione della funzione amministrativa (controllo sull’accettabilità logica della scelta). Si tratta, in altri termini, di un sindacato di legittimità non involgente il merito, e quindi il risultato dell’azione amministrativa, ma solo il logico e ragionevole dispiegarsi del potere della Pubblica Amministrazione. Il secondo è un sindacato intrinseco, direttamente involgente il risultato dell’azione amministrativa, volto a stigmatizzarne l’eventuale inopportunità (controllo sull’accettabilità politico-amministrativa della scelta)».
671 Considera tale distinzione, ma per escluderla, C.F. GROSSO, Condotte ed eventi del delitto di abuso
D’altra parte, ragionando in termini di vizi amministrativi, appare quantomeno singolare ammettere che l’art. 323 c.p. possa inglobare sia ipotesi di “violazione di legge” e “incompetenza” anche marginali, e, al contempo, lasciare fuori lo sviamento di potere, se non nei casi in cui a esso sia correlata la violazione di un dovere di astensione.
Solo togliendo gli occhiali dell’amministrativista la contrapposizione avvertita dall’interprete in seno alla norma appare per quella che è: una contrapposizione tra violazioni di regole (di legge, di regolamenti, di doveri espressi di astensione), capace di essere riscontrata e accertata dal giudice, e violazione di principi, che richiedono un giudizio di valore e una ponderazione degli interessi in gioco672.
In questo senso, condividiamo l’opinione di chi ha rilevato che abusività e illegittimità sono e restano categorie distinte, poiché la prima attiene all’esercizio del potere, la seconda alle caratteristiche dell’atto673, e
che le categorie dei vizi dell’atto amministrativo sono estranee al lessico e ai concetti penalistici674.
Il diritto penale non si interessa tanto della legittimità dell’atto amministrativo, di cui si preoccupa piuttosto la giustizia amministrativa, quanto della condotta dell’agente675.
Un interesse del diritto penale alla legittimità dell’atto amministrativo potrebbe essere presente solo se si ritenesse, in un’ottica di extrema ratio, che l’offesa penalmente rilevante al buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione sia unicamente quella prodotta dall’adozione di un atto viziato. Questo tuttavia è palesemente contraddetto dall’esistenza di reati, come la corruzione impropria (art. 318 c.p.), ove è pacifico che possa esservi rilevanza penale della condotta del funzionario, e dunque offesa per i valori di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, anche in presenza di un’attività fisiologica dell’ufficio (in tal caso, fatta oggetto di mercimonio).
Spostando l’attenzione sulla condotta del funzionario, si dovrebbe semmai aprire una riflessione intorno, più che alla legittimità dell’atto, alla responsabilità amministrativa e civile del funzionario, ritenendo questa come uno standard minimo in assenza del quale sarebbe illogico pretendere una responsabilità penale del soggetto, o meglio, un punto di partenza dal quale selezionare, per aggiunta di elementi di disvalore, la responsabilità penale676 .
672 Tale chiave di lettura è offerta da V.MANES, Abuso d’ufficio, violazione di legge ed eccesso di potere, in
Il Foro Italiano, 1998, p. 391, che rileva come la concretizzazione del parametro violato dalla condotta del pubblico ufficiale a partire dall’art. 97 Cost. darebbe luogo a «quelle ipotesi di supplenze giudiziarie che si appellino per saltum alla Costituzione e che almeno in parte hanno contribuito a rendere manifesta l’urgenza di una riforma della norma sull’abuso d’ufficio». V, anche M. ROMANO, I delitti contro la pubblica
amministrazione, op. cit., p. 265 distingue, per la rilevanza della violazione ex art. 323 c.p., tra «regole dal contenuto circoscritto e puntuale, tale da consentire una tendenzialmente agevole, se non diretta, verifica della loro trasgressione» e «pur importanti ma generici principi».
673 V. F.INFANTINI, Abuso innominato d’ufficio, op. cit., p. 4.
674 Così V.MANES, Abuso d’ufficio, violazione di legge ed eccesso di potere, op. cit., p. 391.
675 Rileva M.LOMBARDO, Il «nuovo» abuso d’ufficio e l’eccesso di potere, op. cit., p. 601 che il giudizio
penale si preoccupa di una condotta, la cui tipicità non è necessariamente legata all’adozione di un atto amministrativo, e dell’atteggiamento psicologico del funzionario, e si disinteressa dell’atto viziato, mentre il giudizio amministrativo è volto alla rimozione dell’atto illegittimo, e si disinteressa della condotta e dell’animus del funzionario, se non per l’eventuale profilo risarcitorio addebitabile a questi.
676 Tanto nella consapevolezza che «la costruzione e la descrizione dell’illecito penale mediante concetti non
penalistici riduce la tipicità, che è il principale momento di selezione dei fatti significativi, a una “categoria esangue” incapace di segnare la distinzione tra illecito penale ed extra-penale». Così V. MANES, Abuso d’ufficio, violazione di legge ed eccesso di potere, op. cit., p. 394.
La questione centrale è dunque se possa rilevare, ai fini dell’abuso d’ufficio, la violazione
della norma di legge dell’art. 97 Cost.
Ed ecco così che ritroviamo, nel diritto penale, quell’attitudine dell’abuso, a sindacare
condotte, non violative di alcuna regola espressa, alla luce dei principi del settore in cui si
esplicano, che consentono di ricostruire quei limiti interni che, re melius perpensa,
appaiono violati.
Indiscusso che l’art. 97 Cost. sia una norma di legge, come si è anticipato, la possibilità
della sua rilevanza ai sensi dell’art. 323 c.p. viene da taluni negata, ad esempio, ponendo
l’accento sulla necessità di un’integrazione del reato in modo sufficientemente
determinato
677, e da altri sostenuta, argomentando che l’art. 97 Cost. impone un dovere di
imparzialità della Pubblica Amministrazione tutt’altro che vago, e dunque non in contrasto
con il principio di determinatezza delle norme penali
678.
Tale contrapposizione risente, a ben vedere, del confronto tra modi diversi di intendere l’interpretazione delle norme penali, tra l’adesione alla priorità e preminenza di un criterio di interpretazione letterale679 e il
riconoscimento dell’importanza di un’interpretazione teleologica/tipologica680, sul presupposto esplicito che
«in materia penale, da un punto di vista ermeneutico, non si tratta tanto di stare dentro o fuori la lettera della legge, quanto piuttosto di stare dentro o fuori il tipo criminoso legalizzato»681.
677 Così ad esempio A. M.STILE,C.CUPIELLI, Abuso d’ufficio, op. cit., p. 42.
678 M.PARODI GIUSINO, Aspetti problematici della disciplina dell’abuso di ufficio in relazione all’eccesso di
potere ed alla discrezionalità amministrativa, op. cit., p. 906.
679 V. D.PULITANÒ, Sull’interpretazione e gli interpreti della legge penale, in E.DOLCINI,C.E.PALIERO (a
cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, pp. 664 ss.: «La dottrina penalistica sottolinea la priorità e la preminenza del criterio dell’interpretazione letterale: i significati attribuibili al testo normativo rappresentano per l’interprete un limite invalicabile (…) La maggior parte dei grandi problemi dei diritto penale riguardano questioni al confine: non il nucleo degli istituti, ma punti in cui il diritto, con le sue