Gli attuali Accordi di Associazione prevedono86 che le industrie
dei Paesi extra europei firmatari si adeguino agli articoli del Titolo VII del Capo primo del TFUE per poter partecipare attivamente e con i benefici previsti al mercato europeo.
Gli articoli dal 101 al 106 in materia di concorrenza commerciale prevedono tale possibilità.
L’articolo 101 prevede che “sono incompatibili con il mercato
interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra
Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della
86N.Minasi, “The Euro Mediterranean Free Trade Area and its Impact on the
concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di
transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso”.
Si prevede quindi un elenco di azioni che possono pregiudicare la libera concorrenza, mentre l’articolo 102 tratta il tema del divieto di abuso di posizione dominante.
Si prevede infatti che “è incompatibile con il mercato interno e
vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di
transazione non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di
prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun
nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
Saranno le singole autorità nazionali preposte alla regolamentazione e alla salvaguardia della concorrenza (ex articolo 104 TFUE) e la Commissione Europea ( ex articolo 105 TFUE) a far sì che i due articoli ora esaminati vengano rispettati. Le imprese europee hanno il vantaggio di muoversi in un terreno normativo ormai a loro familiare, mentre le imprese nord africane e medio orientali devono adattarsi alle previsioni del Trattato di Lisbona in breve tempo.
I governi dei Paesi extra europei devono rimodellare velocemente anche le loro procedure amministrative secondo gli standard europei; si pensi agli obblighi di certificazione dei prodotti alimentari per esempio.
Un metodo già utilizzato in alcune Nazioni, come ad esempio Malta, Egitto, Giordania e Marocco, per evitare il fisiologico periodo di assestamento alla nuova normativa, è quello di incentivare l’arrivo delle aziende europee.
Queste sono già abituate a tali leggi e procedure e quindi possono essere immediatamente operative: sono incentivate a trasferirsi in particolari zone del territorio a cui verrà garantita una agevolazione fiscale.
I governi degli Stati in questione preferiscono quindi raggiungere i benefici immediati in termini economici, senza curarsi di quelli
a lungo termine che una piena integrazione con il mercato europeo garantirebbe loro.
L’arrivo di tali imprese europee può avere un effetto dannoso sulla economia locale: i concorrenti stranieri, dall’alto della loro posizione di forza, non sono certo obbligati a condividere le loro informazioni e la loro tecnologia.
Questo porta le aziende locali a modificare la loro produzione per tentare di tenere il passo della loro concorrenza portando molti imprenditori addirittura al fallimento.
Si può prevedere un altro effetto, altrettanto dannoso: le imprese europee, attirate dalle agevolazioni fiscali, andranno nei Paesi extra europei coinvolti nell’area di libero scambio esclusivamente per produrre beni semi lavorati, la cui produzione terminerà in Europa dove rimarrà anche il valore aggiunto guadagnato.
Per concludere, sembra che l’area di libero scambio, se non adeguatamente regolamentata, possa incentivare la delocalizzazione e non l’integrazione e la cooperazione economica come auspicava la Dichiarazione di Barcellona. Proseguendo l’analisi degli Accordi di Associazione, si può notare una ulteriore asimmetria: accettando i principi sanciti dal Trattato di Lisbona87, vengono proibiti anche per i Paesi extra
europei firmatari gli aiuti di Stato che possono danneggiare la concorrenza nell’area euro-mediterranea.
87Si fa riferimento all’articolo 107 comma 1 del TFUE “Salvo deroghe contemplate
dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura
in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse
statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”
Questo impedisce però alle imprese nord africane e medio orientali di recuperare l’eventuale distacco in termini di efficienza che può esistere con le loro controparti europee.
La stessa Dichiarazione di Barcellona riconosce che le economie dei Paesi debbano ricevere aiuti strutturali per riparare le loro mancanze e i loro difetti, ma si impedisce quindi che siano gli stessi Stati a garantire un aiuto alle proprie imprese.
L’ammissione che tali sistemi economici possono aver bisogno di aiuti, si può trovare anche negli stessi Accordi di Associazione visto che ognuno di essi ha una clausola particolare che proclama come gli aiuti di Stato forniti fino all’entrata in vigore degli Accordi stessi, saranno equiparati agli aiuti forniti alle regioni europee in difficoltà, previsti dall’articolo 107 comma 3 lettera a88.
Il cessare degli aiuti di Stato dovrebbe quindi portare a una sostanziale privatizzazione e liberalizzazione dei settori economici; bisogna però osservare se questa trasformazione può essere veloce e immediata come il cessare degli aiuti stessi. Come si è visto, l’area di libero scambio nella zona euro- mediterranea deve essere costruita attraverso Accordi di Associazione negoziati tra l’Unione Europea e i singoli Paesi coinvolti.
Siamo di fronte quindi a una negoziazione “bi-multilaterale”89: i
singoli Stati si trovano di fronte un’entità composita come
88Si riporta qui il testo del comma: “possono considerarsi compatibili con il
mercato interno:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle
regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale”
89N.Minasi, “The Euro Mediterranean Free Trade Area and its Impact on the
l’Unione Europea che dovrà giocoforza reagire secondo la sua natura, ossia cercando di far combaciare gli interessi dei singoli Stati membri.
Il futuro dell’area di libero scambio risiederà molto nell’approccio che l’Unione Europea avrà nei confronti della collaborazione commerciale con i Paesi partecipanti all’area di libero scambio: se questa verrà vista come una risorsa preziosa da parte dell’Europa, gli altri Stati saranno spinti a migliorare il loro sistema economico per prendere parte al mercato europeo, altrimenti scivoleranno in una posizione ancor più di secondo piano e dipendenza rispetto alle imprese del Vecchio Continente. Uno studio90 dell’economista della Banca Mondiale Ishac Diwan
può essere utile per prevedere quali potranno essere le reazioni dei Paesi extra Unione Europea all’area di libero scambio.. Vengono proposti tre modelli, basandosi sulle reazioni avute da tali Paesi presi ad esempio in relazione all’area di libero scambio che si è creata nel sud-est asiatico.
L’Indonesia ha reagito concentrando i suoi investimenti su esportazioni a basso guadagno e bassa profittabilità come materiali edilizi e indumenti, mancando quindi l’occasione di creare una economia più tecnologicamente avanzata.
Una risposta diversa ha dato Hong Kong, ed è forse la più simile a quella che stanno dando i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente; gli sforzi si sono concentrati sulla produzione e l’esportazione di prodotti semi lavorati incoraggiando gli investimenti europei attraverso i bassi costi di vendita. Questo però porta agli effetti nocivi che prima venivano elencati, ossia il mancato guadagno sul valore aggiunto che sarà invece usufruito dall’economia europea.
90 Diwan Ishac, “How Can Lebanon Benefit from the Euro-Med Initiative?”,
Una risposta ancora diversa è arrivata da Singapore, basata su intensi investimenti di capitale su prodotti altamente sofisticati e di grande profittabilità; probabilmente è l’evoluzione della risposta di Hong Kong.
Questa diversità di soluzioni evidenzia come l’area di libero scambio non sia positiva di per sé, ma che deve essere opportunamente regolamentata e come le risposte dei singoli Stati possano variare per i più diversi fattori, come la situazione economica, politica e sociale di partenza.
Singapore e Hong Kong richiedono, per esempio, una rete di comunicazioni e di trasporti molto sviluppata, per far viaggiare le merci velocemente e reggere il ritmo di una economia altamente competitiva, mentre l’Indonesia non richiede ancora tali infrastrutture.
Il modello di Singapore richiede inoltre una società aperta alle nuove tecnologie, allo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, fortemente connessa con il mercato internazionale, permettendo quindi uno sviluppo delle proprie imprese oltre ai confini nazionali.
Diwan propone questi esempi, ma ha ben chiaro come la situazione nell’area euro-mediterranea sia diversa e come molto dipenda dall’atteggiamento dell’Unione Europea stessa.
Si evidenzia come, in mancanza di incentivi adeguati, i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente potranno probabilmente ricadere nel modello indonesiano.
Va quindi considerato che replicare il modello dell’Indonesia in ogni sua parte sarebbe forse controproducente per la situazione dei Paesi extra europei partecipanti all’area di libero scambio; si avrebbe un notevole aumento dell’inquinamento del Mediterraneo.
La crisi asiatica del’97 ha inoltre evidenziato gli enormi costi sociali che il modello indonesiano ha richiesto, portando al potere economico una ristretta oligarchia di uomini di affari.
Aumenterebbe inoltre la domanda e la dipendenza nei confronti dell’Unione Europea, come precedentemente osservato.
Se l’Europa riuscirà a mantenere le aspettative di integrazione economica auspicate dalla Dichiarazione di Barcellona, questi rischi saranno evitati per arrivare a uno sviluppo economico sostanziale anche per i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.