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A fronte di tali considerazioni merita di essere forse rivisitata la pur suggestiva affermazione per cui le risultanze dell’indagine difensiva entrano “nella fucina del contraddittorio dibattimentale”347. A ben vedere, quelle risultanze stanno esattamente fuori dal contraddittorio dibattimentale, ponendosi quale espressa deviazione dalla regola di metodo insita nella formazione dialettica della prova. E non potrebbe essere altrimenti: gli atti di indagine di parte, sia pubblica che privata, mantengono la propria ontologica natura di elementi unilateralmente precostituiti, che dal contraddittorio dibattimentale possono essere solamente lambiti – attraverso i meccanismi delle letture – sì da essere eccezionalmente immessi nel materiale decisorio legittimamente utilizzabile dal giudice in vista della decisione. Non per questo, tuttavia, possono dirsi formate in contraddittorio.

I momenti di utilizzazione probatoria degli atti contenuti nel fascicolo del difensore sono individuati dall’art. 391 decies comma 1 c.p.p. negli «articoli 500, 512 e 513» del codice di rito. Agevole è ricostruire la ragione di una così lapidaria tecnica di rinvio, da rinvenire nella fortemente sentita esigenza di parificazione tra il valore processuale degli atti difensivi e quello delle indagini del pubblico ministero. Invero, legare indissolubilmente la sorte degli uni e degli altri consente di prevenire mai sopiti timori per il futuro, poiché laddove si ripresentasse un incremento di deroghe al principio dialettico tale da far dubitare di quale sia davvero la regola e quale l’eccezione, ebbene, non soltanto il pubblico ministero potrebbe beneficiarne, bensì anche il difensore.

Ad ogni modo, di occasioni in cui approfittarne, già oggi, ve n’è ben d’onde. A cominciare dall’utilizzo degli atti difensivi a fini cosiddetti contestativi. Basti pensare che, se la norma si limitasse a esplicitare testualmente soltanto che le risultanze private sono suscettive di contestazione, non sarebbe stato altrettanto pacifico che, oltre ai commi 1, 2 e 6 dell’art. 500 – gli unici che si occupano effettivamente di contestazioni – siano estese al difensore anche le ben più allettanti prerogative dei commi ulteriori. In tali previsioni si mascherano, dietro la rubrica dell’intera disposizione – «contestazioni nell’esame testimoniale» – ipotesi in cui l’elemento unilateralmente raccolto è acquisibile al fascicolo per il dibattimento, e quindi utilizzabile dal giudice per la decisione, a prescindere dalla sua contestazione. Può trattarsi, in particolare, di dichiarazioni ricevute o informazioni assunte dal difensore in indagini difensive da una fonte divenuta oggetto di comprovata

347 Cfr. DI CHIARA, Le risultanze dell’indagine difensiva nella fucina del contraddittorio dibattimentale: gli

scenari della regola-ponte ex art. 391-decies comma 1 c.p.p., in AA. VV., Processo penale. Il nuovo ruolo del difensore, a cura di L. FILIPPI, Padova, 2001, p. 339.

intimidazione o subornazione (comma 4) – circostanza che rende altresì utilizzabili le dichiarazioni rese in sede di esame testimoniale, quando il dichiarante si sia sottratto al controesame (comma 3) – ovvero sulla cui acquisizione si sia raggiunto l’accordo delle parti (comma 7). Sono ipotesi costituzionalmente compatibili, evocando il dettato dell’art. 111 comma 5 Cost. e le deroghe al metodo dialettico di elaborazione della prova. Così come conforme a tale ultima previsione è l’estensione al difensore della possibile lettura delle dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive di cui sia divenuta impossibile la ripetizione per circostanze sopravvenute e imprevedibili (art. 512 c.p.p.). Completa il panorama delle espresse previsioni il richiamo all’art. 513 c.p.p. e alla disciplina ivi dettata in materia di lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare ovvero dai soggetti di cui all’art. 210 comma 1 c.p.p, dei quali non abbia avuto luogo l’esame o che abbiano esercitato la facoltà di non rispondere in dibattimento, da ritenersi pienamente operante anche con riferimento alle dichiarazioni raccolte dal difensore nonostante l’art. 513 c.p.p. non ne faccia espressa menzione.

Non mancano, tuttavia, ipotesi di utilizzazione inespresse la cui ricostruzione interpretativa in chiave di applicabilità al difensore appare maggiormente difficoltosa. E’ il caso dell’art. 503 c.p.p. dettato in materia di contestazioni nell’esame delle parti, dove accanto alla impossibilità di superare il chiaro dettato normativo che limita la facoltà di acquisizione alle sole dichiarazioni assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, senza alcuna menzione del difensore (comma 5) rimane l’opzione di considerare comunque utilizzabili ai fini della contestazione pura anche le dichiarazioni precedentemente rese dalla parte al difensore, in virtù della loro collocazione accorpata al fascicolo del pubblico ministero (comma 3). Meno problematica l’estensibilità al difensore della prerogativa di lettura acquisizione delle dichiarazioni rese in precedenza da persona residente all’estero di cui risulta assolutamente impossibile l’esame in dibattimento (art. 512 bis c.p.p.) in considerazione del fatto che, pur mancando nell’art. 391 decies c.p.p. un espresso richiamo a tale disposizione, essa fa leva sul presupposto oggettivo della dichiarazione resa in precedenza, senza menzionare espressamente i soggetti destinatari di quelle informazioni, suscettivi quindi di comprendere, oggi, anche il difensore.

Accanto agli elementi di prova dichiarativa, idonei a tramutarsi in prove nelle occasioni poc’anzi segnalate, deve infine ricordarsi la previsione di acquisizioni originarie di atti delle indagini difensive al fascicolo per il dibattimento, in forza dell’intervenuto

accordo delle parti in sede di sua formazione (art. 431 comma 2 c.p.p.), ovvero in occasione delle richieste di prova nell’ambito del dibattimento (art. 493 comma 3 c.p.p.) anche celebrato innanzi al tribunale in composizione monocratica (art. 555 comma 4 c.p.p.). Disciplina da completare rammentandosi l’inserimento originario nel fascicolo medesimo, in fase genetica, dei verbali dei rilievi irripetibili in quanto indifferibili compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi, allorché il difensore li abbia presentati nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare (art. 391 decies comma 2 c.p.p.); regime che parrebbe differenziarsi, nonostante la farraginosa tecnica normativa, da quello dettato per gli accertamenti tecnici irripetibili, i cui verbali – perdendo la connotazione di puri atti difensivi a seguito dell’instaurazione della procedura di cui all’art. 360 c.p.p. – entrano a fare parte senz’altro del fascicolo per il dibattimento, come si evince dalla perentorietà dell’inciso per cui «si applica la disposizione di cui all’art. 431 comma 1 lettera c)» (art. 391 decies comma 4 c.p.p.) senza alcuna possibilità di diversa determinazione del difensore348. Questi, come poc’anzi segnalato, conserva invece la facoltà di decidere se presentare o meno i verbali dei rilievi irripetibili, salvo che il pubblico ministero eserciti la facoltà di assistervi, divenendo in tal caso operativa, previo inserimento nello stesso fascicolo anche dell’accusatore, la medesima disposizione categorica dettata per gli accertamenti tecnici non ripetibili (art. 391 decies comma 4 c.p.p.)349. Sono questi, quindi, i due unici casi di discovery obbligatoria per l’indagine difensiva, destinati a sfociare, peraltro, in ipotesi di autentica formazione forzata della prova frutto dell’iniziativa investigativa del difensore.

348 Identico regime si applica ai rilievi non ripetibili in quanto irreversibili. Sul punto, cfr. supra, Cap. IV, § 4 e 5.

349 Per come è strutturato il sistema, parrebbe che l’unico caso di mancato inserimento nel fascicolo per il dibattimento sia da rinvenire nell’ipotesi di compimento dell’atto da parte del difensore, senza la presenza del pubblico ministero, allorché il legale decida di non presentarne il verbale né in indagini preliminari, né in udienza preliminare. In tale circostanza, il verbale del rilievo irripetibile rimane scienza interna dell’ufficio difensivo, senza assumere alcun valore procedimentale. Se successivamente, nel corso del dibattimento, il difensore deciderà di produrlo, quel verbale vi entrerà soltanto come prova documentale e, in questo senso, si spiega l’esordio dell’art. 391 decies comma 2 c.p.p. che fa salvi i casi «in cui è applicabile l’art. 234» del codice di rito, dettato appunto in materia di prova documentale.

Capitolo VI

SANZIONI