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La sentenza Francovich come punto d’avvio del riconoscimento della responsabilità risarcitoria degli Stati membri per violazione

L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo

4.3 La sentenza Francovich come punto d’avvio del riconoscimento della responsabilità risarcitoria degli Stati membri per violazione

del diritto dell’Unione.

A partire dai primi anni ’90, il filone giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza Francovich55 desta enorme risonanza per la soluzione originale offerta al tema della responsabilità extracontrattuale dello Stato per fatto del legislatore e per il taglio comunitario impresso ad una tematica fino ad allora squisitamente domestica. I giudici di Lussemburgo, a partire da questo caso,iniziano a delineare il regime giuridico di tale responsabilità, prospettando le condizioni affinché essa possa essere pienamente riconosciuta. La novità di tale pronuncia, appunto, non consiste nella creazione del principio della

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CGUE, sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, in Racc. p. I- 5357.

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responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto dell’UE, né nelle ragioni e nei termini della sua enunciazione, quanto nel suo preciso fondamento sul diritto dell’Unione Europea, sottraendone il fondamento ai diritti nazionali degli Stati membri ed individuando direttamente le condizioni sostanziali del suo operare. Con l’affermazione dell’obbligo risarcitorio in capo agli Stati membri si rafforza la posizione dei privati e la loro tutela davanti al giudice nazionale. La Corte di giustizia, in particolare ha sostenuto che «il

trattato CE ha istituito un ordinamento giuridico proprio, di nuovo tipo, integrato negli ordinamenti giuridici degli Stati membri (e che s'impone ai loro giudici) i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Il diritto comunitario, ha argomentato la Corte, nello stesso modo in cui impone degli obblighi ai singoli, crea diritti che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico, e non solo nei casi in cui il trattato espressamente li menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il trattato impone ai singoli, agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie»56; pertanto, affermava la Corte, «sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie, e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti, se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti, nascenti dal sistema comunitario, fossero stati lesi da una violazione del diritto che li pone, imputabile a uno Stato membro»57. L’ordinamento europeo riconosce quindi, soggettività giuridica non solo agli Stati membri, ma anche agli individui.

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Cfr. punto 31 della sentenza Francovich, dove si rinvia alla sentenza del 5 maggio 1963, causa

26/62, Van Gend en Loos/AdministratiederBelastingen, Racc, 1963, p. 3 ss, e alla sentenza del 15 luglio

1964, causa 6/64, Costa c. Enel, in Racc., 1964, p. 1127 ss.

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Con la sentenza Francovich, l’individuo viene ad essere destinatario di un’autonoma e diretta pretesa alla riparazione, che non si basa più sul diritto interno, ma discende direttamente dal diritto dell’UE e obbliga lo Stato membro che ha commesso l’illecito a risarcire il danno.

Il caso Francovich traeva origine da due procedimenti di recupero crediti instaurati da alcuni lavoratori e lavoratrici italiani nei confronti dei loro datori di lavoro. Al riguardo, una Direttiva comunitaria del 1980 prevedeva la creazione di un sistema di garanzie per i crediti da lavoro,destinato ad applicarsi nel caso di insolvenza del datore di lavoro58.

In base all’art 11 della direttiva in questione gli Stati membri erano tenuti ad emanare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla stessa direttiva entro il termine, che era già scaduto, del 23 ottobre 1983. Poiché l’Italia non aveva ottemperato a tale obbligo, la Corte di giustizia aveva già accertato il suo inadempimento, all’interno di una procedura per infrazione, con sentenza del 2 febbraio 1989. Nelle loro osservazioni, i ricorrenti e la Commissione avevano invocato la diretta applicabilità della direttiva, perché le norme in esse contenute determinavano i soggetti a cui facevano capo i diritti ai pagamenti retributivi e il contenuto di tali diritti. Il fatto che poi la direttiva lasciasse al legislatore nazionale l’individuazione del soggetto obbligato al pagamento, non ne impediva l’efficacia

58LaDirettivainquestioneèlan.80/987/CEEdelConsigliodel20ottobre1980,concernent

eilravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.

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immediata, perchè in caso di mancata designazione, l’obbligo poteva essere imputato allo Stato stesso.

Nella sua analisi, la Corte di giustizia verifica l’efficacia diretta delle disposizioni della Direttiva, sotto tre punti di vista. Anzitutto, quanto alla determinazione dei beneficiari della garanzia e, in secondo luogo, all’accertamento del contenuto della garanzia, le relative norme sono «sufficientemente precise e incondizionate». Al contrario, il terzo elemento analizzato dalla Corte, consistente nell’identificare i soggetti tenuti alla garanzia non risponde ai requisiti indicati, perché le norme della Direttiva «da un lato, non

precisano l’identità di chi è tenuto alla garanzia e, dall’altro,lo Stato non può essere considerato debitore per il solo fatto di non aver adottato entro i termini i provvedimenti di attuazione». La Corte di

giustizia accertò che la direttiva non aveva i caratteri di sufficiente precisione necessari per una sua applicabilità diretta e tratteggiò, quindi, la responsabilità extracontrattuale dello Stato per i danni subiti dai lavoratori messi nell’impossibilità, a seguito dell’inottemperanza del legislatore nazionale, di far valere i diritti loro attribuiti. La necessità dell’affermazione della responsabilità dello Stato è, dunque, particolarmente sentita nelle ipotesi in cui l’efficacia delle norme comunitarie dipenda dall’azione dello Stato, come per il caso delle Direttive, perché in queste situazioni l’eventuale inerzia statale priva i singoli cittadini europei di ogni tutela. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazione del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato.

L’obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento, per il giudice di Lussemburgo anche nell’art 5 TCE (poi art. 10 ed oggi, dopo la rinumerazione del trattato di

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Lisbona,art.4,par.3,TUE), in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario. Tra questi obblighi si trova anche quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario.

La Corte ebbe per la prima volta modo di enucleare le tre condizioni in presenza delle quali può essere accertata una responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.

Tali condizioni, riprese dalla giurisprudenza già formatasi con riguardo alla responsabilità delle Istituzioni, possono essere così schematizzate:

1. la norma comunitaria violata deve attribuire in modo sufficientemente chiaro e preciso diritti a favore dei singoli;

2. il contenuto di tali diritti deve essere individuato sulla base delle disposizioni di tale norma;

3. deve sussistere un nesso di causalità diretto tra la violazione dell'obbligo che incombe allo Stato e il danno subìto da parte del singolo.

Tali requisiti «sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario>>59. Questo principio traccia la frontiera ultima del diritto comunitario rispetto al diritto interno. Qui, com’è stato scritto,«la disciplina comunitaria si coniuga con le

desinenze dei sistemi nazionali>>60. Quindi è nell’ambito delle

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Corte giust., 19 novembre 1991,cit. rispettivamente par. 10-22, 26, 36 (sulla scorta della giàcitata sentenza del 16 dicembre 1960), 40 s

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A. LAZARI, La responsabilità dello Stato legislatore e i destinidell’Europa, inRiv. dir. civ., 2002, 109, 110.

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norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato. La parte procedurale resta pertanto affidata ai singoli diritti nazionali. Qui lo Stato conserva, per quanto in forma attenuata, le proprie funzioni sovrane. Ma con due limiti: anzitutto,le condizioni previste dal diritto nazionale per questo tipo di ricorsi non possono essere meno favorevoli rispetto a quelle imposte per i ricorsi interni analoghi; inoltre, dette condizioni «non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento>>. 61 In conclusione, attraverso la sentenza in esame, si riconoscono ai privati dei rimedi anche in caso di violazione, mancato o inesatto recepimento, da parte dell’ordinamento interno, delle norme europee non self-executing, completando con l’introduzione dello strumento di salvaguardia del risarcimento del danno, la protezione dei diritti europei, e ciò attraverso la previsione di una nuova forma di tutela contro l’inadempimento statuale lesivo di situazioni giuridiche non direttamente presidiate, sia mediante la previsione di un risarcimento in caso di diritti già tutelati in modo diretto. 62

4.4La precisazione dei contorni della responsabilità nella giurisprudenza comunitaria successiva alla sentenza Francovich Nonostante le sue direttive, la sentenza Francovich non ha indicato «a quali condizioni sostanziali e formali e secondo quali criteri *…+ quella tutela debba essere garantita; e come possa esserlo in tutti

61Cortegiust. ,19novembre 1991,cit.,par.42 62

VERA SCIARRINO, La responsabilità civile dello Stato per violazione del diritto dell’Unione. IPSOA 2012

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gli Stati membri in modo, se non uniforme, almeno omogeneo>>63. In particolare, successivamente alla sentenza Francovicherano sorti almeno due importanti dubbi: in primo luogo, ci si era domandati se i rimedi risarcitori prefigurati in quella pronuncia fossero esperibili soltanto in presenza di una norma comunitaria sprovvista del cosiddetto effetto diretto nei rapporti tra Stato e singoli, vale a dire, non sufficientemente chiara, precisa e suscettibile di applicazione immediata, visto che in quella controversia non era stato possibile, da parte dei singoli, invocare l’effetto diretto della norma comunitaria, in quanto quest’ultima non presentava un sufficiente grado di completezza; in secondo luogo, il mancato riferimento nella sentenza Francovich ai principi generali comuni aveva fatto sorgere in dottrina il timore che si affermasse un regime differenziato tra la responsabilità dello Stato membro e responsabilità dell’Unione.

Il completamento dei caratteri della fattispecie della responsabilità è dunque rimasto affidato alla giurisprudenza successiva della Corte di giustizia, che ha provveduto ad integrare e precisare i principi affermati nella prima fondamentale sentenza. Degna di menzione speciale è la sentenza Brasserie dupêcheur e Factortame64con la quale la Corte di Lussemburgo, dopo aver compiuto una distinzione tra i casi in cui lo Stato nazionale ha maggiore o minore discrezionalità, ha inequivocabilmente sottolineato come sia presente, tanto nell’ordinamento dell’Unione quanto in quello dei singoli Stati membri, il principio in forza del quale un’azione o un’omissione illegittima comporta l’obbligo di riparazione del danno

63A. TIZZANO,La tutela dei privati nei confrontidegli Stati membri dell’Unione

europea, inForo it.,1995, IV, 13, 27

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Corte di giustizia, 5 marzo 1996, sentenza Brasserie dupêcheur e Factortame, cause riunite C-46/93 e C-48/93, in Racc., 1996, p. I-01029

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arrecato, un obbligo risarcitorio in qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione abbia dato origine al danno, e quindi anche quando si tratti di un organo legislativo o di una giurisdizione.

Nel riprendere le condizioni necessarie perché possano soddisfarsi le esigenze della piena efficacia delle norme dell’Unione e dell’effettiva tutela dei diritti da esse garantiti e nel precisare la seconda di tali condizioni, relativa ai caratteri della violazione, la Corte afferma che deve trattarsi di una violazione sufficientemente caratterizzata. Si tratta di un requisito reso indispensabile dal fatto che occorreva esplicitamente escludere che qualsiasi violazione del diritto comunitario comportasse automaticamente la responsabilità dello Stato. Richiamandosi alla propria giurisprudenza relativa alla responsabilità della Comunità ai sensi dell’art 215 TCE, essa afferma che << il criterio decisivo per considerare sufficientemente caratterizzata una violazione del diritto comunitario è quello della

violazione manifesta e grave da parte di uno Stato membro o di

un’istituzione comunitaria, dei limiti posti al loro potere discrezionale>>65. Fra gli elementi che il giudice competente può eventualmente prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza che il potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali, il carattere intenzionale o volontario della trasgressione commessa o del danno cagionato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di

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provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto dell’Unione.66Sono questi veri e propri indici che la Corte fornisce, in grado di incidere sull’accertamento dell’elemento soggettivo.

Sulla terza condizione relativa al nesso causale, anche la sentenza

Brasserie rimanda ai giudici nazionali: fermo restando il diritto al

risarcimento che trova direttamente il suo fondamento nel diritto dell’Unione, è nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, restando inteso che le norme nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento. È evidente, quindi, come con la sentenza Brasserie, la Corte abbia modificato il proprio indirizzo giurisprudenziale passando a sanzionare lo Stato non più soltanto per il mancato esercizio della sua discrezionalità e quindi per una condotta omissiva come nella sentenza Francovich, ma ora anche per il cattivo esercizio della sua discrezionalità e quindi per una vera e propria condotta commissiva.

Un’ulteriore carattere della responsabilità dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione che emerge dall’iter logico argomentativo della Corte è quello della sua oggettività, ossia l’obbligo di risarcire i danni cagionati ai singoli non può essere subordinata ad una condizione ricavata dalla nozione di condotta imputabile per dolo o colpa. La prescrizione, infatti, di una simile condizione, ulteriore rispetto a quella della sussistenza di una violazione manifesta e grave, si risolverebbe nel mettere in discussione l’intero regime giuridico del diritto al risarcimento, che

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trova il suo fondamento nel diritto dell’Unione. Per quanto riguarda, infine, l’ammontare del risarcimento, esso è ovviamente stabilito in virtù delle norme di diritto interno, fatto salvo il dovere del danneggiato, già sancito dalla Corte in materia di responsabilità extracontrattuale dell’Unione, di mitigare i danni esperendo tempestivamente tutti i rimedi giuridici disponibili. Sono poi ammessi danni punitivi ed è certamente dovuto il lucro cessante.

In relazione agli sviluppi successivi alla sentenza Brasserie

dupêcheur e Factortame, diverse e rilevanti sono state le decisioni

della Corte di giustizia in materia di illecito dello Stato che hanno contribuito ad aggiungere nuovi tasselli all’indirizzo giurisprudenziale inaugurato con la sentenza Francovich.

In questa prospettiva di maggiore tipizzazione dell’illecito comunitario si inserisce la sentenza sul caso Hedley Lomas67,in cui la

Corte ha riconosciuto l’obbligo di uno Stato membro di risarcire i danni cagionati ad un singolo dal diniego opposto al rilascio di una licenza di esportazione di animali vivi da macello. La Corte ha ritenuto che integrasse violazione del diritto dell’Unione anche il comportamento,consistente nel vietare il rilascio della licenza in questione, dell’amministrazione centrale o locale, e ciò in forza del principio già affermato nella sentenza Brasserie, in forza del quale è indifferente l’organo produttivo del danno, non potendo l’obbligo risarcitorio risentire delle ripartizioni interne di competenze tra gli organi pubblici.

Analogamente nella sentenza Konle68, la Corte ha stabilito che

spetta a ciascuno degli Stati membri accertarsi che i singoli ottengano un risarcimento del danno loro causato dall’inosservanza

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Corte giust. 23 maggio 1996, Hedley Lomas, C- 5/94, in Racc. I-2553

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del diritto comunitario, a prescindere della pubblica autorità che ha commesso la violazione e a prescindere da quale sia il soggetto pubblico su cui, in linea di principio, incombe, ai sensi della legge dello Stato membro interessato l’obbligo risarcitorio. Di conseguenza, se le modalità procedurali in essere all’ordinamento giuridico, consentono una tutela effettiva dei diritti derivanti ai singoli dall’ordinamento dell’Unione, senza che sia più difficoltoso far valere tali diritti rispetto a quelli derivanti agli stessi singoli dall’ordinamento interno, gli obblighi comunitari sono rispettati. 69

Procede pure ad un’ulteriore tipizzazione dell’illecito eurounitario la sentenza Dillenkofer70relativo al mancato recepimento in Germania di una Direttiva sui viaggi “all inclusive”, in cui si è ulteriormente specificato che la responsabilità extracontrattuale degli Stati membri si configura a patto che, ove lo Stato abbia una cospicuo margine di discrezionalità nel recepimento della norma non auto- esecutiva, la violazione possa definirsi “grave e manifesta”. Ciò, a maggior ragione, laddove le Direttive siano preordinate ad attribuire diritti ai singoli, così consentendo di far valere la responsabilità senza previe procedure di accertamento dell’inadempimento. È, di conseguenza, automaticamente inquadrabile come violazione grave e manifesta la mancanza di qualsiasi provvedimento di attuazione della direttiva entro il termine stabilito. La Corte ha precisato, poi, che l’attività di attuazione debba essere effettiva e consistente nell’adozione di tutte le misure, all’uopo necessarie, siano esse di carattere sostanziale o formale. L’atto di acquisizione deve comportare,

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Corte giust. 1 giugno 1999, C-302/97, 63-64

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Corte giust. 8 ottobre 1996, cause riunite C-178-179-188-189-190/94, in Racc.I- 4845.

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inoltre, il raggiungimento del risultato previsto dalla direttiva nella sua totalità e pienezza.

La Corte richiede, ancora, che la trasposizione sia legislativa e certa, imponendo al legislatore di emanare norme cogenti “che assicurino la specificità, precisione e chiarezza richieste per soddisfare il requisito della certezza legale”.

Altro aspetto importante, contrapposto alle precedenti posizioni, è quello dell’esperimento di una preventiva procedura d’infrazione. Mentre gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali precedenti ne imponevano l’esercizio prima dell’azione risarcitoria, con la sentenza Dillenkofer, la Corte ne ha escluso l’obbligatorietà.

Di particolare interesse sono le vicende italiane successive al caso

Francovich. Lo Stato italiano aveva recepito la direttiva 80/87 con

l’emanazione del d.lgs. 80/92, che prevedeva per i lavoratori interessati dalla normativa in questione di ottenere, in caso di insolvenza o fallimento del datore di lavoro, l’indennizzo previsto tramite la proposizione di una richiesta ad un Fondo di garanzia gestito dall’INPS. Il decreto del ’92, però, lasciava libero lo Stato di porre dei limiti, anche temporali, all’obbligo risarcitorio nei confronti di chi avesse subìto un danno dal precedente vuoto legislativo. Il Governo decise allora di subordinare la protezione risarcitoria ad un termine decadenziale di un anno dall’entrata in vigore del decreto di attuazione della direttiva. Questo aveva comportato l’inevitabile rigetto di molte richieste e la necessità di rivolgersi alla Corte di giustizia Europea, per il tramite dei Pretori di Bassano del Grappa, Frosinone e Venezia, per comprendere la compatibilità comunitaria della subordinazione dell’azione giudiziaria ad un termine di decadenza annuale. A questa domanda ha risposto positivamente la sentenza della Corte di Giustizia, emessa il 10 Luglio 1997, sul caso Palmisani, per mezzo della quale

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si è affermato che <<fissare termini ragionevoli, a pena di decadenza, costituisce applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto71>>. La decadenza annuale prevista, secondo la Corte, non violerebbe il principio di effettività a tutela delle posizioni giuridiche soggettive, riconosciute a livello europeo, poiché non renderebbe impossibile o eccessivamente difficile la proposizione dell’azione risarcitoria.

Con riferimento, poi, alla questione della scelta di un termine di decadenza in luogo di quello di prescrizione di cui agli artt. 2946 o 2948 c.c. la Corte richiama il giudice nazionale affinché valutasse l’eventuale violazione del principio di non discriminazione, laddove la modalità procedurale fosse difforme rispetto a quella stabilita, per casi analoghi, dal diritto nazionale.

4.5 L’assetto definitivo e la natura giuridica della responsabilità

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