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98 Cfr. Cass., Sez. I, 5 giugno 1992, Padovani, cit., in motivazione.

99 Per una rassegna delle diverse opinioni sul punto, cfr. PERONI, Commento all’art. 38 disp. att. c.p.p., cit., p. 634 e ss.

100 Favorevole alla soluzione DOMINIONI, Le investigazioni del difensore, cit., p. 24 e ss. Contra, FREDAS, Il

difensore e gli eventuali testimoni nelle indagini preliminari, in Cass. pen., 1989, p. 2283 e ss.; SCELLA,

Questioni controverse, cit., p. 1181.

101 Cfr. TONINI, Il valore probatorio dei documenti contenenti dichiarazioni scritte, in Cass. pen., 1990, p. 2212 e ss.

Pur snodandosi attraverso diversificate proposte di riforma dai contenuti variamente articolati103, la novella tanto attesa preferiva seguire la strada dell’innesto nel tessuto normativo già sperimentato e, pertanto, provvedeva ad aggiungere due nuovi commi alla disposizione di attuazione tacciata di reticenza. L’operazione si inseriva nel più vasto contesto delle “Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”, voluminoso titolo che identificava la discussa l. 8 agosto 1995, n. 332104, il cui art. 22 integrava il contenuto dell’art. 38 disp. att. c.p.p. prevedendo che «il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa può presentare direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare» (comma 2 bis) e che «la documentazione presentata al giudice è inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia, se la persona sottoposta alle indagini ne richiede la restituzione» (comma 2 ter). Le disposizioni di nuova fattura, sorte come reazione forte alla teoria giurisprudenziale della “canalizzazione”, sortivano senz’altro l’effetto sperato di chiarire il potere di presentazione diretta al giudice da riconoscersi al difensore, lasciando assolutamente in ombra, tuttavia, i temi della tipizzazione delle attività espletabili dal difensore, delle forme di loro documentazione nonché dei regimi di utilizzazione, sui quali le disposizioni citate serbavano un misterioso silenzio. Ed invero, se la via della necessaria previsione legale era

103 In particolare, si segnala il progetto elaborato dalla Commissione ministeriale incaricata di emanare disposizioni correttive e integrative entro tre anni dall’entrata in vigore del nuovo codice di rito ai sensi dell’art. 7 della l. delega 16 febbraio 1987, n. 81, in merito alla quale cfr. FRIGO, Quale destino per le indagini

difensive?, cit., p. 39 e ss. Degno di nota altresì il progetto di legge predisposto dall’Unione delle Camere

Penali italiane del 1993, il cui testo definitivo, formulato il 2 maggio 1994 (pubblicato, con la Relazione di accompagnamento in Arch. pen., 1994, p. 250 e ss.), è confluito nel d.d.l. S 1016, presentato in Senato il 14 ottobre 1994, sul quale cfr. PRIOTTI, Le investigazioni difensive: la conclusione di una storia infinita, in

Quest. giust., 2001, p. 53 e ss. Per una panoramica di sintesi dei contenuti delle citate proposte, cfr. TRIGGIANI,

Le investigazioni difensive, cit., p. 46 e ss.

104 Per il travagliato iter parlamentare della legge in parola, cfr. in sintesi TRIGGIANI, Le investigazioni

difensive, cit., p. 52, nt. 81, con ampi riferimenti alla dottrina di commento. Tra le innovazioni collaterali

introdotte in tema di diritto di difesa, giova richiamare la modifica dell’art. 335 c.p.p. ad opera dell’art. 18, l. 8 agosto 1995, n. 332, volta a rendere ostensibili le iscrizioni nel registro delle notizie di reato in favore della persona alla quale il reato è attribuito, della persona offesa e dei rispettivi difensori, ad esclusione dei casi in cui si procedesse per uno dei gravi delitti per cui l’art. 407 comma 2 lett. a c.p.p. allungava il termine di durata delle indagini preliminari fino a due anni (art. 335 comma 3 c.p.p.), ovvero dei casi in cui il pubblico ministero avesse disposto, per un periodo non superiore a tre mesi, la segretazione delle iscrizioni per specifiche esigenze attinenti alle attività di indagine (art. 335 comma 3 bis c.p.p.). Meccanismo di comunicazione, questo, ideato per bilanciare gli inconvenienti derivanti dalla contestuale innovazione in tema di informazione di garanzia, ad opera dell’art. 19, l. 8 agosto 1995, n. 332, che, al fine di limitare – ritardandola – la distorta propagazione mediatica di tale notizia, prevedeva l’obbligo per il pubblico ministero di inviare l’informazione solo al compimento di un atto al quale il difensore ha il diritto di assistere, introducendo un discutibile divieto di provvedervi anteriormente, con innegabile pregiudizio per il diritto di difesa sotto il profilo del difendersi conoscendo.

stata ormai da tempo intrapresa, il contenuto minimalista della nuova disciplina non poteva che suscitare generale insoddisfazione.

Presentazione diretta al giudice, dunque, ma senza esplicitare come. Da subito, si poneva in luce come la statuizione legislativa si rivelava una soluzione politicamente forte, ma tecnicamente debole105, poiché alla chiara scelta di principio che essa esprimeva non corrispondeva un’altrettanto precisa predisposizione di norme strumentali al suo esercizio106. Difettando nella legge qualsiasi indicazione sul metodo d’azione, si osservava107 che l’agire difensivo avrebbe dovuto – per lo meno – essere sottoposto ai medesimi limiti processuali che incontrava l’inquirente accusatore nel compimento di atti omologhi alle indagini del difensore, attraverso il ricorso all’applicazione analogica; la quale ultima, tuttavia, rimaneva preclusa allorché di quei limiti si dovesse sanzionare l’inosservanza – atteso il principio di tassatività che presiede al sistema delle nullità ex art. 177 c.p.p. – salvo ricondurre l’eventuale vizio a une delle ipotesi di ordine generale elencate dall’art. 178 c.p.p. o alla categoria dell’inutilizzabilità di cui all’art. 191 c.p.p., idonea a paralizzare l’uso degli elementi di prova acquisiti in violazione dei divieti stabiliti dalla legge quanto al mezzo, alla fonte o all’oggetto di prova108. Per il resto, completa era la latitanza legislativa in ordine alla previsione di specifiche regulae agendi per l’assunzione di elementi di prova da parte del difensore, affidate unicamente alla correttezza e sensibilità deontologica del legale medesimo. Infine, un disinvolto liberismo formale vigeva in tema di documentazione delle attività svolte e di verbalizzazione delle dichiarazioni ricevute, con conseguente possibilità di ritenere ammessa qualsiasi tecnica di rappresentazione dell’atto, in forma tanto integrale quanto riassuntiva, anche in assenza di un soggetto determinato incaricato della redazione del documento, fino ad includervi la dichiarazione sottoscritta dallo stesso dichiarante o autodocumentata dal medesimo difensore. Non ingannava, tuttavia, quella che all’apparenza sembrava una vantaggiosa deformalizzazione dell’inchiesta parallela: il prezzo da scontare per vivere in tale comoda

105 Così GIOSTRA, Problemi irrisolti, cit., p. 200.

106 In questo senso, cfr. PERONI, Commento all’art. 38 disp. att. c.p.p., cit., p. 637; PRESUTTI, Indagini difensive, cit., p. 614.

107 Per un’approfondita disamina delle problematiche sollevate dalla carente formulazione della disposizione, cfr. GIOSTRA, Problemi irrisolti, cit., p. 201 e ss.

108 Esemplificando, inutilizzabile quanto al mezzo è la consulenza tecnica diretta a stabilire il carattere o la personalità della persona sottoposta alle indagini e, in genere, le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (art. 220 comma 2 c.p.p.); inutilizzabile quanto alla fonte è la dichiarazione assunta dal difensore da una persona informata sui fatti incompatibile con l’ufficio di testimone (art. 197 c.p.p.); inutilizzabile quanto all’oggetto è la dichiarazione ricevuta dal difensore sulla moralità dell’indagato o sulle voci correnti nel pubblico (art. 194 commi 1 e 3 c.p.p.).

anarchia sarebbe stato un drastico affievolimento del tasso di attendibilità – con ricadute sulla forza di persuasione – degli elementi prodotti dalla difesa al giudice, aggravato dalla circostanza che quest’ultimo – trattandosi presumibilmente del giudice per le indagini preliminari – nasceva sprovvisto di poteri di verifica o integrazione probatoria109.

Le perplessità, peraltro, non erano destinate a diminuire allorché si analizzasse il versante “positivo” della norma in esame, passando a sondare quello che – in verità molto poco – essa diceva.

Occorreva, innanzitutto, chiarire quale fosse, nell’ermetica formulazione legislativa, la portata da attribuire alla locuzione «elementi», che alcuni interpreti intendevano limitare alla stretta accezione di «richieste e memorie scritte», come specificazione del più generale potere riconosciuto alle parti in ogni stato e grado del procedimento a norma dell’art. 121 c.p.p.110, opinione difficile da sostenere poiché operava un’equiparazione tra gli atti indirizzati dalle parti al giudice al fine di sollecitare un provvedimento – le richieste e le memorie, appunto – e atti o documenti a contenuto essenzialmente probatorio. Senza contare l’implicazione sistematica derivante dall’attribuzione dell’identico significato restrittivo all’espressione «elementi» presente altresì nel novellato art. 291 comma 1 c.p.p. per indicare ciò su cui il pubblico ministero doveva fondare la richiesta al giudice di una misura cautelare, operazione preclusa dal tenore della medesima disposizione, contenente un autonomo riferimento a «deduzioni e memorie», affiancate – e perciò non equiparabili – ai suddetti elementi. Preferibile, dunque, ritenere che in entrambe le norme menzionate il senso della locuzione fosse quello di “elementi di prova”111, da intendere come ciò che, introdotto nel procedimento, può essere utilizzato dal giudice come fondamento della sua successiva attività inferenziale112.

In ordine al destinatario di tale produzione, il riferimento al difensore della persona sottoposta alle indagini induceva a identificarlo essenzialmente nel giudice per le indagini preliminari113, rimanendo subordinata l’acquisizione di risultanze raccolte in successivi snodi processuali alle forme ritualmente prescritte per l’udienza preliminare e per il

109 Cfr. GIOSTRA, Problemi irrisolti, p. 207: “In conclusione, il legislatore dell’agosto scorso ha ignorato una

verità elementare: non c’è attività procedimentalmente rilevante che non sia formalizzata”.

110 TONINI, Commento all’art. 22 l. 8 agosto 1995, n. 332, in AA. VV., Modifiche al codice di procedura penale,

Padova, 1995, p. 306.

111 In questo senso, cfr. GIOSTRA, Problemi irrisolti, cit. p. 210; PERONI, Commento all’art. 38 disp. att. c.p.p., cit., p. 638.

112 Nozione testualmente proposta da UBERTIS, La prova penale. Profili giuridici ed epistemologici, Torino, 1995, p. 27.

giudizio114. Tale ultima considerazione forniva il parametro per delimitare la tipologia delle decisioni in vista della cui adozione il difensore era legittimato alla menzionata produzione, nel cui ambito andavano comprese tutte le pronunce di carattere preprocessuale – incluse quelle adottate in sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari – nonché quelle di natura processuale, ma soltanto interinale – come quelle relative ad un eventuale incidente probatorio – mentre dovevano escludersi le decisioni a contenuto tendenzialmente definitivo sulla res iudicanda, da adottare in esito all’udienza preliminare o alla celebrazione di un rito speciale deflattivo del dibattimento115. Per il resto, per la valida presentazione di elementi di prova si richiedeva la finalizzazione ad una futura decisione determinata, che il giudice fosse tenuto ad adottare in quanto investito di una specifica richiesta ammissibile a lui diretta dallo stesso difensore o dal pubblico ministero, condizione, quest’ultima, ricavabile dalla competenza unicamente ad acta caratteristica del giudice per le indagini preliminari.

In termini di complementarietà rispetto a tale previsione (art. 38 comma 2 bis disp. att. c.p.p. abr.), il comma successivo proseguiva destinando l’oggetto di quella produzione all’inserimento nel fascicolo delle indagini preliminari. Subdola prescrizione, che liquidava la questione dell’utilizzo extraprocedimentale delle risultanze investigative difensive, già prodotte al giudice, equiparandole in modo obliquo agli atti del pubblico ministero dei quali, dunque, avrebbero condiviso il già censurabile regime processuale che ne consentiva la trasfigurazione in prove116. Nonostante alcune voci contrarie117, per vero, tale sembrava essere la soluzione esegeticamente imposta, ancorché difficilmente condivisibile nelle

114 In senso critico con riferimento alla scelta di escludere la presentazione diretta di elementi in udienza preliminare, cfr. GIOSTRA, Problemi irrisolti, cit. p. 213.

115 In questo senso, cfr. GIOSTRA, Problemi irrisolti, cit., p. 216 e ss., che individua la ratio di tale perimetrazione nello spirito complessivo della riforma, volta a consentire alla difesa l’instaurazione di un dialogo probatorio con il giudice chiamato ad adottare un determinato provvedimento nella fase procedimentale, sull’assunto che nelle fasi successive – ancorché, in udienza preliminare, in termini appena sufficienti – era diversamente riconosciuto all’imputato il diritto di difendersi provando, sia richiedendo l’assunzione di un determinato mezzo di prova, sia sollecitando l’eccezionale potere ufficioso del giudice.

116 Sulle tappe giurisprudenziali e legislative che avevano ampliato i casi di uso probatorio degli atti di indagine, cfr. supra, nt. 79.

117 Tra queste, cfr. CONTI, La radiografia della nuova normativa su misure cautelari e diritto di difesa, in

Guida dir., 1995, p. 61, il quale, muovendo dal confronto tra l’attività del pubblico ministero – svolta, in

generale, per determinarsi in ordine all’esercizio dell’azione penale – e quella della difesa – finalizzata espressamente ed esclusivamente ad una delle decisioni che il giudice per le indagini preliminari era chiamato ad adottare in tale fase – escludeva un uso delle risultanze difensive ulteriore a quello specifico e particolare consentito dall’art. 38 disp. att. c.p.p. e, segnatamente, l’utilizzo probatorio – attraverso il meccanismo delle contestazioni – analogo a quello degli atti inseriti nel fascicolo del pubblico ministero. In posizione intermedia, cfr. SALUZZO, Il dibattito sulle investigazioni difensive. II) Il punto di vista di un

magistrato, in Dir. pen. proc., 1995, 1456, disponibile ad accordare efficacia probatoria alle risultanze

difensive, pur richiedendo – stante l’asserito affievolimento di valore che le connotava – un ulteriore e non meglio specificato intervento di verifica giudiziale prima dell’utilizzazione.

allarmanti conseguenze per il riconoscimento alle parti di uno speculare potere di formazione unilaterale della prova che essa celebrava.

Ad un bilancio complessivo, due volte miope si era dimostrato il legislatore. Ed invero, se l’obiettivo perseguito era quello di annettere efficacia processuale alle risultanze difensive, ben oltre avrebbe dovuto spingersi il timido intervento riformatore, soffermandosi sui requisiti formali dei modi di svolgimento e dei protocolli di documentazione delle attività di investigazione, onde dotarle di quella garanzia di genuinità che la giurisprudenza avrebbe presto preteso per operarne una valutazione118. In effetti, proprio al vaglio di attendibilità la difesa avrebbe dovuto pagare il pedaggio per essere giunta ai lidi dibattimentali sulle ali di una completa deformalizzazione della propria operosità investigativa. Sull’altro versante, nel perseguire in modo scomposto l’imperativo unico di parità della armi, si era obliterata l’ inquietante implicazione di sistema derivante dal graduale abbandono del metodo dialettico di formazione della prova, che avrebbe determinato come effetto mediato – e non meditato – l’annullamento del presupposto primo per l’esistenza di un libero diritto di difendersi indagando119.

118 Nell’ambito della giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano, 2 ottobre 1995, in Giust. pen., 1996, III, c. 433 e ss., con nota di RAMAJOLI, Le indagini difensive e l’art. 38 disp. att. c.p.p. di nuova fattura (ivi, p. 433), decisione secondo cui il giudice non potrebbe riconoscere lo stesso affidamento agli atti del difensore e a quelli del pubblico ministero, e ciò non per sfiducia nella professionalità del primo, bensì per la necessaria osservanza del principio di parità delle armi, essendo l’accusa tenuta al rispetto di limiti normativi dettagliati, a differenza della difesa, sottratta a qualsiasi onere di documentazione o di collaborazione. In sede di legittimità, cfr. Cass., Sez. VI, 16 ottobre 1997, p.m. in c. Fiore, in Cass. pen., 1998, p. 2090, favorevole al riconoscimento di efficacia probatoria degli atti di indagine difensiva – in quanto anch’essi atti del procedimento – pur precisando che “la valutazione del contenuto degli atti investigativi della difesa rimane

pertanto affidata al prudente apprezzamento del giudice, il quale, nell’esercizio del suo libero convincimento, deve comunque tenere conto della diversità di disciplina esistente tra l’indagine condotta dal titolare della funzione d’accusa e quella del difensore, ed in particolare della circostanza che gli elementi forniti dalla difesa sono circondati da una minor garanzia di veridicità, dato che alle dichiarazioni raccolte ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.p.p. non si applicano gli artt. 371 bis, 476 e 479 c.p., né le rigorose modalità di documentazione cui devono attenersi gli organi inquirenti”.

119 Scarsamente incisivi, frattanto, si rivelavano gli interventi collaterali che a quel diritto avrebbero voluto garantire maggiore effettività. In particolare, è opportuno ricordare le innovazioni introdotte con l. 16 dicembre 1999, n. 479, provvedimento omnibus deputato non soltanto a rendere operativa la riforma del giudice unico di primo grado, ma altresì ad incidere, con effetti più o meno lodevoli, sull’assetto delle indagini preliminari e sulla struttura dell’udienza preliminare in prospettiva di potenziamento di garanzie e strumenti difensivi. Tra questi, spiccava l’introduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415 bis c.p.p., idoneo a schiudere una parentesi interlocutoria – preceduta dalla completa

discovery degli atti di indagine – tra accusa e difesa anteriore all’esercizio dell’azione penale, rilevante in

questa sede soprattutto per la riconosciuta facoltà di presentazione dei risultati delle indagini difensive allo stesso pubblico ministero. Innovazione, tuttavia, deludente non soltanto sotto il profilo del difendersi conoscendo – stante il momento tardivo di invio dell’avviso, a indagini preliminari già concluse – ma altresì del difendersi indagando, per il termine davvero breve – venti giorni dalla notificazione – entro il quale provvedere alla presentazione di elementi di favore o all’esercizio delle ulteriori facoltà difensive riconosciute dalla disposizione. Maggiori potenzialità, di contro, schiudeva il novellato art. 431 c.p.p. che, nel prevedere la formazione del fascicolo per il dibattimento nel contraddittorio tra le parti, riservava alle stesse la facoltà di concordare l’acquisizione al fascicolo medesimo anche della documentazione relativa