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Presentazione al pubblico ministero

dell’udienza preliminare. – 6. Formazione e collocazione del fascicolo del difensore. – 7. Utilizzazione dibattimentale.

1. Premessa

La disciplina delle forme, d’azione e di documentazione, si completa con una puntuale previsione dei moduli di utilizzazione, attraverso previsioni dettate allo scopo precipuo di regolamentare i canali di ingresso delle risultanze difensive per tutto l’arco del procedimento, onde sgomberare il campo dalle letture minimaliste che, in assenza di apposita normativa, avevano relegato l’indagine privata al di sotto del procedimentalmente rilevante333.

Ora che il codice contempla espressamente i contesti in cui il difensore è abilitato alla produzione, non è più consentito ritenere che gli elementi forniti siano privi di rilevanza, poiché laddove la legge ne prevede la possibile allegazione si determina un dovere dell’autorità procedente di prenderli in considerazione, con correlato obbligo di rendere conto, in sede di motivazione dei provvedimenti, delle ragioni che hanno indotto a disattendere l’efficacia dimostrativa delle investigazioni difensive.

Deve sottolinearsi, in particolare, l’eloquente disposizione che consente al difensore di presentare «direttamente» al giudice gli elementi in favore del proprio assistito (art. 391

octies comma 1 c.p.p.), mostrando anche da un punto di vista lessicale l’intento di prendere

definitivamente le distanze della nota teoria della canalizzazione, che voleva un difensore obbligato a convogliare le proprie risultanze prima sull’antagonista accusatore onde giungere al cospetto del giudicante.

D’altra parte, per come è strutturato il sistema, gli elementi acquisiti dal difensore risultano suscettivi di impiego non soltanto in contesti preprocessuali – indagini preliminari, udienza preliminare e sede cautelare (art. 391 octies c.p.p.) – ma altresì in seno al dibattimento, nella dinamica di formazione del fascicolo per il giudizio (art. 431 c.p.p.) ovvero in quella di assunzione della prova dichiarativa (art. 391 decies c.p.p.). A ben vedere, tale duplicità di usi parrebbe rispecchiare i termini della concezione relativistica della prova334, ove il concetto di utilizzazione – a seconda della tipologia, dialettica o meno, della risultanza – può avere significato differente. Da un lato, esso evoca l’uso

333 Sul punto, cfr. supra, Parte I, Cap. II, § 3 e 4.

334 La teorizzazione della concezione relativistica delle prove penali si deve a NOBILI, Concetto di prova e

regime di utilizzazione degli atti nel nuovo codice di procedura penale, cit., c. 274 e ss. Sul punto, cfr. infra,

propriamente probatorio quale idoneo a fondare la pronuncia sul merito dell’imputazione e, pertanto, viene inquadrato nel momento funzionalmente deputato alla formazione della «prova», il dibattimento, appunto. Dall’atro lato, in presenza di contributi unilaterali, l’impiego probatorio risulta circoscritto ai soli contesti decisori preprocessuali, dovendosi riconoscere all’atto investigativo la capacità di incidere sul convincimento dell’autorità procedente, orientandone le determinazioni a proprio favore, ma non l’attitudine a fondare la pronuncia di merito. Nondimeno, deve osservarsi come rispetto all’impostazione di principio segnalata, il sistema soffra vistose eccezioni tali per cui l’«elemento» unilaterale, da impiegare dove non si definisce il merito dell’imputazione, può in realtà acquisire valore di «prova» in vista della pronuncia sulla responsabilità, come accade segnatamente per le risultanze difensive, ammesse a valere come prova in dibattimento ai sensi degli artt. 500, 512 e 513 c.p.p. (art. 391 decies comma 1 c.p.p.).

A cagione di tali sovrapposizioni, indici del perdurante potere di formazione unilaterale della prova riconosciuto anche al difensore, esce offuscata la netta distinzione tra la presentazione extra dibattimentale di «elementi» investigativi confezionati dal difensore inquirente e l’utilizzazione dibattimentale della «prova», poiché oggi è tale anche quella unilateralmente precostituita dal difensore istruttore, capace di fondare la decisione sul merito dell’imputazione.

Nella struttura del sistema, il passaggio dall’«elemento» difensivo alla «prova» unilaterale è consentito dall’inserimento del materiale investigativo nel fascicolo del difensore, che segna il momento di evoluzione dall’uso prettamente preprocessuale al potenziale utilizzo probatorio. Per tale ragione, le osservazioni che saranno svolte sul terzo fascicolo – affiancato a quello del pubblico ministero e, con questo, contrapposto a quello per il dibattimento – risentono della posizione mediana occupata dal dossier difensivo, che segna il discrimen tra la presentazione dell’elemento e l’utilizzazione dello stesso come «prova»335; benché, giova sottolinearlo fin da subito, la terminologia legislativa prescelta sia incorsa in un infortunio lessicale. Invero, il confluire del fascicolo del difensore in quello dell’antagonista accusatore – adempimento che, risentendo degli echi della canalizzazione, precede l’uso probatorio degli elementi difensivi – si colloca «dopo la chiusura delle indagini preliminari» (art. 391 octies c.p.p.), quando ancora il fascicolo del pubblico ministero «di cui all’art. 433» formalmente non c’è. Nel mezzo si situa la

335 Conseguentemente, l’analisi del fascicolo del difensore verrà condotta dopo la disamina delle diverse ipotesi di presentazione degli elementi in sede predibattimentale e prima delle osservazioni in punto di utilizzazione dibattimentale delle risultanze. Sul punto, cfr. infra, § 6.

celebrazione dell’udienza preliminare, nel corso della quale, dunque, il fascicolo del difensore trova collocazione in quello dell’avversario – fascicolo delle indagini – prima di predisporsi all’uso prettamente probatorio degli atti.

La discrasia, per vero, si presta a più d’una spiegazione. Da un lato, deve evidenziarsi che la legge in materia di indagini difensive è successiva nel tempo alla riforma sul giudice unico di primo grado che, come noto, contestualmente alla soppressione dell’ufficio del pretore, ha introdotto la possibilità per il tribunale di giudicare alternativamente in composizione collegiale ovvero monocratica; nel quale ultimo caso, allorché il reato rientri in quelli previsti dall’art. 550 c.p.p., il pubblico ministero esercita l’azione penale mediante un decreto di citazione diretta a giudizio che implica l’amputazione della fase dell’udienza preliminare. In tali ipotesi – statisticamente le più frequenti, essendo riservata la celebrazione del rito ordinario alle fattispecie di maggiore allarme sociale – il fascicolo del pubblico ministero effettivamente si forma al termine delle indagini preliminari, poiché manca il segmento processuale generalmente deputato alla sua scorporazione. In tutti questi casi, quindi, l’accorpamento del fascicolo del difensore è ragionevole proprio perché, da quel momento in poi, vi sarà spazio unicamente per il dibattimento – salvo richieste di riti alternativi – e, pertanto, potrà farsene reale utilizzazione probatoria.

Dall’altro lato, ove si tenesse effettivamente l’udienza preliminare, non può sottacersi che in quella sede si situa altresì l’eventuale richiesta di giudizio abbreviato ad opera dell’imputato. Di tal che, il previo inserimento degli atti difensivi nel fascicolo delle indagini potrebbe assecondare l’interpretazione per cui, in virtù dell’accorpamento, essi divengano probatoriamente utilizzabili anche in vista della decisione sul merito dell’imputazione assunta in esito al giudizio abbreviato336.

2. Presentazione al pubblico ministero

La presentazione degli elementi difensivi è strutturata dal sistema in termini di mera facoltà, come si evince dalla lettura della norma di riferimento – l’art. 391 octies c.p.p. – che ne declina le cadenze procedimentali sub specie di possibilità. Si tratta di occasioni che, pertanto, sfuggono a qualsiasi limite di doverosità e che soggiacciono alla valutazione di pura opportunità che il difensore è chiamato a compiere.

Tale considerazione acquista preponderante rilievo allorché si intenda destinare quelle risultanze all’antagonista accusatore, potendo il difensore «in ogni caso, presentare al pubblico ministero gli elementi di prova a favore del proprio assistito» (art. 391 octies comma 4 c.p.p.)337. Decisione, questa, che il legale deve ponderare con la massima attenzione poiché comporta un’anticipata e volontaria discovery delle indagini difensive svolte che potrebbe rivelarsi dannosa per il complesso della strategia processuale. D’altra parte, una volta presentati, quegli elementi confluiscono direttamente nel fascicolo delle indagini preliminari, di cui seguiranno il regime per tutto il corso del procedimento, di tal che il difensore perde la disponibilità esclusiva della risultanza prodotta anche qualora, nei fatti, essa si riveli in tutto o in parte dannosa per il proprio assistito.

Buon senso imporrebbe, quindi, di servirsi di tale potere – che, nonostante la formulazione aperta della norma, trova la propria sede elettiva nel corso delle indagini preliminari – soltanto quando si abbia la certezza di fornire alla controparte pubblica un elemento di assoluto favore. Simile consapevolezza, per vero, può acquisirsi unicamente in quelle parentesi procedimentali che abbiano consentito una discovery, anche solo parziale, dei restanti atti già contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, dalla cui conoscenza trarre opportuni riscontri circa l’utilità effettiva del contributo che si intende produrre.

Vengono in rilievo, sotto questo profilo, le varie occasioni in cui il difensore ha interesse a incidere sulle determinazioni del pubblico ministero in ordine alle vicende cautelari ovvero all’esercizio dell’azione penale. Dal punto di vista della persona indagata, difatti, la presentazione potrebbe rivelarsi utile già a seguito dell’applicazione di una misura cautelare – sia reale, che personale – dalla cui istanza di riesame o dalla cui semplice adozione sia derivato per la pubblica accusa l’obbligo di depositare gli atti sui quali il provvedimento si fonda. Le risultanze difensive, pertanto, potrebbero incidere positivamente su interinali istanze di dissequestro di competenza del pubblico ministero ovvero per orientare favorevolmente il parere che questi deve fornire al giudice in vista della potenziale revoca o sostituzione della misura cautelare personale.

337 Anteriormente alla legge in materia di indagini difensive, argomentando dalla facoltà del difensore di presentare «memorie e richieste scritte al pubblico ministero» nel corso delle indagini preliminari ex art. 367 c.p.p., si era sostenuto già esistente il potere di allegazione delle indagini difensive svolte. In tal senso, cfr. FRIGO, Difensore, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. AMODIO – O. DOMINIONI, I, Milano, 1989, p. 589; RUGGIERI, sub art. 222, in Commentario del nuovo codice di procedura

penale,diretto da E. AMODIO – O. DOMINIONI, Appendice. Norme di coordinamento e transitorie, a cura di G. UBERTIS, Milano, 1990, p. 119.

D’altra parte, nulla esclude che grazie all’occasionata conoscenza degli atti, il difensore decida di produrre gli elementi di favore per provocare immediatamente una richiesta di archiviazione. Tale decisione, peraltro, assume rilievo qualificato grazie alla disposizione di cui all’art. 415 bis comma 3 c.p.p. che, a indagini concluse e a fascicolo integralmente ostensibile, impone al pubblico ministero di avvisare la persona indagata della facoltà – tra le altre – di «depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore», onde trarre elementi di valutazione per mutare indirizzo e, anziché esercitare la preannunciata azione penale, richiedere proprio l’archiviazione.

Per converso, allorché il pubblico ministero già si sia determinato in tal senso, il difensore della persona offesa, cui l’avviso della richiesta archiviazione è stato notificato, può avere interesse a sostenere le argomentazioni svolte in sede di opposizione proprio grazie a elementi – questa volta di sfavore – reperiti a carico della persona indagata a vantaggio della persona offesa assistita.