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Intervento alle ispezione ed esame dell’oggetto ispezionato.

1. Acquisizione di documentazione

L’attività difensiva che si esplica attraverso forme reali di investigazione suscita per definizione minori ansie da inquinamento di quelle riscontrate in campo dichiarativo, trattandosi di tipico potere di ricerca unilaterale della prova estraneo a qualsiasi dimensione

leto sensu creativa: l’elemento reale, segnatamente il documento, rappresenta una prova

ontologicamente precostituita, secondo l’accezione che il codice riserva a tale espressione per indicare l’atto che è stato formato – e, quindi, documentato – al di fuori del procedimento. Nel rapporto con esso, il difensore aspira a essere solo un bravo inquirente che indagando se lo procura, poiché non gli compete formare il documento, ma semplicemente trovarlo.

Proprio «ai fini delle indagini difensive» il difensore può chiedere alla pubblica amministrazione i documenti in suo possesso, da cui estrarre copia a sue spese (art. 391

quater comma 1 c.p.p.). Non è casuale l’inciso iniziale, poiché un’istanza così intitolata, da

rivolgere «all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente» (art. 391 quater comma 2 c.p.p.) può schiudere al difensore prerogative diverse e ulteriori rispetto a quelle di cui beneficia quale quisque de populo in forza dell’art. 22 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e del generale diritto di accesso ai documenti amministrativi ivi riconosciuto «a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti».

Invero, l’istanza investigativa risulta per così dire «qualificata» dalla sua specifica funzione di strumento collegato all’indagine difensiva, tanto che alla sua presentazione può dirsi legittimato unicamente il difensore, ovvero – nonostante l’omessa esplicita menzione – il sostituto incaricato, quanto meno in virtù della generale equiparazione ai diritti e doveri del difensore sancita dall’art. 102 c.p.p299. La richiesta non soffre limitazioni di

299 In senso conforme, SPANGHER, I profili soggettivi, cit., p. 155; TRANCHINA, L’investigazione difensiva, cit., p. 168; TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, cit., p. 343. Limitano l’attività in questione al solo difensore IADECOLA, Le nuove indagini investigative da parte dell’avvocato, in Giur. merito, 2001, p. 565; GUALTIERI, Le

carattere temporale né soggiace a particolari oneri di forma, essendo rimesso al prudente apprezzamento del difensore il grado di precisione con cui fornire le informazioni attestanti la propria veste e i contorni dell’incarico procedimentale ricevuto, sì da temperarlo con eventuali superiori esigenze di riservatezza attinenti alle indagini che sta svolgendo300.

Il rischio di una carenza di motivazione risiede, all’evidenza, nel rifiuto che la pubblica amministrazione potrebbe opporre alla richiesta del difensore, provocando così l’eventuale applicazione delle «disposizioni degli articoli 367 e 368» del codice di rito (art. 391 quater comma 3 c.p.p.). Tramite il detto rinvio, quindi, si riconosce espressamente il potere del difensore di chiedere l’apposizione del vincolo di sequestro sui documenti, di cui l’amministrazione ha impedito l’ostensione, al pubblico ministero il quale, in caso di mancato accoglimento, trasmette con il proprio parere l’istanza al giudice per le indagini preliminari per la decisione301. Trattasi di procedura de plano non assistita da termini perentori né ordinatori, il cui unico tratto innovativo pare cogliersi nella possibilità di sollecitare il provvedimento cautelare anche al di fuori delle ipotesi che ordinariamente ne consentirebbero l’emissione, vale a dire anche nei casi in cui il documento non costituisca corpo del reato né cosa pertinente al reato302.

L’effetto mediato, sicuramente apprezzabile, risiede nel procedimentalizzare l’eventuale rifiuto, che non si espone più alla sola critica innanzi agli organi di giustizia amministrativa ex art. 25 della l. n. 241 del 1990, ma riceve trattazione immediata con possibili risvolti coattivi in seno al medesimo procedimento penale, assumendo un valore significativo, in caso di diniego giurisdizionale, quale possibile motivo di doglianza futura in punto di ammissione della prova, da fare valere in sede di impugnazione.

La carenza normativa, peraltro, si avverte con riguardo al diritto di accesso ai documenti detenuti da soggetti privati – particolarmente delicato in ipotesi di indagini presso istituti di credito – rispetto ai quali il difensore è sprovvisto di qualsiasi strumento

VENTURA, Le indagini difensive, cit., p. 124.

300 Per tali ragioni, pur comprendendo la ragione sottostante di accrescere le probabilità di accoglimento del’istanza presentata, non pare doversi riconoscere eccessiva perentorietà alle indicazioni variamente provenienti dalla dottrina in ordine alla esibizione del mandato professionale, alla indicazione del procedimento pendente in corso, all’esplicazione dell’oggetto di questo nonché ai motivi di rilevanza del documento richiesto. Ritengono “opportuni” simili accorgimenti, pur con diversità di accenti, BOVIO,

L’attività espletabile, cit., p. 198; GUALTIERI, Le investigazioni del difensore, cit., p. 173; TRIGGIANI,

L’investigazione difensiva, cit., p. 344; VENTURA, L’indagine difensiva, cit., p. 126.

301 Cfr. DI CHIARA, Le linee prospettiche del “difendersi ricercando”, cit., p. 17, che osserva la scarsa rilevanza della novità introdotta, potendo il difensore attivare la medesima procedura già prima dell’introduzione dell’espressa previsione, in forza degli stessi artt. 367 e 368 c.p.p.

per superare l’ostacolo derivante dall’eventuale opposizione del rifiuto303. In simili evenienze potrà comunque farsi ricorso alla richiesta di sequestro a norma degli artt. 367 e 368 c.p.p. la quale, tuttavia, sarà in tal caso degna di accoglimento soltanto allorché il documento di cui si pretende l’apprensione sia anche corpo del reato ovvero cosa pertinente al reato.

Nel complesso, la disciplina approntata appare insufficiente sotto il profilo della tutela delle prerogative difensive e, al contempo, fatalmente anacronistica laddove ripropone gli echi della teoria della canalizzazione, per cui i risultati dell’indagine del difensore devono passare al setaccio dell’accusatore. Difatti, in ipotesi di accoglimento della richiesta di sequestro, l’atto originariamente difensivo diviene a tutti gli effetti di titolarità del pubblico ministero, nel cui fascicolo dovrà confluire il verbale e il documento sequestrato, con palese rischio per il difensore che non abbia potuto preventivamente prenderne visione: anche laddove esso contenesse elementi sfavorevoli al proprio assistito, il legale non potrà opporsi alla sua acquisizione agli atti del procedimento.

A fronte di un dovere di anticipata discovery, non assistita da garanzie di accoglimento e con il pericolo di controindicazioni, quindi, preferibile sarebbe stato prevedere un’unica richiesta del difensore da sottoporre direttamente al giudice senza l’interpello del pubblico ministero, finalizzata a ottenere non tanto un rituale sequestro del documento – che necessariamente avrebbe chiamato in causa l’accusatore, unico titolare del potere di apporre il vincolo probatorio o di chiedere al giudice quello cautelare – bensì semplicemente l’ordine di esibizione in favore del difensore, con diritto di prenderne visione ed estrarne copia.

2. Accesso ai luoghi

Un’incisiva forma reale di investigazione è quella che si esercita attraverso il potere di sondare la scena del crimine, riconosciuto espressamente a tutti i potenziali soggetti legittimati all’indagine «per prendere visione dello stato dei luoghi o delle cose» ovvero «per procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi» con riferimento sia ai luoghi pubblici o aperti al pubblico (art. 391 sexies c.p.p.) sia a quelli privati o non aperti al pubblico (art. 391 septies c.p.p.).

303 Nell’omissione in parola si intravvede un’irragionevole diversità di trattamento rispetto alla disciplina dettata con riferimento al diritto di accedere ai luoghi privati o non aperti al pubblico, sulla quale cfr. infra, § 2.

Nella prima ipotesi, invero, trattandosi di luoghi normalmente accessibili a un numero indeterminato di persone senza alcuna limitazione (luoghi pubblici) ovvero rispettando determinate fasce orarie e condizioni (luoghi aperti al pubblico) non si pongono problemi in ordine al permesso di farvi ingresso, potendo anche l’inquirente privato avervi accesso in presenza dei medesimi presupposti valevoli per la collettività. Nondimeno, allorché l’ambiente considerato sia stato teatro di una vicenda criminosa o si presenti a questa altrimenti connesso, è possibile che l’autorità procedente provveda a isolare la zona e a vietarne l’accesso, di tal che, proprio in simile evenienza, il difensore diviene un soggetto qualificato che vanta uno speciale diritto di ingresso per compiere le attività di osservazione e studio che la legge processuale gli consente304.

Pur in assenza di precise regole operative sul punto, è appena il caso di sottolineare il dovere, nell’accedere ai luoghi, di procedere con la massima cautela per non pregiudicarne lo stato, «procurando che nulla sia mutato, alterato o disperso»305. D’altra parte, è altamente probabile che l’attività inquirente del difensore possa intersecarsi con quella dell’autorità procedente, segnatamente della polizia giudiziaria, tenuta – a norma dell’art. 354 c.p.p. – a curare che «che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non venga mutato» (comma 1), ovvero a compiere «i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi o delle cose» se «vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino» (comma 2). A tale riguardo, non pare doversi riconoscere eccessivo peso alla circostanza che il potere conservativo-accertativo della polizia giudiziaria sia accordato espressamente in via preliminare all’intervento diretto del pubblico ministero, onde sostenerne una minore estensione – e quindi un minore rischio di sovrapposizione – rispetto all’attività investigativa difensiva306; invero, è evidente che dopo l’intervento del magistrato la polizia giudiziaria sarà gravata dai medesimi doveri, benché sotto la direzione del pubblico ministero titolare delle indagini, cui compete fornire le relative istruzioni operative. Piuttosto, è verosimile che l’attività dell’inquirente pubblico e dei suoi collaboratori goda

304 Chiaramente, tale diritto incontra un limite nella preventiva apposizione dei sigilli indicanti il sequestro operato dall’autorità procedente. In tale evenienza, non appare sufficiente invocare la prerogativa sottesa al diritto di accedere ai luoghi. Piuttosto, il difensore dovrà richiamarsi alle norme dettate in materia di sequestro onde rivolgere un’istanza al pubblico ministero finalizzata a ottenere la temporanea rimozione dei sigilli per il tempo necessario all’accesso ovvero – qualora oggetto di sequestro non sia il luogo, bensì un bene ivi situato – avvalersi degli strumenti predisposti per l’esame delle cose sequestrate, a norma del novellato art. 233 commi 1 bis e 1 ter c.p.p. (cfr. infra, § 7).

305 Cfr. art. 14 comma 1 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007.

di una corsia preferenziale allorché si presenti in concomitanza a quella difensiva, dovendosi riconoscere prevalenza alle funzioni di polizia giudiziaria volte a «prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale» (art. 55 comma 1 c.p.p.), non fosse altro per il potere di sequestrare il corpo del reato e le cose a questo pertinenti, «se del caso» (art. 354 comma 2 c.p.p.)307. Al più, il problema operativo potrebbe presentarsi in ipotesi di investigazioni difensive preventive, allorché il difensore – contattato tempestivamente dall’autore vero o presunto del reato – si rechi sul luogo del delitto quando ancora la notizia del fatto non è giunta alle autorità inquirenti pubbliche – verso le quali non è neppure gravato dall’obbligo di denuncia ex art. 334 bis c.p.p. – potendo operare su di una scena del crimine immacolata. A ben vedere, tuttavia, le regulae agendi di correttezza e precisione impongono di astenersi da qualsiasi operazione che possa in qualche modo alterare lo stato dei luoghi o delle cose, dovendo il difensore muoversi con la delicatezza necessaria a non incorrere nel reato di frode processuale (art. 374 c.p.) ovvero di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), delitti che – richiedendo il dolo dell’autore – non forniscono però alcuna garanzia di salvaguardia dell’ambiente rispetto a condotte imprudenti o imperite.

Le prescrizioni di metodo appena vagliate conservano identico valore anche in ipotesi di accesso ai luoghi adoperati per lo svolgimento di attività privata, anche in modo transitorio o contingente (luoghi privati) ovvero a quelli non aperti al pubblico (quali la maggior parte dei luoghi appartenenti alle pubbliche amministrazioni), dove l’investigatore di parte è ammesso senz’altro se vi è il consenso della persona che ne ha la disponibilità308. In difetto, l’art. 391 septies comma 1 c.p.p. conferisce al difensore espressamente – e al suo sostituto in forza dell’art. 102 c.p.p.309 – il potere di farsi autorizzare dal giudice, con

307 In senso conforme, TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, cit., p. 356.

308 Cfr. art. 14 comma 2 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che prevede la formulazione di taluni avvertimenti preliminari all’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico, segnatamente che «i soggetti della difesa, nel richiedere il consenso di chi ne ha la disponibilità, lo avvertano della propria qualità, della natura dell’atto da compiere e della possibilità che, ove non sia prestato il consenso, l’atto sia autorizzato dal giudice». Tale ultima prescrizione rende impraticabile, sotto il profilo deontologico, la prospettiva delineata in dottrina per cui l’autorizzazione del giudice potrebbe essere richiesta pure in via preventiva, senza verificare previamente la disponibilità del titolare del luogo, onde evitare che – nelle more dell’autorizzazione “successiva” – costui possa alterare, per qualsiasi ragione, lo stato dei luoghi. In questo senso, cfr. GUALTIERI, Le investigazioni del difensore, cit., p. 182; VENTURA, Le indagini difensive, cit., p. 110. La regola di comportamento sopra richiamata, difatti, rende deontologicamente scorretto un accesso autorizzato a sorpresa.

decreto motivato che enuncia altresì le modalità operative dell’accesso. Nondimeno, non è previsto né un termine per la decisione, né tanto meno uno strumento di impugnazione avverso l’eventuale diniego giudiziale, dato ultimo che profila sospetti di incostituzionalità della disciplina per quanto attiene all’esercizio del diritto alla prova garantito dall’art. 111 comma 3 Cost. Di contro, la norma si fa carico di tutelare la persona che abbia la disponibilità del luogo privato, prevedendo il suo diritto di farsi assistere da persona di fiducia, purché soddisfi i requisiti fissati in generale dall’art. 120 c.p.p. con riferimento a taluni divieti a intervenire come testimoni ad atti del procedimento in ragione dell’età ovvero di particolari condizioni psicofisiche o giuridiche (art. 391 septies comma 2 c.p.p.).

Parzialmente divergente è la disciplina concernente l’accesso a quella particolare

species di luoghi privati rappresentati dai luoghi di abitazione e loro pertinenze, che la

legge dichiara non consentito «salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato» (art. 391 septies comma 3 c.p.p.). La formulazione della disposizione in termini negativi – «non è consentito (…) salvo che» – potrebbe indurre a ritenere che sia sempre necessario un provvedimento autorizzativo del giudice che, verificando la presenza del presupposto di legge – necessità di accertare tracce ed effetti materiali del reato – rimuova il divieto legale di accedere ai luoghi di abitazione310. Nondimeno, la ravvisata esigenza di tutelare il domicilio privato e le sue pertinenze – libertà inviolabile ai sensi dell’art. 14 Cost. – non pare porsi laddove lo stesso soggetto titolare di quel diritto inviolabile presti il consenso all’altrui introduzione, dovendosi rilevare come l’invocato provvedimento giudiziale di autorizzazione si renda necessario soltanto allorché quel consenso difetti, rendendo coattivo311 l’atto di accesso.

Si coglie, da ultimo, una differente legittimazione temporale ad accedere ai luoghi, rispettivamente, pubblici e aperti al pubblico ovvero privati, essendo estesa, la prima, a tutto l’arco temprale delle indagini difensive, rimanendo esclusa, la seconda, in sede di indagini preventive allorquando difetti il consenso dell’avente diritto.