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probatorio

1. Colloquio informale

Momento principe nell’attività di ricerca e di individuazione di elementi favorevoli al proprio assistito, il potere di «conferire» risiede nella facoltà, riconosciuta ai soggetti legittimati all'investigazione, di stabilire un contatto con le «persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa». Ebbene, la legge processuale consente che l’acquisizione di siffatte notizie possa avvenire anche attraverso un «colloquio non documentato» (art. 391 bis comma 1 c.p.p.).

Trattasi all’evidenza di un dialogo dalla finalità spiccatamente esplorativa, volto ad apprendere l’esistenza di una potenziale fonte di prova dichiarativa prima ancora che a saggiarne la portata del contributo conoscitivo. In essa si coglie la dimensione propriamente inquirente dell’indagine del difensore, volta alla ricerca e alla preparazione della strategia difensiva in una fase ancora estranea a qualsiasi ambizione di cristallizzazione dell’elemento in vista della sua potenziale trasfigurazione in prova. Verosimile, tuttavia, che nel progredire dell’approfondimento circa le conoscenze della

fonte anche questa pura attività inquirente possa evolversi in forme di acquisizione tendenzialmente istruttorie, ragion per cui se ne predica la natura non alternativa, bensì prodromica rispetto alle ulteriori modalità di recepimento documentato delle medesime notizie241. Nella prospettiva derivante da tale proiezione, peraltro, è plausibile attendersi che in presenza di contributi sfavorevoli all’assistito, l’inquirente si asterrà dallo sviluppare ulteriormente il contatto mentre, allorché si insinui il dubbio sull’effettiva utilità delle notizie apprese, potrebbe apparire conveniente formalizzare ugualmente le dichiarazioni ricevute per poi decidere in seguito se avvalersene nelle sedi opportune242.

La legittimazione soggettiva e temporale allo svolgimento del colloquio informale risponde al criterio della esaustività, potendo procedere al contatto non documentato tanto il difensore che il suo sostituto, quanto i consulenti tecnici o gli investigatori privati incaricati243, seguendo le scansioni cronologiche dell’intera indagine difensiva, dunque anche nella fase propriamente preventiva. E’ appena il caso di sottolineare come, in quest’ultima eventualità, l’impossibilità di adire un’autorità procedente che superi il rifiuto dell’interpellato al colloquio – ragione per cui non sarà possibile acquisirne informazioni in sede condivisa con il pubblico ministero né tanto meno provocando un incidente probatorio – risulti senz’altro coerente con la pericolosa incognita celata da tali forme di cristallizzazione, essendo sconsigliabile procedervi compulsando una fonte di prova potenzialmente ostile che non si è potuto esplorare neppure con un vaglio preliminare informale.

Quanto alle modalità procedurali del colloquio non documentato, pare opportuno precisare l’esatta portata della prescrizione processuale che onera «in ogni caso» l’inquirente alla formulazione degli avvertimenti preliminari244 (art. 391 bis comma 3 c.p.p.). Difatti, sebbene la lettera della disposizione sembri non ammettere eccezioni al dovere di informazione verso la persona interpellata, neppure in ipotesi di contatto

241 Cfr. RUGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, cit., p. 190, che parla di «investigazione preliminare» in quanto strumento propedeutico alla effettiva instaurazione di una indagine investigativa tout

court, idonea a essere a sua volta preceduta da un’ulteriore «ricerca preliminare» volta a verificare se le

persone individuate, prima di essere tecnicamente interpellate, siano in condizioni di offrire i dati conoscitivi ricercati.

242 In questo senso, cfr. BRICCHETTI, La disciplina e i limiti della investigazione privata, in BRICCHETTI– RANDAZZO, Le indagini della difesa dopo la legge 7 dicembre 2000, n. 397, Milano, 2001, p. 44.

243 Cfr. FRIGO, Indagine difensiva per il processo e deontologia, in Cass. pen., 1992, p. 2233, che sottolinea come l’esigenza di ricerca e di individuazione delle possibili fonti di prova rappresenti terreno elettivo per l’attività dell’investigatore.

244 Per approfondimenti circa la forma, il contenuto e la funzione degli avvertimenti preliminari, cfr. infra, § 4.

informale245, risulta dal sistema la mancata previsione di qualsiasi sanzione processuale in caso di omissione – riservata, sub specie di inutilizzabilità, alle «dichiarazioni ricevute» e alle «informazioni assunte» (art. 391 bis comma 6 c.p.p.) – essendo al più configurabile un illecito disciplinare qualora l’inquirente abbia dialogato con la fonte senza i necessari avvisi246. Rilievo che, d’altra parte, conforta l’opinione per cui gli avvertimenti in questione, laddove forniti, ben potrebbero essere dati anche in forma orale, assolvendo l’eventuale forma scritta una funzione meramente dimostrativa ad probationem in ipotesi di contestazione di illecito disciplinare247. La questione si intreccia altresì con la tematica dell’invito al colloquio, che parte della dottrina suggerisce di formulare sempre per iscritto onde racchiudervi fin da subito i «mastodontici» avvertimenti che la legge impone248. A ben vedere, tuttavia, è agevole osservare come costituirebbe un controsenso l’onere di convocazione in forma scritta finalizzato a documentare una serie di avvertimenti – per i quali non è sostenibile la formalizzazione ad susbstantiam – oltretutto preliminari a un colloquio a sua volta non documentato di cui, in sostanza, potrebbe non rimanere traccia alcuna. Considerazioni che a fortiori inducono a ritenere valido l’invito in forma libera, per questo come per le ulteriori ipotesi di raccolta di contributi dichiarativi249.

La necessità di procedere «in ogni caso» alla formulazione degli avvisi, peraltro, va rapportata alla specifica funzione che a ciascuno di essi è possibile assegnare, con riferimento alle eventuali limitazioni modali allo svolgimento del colloquio – anche non documentato – derivanti dalla particolare qualità della persona interpellata, suscettibili di paralizzarne lo svolgimento ovvero di richiedere, vietare o consentire la presenza

245 Ritengono senz’altro dovuti gli avvertimenti preliminari anche in vista del colloquio informale TRIGGIANI,

Le investigazioni difensive, cit., p. 282; VENTURA, Le indagini difensive, cit., p. 81.

246 Cfr. art. 9 comma 1 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che nel prescrivere gli avvertimenti in modo generico alle «persone interpellate» potrebbe intendersi come comprensivo altresì di quelle con cui conferire in via informale. Nel senso di escludere conseguenze processuali all’omissione degli avvisi, cfr. FRIGO,

L’indagine difensiva da fonti dichiarative, cit., p. 211.

247 Cfr. art. 9 comma 7 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che suffraga la lettura prospettata nel testo laddove prevede: «Quando i soggetti della difesa procedono con invito scritto, gli avvertimenti previsti dalla legge e dalle norme deontologiche, se non sono contenuti nell’invito stesso, possono essere dati oralmente, ma devono comunque precedere l’atto». Cfr. altresì FRIGO, L’indagine difensiva da fonti dichiarative, cit., p. 196, il quale sottolinea “l’esigenza di individuare qualche modalità per documentare che in effetti sono stati

dati” gli avvisi dovuti «in ogni caso».

248 Così RUGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, cit., p. 192.

249 Cfr. art. 9 comma 7 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che non contiene alcuna prescrizione di forma scritta per l’invito a qualsiasi ipotesi di colloquio, prevista espressamente soltanto dal successivo art. 10 in relazione alla possibile audizione della persona offesa dal reato. Contra in dottrina, cfr. VENTURA, Le

indagini difensive, cit. p. 62, che estende la disciplina in tema di citazione del testimone di cui all’art. 142

all’audizione di ulteriori soggetti. In proposito, merita sottolineare la difficoltà di comprendere il senso della clausola di salvezza posta in esordio nell’art. 391 bis comma 1 c.p.p., che esclude la fattibilità anche del colloquio non documentato in relazione alle persone incompatibili con l’ufficio di testimone ai sensi dell’art. 197 comma 1 lett. c e d c.p.p. Ed invero, trattandosi di attività meramente esplorativa, non assistita da forme di documentazione e non finalizzata a ipotesi di utilizzazione, risulta oscura la ratio sottostante a un divieto di colloquio che, in quanto informale, non avrebbe comunque la possibilità di trasfigurare in prova in sede dibattimentale, aggirando il catalogo delle incompatibilità a testimoniare. D’altra parte, la ragione giustificatrice di simile esclusione risulta viepiù incomprensibile alla luce dello scopo dell’incompatibilità in parola, dettata onde escludere la testimonianza di taluni di tali soggetti che, per il ruolo rivestito – responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria (lett. c) – potrebbero rivelarsi in radice inaffidabili, in quanto pregiudicati da una presunzione di non imparzialità dovuta al legame che li unisce alla sorte dell’imputato; situazione che, tuttavia, non ha motivo alcuno d’essere con riferimento al difensore, che potrebbe avere proprio da tali soggetti preziose indicazioni favorevoli all’assistito. Sarebbe anzi plausibile che il legale utilizzasse il contatto con costoro quale principio di conoscenza per intraprendere e sviluppare ulteriori temi di investigazione e sarà soltanto l’abilità del difensore a trovare il diverso e legittimo mezzo di prova per veicolare eventuali notizie rilevanti nel corso del dibattimento, senza ricorrere alla testimonianza o a documentate dichiarazioni di soggetti incompatibili con l’ufficio di testimone.

Del contatto informale, del resto, il difensore è abilitato a confezionare unicamente tracce informali, attraverso appunti o annotazioni fruibili quale mera scienza interna al successivo evolversi della strategia difensiva, dove la ragione fondante l’affrancamento dalle forme risiede senz’altro nell’esigenza di garantire la libertà delle scelte tattiche del difensore250, così pacificamente ammissibile quando questi si limiti ad agire da inquirente anziché ambire a fare l’istruttore. Tanto che non appare condivisibile – nel silenzio della legge – un onere di indicazione della previa effettuazione del colloquio informale allorché in seguito si proceda formalmente alla ricezione di dichiarazioni o all’assunzione di informazioni251.

250 In questo senso, cfr. RUGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, cit., p. 191.

251 Favorevole a tale indicazione DI MAIO, Le indagini difensive, cit., p. 217. Contra, RUGGIERO, Compendio

Da ultimo, giova sottolineare che, dalla complessiva struttura del sistema, pare escludersi che il difensore che abbia svolto un semplice colloquio non documentato rientri nell’area dell’incompatibilità a testimoniare di cui al novellato art. 197 comma 1 lett. d c.p.p. Ed invero, ricostruendo la ratio della nuova previsione nell’esigenza di impedire la testimonianza de auditu di colui che abbia svolto un atto investigativo «procedimentalizzato» – per il pregiudizio che deriverebbe al principio della formazione dialettica della prova – deve riconoscersi come simili preoccupazioni non si addensino sulla persona di colui che abbia intrattenuto un contatto soltanto informale e destrutturato come il colloquio non documentato, ragione per cui si comprende altresì l’estraneità alla categoria di incompatibilità sopra menzionata anche del consulente tecnico o dell’investigatore privato, pur trattandosi di potenziali soggetti attivi proprio del colloquio non documentato. D’altra parte, non sfugge un’assonanza tra la soluzione prospettata e l’ipotesi di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria secondo l’attuale versione risultante dalla modifica dell’art. 195 comma 4 c.p.p., che ammette la deposizione de

relato di ufficiali e agenti in relazione a notizie acquisite senza alcuna forma di

documentazione in quanto apprese al di fuori delle ipotesi per cui la legge prescrive doveri di verbalizzazione, salvo il limite di indicazione della fonte e di sua eventuale o doverosa citazione ad opera del giudice (art. 195 commi 1, 2, 3 e 7 c.p.p.).

2. Ricezione di dichiarazione scritta

Il contatto con la fonte personale, abbandonando l’evanescenza del colloquio non documentato, può avvenire attraverso forme più solide, che accompagnano un’attività investigativa non più dai connotati meramente inquirenti, bensì suscettiva di aprire ampi spazi istruttori consentendo la precostituzione di una prova dichiarativa da spendere, laddove possibile, in dibattimento. E’ in questo frangente che germina il potere di formazione unilaterale della prova in capo al difensore, pronto a evolversi da inquirente a istruttore.

La prima forma è rappresentata dalla richiesta alle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa di «una dichiarazione scritta (…) da documentare secondo le modalità previste dall’art. 391 ter» (art. 391 bis comma 2 c.p.p.). A rigore, trattasi di un’attività di acquisizione di carattere unilaterale, in cui il difensore si limita a sollecitare il rilascio di una determinata dichiarazione il cui contenuto, tuttavia, sgorga dalla fonte senza alcuna mediazione del difensore medesimo. D’altra parte, è lo

stesso difensore a dover valutare l’utilità della ricezione di una dichiarazione scritta rispetto alla più completa assunzione di informazioni da verbalizzare, essendo verosimile che la prima si riveli sufficiente e più incisiva allorché riguardi una circostanza determinata, agevole da rappresentare con completezza e precisione anche attraverso una sola dichiarazione non filtrata dal succedersi delle domande e delle risposte. Tuttavia, non andrebbe sopravvalutata la maggiore affidabilità che, istintivamente, può suscitare una dichiarazione scritta rispetto a una elaborata e quindi, in senso lato, manipolata. Difatti, è frequente che essa sia preceduta proprio da quel colloquio informale che consente il vaglio esplorativo del patrimonio conoscitivo dell’interpellato, di modo che la successiva dichiarazione scritta sia verosimilmente ritagliata su quella parte di informazioni che interessa in modo specifico il difensore, tralasciando magari i dettagli che potrebbero risultare sfavorevoli, o soltanto dubbi, per l’assistito.

Probabilmente, proprio in considerazione di ciò parte della dottrina tende a scindere l’atto investigativo in questione in due momenti, componenti di una struttura complessa: la richiesta da parte del difensore, evidentemente mirata a circoscrivere il contenuto della dichiarazione; e il rilascio della dichiarazione stessa da parte dell’interpellato, che integra la fase di vera e propria ricezione ad opera del difensore252. Preferibile, tuttavia, accedere all’interpretazione che vede nella fattispecie in questione un atto unico – la ricezione della dichiarazione – suscettivo di atteggiarsi, talora, come atto a formazione progressiva253

laddove preceduto dalla richiesta del difensore. Di contro, la semplice sollecitazione, fin tanto che non venga accolta, non può dirsi ancora procedimentalmente rilevante e, per converso, la ricezione di una dichiarazione non provocata dal difensore integra ugualmente l’ipotesi in esame, essendo pacifico che l’assunzione di dichiarazioni spontanee debba rivestire le forme dell’attività investigativa in questione per veicolarne il contenuto all’interno del procedimento.

Da tali premesse, peraltro, discende la considerazione che la semplice richiesta di dichiarazione non costituisce oggetto della successiva attività di documentazione di cui all’art. 391 ter c.p.p. – all’uopo richiamato dal comma 2 dell’art. 391 bis c.p.p. – riferita unicamente alla «dichiarazione», non certo all’atto di sollecitazione che, in ipotesi, potrebbe pure difettare e, laddove presente, può essere avanzata anche oralmente254.

252 Cfr. FRIGO, L’indagine difensiva da fonti dichiarative, cit., p. 214.

253 Parla di fattispecie a formazione successiva RUGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, cit., p. 193.

Ragione per cui, in armonia a quanto ravvisato nell’ambito del colloquio informale, anche l’introduzione di questa diversa attività investigativa non necessita di invito in forma scritta, né ad probationem, né tanto meno ad substantiam255. Con riguardo, invece, alla dichiarazione, nel silenzio della legge è possibile considerare valida non soltanto quella autografa, bensì anche quella dattiloscritta, stampata o manualmente scritta da altri, essendo necessario soltanto che essa, comunque formata, sia sottoscritta dal dichiarante (art. 391 ter comma 1 c.p.p.)256.

Sotto il profilo operativo, a una cornice soggettiva di legittimazione ristretta soltanto al difensore e al sostituto – senz’altro in ragione della delicatezza dell’attività e della possibilità di proiettarne il risultato finanche nel dibattimento, ove si esige una garanzia di genuinità – corrisponde un arco completo di legittimazione temporale, attivabile anche in via preventiva in vista della potenziale instaurazione del procedimento penale.

Deve segnalarsi, in ogni caso, la necessità che l’atto di ricezione sia preceduto dalla formulazione degli avvertimenti preliminari di cui all’art. 391 bis comma 3 c.p.p., idonei a ritagliare il compimento dell’atto sulle limitazioni modali che la legge impone in ordine alla presenza facoltativa, obbligatoria ovvero vietata di soggetti ulteriori. La mancata enunciazione degli avvisi, peraltro, determina l’inutilizzabilità della dichiarazione ricevuta ai sensi dell’art. 391 bis comma 6 c.p.p., motivo per cui potrebbe ravvisarsi la necessità che gli stessi rivestano forma scritta. Nondimeno, pare doveroso sottolineare che la sanzione processuale non derivi tanto dal mancato rispetto della forma scritta, bensì dalla mancata manifestazione degli avvertimenti, così che appare legittimo collegare l’adempimento formale unicamente alla soddisfazione dell’onere dimostrativo ai fini di evitare non soltanto la sanzione disciplinare, ma anche quella processuale257.

Da ultimo, giova ricordare che tanto il difensore, quanto il sostituto rientrano nell’area dell’incompatibilità a testimoniare di cui al novellato art. 197 comma 1 lett. d

255 Del resto, la convocazione per iscritto non è richiesta neppure dalle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che la limitano soltanto alle ipotesi di interpello della persona offesa. Contra in dottrina, cfr. VENTURA,

Le indagini difensive, cit. p. 62, che estende la disciplina in tema di citazione del testimone di cui all’art. 142

disp. att. c.p.p. all’atto di convocazione da parte del difensore, pur ammettendo che la richiesta di dichiarazione possa avvenire anche oralmente.

256 Cfr. FRIGO, L’indagine difensiva da fonti dichiarative, cit., p. 214.

257 Trattasi di forma scritta ad probationem, che non condiziona la validità dell’atto. Anche le norme deontologiche, del resto, prevedono che gli avvisi «possano essere dati oralmente, ma devono comunque precedere l’atto» (art. 9 comma 7 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive approvate il 14 luglio 2001 con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007). Ammette che gli avvertimenti possano essere dati oralmente FRIGO, L’indagine difensiva da fonti dichiarative, cit., p. 196, pur ritenendo opportuno apprestarne una forma di documentazione onde prevenire contestazioni disciplinari.

c.p.p. In particolare, sono tre le attività rilevanti nel caso di specie e suscettive di attualizzare la preclusione all’ufficio di testimone: la ricezione della dichiarazione, la sua autenticazione nonché la redazione della relazione di accompagnamento. Trattasi di azioni che possono indifferentemente essere compiute da uno soltanto dei soggetti menzionati o rispondere a una diversa suddivisione interna dei compiti a seconda delle esigenze professionali. Nondimeno, l’incompatibilità in questione è integrata autonomamente sia dal compimento dell’atto – ricezione della dichiarazione – sia dalla sua documentazione – autenticazione della dichiarazione e redazione della relazione – di modo che può senz’altro riguardare anche il sostituto che abbia compiuto l’atto senza curarne la documentazione258.

3. Colloquio documentato

La modalità di contatto con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa che si sostanzia nella assunzione di «informazioni da documentare secondo le modalità previste dall’art. 391 ter c.p.p.» rappresenta il grado più intenso del potere formativo riconosciuto al difensore in tema di prova. Non si tratta più di ricevere una dichiarazione relativa a circostanze determinate, sul cui contenuto l’inquirente a rigore non è in grado di incidere. Nell’ipotesi in parola il contatto si articola in un’intervista ufficiale scandita ai ritmi dell’«a domanda, risposta» tipici di un esame diretto a cui, però, non seguiranno né controesame, né tanto meno riesame; eppure, nelle ipotesi c.d. eccezionali, suscettiva di entrare in dibattimento come prova. E’, questa, l’autentica consacrazione del potere istruttorio del difensore, abilitato a compulsare unilateralmente il soggetto informato e a sottoporne la relativa documentazione al vaglio probatorio del giudice chiamato a decidere sul merito dell’imputazione. Secco è il contestuale abbandono del metodo dialettico di elaborazione della prova.

Rimanda, l’attività in questione, alle sommarie informazioni testimoniali acquisibili tanto dalla polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p.) quanto dal pubblico accusatore (art. 362 c.p.p.) simmetricamente già ammesse agli approdi dibattimentali in tempi anteriori alla parificazione del difensore. Per quest’ultimo, la legittimazione ha decisamente tardato a venire, poiché sottende la specie più invisa di contatto con la fonte – implicante, pertanto, la forma più rigida di documentazione – dalla quale estrapolare unilateralmente informazioni non tanto nell’interesse della giustizia, quanto piuttosto a esclusivo favore del

258 In senso contrario, cfr. CONTI, Due nuove ipotesi di incompatibilità a testimoniare, cit., p. 33 e ss., che limita l’incompatibilità a testimoniare del sostituto alle sole ipotesi in cui abbia formato la documentazione. Per approfondimenti sulla questione, cfr. supra, Cap. I, § 2.

proprio assistito. D’altra parte, nessun protocollo di certificazione sarà in grado di annullare i temuti timori di intrusione da parte del difensore, tuttora suscettibili di insinuarsi negli interstizi di quel colloquio informale che ben può – e, nell’ottica del buon difensore, deve – precedere lo svolgimento dell’intervista verbalizzata, onde calibrare la posizione delle domande in modo da evitare la restituzione di risposte che rivelino