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1. Disciplina mancante

L’assenza di regole non costituisce necessariamente indice di libertà. Per essere avvertito come tale, l’affrancamento dalla previsione legale deve inserirsi in un contesto ideologico di matrice essa stessa liberale, capace di rinunciare scientemente alla formalizzazione normativa allorquando l’esercizio di un diritto possa esprimersi efficacemente soltanto in quanto legibus solutus. Diversamente, laddove il riconoscimento di un potere presupponga un atto di concessione, il difetto di tipicità potrebbe interpretarsi come eloquente della totale indifferenza dell’ordinamento per il fenomeno e corrispondere alla negazione in radice dell’esistenza del potere medesimo.

Alla luce di simile relativismo deve essere valutata la mancata previsione, nel codice del 1930, di qualsiasi capacità in capo al difensore di ricercare elementi di prova in favore del proprio assistito. Silenzio che, conformemente all’impronta culturale inquisitoria e autoritaria dell’epoca, rappresentava la traduzione normativa del misconoscimento di un diritto a difendersi indagando52. Sullo sfondo, si stagliava la caratteristica saliente del sistema processuale allora vigente, scisso in due fasi – istruzione e dibattimento – asseritamente distinte ma in concreto comunicanti, mercé un meccanismo inflazionato delle letture idoneo a far sì che quanto raccolto in sede di indagine migrasse in dibattimento sotto forma di prova utilizzabile e valutabile dal giudice in vista della decisione. Pare che il canone del contraddittorio, cui – unitamente all’oralità – pure quel processo misto dichiarava di uniformare il giudizio, assumesse in quel contesto un significato più apparente che reale, decretando la totale permeabilità della fase processuale alle risultanze del procedimento. Un contraddittorio debole sulla prova, dunque, che garantiva alle parti un passivo diritto di concorrere con forza argomentativa alla verifica critica del valore che potevano assumere in dibattimento gli elementi già unilateralmente confezionati negli stadi anteriori, senza poter incidere dialogicamente nel momento genetico della loro formazione. Un contraddittorio che, correlativamente, si vedeva sistematicamente rimpiazzato dall’uso probatorio dell’atto di indagine proprio nei contesti

52 Significativo quanto può leggersi in VASSALLI, Il diritto alla prova nel processo penale, cit., p. 25, illustre studioso che all’epoca osservava: “le ricerche di prova che le parti possono compiere sono in genere attività

extra processuali che non vengono in considerazione, per questa ragione, come diritti o poteri di natura processuale”. Cfr. anche CRISTIANI, Guida alle indagini difensive, cit., p. 146: “Sotto il vigore del codice di

procedura penale del 1930 (…) non si parlava di indagini difensive, non esistendo una norma che espressamente le autorizzasse”.

decisori sul merito dell’imputazione, segnando un insignificante livello di dialetticità del sistema e annullando, conseguentemente, non soltanto i margini di libertà ma, altresì, l’essenza stessa del difendersi indagando.

In pieno garantismo inquisitorio53 – quando attuare il diritto di difesa significava riconoscerlo, senza preoccuparsi di riempirlo di contenuti positivi e propositivi – i poteri difensivi si riducevano alle sterili concessioni sul terreno della conoscenza dell’accusa ovvero della presenza al compimento di atti, unici varchi aperti nella cortina del segreto istruttorio che permeava la fase delle indagini, monopolio esclusivo del pubblico accusatore. All’introduzione legislativa dell’avviso di procedimento – futura comunicazione giudiziaria e, da ultimo, informazione di garanzia – destinato a portare a conoscenza dell’indagato l’esistenza di un procedimento penale a suo carico in tempi utili ad un più sollecito esercizio del diritto di difesa nella delicata fase processuale in cui si imposta l’accusa e vengono raccolte le prove54, faceva da contraltare, tuttavia, una restrittiva lettura della Consulta. Questa, nell’escludere che la previsione di tale istituto fosse costituzionalmente imposta, paventava l’abnormità di un’eventuale disposizione che prevedesse l’indiscriminata e generalizzata comunicazione circa la pendenza di indagini preliminari55. La situazione non era migliore in termini di azione successiva a tale informazione. Ed invero, constatando lo scadimento della fase preliminare al processo da luogo di ricerca degli elementi probatori a vera e propria sede elettiva di formazione anticipata della prova, la Corte costituzionale si vedeva costretta a decretare l’illegittimità del sistema tutte le volte in cui al momento genetico della prova non avesse potuto presenziare anche il difensore. Nel pensiero del giudice delle leggi, peraltro, l’assistenza difensiva al compimento dell’atto, lungi dall’integrare un diritto assoluto e inderogabile, andava diversamente modulata a seconda della natura – irripetibile o meno – dell’atto medesimo, reputandosi imprescindibile soltanto al cospetto di attività di indagine tendenzialmente definitive, non suscettibili di reiterazione nel corso del successivo dibattimento56. Per altro verso, il riconoscimento non andava oltre a un mero e

53 L’espressione è coniata da NOBILI, Diritto alla prova e diritto di difesa nelle indagini preliminari, in Giust.

pen., 1990, III, c. 130.

54 Cfr. C. cost. 29. dicembre 1972, n. 197, in Giur. cost., 1972, p. 2205; C. cost. 21 novembre 1973, in Foro

it., 1974, c. 29; C. cost. 13 febbraio 1974, n. 29, in Foro it., 1974, c. 106.

55 Cfr. C. cost. 28 luglio 1976, n. 208, in Giur. cost., 1976, I, p. 1307; C. cost. 16 dicembre 1982, n. 221, in

Cass. pen., 1983, p. 556.

56 Cfr. C. cost. 19 aprile 1972, n. 64, in Foro it., 1972, I, c. 1154, che dichiarava l’illegittimità per contrasto con l’art. 24 comma 2 Cost. dell’art. 304 bis c.p.p. 1930, nella parte in cui escludeva il diritto del difensore dell’imputato di assistere alle testimonianze a futura memoria (art. 357 comma 2 c.p.p. 1930) e ai confronti tra imputati e testimoni esaminati a futura memoria (art. 364 c.p.p. 1930), proprio in virtù della riconosciuta

improduttivo presenzialismo57 difensivo, sfornito di qualsiasi potere propositivo idoneo a contribuire dialetticamente alla formazione della prova.

Si assisteva, così, alla consacrazione della pericolosa equazione giuridica per cui aggiungendo la passiva figura del difensore all’esecuzione di un atto di indagine si otteneva un contributo conoscitivo legittimamente utilizzabile in dibattimento come prova in quanto, appunto, formalmente garantito. La combinazione risultava difettosa sotto un duplice profilo. Da un lato, lì dove volutamente si formavano prove, si negava al difensore un effettivo diritto di partecipazione significativa ad un atto non reiterabile che rimaneva promosso e gestito soltanto dall’accusatore. Dall’altro lato – e qui risiedeva il male maggiore – si perseverava a ragionare come se solo le attività ab origine irripetibili potessero confluire nel materiale decisorio, ignorando che qualsiasi elemento segretamente raccolto in sede di indagine fosse suscettivo di uso probatorio solo che fosse immesso nel circuito debole del contraddittorio dibattimentale sulla prova.

A ben vedere, una libertà di difendersi indagando non poteva ricevere né implicito né espresso riconoscimento fin tanto che continuava a difettare il presupposto primo per la sua legittimazione: l’irrilevanza degli atti di indagine rispetto al dibattimento. Vita difficile incontravano le autorevoli voci di quanti segnalavano l’esigenza di un libero potere di ricerca della prova in capo al difensore58, destinate a infrangersi non solo, e non tanto, sulla solida ritrosìa culturale dell’epoca, quanto piuttosto, e soprattutto, contro la rigida architettura di un sistema che, rifiutando il metodo dialogico nella formazione della prova, un simile potere non sarebbe mai stato in grado di accogliere.

Insensibile a tali moniti e animato da istanze di rinnovamento, il legislatore si è quindi persuaso che la cristallizzazione in norma di legge avrebbe costituito la migliore forma di tutela per il difendersi indagando. L’esigenza di una previsione espressa era quanto si chiedeva per dimostrare il cambiamento di rotta rispetto al passato e da più parti si avvertiva come imprescindibile l’emanazione di un’apposita disciplina dell’indagine

irripetibilità di questi atti.

57 In questi termini, D’AMBROSIO, Difensore e garanzie difensive nelle indagini preliminari, in Giust. pen., 1990, III, c. 400.

58 Cfr. FOSCHINI, Sistema del diritto processuale penale, I, Milano, 1965, p. 302: “la difesa non sarebbe libera

se dovesse limitarsi alla valutazione degli elementi di prova ricercati o offerti dall’accusa, dovendo avere, invece, la possibilità di ricercare e indicare gli elementi che sorreggono la propria tesi o smentiscono quella dell’accusa (…) non deve essere dubbio sulla facoltà del difensore di esperire o fare esperire indagini per proprio conto (eventualmente anche a mezzo di istituti di polizia privata)”. Analogamente, MANZINI, Trattato

di diritto processuale penale italiano, vol. II, Torino, 1956, p. 472: “Per poter indicare al giudice istruttore o portare al dibattimento elementi di prova utili per l’imputato, è evidentemente necessario ricercarli, e però non si può impedire al difensore di eseguire siffatte ricerche”.

difensiva59. Poco importa se, sposando questa filosofia, si consacrava l’infelice equivoco di ritenere ammesso solo quanto espressamente previsto e vietato tutto ciò che non fosse analiticamente regolamentato. Il difetto prospettico di partenza, che avrebbe guidato i successivi interventi riformatori ponendo in primo piano la rivendicazione egocentrica del diritto di difesa, veniva ufficialmente inaugurato.

2. Disciplina emananda

Eppure, in sede di delega al Governo per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, il legislatore sembrava avere ben chiara l’implicazione di sistema derivante dall’accoglimento del nuovo processo di parti e rappresentata dall’attuazione dei caratteri del sistema accusatorio (art. 2, l. 16 febbraio 1987, n. 81), tra i cui principi e criteri direttivi, copiosamente indicati, non figurava prescrizione alcuna in ordine alla previsione e alla disciplina del potere di indagine difensiva. Un’omissione senz’altro coerente con la sottostante scelta di valore60, che richiedeva un impegno preciso nel delineare un rito ove distinguere nettamente la fase delle indagini preliminari da quella del processo vero e proprio, scongiurando il perpetuarsi di meccanismi che avrebbero consentito al materiale unilateralmente ricercato di fondare la successiva pronuncia di merito. Nell’originaria purezza di quel sistema, difatti, la fase prodromica veniva concepita come funzionale unicamente all’informativa che ciascuna parte, prima del processo, procurava esclusivamente a sé stessa di modo che, se all’inquirente accusatore veniva riconosciuto il potere di predisporsi attivamente in tal senso, una speculare facoltà di preparazione doveva essere riconosciuta anche all’inquirente difensore. In un impianto tanto coerente e bilanciato, quindi, al legislatore sarebbe stato sufficiente dedicare al ridimensionato tema delle indagini difensive soltanto alcune disposizioni collaterali61, volte a rimuovere sorpassati divieti deontologici che, nel sistema previgente, impedivano al difensore di avvicinare i futuri e potenziali testimoni62.

59 Puntuali le osservazioni di FRIGO, Un avvocato nuovo per un nuovo processo penale, in Cass. pen., 1987, p. 2062, che invoca apertamente l’intervento del legislatore delegato affinché disegni ampiamente, attraverso le norme del codice, gli spazi del nuovo diritto di difesa.

60 Cfr. PRESUTTI, Indagini difensive e «parità delle armi», in AA. VV., Studi in ricordo di Gian Domenico Pisapia, Milano, 2000, p. 609, che sottolinea come “l’indagine difensiva costituisca implicazione necessaria del nuovo modello codicistico al di là e a prescindere da una specifica regolamentazione normativa la cui mancanza risulta, sul piano teorico, coerente con la natura non procedimentale dell’indagine stessa”.

61 In questo senso, NOBILI, Prove a “difesa” e investigazioni di parte nell’attuale assetto delle indagini

preliminari, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 400.

Maggiore fosse stato il tasso di dialetticità del sistema, maggiore libertà avrebbe goduto il difensore nella ricerca degli elementi di favore, grazie a una normativa silente che veramente, nel mutato contesto culturale, avrebbe decretato il riconoscimento di un agile diritto di difendersi indagando63. E nemmeno l’arretramento delle soglie di garanzia fino ad allora concesse – mercé gli interventi promozionali del giudice delle leggi – al presenzialismo del difensore avrebbe destato eccessivo scalpore64. Il passaggio dal modello inquisitorio al processo di parti avrebbe immediatamente imposto l’evoluzione da una statica tutela di garanzia a una dinamica attuazione in positivo del diritto di difesa65, da costruirsi non più quale mera assistenza passiva al compimento dell’atto probatorio da altri gestito, bensì in termini di attivo diritto di partecipazione alla formazione dialettica delle prove, nella sede deputata alla diretta escussione delle stesse innanzi al giudice terzo, in dibattimento. La funzione difensiva sarebbe divenuta così, e prioritariamente, diritto di partecipazione al processo.

Nondimeno, contraddicendo le entusiasmanti premesse, il progetto preliminare del nuovo codice di rito, elaborato dalla Commissione ministeriale, dedicava alla materia delle indagini difensive una disciplina decisamente dettagliata66. Ancorché concentrata nell’art. 33 delle disposizioni di attuazione67, l’investigazione parallela trovava puntuale

63 Nel medesimi termini, cfr. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2001, p. 469, il quale segnala chiaramente come un’implicazione necessaria del sistema accusatorio, quale l’investigazione difensiva, sia stata, di contro, ritenuta espressione di un principio eccezionale, da interpretare secondo il canone ubi lex

voluit, dixit; ubi noluit, tacuit.

64 In questo senso, cfr. FRIGO, Un avvocato nuovo, cit., p. 2061: “Sotto certi profili, le “garanzie difensive” –

così come oggi le intendiamo – sono destinate, se non a scomparire, certo ad affievolirsi o ad essere ordinate ad una diversa funzione”. Sul punto, cfr. altresì D’AMBROSIO, Difensore e garanzie difensive, cit., c. 400 e ss. L’Autore, nel sottolineare la fisiologia di una simile riduzione nella logica del nuovo modello processuale, in cui gli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari sono destinati a non possedere – almeno tendenzialmente – efficacia probatoria agli effetti del giudizio, si sofferma a individuare la diversa finalità che è possibile rintracciare nelle residuali ipotesi in cui il difensore, pur nel mutato assetto processuale, conserva il diritto o l’obbligo di assistere ad atti della fase preliminare. Segnatamente, l’esigenza di garanzia minima indispensabile nei casi di atto, unilateralmente formato, ontologicamente utilizzabile come prova in quanto ab origine irripetibile (perquisizioni, ispezioni, sequestri); ovvero, il presidio di tutela della libertà morale della persona, come nel corso dell’interrogatorio dell’indagato.

65 Cfr. DOMINIONI, Le investigazioni del difensore ed il suo intervento della fase delle indagini preliminari, in

Dif. pen., 1989, n. 25, p. 26, che sottolinea il transito da una “difesa di posizione” ad una “difesa di

movimento”.

66 Per un’analisi esaustiva e in chiave critica del percorso normativo dall’art. 33 prog. prel. disp. att. al definitivo art. 38 disp. att. c.p.p., cfr. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, Milano, 2002, p. 20 e ss. In argomento, cfr. pure NOBILI, Prove a “difesa” e investigazioni di parte, cit., p. 406 e ss.; PERCHINUNNO, Il

nuovo ruolo del difensore nella ricerca delle fonti di prova, in AA. VV., Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale. Studi in onore di G. Vassalli, II, Milano, 1991, p. 225 e ss.; RUGGIERO, Compendio

delle investigazioni difensive, Milano, 2003, p. 14 e ss.; VENTURA, Le indagini difensive, Torino, 2005, p. 10 e ss.

67 Per la lettura del testo integrale dell’art. 33 prog. prel. disp. att., cfr. CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo

codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. VI, Le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, t. I, Le norme di attuazione con le relative

regolamentazione quanto a facoltà del difensore di svolgere, anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova in favore del proprio assistito (comma 1 lett. a), attività delegabili a investigatori privati autorizzati (comma 5) ad esclusione del potere, espressamente riconosciuto, di conferire con le persone che potevano dare informazioni e rilasciare dichiarazioni scritte (comma 1 lett. b). Si prevedeva, inoltre, l’avvertimento al potenziale dichiarante circa la facoltà di rifiutare il colloquio (comma 2) precisando che, dietro sua richiesta, all’audizione potesse assistere una persona di sua fiducia, che avrebbe sottoscritto l’eventuale dichiarazione rilasciata (comma 3). Infine, si vietava il contatto con la fonte di prova dichiarativa allorché la persona informata fosse già stata ammessa come testimone nell’incidente probatorio, nell’udienza preliminare o in dibattimento (comma 4).

La dovizia di particolari, di per sé inutile in quel contesto, finiva con creare maggiori problemi interpretativi di quelli che mirava a scongiurare. Ed invero, un primo rilievo veniva subito mosso dalla Commissione parlamentare chiamata ad esprimere il prescritto parere, che suggeriva una modifica del citato comma 5 attraverso una previsione che consentisse al difensore di scegliere se avvalersi, per il compimento delle proprie investigazioni, della polizia giudiziaria sulla quale, in tal caso, avrebbe gravato un obbligo di segreto nei confronti del pubblico ministero fino alla conclusione delle indagini preliminari68. Innovazione che, da un lato, rivelava l’apprezzabile intento di dotare di efficaci strumenti investigativi gli uffici difensivi, anche in ipotesi di difesa dei non abbienti, verosimilmente impossibilitati a sostenere le spese di un incarico a investigatore privato; dall’altro lato, tuttavia, instaurando tale rapporto tra indagini difensive e polizia giudiziaria, perpetuava l’ambiguità del sistema per cui le sorti della persona indagata, quanto a scoperta di elementi a discarico, venivano fatte dipendere dall’attivismo del soggetto deputato alla ricerca di quelli a carico. Senza che, peraltro, rispetto alla polizia giudiziaria fosse inserita nella delega una direttiva analoga a quanto la direttiva 37 prevedeva per il pubblico ministero in punto di doverosi accertamenti su fatti e circostanze di favore.69. Per non dire dei dubbi di compatibilità costituzionale di una disciplina siffatta, di difficile conciliazione rispetto al principio della diretta ed esclusiva dipendenza della norme regolamentari, Padova, 1990, p. 136.

68 Cfr. il Parere della Commissione parlamentare sull’art. 33 prog. prel. disp. att. (parere espresso nella seduta del 21 marzo 1989), in CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, cit., vol. VI, cit., t. I, cit., p. 137 e ss.

69 Auspicava una pronta archiviazione tra i lavori parlamentari della proposta della Commissione parlamentare, ritenuta “non immune da qualche venatura umoristica”, CRISTIANI, Manuale del nuovo

polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria consacrato nell’art. 109 Cost70. Sotto diverso profilo, la Commissione parlamentare si spingeva fino ad auspicare l’introduzione di un ulteriore art. 33 bis volto a disciplinare i confini della responsabilità civile del difensore che avesse ecceduto i limiti dell’esercizio del diritto di difesa nello svolgimento dell’indagine privata, proposta che – laddove tradotta in legge – avrebbe senz’altro appalesato quanto il difendersi indagando venisse avvertito, pur nel mutato assetto processuale, come diritto ancora fortemente vincolato71.

La medesima sensazione pervadeva il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura72, da cui traspariva quell’ansia di tipizzazione che, una volta assecondata, sembrava non trovare più pace alcuna, tanto da censurare per inadeguatezza, incompletezza e lacunosità la proposta di disposizione di fattura ministeriale. Si consigliava di rimediare all’infortunio attraverso previsioni specifiche che chiarissero se tra le attività espletabili dalla difesa fosse compreso altresì il colloquio con persone già sentite dal pubblico ministero o con coindagati nel medesimo procedimento ovvero in procedimenti connessi o collegati; se fosse possibile procedere alla registrazione dei colloqui; se fosse doveroso avvertire esplicitamente la persona convocata della non obbligatorietà della presentazione e indicare l’oggetto della dichiarazione da rendere nonché l’identità dell’interessato alla dichiarazione; infine, se fosse possibile l’utilizzo in dibattimento ai fini delle contestazioni delle informazioni raccolte attraverso dichiarazioni scritte ovvero se queste servissero soltanto a ottenere l’ammissione del testimone in dibattimento o l’incidente probatorio, precisando se, una volta prodotte, andassero inserite nel fascicolo del pubblico ministero ovvero del dibattimento73.

Il panorama si arricchiva, da ultimo, dell’affine parere espresso dal Consiglio nazionale forense74, preoccupato per l’elusività di una disciplina che lasciava il difensore in balìa di sé stesso senza trovare nella norma alcuna guida di orientamento, difettando un

70 Per i rilievi critici riportati nel testo, cfr. PERCHINUNNO, Il nuovo ruolo del difensore, cit. p. 226.

71 Reputava “interessante” la proposta in questione ZANCAN, Problemi della difesa con particolare

riferimento ai profili delle investigazioni private, in Quad. C.S.M., 1989, n. 82, p. 84. Contra, nel senso di

reputare riduttiva e inutile una previsione in tal senso, cfr. CRISTIANI, Manuale del nuovo processo penale, cit., p. 587.

72 Cfr. il Parere del Consiglio superiore della magistratura sull’art. 33 prog. prel. disp. att. (parere espresso nella seduta del 16 marzo 1989), in CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, cit., vol. VI, cit., t. I, cit., p. 138 e ss.

73 In senso critico, cfr. PERCHINUNNO, Il nuovo ruolo del difensore, cit. p. 227 e ss.

74 Cfr. il Parere del Consiglio nazionale forense sull’art. 33 prog. def. disp. att. (parere espresso in data 16 giugno 1989), in CONSO-GREVI-NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, cit., vol. VI, cit., t. I, cit., p. 278.

sistema che gli consentisse di svolgere investigazioni al riparo dai rischi di incorrere in illeciti giuridici o in violazioni di carattere deontologico.

Disorientato da tali e tante puntualizzazioni, il Governo ritenne, infine, di abbandonare il progetto originario, limitando la portata precettiva della disposizione in materia di indagini difensive alla sola enunciazione di principio contenuta nel primo comma della norma abbozzata e riservando a un futuro intervento legislativo ad hoc la