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La previsione di una sanzione processuale non riveste necessariamente il carattere della punizione350. Esistono molteplici ipotesi di portata generale in cui l’invalidazione dell’atto risponde a una logica interna di sistema, che nulla condivide con la comminatoria di un castigo per l’inottemperanza a un comando o a un divieto, affondando le radici nell’esigenza superiore di garantire la corretta esplicazione del metodo prescelto per l’accertamento penale. Sono i casi di necessaria espunzione, dal materiale decisorio, di quanto non corrisponde allo schema tecnico della prova formata in contraddittorio e, proprio in ragione della sua genesi unilaterale, inidoneo a fondare il convincimento giudiziale. Una sorta di epurazione obbligata, che corrisponde alla fisiologica distinzione di valore tra ciò che proviene dalla individuale attività di ricerca della parte – strumentale alla persuasione del giudice – e ciò che si forma dialogicamente innanzi al giudicante e da questi utilizzabile come prova ai fini della decisione sul merito dell’imputazione.

Ebbene, in materia di indagini difensive tale situazione non riceve espressa considerazione, essendo anzi pacificamente ammesso che proprio le risultanze di parte, ancorché unilaterali, possano fondare in determinati casi il convincimento dibattimentale.

Piuttosto, la maggiore preoccupazione si percepisce nella irriducibile sensazione che quel materiale, in quanto privatamente confezionato, possa presentare un deficit di affidabilità, al quale si ritiene di dovere sopperire iniettandovi un surplus di garanzie di legalità formale, tale da colmare il vuoto di legalità sostanziale nelle ipotesi cosiddette eccezionali in cui non ha modo di operare – poiché impossibile, inquinato o inutile – il metodo del contraddittorio nella formazione della prova. Ecco, dunque, che la sanzione processuale comminata per la deviazione dal modello legale di azione e documentazione si identifica, con riguardo agli atti di indagine difensiva, sempre e comunque quale

350 Tradizionalmente, la dottrina fa riferimento al fenomeno dell’inutilizzabilità secondo due diverse accezioni attinenti, la prima, all’inutilizzabilità c.d. patologica, per individuare una particolare sanzione che opera in presenza di un vizio di un atto assunto in violazione di un divieto probatorio, posto a tutela dei diritti fondamentali della persona, quali il diritto all’inviolabilità del domicilio o della corrispondenza; la seconda, c.d. inutilizzabilità fisiologica, riguarderebbe invece gli atti che, ancorché conformi al modello legale, nondimeno risultano insuscettibili di valutazione probatoria in sede dibattimentale in quanto compiuti in una fase anteriore, non potendo pertanto approdare sic et simpliciter alla cognizione da parte del giudice per garantire il principio della tendenziale separazione delle fasi preliminare e dibattimentale, e con esso il contraddittorio nella formazione della prova. Nel primo senso, cfr. AMODIO, Fascicolo processuale ed

utilizzabilità degli atti, in AV.VV., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano, 1990, p. 172; GALANTINI,

Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enc. Dir., I Agg., Milano, 1997, p. 691; nonché, in giurisprudenza, cfr.

Cass., Sez. un., 24 settembre 1998, Gallieri, in Cass. pen., 1999, p. 465. Per la seconda accezione, cfr. AMODIO, Fascicolo processuale, cit., p. 172; GALANTINI, L’inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, 1992, p. 4; NOBILI, Commento all’art. 191 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. CHIAVARIO, Torino, 1990, II, p. 409.

conseguenza per la predisposizione di materiale patologicamente viziato e, pertanto, intrinsecamente suscettivo di uso procedimentale.

Si coglie, nell’inutilizzabilità così delineata, una forte componente di deterrenza – prima ancora che di retribuzione per la violazione realizzata – finalizzata a disincentivare l’adozione di comportamenti investigativi difformi dal protocollo legale, decretandone l’assoluta inconferenza in sede processuale, condannandoli alla sterilità dimostrativa e, con essa, alla fatale inutilità. Una sorta di prevenzione generale, che accomuna la sanzione processuale a quelle criminali e professionali suscettive di venire in rilievo nelle medesime situazioni, con la non trascurabile peculiarità data dall’eventualità di colpire con l’inutilizzabilità anche atti di per sé privi di rilevanza penale o disciplinare. Questi ultimi, difatti, per assumere consistenza innanzi al giudice o agli organi deputati alla vigilanza sul rispetto delle regole deontologiche, necessitano inevitabilmente di una componente soggettiva di carattere doloso o lato sensu volontaristica, imprescindibile per accertare una responsabilità penale o disciplinare che può essere soltanto personale, id est per fatto proprio colpevole. Non così per la sanzione processuale, che prescinde totalmente dal riscontro del profilo psicologico dell’autore dell’atto investigativo viziato, essendo senz’altro indifferente – rispetto alla paralisi dell’uso procedimentale – che esso sia frutto di un comportamento doloso o almeno colposo. In questo senso, quindi, può parlarsi di oggettiva responsabilità processuale.

Sotto diverso profilo, mutuando ulteriormente le categorie della teorica penale sostanziale, deve rilevarsi come l’illecito processuale si configuri invariabilmente quale violazione formale, in cui domina la presunzione assoluta iuris et de iure di ontologica inaffidabilità del materiale confezionato agendo diversamente o documentando differentemente dai canoni che la legge impone. Evidenti le analogie con la nozione di pericolo presunto, ove non è richiesto alcun accertamento sulla concreta ricorrenza della situazione paventata: anche qualora fosse possibile dimostrare aliunde la sicura genuinità del materiale predisposto, esso rimarrebbe comunque insanabilmente viziato per l’intrinseca carica minatoria rispetto alla bontà dell’accertamento giudiziale.

Parimenti formale è il carattere delle norme di cui si pretende l’osservanza e si sanziona la violazione, risolvendosi nella previsione di rigidi protocolli legali d’azione e documentazione assunti a modello indefettibile dell’indagine parallela. Senza dubbio avrebbe ben potuto collegarsi alla ricorrenza di tali omissioni la tipica conseguenza predisposta per i difetti formali, in termini di nullità – speciale e relativa – delle risultanze

affette da carenze di solennità. Nondimeno, è verosimilmente prevalsa la considerazione della natura dimostrativa e potenzialmente probatoria assunta dalle investigazioni del difensore, elemento sufficiente a ricostruire in termini di espressa inutilizzabilità patologica quel catalogo di infrazioni, con relativi rischi di sovrapposizione sul campo di esplicazione dell’altra forma di invalidità processuale, allorché riconducibili alle nullità di ordine generale. Lo scarto più rilevante derivante dalla diversa scelta di previsione si situa in punto di regime di rilevazione del vizio, posto che un’ipotetica nullità speciale di valore relativo soggiace a precisi limiti soggettivi e temporali di deduzione, oltre che a cause di provvidenziale sanatoria per acquiescenza o raggiungimento dello scopo, diversamente dall’inutilizzabilità, comunque attratta nell’orbita generale dell’art. 191 comma 2 c.p.p. che la vuole insanabile e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento351.

Ad ogni modo, l’ambito di propagazione della sanzione processuale in parola si ricava testualmente dall’art. 391 comma 6 c.p.p., laddove ne circoscrive l’efficacia oggettiva a «le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti»352. Ne deriva uno stretto collegamento alle prescrizioni formali di azione e documentazione.

Quanto alle prime, viene anzitutto in rilievo il contatto – sia informale che documentato – che il difensore abbia intrapreso con persone in grado di riferire circostanze utili ma rientranti nell’area dell’incompatibilità a testimoniare di cui all’art. 197 comma 1 lett. c e d c.p.p., sì da cagionare l’inutilizzabilità delle notizie comunque apprese. Nonostante il diverso tenore del dato normativo, peraltro, detta sanzione è destinata a operare unicamente nei riguardi di attività documentate, data la costruzione del sistema che subordina qualsiasi utilizzo procedimentale alla previa cartolarizzazione dell’azione, espressamente esclusa per il colloquio informale «non documentato». In relazione a tale ultimo atto investigativo, quindi, il divieto di utilizzazione si riconnette all’impossibilità di documentazione prima ancora che alla violazione dell’incompatibilità a testimoniare, il cui rispetto, in sede di attività dichiarativa informale, si rivela dunque sfornito di idonea garanzia sanzionatoria. Analoga considerazione deve operarsi con riferimento alla mancata formulazione degli avvertimenti preliminari, che il comma 3 dell’art. 391 bis c.p.p.

351 Su tale aspetto, con particolare riguardo alle anomalie sistematiche derivanti dalla prescritta inutilizzabilità in ciascuno dei contesti decisori ove le risultanze difensive potrebbero assumere rilievo dimostrativo, cfr.

infra, Parte III, Premessa.

352 Residua altresì l’ulteriore ipotesi di inutilizzabilità soggettivamente relativa espressamente prevista dall’art. 391 bis comma 9 c.p.p. in ordine alle dichiarazioni autoindizianti rilasciate dalla persona sentita dal difensore, che ha l’obbligo di interrompere l’audizione.

prescrive «in ogni caso», benché la loro omissione anteriormente al colloquio non documentato non sia presidiata da apposita interdizione processuale ulteriore a quella generale che già investe qualsiasi impiego dell’attività investigativa informale. Parimenti, determina l’inutilizzabilità di quanto documentato – essendo comunque inutilizzabile quanto non documentato – l’audizione di persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero alle quali si richiedano notizie sulle domande formulate e sulle risposte date (art. 391 bis comma 4 c.p.p.)353 ovvero di soggetti indagati o imputati nel medesimo procedimento o in altro connesso o collegato senza il preavviso al loro difensore – di fiducia o d’ufficio all’uopo nominato – il quale deve necessariamente presenziare all’atto (art. 391 bis comma 5 c.p.p.)354.

Quanto alle forme di documentazione, la loro rilevanza in chiave di divieto di utilizzo si ricava dal rinvio all’art. 391 ter c.p.p. operato dall’art. 391 bis comma 2 c.p.p., vale a dire da uno dei «commi precedenti» cui fa riferimento l’art. 391 bis comma 6 c.p.p. laddove decreta la sanzione processuale. Pertanto, la relazione di accompagnamento della dichiarazione scritta ricevuta nonché il verbale delle informazioni assunte dal difensore devono rispettare le forme prescritte dal codice di rito a pena di inutilizzabilità dell’atto investigativo confezionato355. Si è posto il quesito, peraltro, di stabilire quale forma di documentazione debba rivestire la prescritta formulazione degli avvertimenti preliminari di cui al precedente comma 3 della disposizione in parola. Posto che, come già rilevato356, la sanzione processuale pare investire unicamente la mancata enunciazione degli avvisi, e non la omessa documentazione di tale adempimento, deve ribadirsi che un onere formale in tal senso possa ammettersi soltanto ad probationem, onde fornire la dimostrazione del corretto operato del difensore tale da escludere eventuali conseguenze processuali, oltre che disciplinari. In particolare, l’art. 391 ter comma 1 lett. c c.p.p. annovera espressamente tra i contenuti della relazione che accompagna la dichiarazione scritta ricevuta dal difensore

353 Cfr. Trib. Bari, 12 marzo 2001, in Giur. merito, 2001, p. 685, secondo cui, nel caso di violazione di tale limitazione modale, così come in ipotesi di omissione del corrispondente avvertimento preliminare di cui all’art. 391 bis comma 3 lett. e c.p.p., “l’intero atto di investigazione difensiva è inutilizzabile, e tale sanzione

è comminata anche in relazione alla violazione di una sola delle disposizioni citate”.

354 In tale ultima ipotesi, peraltro, rimane dubbia la sorte della dichiarazione ricevuta o delle informazioni assunte allorché il mancato rispetto della prescrizione di legge sia dovuto all’ignoranza da parte dello stesso dichiarante della propria condizione di indagato o imputato per vicende connesse o collegate. Invero, sarebbe quanto meno discutibile fare pesare sulla possibilità di utilizzare l’atto investigativo difensivo la disfunzione informativa in ordine alla pendenza del procedimento penale.

355 Contra, nel senso di non potere ravvisare l’esistenza di un vero e proprio divieto di documentazione in forme diverse da quella prescritta per l’assunzione di informazioni dall’art. 391 ter comma 3 c.p.p. e, di conseguenza, la corrispondente sanzione di inutilizzabilità, cfr. RUGGIERO, Compendio delle investigazioni

difensive, cit., p. 402.

«l’attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dal comma 3 dell’art. 391 bis», senza necessità di documentazione integrale dell’avvenuta formulazione. Quanto all’assunzione di informazioni, in assenza di espressa previsione, parrebbe doversi riconoscere eguale idoneità dimostrativa alla medesima attestazione, senza spingersi a pretendere una verbalizzazione integrale della fase di enunciazione che, in quanto preliminare, si situa in un momento senz’altro anteriore al compimento dell’atto investigativo in senso proprio – l’assunzione di informazioni – al quale soltanto è riferito l’obbligo di rigida documentazione di cui al comma 3 dell’art. 391 ter c.p.p.357.

Da ultimo, è appena il caso di rilevare come ipotesi di inutilizzabilità processuale debbano riscontrarsi tutte le volte in cui – al di là dell’espressa comminatoria – l’atto investigativo sia compiuto «in violazione dei divieti stabiliti dalla legge» ai sensi della previsione generale di cui all’art. 191 comma 1 c.p.p.

2. Profili penali

Non esistono fattispecie penali che puniscano espressamente la condotta specifica del difensore che violi le prescrizioni legali delle forme d’azione e di documentazione, di tal che pare possibile affermare che il nostro ordinamento non contempli uno statuto autonomo di tutela penale della legalità dell’indagine difensiva.

Nondimeno, l’agire contra legem del difensore indagante è comunque idoneo ad assumere rilevanza penale allorché si risolva nella lesione di ulteriori interessi elevati al rango di beni giuridici di categoria rilevanti in termini di previsioni criminali. Più

357 In senso favorevole, cfr. Cass., Sez. II, 14 novembre 2002, M. P., in Giur. it., 2004, p. 827, per cui “In

tema di investigazioni difensive, gli avvertimenti che, ai sensi dell'art. 391 bis, comma 3 c.p.p., il difensore deve rivolgere alla persona da cui assume le informazioni, non richiedono forme particolari, posto che l'art. 391 ter, comma 3, c.p.p. non impone un'attestazione formale, a differenza di quanto previsto dallo stesso articolo - al comma 1, lett. c - per la documentazione delle semplici dichiarazioni, né esige che i verbali compilati dai difensori contengano l'analitica enunciazione dei singoli avvertimenti”. Nella specie, in

applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto sufficiente l'attestazione, contenuta nei verbali redatti dal difensore, che il dichiarante era stato reso "edotto delle facoltà di legge e di quanto disposto con gli art. 391

bis e 391 ter c.p.p., di cui si dà lettura e che ha facoltà di non rispondere". Contra, cfr. Cass., Sez. III, 15

luglio 2003, L. L., in Cass. pen., 2005, p. 2625, per cui “In sede di investigazioni difensive, gli avvertimenti

che il difensore deve rivolgere al soggetto dichiarante, ai sensi dell'art. 391 bis comma 3 c.p.p. a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni, debbono essere specificamente verbalizzati, mentre non può essere ritenuta sufficiente la semplice attestazione in merito effettuata dal difensore ex art. 391 ter comma 1 lett. c), atteso che non sussistono ragioni per differenziare l'attività del difensore da quella analoga posta in essere dal giudice o dal p.m.”. In dottrina, in posizione intermedia cfr. BIONDI, La giurisprudenza in tema di

investigazioni difensive, con particolare riferimento all’attività di assunzione di informazioni, in Giur. merito, 2008, p. 9 e 10, per il quale in ipotesi di verbalizzazione in forma riassuntiva sarebbe sufficiente la

mera attestazione, mentre gli avvertimenti preliminari andrebbero riportati per esteso se inseriti nel corpo di un verbale redatto in forma integrale.

precisamente, la violazione delle forme d’azione può sfociare nel pregiudizio effettivo o potenziale alla corretta amministrazione della giustizia, mentre l’inosservanza dei protocolli di documentazione è idoneo a integrare ipotesi eventualmente concorrenti di illeciti riguardanti non soltanto il detto interesse, sotteso all’amministrazione della giustizia, bensì anche quello individuabile nella fiducia del pubblico in determinati oggetti o simboli, sulla cui autenticità deve potersi fare affidamento al fine di rendere certo o sollecito lo svolgimento del traffico giuridico, vale a dire la pubblica fede358.

Nel raffronto con la responsabilità oggettiva processuale, quella penale si atteggia essenzialmente come dolosa, in quanto incorporata in fattispecie delittuose che richiedono il dolo quale titolo normale di imputazione soggettiva, residuando ipotesi colpose solamente laddove espressamente previste ovvero allorché risulti integrato un illecito di natura contravvenzionale. Si coglie, in tale considerazione, una chiara linea punitiva ancorata al necessario previo accertamento di una componente volitiva intenzionale che accompagni la violazione delle regole d’azione o di documentazione, esulando dall’ambito di tutela penale l’inosservanza dei canoni formali supportata dalla mera negligenza, imprudenza o imperizia. L’intento perseguito con tale forma di previsione pare ricondursi all’esigenza di restringere l’area di rilevanza penale dei comportamenti devianti alle sole ipotesi che svelino un quid pluris rispetto alla semplice prevedibilità ed evitabilità dell’evento delittuoso, individuabile nella rappresentazione e volontà dell’offesa cagionata,

lato sensu coincidente con l’alterazione della realtà processuale. A ben vedere, il rischio

latente di eccessi di zelo sfocianti in ipotesi di responsabilità penale cagiona di fatto una paralisi nell’iniziativa investigativa del difensore – senz’altro incline all’astensione piuttosto che incappare in improvvide violazioni – di tal che si rivelerebbe forse opportuna una rimeditazione delle fattispecie che lo vedono potenzialmente coinvolto mediante l’addizione ulteriore di un requisito finalistico dell’azione – in termini di dolo specifico – da accertarsi come orientata all’alterazione della realtà processuale onde assumere rilevanza penale.

Quanto alla prima categoria di situazioni, integranti deviazioni dal modello legale di azione, possono richiamarsi le ipotesi delittuose della frode processuale (art. 374 c.p.) o del favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), uniche fattispecie di reato che si intrecciano effettivamente con la semplice inosservanza dei protocolli legali di comportamento nello

svolgimento fisiologico di un atto investigativo difensivo359, ancorché accompagnata dal peculiare elemento psicologico richiesto per l’integrazione dei rispettivi illeciti. Ricorre la prima ipotesi nella condotta del difensore che immuta artificiosamente lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone – a scongiurare la quale sono preordinate le forme reali d’azione che regolamentano l’accesso ai luoghi, l’esame delle cose sequestrate, la partecipazione alle ispezioni o l’esame dell’oggetto ispezionato – al fine di trarre in inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nella esecuzione di una perizia360. Integra, invece, la generale fattispecie del favoreggiamento personale l’agire del difensore che, al di fuori delle ipotesi di concorso, non si adegui ai canoni formali d’azione – nel compimento di attività investigative tanto dichiarative quanto reali – aiutando di fatto taluno a eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa. Peraltro, risulta evidente che con la medesima e unica azione il difensore può determinare la violazione di entrambe le disposizioni penali – frode processuale e favoreggiamento personale – realizzando, si è osservato, un concorso soltanto apparente di norme, da risolvere assegnando prevalenza al reato di favoreggiamento di cui all’art. 378 c.p.361. Peraltro, anche laddove le condotte si distinguessero in una pluralità di azioni in concorso materiale, ad attenuare il trattamento sanzionatorio potrebbe invocarsi la ritenuta continuazione tra i reati in quanto avvinti dal medesimo disegno criminoso secondo la previsione di cui all’art. 81 comma 2 c.p.

Quanto alle forme di documentazione, la tutela penale della loro osservanza si rinviene nelle norme che puniscono i reati di falso, laddove si riscontra un’insanabile

359 Risulta evidente, peraltro, che il compimento del medesimo atto investigativo difensivo possa esplicarsi in forme patologiche d’azione, che importano la responsabilità penale del difensore non tanto per l’inosservanza dei protocolli formali d’azione, bensì per avere realizzato una condotta tipica ulteriore al mancato rispetto delle prescrizioni legali. Sotto questo profilo, vengono senz’altro in rilievo le potenziali contestazioni in termini di concorso nella false informazioni al pubblico ministero (art. 371 bis c.p.) o nella falsa testimonianza (art. 372 c.p.) allorché il difensore abbia istigato taluno ad affermare il falso, o a negare il vero, nonché a tacere, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti su cui è interrogato, e l’istigazione sia stata accolta; per converso, in ipotesi di stimolo non accolto, potrà configurarsi il delitto di intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.) che ricorre anche qualora l’istigazione venga accolta, ma la falsità non sia poi commessa.

360 Ne deriva che l’ipotesi in esame non potrà mai ritenersi integrata qualora l’agire del difensore risulti conforme alle modalità legali di azione.

361 Nel senso indicato nel testo, che accorda preferenza al reato di favoreggiamento di cui all’art. 378 c.p. in virtù della clausola di riserva contenuta nell’art. 374 c.p. che fa salva l’ipotesi in cui il fatto sia preveduto come reato «da una particolare disposizione di legge», cfr. VENTURA, Le indagini difensive, cit., p. 189. La soluzione, tuttavia, non è immune da alcune riserve, posto che l’art. 374 c.p. si pone esso stesso come norma residuale che cede il passo a fattispecie dotate di maggiore specificità rispetto alla condotta dallo stesso ipotizzata; situazione, questa, che pare doversi escludere nel raffronto con il delitto di favoreggiamento personale, a sua volta estremamente generico e non tecnicamente tipizzato in ordine alle concrete modalità di esplicazione della condotta, che appare piuttosto a forma libera o causalmente orientata. Tanto che, a volere