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1. Premessa

Assieme alla previsione delle forme di azione, una disciplina delle forme di documentazione era ciò di cui unanimemente si lamentava la carenza nella laconica disposizione di attuazione che, faticosamente, regolamentava lo svolgimento dell’indagine difensiva prima dell’avvento della nuova compiuta normativa325. Comprensibile, benché non altrettanto condivisibile, la ragione dell’insoddisfazione: senza forme di azione e di documentazione certamente non si possono formare prove.

Ecco, dunque, la pronta risposta del legislatore che interviene solertemente a colmare il vuoto di previsione con una disciplina – la l. 7 dicembre 2000, n. 397 – che innesta nel tessuto codicistico, accanto alla capillare regolamentazione dei modi di svolgimento, anche una copiosa predisposizione di protocolli di documentazione delle attività investigative che il composito pool difensivo è legittimato a compiere. Il generoso catalogo di prescrizioni, per vero, si giustifica proprio in ragione delle situazioni in cui difensore realizza dei contributi con l’intento, eccezionale e recondito, di utilizzarli come prove. Documentare, difatti, significa lasciare una traccia di supporto che rappresenti, per il futuro, quell’attività di formazione unilaterale della prova, che filtrerà in dibattimento come precostituita anche laddove – è il caso della raccolta di elementi dichiarativi – non corrisponda ontologicamente a quell’archetipo di preordinazione. A garanzia della genuinità sostanziale, quindi, si fissano rigide regole di legalità formale che, laddove non rispettate, rendono l’atto inutilizzabile (art. 391 bis comma 6 c.p.p.).

Il punto è che non sempre il difensore agisce con impulso creativo; anzi, è assai più frequente il caso in cui egli si muove con autentico spirito esplorativo, incanalandosi nelle attività di investigazione che gli consentono di predisporre consapevolmente la propria linea d’azione. D’altra parte, e conseguentemente, è altrettanto evidente che non sempre il difensore miri a servirsi degli elementi raccolti in dibattimento, essendo senz’altro più consueto riscontrarne la produzione in sedi decisorie differenti, dove non si discute sul merito dell’imputazione e dove, pertanto, non si formano affatto «prove». Eppure, poiché in origine non si può prevedere quale uso effettivo egli intenderà azionare, la semplice

attitudine – anche solo potenziale – a tramutare le risultanze in prove determina che comunque esse debbano essere confezionate con il rigore delle forme, d’azione e di documentazione, il cui difetto ne paralizza l’utilizzabilità tout court, a prescindere dal contesto in cui, di fatto, si è deciso di operarne l’esibizione.

2. Ricezione di dichiarazione scritta

Le considerazioni poc’anzi svolte trovano puntuale conferma nella stessa agile previsione di un potenziale contatto informale non soltanto del difensore, ma di qualsiasi soggetto dell’investigazione, con le fonti di prova dichiarativa. Non ne esiste una peculiare regolamentazione: l’inquirente privato – nei limiti dei doveri deontologici e dei divieti penali – può muoversi come meglio crede, poiché quell’atto, anche laddove oggetto di annotazioni, appunti, registrazioni, non potrà essere utilizzato perché nasce in radice come colloquio «non documentato» (art. 391 bis comma 1 c.p.p.). Una sanzione di inutilizzabilità totale, per la completa assenza di tutela di legalità formale.

La prospettiva muta muovendosi sul versante dell’indagine formale, compiuta al fine di farne un uso lato sensu procedimentale, che necessita di supporto documentale da produrre nelle opportune sedi. La prima forma d’azione che richiede una precisa documentazione è l’attività investigativa che si sostanzia nella ricezione di una dichiarazione scritta resa da una persona in grado di riferire circostanze utili, che la legge richiede di confezionare «secondo le modalità previste dall’art. 391 ter» del codice di rito (art. 391 bis comma 2 c.p.p.). In particolare, deputata a certificare il rilascio della dichiarazione – sottoscritta dal dichiarante e autenticata dal difensore o da un suo sostituto – è la relazione – redatta dal difensore ovvero dal sostituto – da allegare alla dichiarazione (art. 391 ter commi 1 e 2 c.p.p.) e contenente le indicazioni circa la data di ricezione (lett.

a), le generalità proprie e del dichiarante (lett. b), l’attestazione di avere rivolto gli

avvertimenti preliminari (lett. c) nonché i fatti sui quali verte la dichiarazione (lett. d). E’ chiaro, quindi, come l’atto di indagine sia unico – la ricezione della dichiarazione – mentre l’attività successiva di redazione della relazione di accompagnamento ne costituisca la forma di documentazione, attestando tempi, modi e oggetto della dichiarazione ricevuta. La necessità di «allegare» la relazione alla dichiarazione, peraltro, ha fatto sorgere l’opinione che l’atto e la sua documentazione debbano essere contenuti in supporti fisicamente distinti326. Nondimeno, anche laddove si aderisse a tale formalistica

interpretazione, pare ragionevole ritenere che il mancato rispetto di simile prescrizione non dovrebbe in alcun modo incidere sul regime di utilizzabilità dell’atto investigativo, essendo anzi più conforme alla ricercata garanzia di genuinità della fonte – quanto meno sotto il profilo della provenienza – la circostanza che la relazione, pur allegata, costituisca fisicamente un unicum con la dichiarazione a cui si riferisce.

Vale la pena ricordare, a tale proposito, che il mancato rispetto delle forme di documentazione di cui all’art. 391 ter c.p.p., all’uopo richiamate dall’art. 391 bis comma 2 c.p.p., si traduce nella «violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti» che rende la dichiarazione non utilizzabile ai sensi dell’art. 391 bis comma 6 c.p.p. e costituisce illecito disciplinare327. Sanzione processuale operante – stante la vis espansiva esercitabile dalle risultanze anche in sede probatoria – a prescindere dal contesto decisionale in cui si verifica la produzione.

3. Assunzione di informazioni

Mentre la ricezione di una dichiarazione scritta si esaurisce in un’attività prettamente statica che bene si presta a essere documentata attraverso un’altrettanto immutabile relazione, alla serrata dinamica dell’intervista si ispira l’assunzione di informazioni, da documentare, quindi, con il mezzo che per definizione consente di catturare tutte le evoluzioni in cui si sviluppa la conversazione, id est il verbale, idoneo a cristallizzare la successione delle domande e risposte che si susseguono in sequenza adattandosi al mutevole contenuto che può assumere il colloquio nel corso della sua esplicazione. Ebbene, l’art. 391 ter c.p.p., all’uopo richiamato dall’art. 391 bis comma 2 c.p.p., al secondo comma rinvia – per la redazione del verbale, che il difensore o il sostituto curano facendosi assistere, se del caso, da persona di fiducia per la stesura materiale328 – alle «disposizioni contenute nel titolo III del libro secondo in quanto applicabili», vale a dire al catalogo delle previsioni dettate per la documentazione degli atti del giudice, del pubblico ministero (art. 373 c.p.p.) e della polizia giudiziaria (art. 357 c.p.p.).

Si codifica, per questa via, l’identica dignità formale degli atti compiuti dalla difesa rispetto a quelli provenienti dall’autorità giudiziaria, parificazione senza imbarazzo

327 Da notare che le Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, non contengono alcuna previsione specifica in ordine a tale forma di documentazione.

328 Si ricorda che i soggetti che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte sono incompatibili con l’ufficio di testimone ai sensi del novellato art. 197 comma 1 lett. d c.p.p.

strumentale a riconoscere alla prova unilateralmente confezionata dal difensore istruttore l’eguale valore processuale di quella creata dall’antagonista accusatore.

Quanto alle modalità di redazione, il verbale va compilato in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro mezzo meccanico ovvero, in difetto, con scrittura manuale. Alla redazione in forma riassuntiva deve accompagnarsi la riproduzione fonografica e, laddove tali forme siano insufficienti, dovrà farsi luogo altresì alla riproduzione audiovisiva, laddove assolutamente indispensabile (art. 134 c.p.p.)329. Proprio per fotografare il momento genetico di tutta l’intervista, dovranno riportarsi altresì le domande allorché non si tratti di dichiarazioni spontanee ma sollecitate. Per il resto, si osservano le disposizioni generali in tema di contenuto, sottoscrizione, trascrizione, documentazione in casi particolari e nullità (artt. 136-142 c.p.p.).

Anche a tale protocollo di verbalizzazione, peraltro, si connette la sofisticata garanzia di genuinità sostanziale dell’atto, essenziale ai fini della sua utile valutazione, cosicché il verbale redatto non sarà utilizzabile in carenza di legalità formale, né in dibattimento, né tanto meno nelle sedi decisorie anteriori in cui, originariamente, sia stato prodotto (art. 391

bis comma 6 c.p.p.).

4. Accesso ai luoghi

A conferma dello stretto collegamento tra rigidità della forma e potenziale uso probatorio dell’atto unilateralmente confezionato, sovviene altresì la blanda prescrizione per cui i soggetti dell’investigazione difensiva «possono redigere un verbale» con cui documentare l’accesso ai luoghi pubblici, aperti al pubblico (art. 391 sexies c.p.p.) ovvero – in applicazione estensiva, difettando apposita previsione nell’art. 391 septies c.p.p. ma non ostandovi alcun divieto – anche privati. Un protocollo di forma, quindi, soltanto eventuale, ben comprensibile se si considera che l’atto di indagine in questione non comporta alcun potere di formare unilateralmente una prova.

Chiaramente, è possibile che in occasione dell’accesso i soggetti inquirenti compiano determinati rilievi, anch’essi suscettivi di volontaria documentazione (art. 391 sexies comma 1 lett. d c.p.p.) ma, proprio perché volti alla mera attività di osservazione che risulta per definizione ripetibile, anche il verbale di simili operazioni non è destinato a confluire come prova nel fascicolo per il dibattimento (ove l’art. 431 comma 1 lett. c c.p.p.

329 Cfr. art. 13 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, approvate il 14 luglio 2001, con le modifiche apportate il 19 gennaio 2007, che riproduce nel complesso le medesime regole di documentazione.

accoglie i soli atti non ripetibili). Al più, sarà utilizzabile come scienza interna dell’ufficio difensivo ovvero producibile nelle sedi decisorie, diverse da quelle che vertono sul merito dell’imputazione, in cui il difensore ritenga di avvalersene. E, coerentemente al suo valore in radice mai probatorio, ivi potrà essere dal giudice validamente apprezzato anche qualora le modalità formali suggerite nell’art. 391 sexies c.p.p. non fossero state pedissequamente rispettate, non essendo collegata all’inosservanza di tali prescrizioni alcuna sanzione processuale di inutilizzabilità.

5. Atti non ripetibili

La prospettiva muta radicalmente allorché, in occasione dell’accesso ai luoghi, l’inquirente privato proceda a rilievi irripetibili in quanto indifferibili, dove la documentazione formale diviene obbligatoria ai fini del suo inserimento nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 391 decies comma 2 c.p.p., che ne subordina l’acquisizione alla preventiva presentazione nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, vale a dire alla decisione del difensore di avvalersene provocandone l’iniziale inserimento nel fascicolo difensivo; nonché ai sensi dell’art. 391 decies comma 4 c.p.p, che ne prevede il deposito anche in quello del pubblico ministero che abbia esercitato la facoltà di assistere al compimento di tali atti, decretandone in tal caso l’obbligatoria acquisizione al fascicolo per il dibattimento330. Peraltro, non essendo dettata alcuna specifica formalità con cui procedere alla documentazione, coerenza impone di richiamare quanto previsto dall’art. 391 sexies c.p.p. con riferimento ai rilievi ripetibili, anche se, incomprensibilmente, non si prevede alcuna sanzione espressa di inutilizzabilità probatoria allorché la verbalizzazione avvenga in modo difforme da quanto ivi stabilito, risultando oltremodo problematico ricostruirla in via interpretativa quale conseguenza derivante dall’assunzione di una prova «in violazione dei divieti stabiliti dalla legge» (art. 191 c.p.p.), poiché nel caso specifico si tratterebbe non di trasgressione a interdizioni legali bensì di inottemperanza a obblighi formali.

330 Per come è strutturato il sistema, parrebbe che l’unico caso di mancato inserimento nel fascicolo per il dibattimento sia da rinvenire nell’ipotesi di compimento dell’atto da parte del difensore, senza la presenza del pubblico ministero, allorché il legale decida di non presentarne il verbale né in indagini preliminari, né in udienza preliminare. In tale circostanza, il verbale del rilievo irripetibile rimane scienza interna dell’ufficio difensivo, senza assumere alcun valore procedimentale. Se successivamente, nel corso del dibattimento, il difensore deciderà di produrlo, quel verbale vi entrerà soltanto come prova documentale e, in questo senso, si spiega l’esordio dell’art. 391 decies comma 2 c.p.p. che fa salvi i casi «in cui è applicabile l’art. 234» del codice di rito, dettato appunto in materia di prova documentale.

6. Accertamenti tecnici non ripetibili

Il rigore formale ritorna con estrema incisività allorquando, in occasione dell’accesso ai luoghi, la difesa effettui dei rilievi irripetibili che provocano sull’oggetto modificazioni irreversibili, ovvero – anche in separata sede rispetto al momento di accesso ai luoghi – compia sull’elemento repertato accertamenti tecnici non ripetibili. Stante il richiamo espresso alla disciplina – in quanto compatibile – di cui all’art. 360 c.p.p., dettata per il compimento degli omologhi atti del pubblico ministero, è ragionevole ritenere che di queste attività le indagini difensive condividano anche il regime di documentazione, che l’art. 373 comma 1 lett. e c.p.p. individua nella redazione del verbale, secondo le modalità prescritte dal titolo III del libro II del codice di rito (art. 373 comma 2 c.p.p.).

A ben vedere, tuttavia, anche in tale ipotesi manca una previsione espressa di inutilizzabilità processuale collegata al mancato rispetto delle forme, di tal che si presentano le medesime difficoltà, poc’anzi richiamate, nel tentativo di ricostruirla in via interpretativa sulla base della generale previsione di cui all’art. 191 c.p.p.331. In questo caso, tuttavia, il mancato rispetto dei protocolli formali di documentazione solo apparentemente sembrerebbe sfornito di sanzione processuale332, dovendosi richiamare l’ipotesi di nullità del verbale per incertezza assoluta sulle persone intervenute o per difetto di sottoscrizione del pubblico ufficiale che l’ha redatto (art. 142 c.p.p.).

Capitolo V

PRESENTAZIONE E UTILIZZAZIONE

331 Cfr. supra, § 5.

332 In senso contrario, in dottrina, cfr. ROMBI, Nel fascicolo per il dibattimento gli atti irripetibili del difensore, in AA. VV., Processo penale. Il nuovo ruolo del difensore, a cura di L. FILIPPI, Padova, 2001, p. 443, secondo la quale “L’art. 431 c.p.p. garantisce, infatti, il passaggio in dibattimento dei soli verbali. I materiali

diversamente documentati dovrebbero essere stralciati dal fascicolo e restituiti al pubblico ministero ovvero, se letti, essendo l’acquisizione illegittima, non utilizzati”. In senso conforme alle conclusioni raggiunte nel

testo, in giurisprudenza anteriore alla modifica normativa e, quindi, riferita agli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal pubblico ministero, cfr. Cass., Sez. III, 3 aprile 1998, Corradini, CED 210691, secondo cui l’utilizzabilità dell’atto in sede dibattimentale non è condizionata dalla presenza di un vero e proprio verbale purché di questo sussistano i requisiti sostanziali, vale a dire la provenienza certa e la stretta contiguità spazio-temporale tra la constatazione dei fatti e la sua documentazione.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Presentazione al pubblico ministero. – 3. Presentazione al giudice per le indagini