Giova anche analizzare il ruolo che la Federazione Russa ha avuto nello svilupparsi della Politica di Vicinato: un partner così influente ha certamente avuto un peso da non trascurare nella delineazione di tale politica verso i confini orientali dell’Unione Europea.
Il Summit di San Pietroburgo del maggio 2003 ha lanciato un’ottica di cooperazione basata sul pragmatismo come si può evincere dai quattro “spazi comuni” che sono alla base della risoluzione finale del predetto meeting.
Allo spazio economico comune, riaffermato già precedentemente deve essere quindi aggiunto uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, uno spazio di sicurezza esterna ed uno spazio di ricerca, istruzione e cultura.
La cooperazione tra Bruxelles e Mosca sembra quindi ampliarsi verso sfere non esclusivamente legate al mondo economico. La stessa risoluzione finale evidenziava già nel 2003 come un successivo sviluppo strategico della partnership tra Unione Europea e Federazione Russa dovesse giocoforza passare da miglioramenti concreti dell'attuale situazione e che i valori della democrazia, dei principi dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti dell'uomo dovessero essere centrali nell’azione di entrambe le potenze.
Le presidenze Putin e Medvedev hanno sì stabilizzato la situazione sia politica che economica della Federazione Russa arrivando, almeno apparentemente, a completare la transizione dal regime comunista dell’Urss e riacquistando un ruolo di primo
piano nello scacchiere internazionale, ma hanno anche portato il Paese a rifiutare una auspicata democratizzazione discostandosi quindi dai principi ispiratori dell’azione della Politica di Vicinato dell’Unione Europea19.
Allontanamento causato anche dall’ovvio mutamento di politica estera dovuto al crollo del regime sovietico che ha portato la Russia a un atteggiamento sostanzialmente “difensivo” mirato a proteggere la sua sfera di influenza riconoscibile nel cuore della Comunità di Stati Indipendenti (Armenia, Bielorussia, Kazakhstan etc.).
Non stupisce,quindi,come il governo di Mosca abbia guardato e stia ancora guardando alla Politica di Vicinato dell’Unione Europea con cautela e sospetto, non apprezzando una “invasione istituzionale” di zone che sono state sotto la sua influenza all’epoca del regime sovietico e che ancora oggi risentono ovviamente delle decisioni di Mosca.
Il Governo russo rifiuta quindi che in zone dove ha speso ingenti capitali in termini di influenza diplomatica, culturale, politica e economica i valori trasmessi dalla Politica di Vicinato, e quindi dall’Unione Europea, possano intaccare lo status quo faticosamente riconquistato dopo la dissoluzione dell’Urss. Questo contribuisce anche a spiegare il motivo per cui la Russia, pur essendo formalmente eleggibile per far parte dei programmi della Politica di Vicinato, abbia scelto di non entrare in questo schema di iniziative preferendo uno status privilegiato nelle relazioni con l’Unione Europea, improntato a una relazione bilaterale.
Tale rapporto può però fornire ulteriori soluzioni a problemi comuni; il summit del 2005 per lo spazio comune di sicurezza esterna ha auspicato una proficua collaborazione tra Russia e
19 K. Barysch “ The Eu and Russia: form principle to pragmatism?” Policy Brief,
Unione Europea per “la risoluzione pacifica delle controversie
scatenatesi sui confini comuni”.
La Commissione si è espressa in simili termini in una comunicazione del 2006 auspicando un “continuo impegno della
Russia nella stabilizzazione politica-economica delle regioni confinanti”
Significativa la risposta dell’allora Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che propose la “continua e permanente
collaborazione del governo russo nella ricerca di soluzioni stabili e durature, nonché reciprocamente accettabili, ai pressanti problemi delle crisi regionali che turbano i territori confinanti” 20dell’Unione Europea e della Federazione Russa.
Per capire efficacemente la reazione della Russia alla Politica di Vicinato si rende quindi necessario anche un breve esame dello sviluppo di quest’ultima nei territori precedentemente soggetti alla dittatura comunista dell’Unione Sovietica.
Prima degli anni 2000, con l’esclusione dei tre Paesi Baltici, nessuno Stato dell’ex Urss aveva proposto domanda per entrare nell’Unione Europea e quindi anche la Politica di Vicinato non riusciva a riportare concreti successi; mancava sostanzialmente un interesse politico dell’Unione ad allargare la sua sfera di influenza.
Dal 2001 numerosi fattori contribuirono a mutare l’orientamento appena esposto; la Rivoluzione Arancione in Ucraina e la Rivoluzione delle Rose in Georgia del 2003 hanno indirizzato la politica delle nazioni in questione verso l’Unione Europea influenzando ovviamente anche le nazioni confinanti. La Politica di Vicinato, oltre a prevedere relazioni bilaterali privilegiate tra l’Unione e ciascuno dei sedici Paesi, ha gradualmente portato all’istituzione e alla programmazione di nuovi organismi
20 V.Socor, “From Cis to Csto: Can a Core be Preserved?”, Eurasia Daily Monitor
regionali come “Il partnerariato per le regioni dell’Est” istituito a Praga nel Maggio del 2009, “L’Unione per il Mediterraneo” precedentemente nota come il “Processo di Barcellona” e rilanciata dal vertice di Parigi del 2008 e la “Sinergia del Mar Nero” programmata nel vertice di Kiev del 2008.
La zona del Caucaso ha visto anche l’istituzione di un nuovo Forum di Cooperazione denominato Comunità di Scelta
Democratica (CDC secondo l’acronimo inglese).
E’ una nuova forma associativa nata dalle conseguenze politiche delle cosiddette “rivoluzioni colorate” che hanno contraddistinto nei primi anni duemila alcuni Paesi ex membri dell’Unione Sovietica come Ucraina e Georgia: la Dichiarazione di Borjomi, firmata nell’omonima città georgiana nel 2003, ha costituito il necessario prodromo giuridico-politico della sottoscrizione a Kiev nel 2005 della Dichiarazione dei Paesi appartenenti alla Comunità di Scelta Democratica.
Gli scopi prefissati del documento sono la rimozione delle residue divisioni dell’Europa esistenti sul confine ex-sovietico, lo sviluppo economico dei Paesi coinvolti e la tutela dei diritti umani, nonché la promozione dei valori democratici: tra i firmatari vi sono cinque Paesi membri dell’Unione Europea , un Paese attualmente candidato e tre Stati dell’ex Urss21.
L’Unione Europea ha assunto un atteggiamento di prudenza di fronte a questa nuova associazione regionale, limitandosi a un ruolo di mero osservatore al momento dell’atto istitutivo di Kiev. Probabilmente, dato il crescente ruolo che i Paesi dell’ex area sovietica stanno gradualmente assumendo nella comunità internazionale, la Comunità di Scelta Democratica potrà progressivamente ricoprire un ruolo importante nell’ottica della Politica di Vicinato come strumento di cooperazione regionale.
21 I Paesi fondatori sono Estonia, Lettonia,
Ognuno di questi nuovi programmi si basa su valori comuni all’Unione Europea e ai Paesi coinvolti da promuovere nelle aree interessate: valori come la tutela della democrazia e dei diritti umani, lo stato di diritto, lo sviluppo economico sostenibile.