L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo
4.7 La responsabilità dello Stato – giudice
La materia della responsabilità civile dei magistrati nel nostro ordinamento è regolata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 (cd. “legge Vassalli, dal nome del ministro guardasigilli dell’epoca), emanata a seguito dell’abrogazione referendaria degli artt. 55, 56 e 74 c.p.c.,
100
avvenuta nel 1987. Occorre subito precisare come la legge in questione preveda che a rispondere direttamente per il danno ingiusto cagionato a seguito di scorretto esercizio dell’attività giurisdizionale sia lo Stato e, solo in seconda ed eventuale battuta, il magistrato83, pur, però, stabilendo delle importanti limitazioni sostanziali e processuali, poste a tutela dell’autonomia e indipendenza del potere giudiziario. Sul piano sostanziale, la legge ha individuato, tassativamente, le ipotesi in cui sia ammissibile l’azione risarcitoria, quando, cioè, il danno derivi da un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o
colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia.
Ai fini della ricorrenza dell’elemento psichico in capo al magistrato, l’art. 2, III comma, L. 117/88 formula un presupposto che differisce dalla regola generale sull’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c. e che, invece, richiama quello che funge, ad esempio, da elemento costitutivo della fattispecie ex art. 2236 c.c. Ai fini di un giudizio di responsabilità si richiede un elemento psichico particolarmente forte, caratterizzato da un’intenzionalità di difficile ricorrenza e di praticamente impossibile dimostrazione nelle aule giudiziarie. Per quanto concerne il dolo problemi interpretativi non si pongono essendone i caratteri oramai corsivi ed omologhi tanto in sede civile che penale. Le puntualizzazioni si hanno piuttosto in merito alla locuzione colpa grave.L’art. 2 comma 3 della l. 117/88 tipizza una serie di circostanze in cui si ritiene che la condotta sia supportata da
colpa grave: quando vi sia grave violazione di legge determinata da
83
VARANO, voce: “Responsabilità del magistrato”, in Digesto delle Discipline Privatistiche, sez. civ., vol. XVII, UTET ed., 1998, P. 113: «come poi bene è stato detto, la legge n. 117 del 1988 non riguarda tanto la responsabilità del giudice (…) quanto “la responsabilità dello Stato, o meglio, dello Stato giudice, o, con ancora segue maggiore incisività, “non ha l’obiettivo di definire le ipotesi di responsabilità del magistrato, ma soprattutto, se non esclusivamente, quello di definire ed affermare la responsabilità dello Stato per alcuni illeciti del magistrato”.».
101
negligenza inescusabile; sia affermato, sempre per negligenza inescusabile, un fatto la cui esistenza sia incontrastabilmente esclusa da atti del procedimento; sia stato emesso un provvedimento riguardante la libertà della persona, al di là dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Il successivo art. 3 L. 117/88 cit. tratta del diniego di giustizia che si avrebbe quando il magistrato, trascorso il termine di legge, si rifiuti, ometta o ritardi di compiere gli atti del suo ufficio, nonostante la parte abbia presentato istanza per ottenere il provvedimento e siano decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Tale termine può essere prorogato, con decreto motivato, dal capo dell’ufficio, mentre è ridotto a cinque giorni, ed è improrogabile, in tema di libertà personale dell’imputato.
Il comma 2 dell’art. 2 delinea una cd. “clausola di salvaguardia” che esime il magistrato, e lo Stato, da qualsivoglia forma di responsabilità: nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove84. Sul piano processuale, invece, è previsto (art. 5) uno strumento di valutazione preventiva di ammissibilità, che deve essere esercitato dal tribunale in composizione collegiale. Sono, poi, dettate forme specifiche in merito alla competenza e ai termini per proporre l’azione (art. 4) ed è previsto, previa comunicazione dell’esistenza del procedimento almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza,
84 Sentenza Traghetti del Mediterraneo, Massima n° 1: “Infatti, escludere, in simili
circostanze, ogni responsabilità dello Stato equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio secondo il quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni cagionati ai singoli da violazioni manifeste del diritto comunitario derivanti dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, in quanto una siffatta esclusione non garantirebbe ai singoli una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro”
102
l’eventuale intervento del magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rilevi in giudizio (art. 6).
Gli artt. 7 ss, poi, prevedono l’azione di rivalsa, entro un anno dal risarcimento in via giudiziale o stragiudiziale, dello Stato nei confronti del magistrato che abbia causato il danno, stabilendo, però, un limite economico, non potendo superare il terzo di un’annualità dello stipendio (al netto delle trattenute fiscali), percepito dal magistrato quando l’azione di risarcimento sia stata proposta, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il fatto sia stato commesso con dolo. Se l’illecito scaturisce da una decisione collegiale, non ne risponde il magistrato che abbia fatto constare a verbale il proprio dissenso succintamente motivato.
Detta facoltà non è in contraddizione con la generale regola di segretezza del contenuto della discussione sulle questioni affrontate dal collegio al fine di pervenire alla decisione, dal momento che il verbale va inserito in un plico sigillato, le cui modalità di conservazione sono tali da escludere la conoscibilità all’esterno dell’esistenza del dissenso85.
Diverso è il caso del danno conseguente al reato commesso da un magistrato nell’esercizio delle proprie funzioni, dovendosi, in tal caso, dare piena attuazione al disposto dell’art. 28 Cost. Ne consegue, pertanto, l’affermazione non solo della responsabilità civile incondizionata dello Stato, ma anche di quella del magistrato in sede di rivalsa.
85Cfr. Cass. civ., Sez. un., 5 febbraio 1999 n. 23, secondo cui risponde di illecito
disciplinare il magistrato che abbia consapevolmente posto in essere un
comportamento contrastante con detta disposizione, precisando nella motivazione di una sentenza penale che, su una determinata questione, la decisione non è stata presa all’unanimità
103
Una prima breccia alla conformità della legge n. 117 del 1988 col diritto dell’Unione europea si è aperta con la decisione assunta dalla Corte di giustizia il 30 settembre 2003, nella causa
Köbler/RepublikÖsterreich. Con la sentenza in esame, la Corte di
Giustizia ha ritenuto responsabile lo Stato e lo ha obbligato al risarcimento verso i privati per i danni, da costoro subìti, in virtù di un’attività giurisdizionale di ultimo grado, violativa del diritto comunitario. Anche in questo caso, l’obbligo risarcitorio verrebbe ad esistenza solo al verificarsi dei tre, più volte citati, presupposti: che la norma europea violata attribuisca diritti ai privati, che la violazione sia grave e manifesta e che vi sia un nesso causale tra norma violata e danno ricevuto. In particolare, chiamata a pronunciarsi dal Tribunale civile di Vienna, al quale il Köbler si era rivolto, la Corte ha nitidamente affermato che dai caratteri fondamentali e tipici del sistema comunitario (ora dell’Unione) discende il diritto dei singoli al risarcimento dei danni causati da una decisione di un organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro86.
Il sig. Köbler era stato docente, di ruolo, presso l'Università di Innsbruck, in Austria, dal 1° marzo 1986. Nel 1996 aveva chiesto l'indennità speciale di anzianità di servizio, che la normativa austriaca riconosceva ai professori universitari che avessero lavorato almeno quindici anni in atenei nazionali. Il sig. Köbler aveva sì maturato quindici anni di servizio ma in Università di altri Stati membri. Egli, dopo aver visto respinta la propria domanda, aveva presentato ricorso dinanzi ai giudici nazionali, sostenendo di essere vittima di una discriminazione indiretta, violativa del diritto comunitario.
Il giudice amministrativo di ultimo grado interpretando in modo non conforme la portata di alcune precedenti pronunce della Corte di
104
Giustizia, aveva rigettato il ricorso, senza sollevare questione pregiudiziale. Il Köbler si era, poi, rivolto al Tribunale civile di Vienna e aveva presentato un ricorso per risarcimento contro la Repubblica d'Austria, affermando il danno subìto e la contrapposizione del comportamento del giudice al diritto comunitario. Il tribunale civile di Vienna aveva, poi, sottoposto la questione alla Corte di Giustizia Europea. Il quesito principale, rivolto ai giudici di Lussemburgo, era quello di acclarare se l’eventuale violazione del diritto comunitario, ascrivibile all’organo supremo di una giurisdizione nazionale, potesse determinare la responsabilità dello Stato di appartenenza. Il tribunale civile aveva confermato l’incompatibilità e ingiustificabilità della normativa austriaca sull’indennità speciale di anzianità di servizio, da non considerare premio di fedeltà, né remunerazionema soltanto retribuzione, con il diritto comunitario.
Il principio della responsabilità civile degli Stati membri dell’UE per le decisioni degli organi giurisdizionali supremi perché in contrasto con il diritto europeo trova fondamento, dunque, nell’ordinamento europeo stesso, nel diritto internazionale e nei principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Il riconoscimento della responsabilità di cui si discute pone essenzialmente due ordini di problemi, l’uno riguardante l’intangibilità del giudicato e l’altro concernente l’indipendenza del potere giudiziario. Il rispetto del principio dell’indipendenza del potere giudicante, impone che l’ordinamento preveda meccanismi volti a garantire che il giudice possa svolgere le sue funzioni al riparo da pressioni esterne. È opinione comune che l’imparzialità del giudice possa essere messa a rischio da un regime di responsabilità civile derivante da errori giudiziari non accompagnato dalle adeguate garanzie. Inoltre, la stessa terzietà del giudice potrebbe essere messa in pericolo da una troppo ampia applicazione
105
di tale fattispecie, soprattutto nei casi di asimmetrica potenzialità economica delle parti.
A proposito dell’intangibilità del giudicato, le obiezioni si fondano sull’esigenza di assicurare il principio della certezza del diritto. Infatti, la forza della cosa giudicata delle sentenze, come manifestazione della stabilità nelle relazioni giuridiche, può essere messa a rischio nell’ipotesi in cui, sulla base del contenuto di una sentenza passata in giudicato, sia possibile fondare una successiva condanna al risarcimento nei confronti del soggetto danneggiato da tale pronuncia. Ciò equivale a permettere che un altro tribunale possa pronunciarsi nuovamente nel merito di una causa già decisa e, se del caso, optare per una sostanziale correzione della decisione passata in giudicato. La Corte di giustizia, tuttavia, a tal proposito ha fatto notare che il riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l'autorità della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione. L’autorità della sentenza passata in giudicato può venire in discussione solo allorché esiste una triplice identità - di oggetto, di causa e di parti - tra due controversie, di cui una definitivamente giudicata e l’altra sopravvenuta successivamente. Questo tipo di identità può non ricorrere nel rapporto tra una controversia già risolta ed una successiva concernente unicamente l’accertamento della responsabilità extracontrattuale dello Stato, in considerazione della possibile diversità di causa petendi, petitum e legittimato passivo.
Le conclusioni che possono trarsi dalla richiamata giurisprudenza sono molteplici. Anzitutto, l’autorità della cosa giudicata non costituisce di per sé un ostacolo al riconoscimento della responsabilità patrimoniale dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo
106
grado, ma occorre valutare caso per caso la sussistenza dei presupposti per la condanna risarcitoria. La Corte ha concluso, infine, precisando che nessun sistema giuridico può tollerare che la validità dei rapporti sia contestabile all’infinito e che lo Stato dovrà prevedere un termine ragionevole entro il quale il singolo dovrà agire, tempestivamente, in giudizio, per il risarcimento del danno subìto.
La Corte ha ritenuto infondata pure la seconda preoccupazione emersa nel caso Köbler circa il rischio di compromettere l’indipendenza dei giudici, laddove ha evidenziato che il principio del risarcimento dei danni per violazione del diritto comunitario non investe la responsabilità personale del giudice, ma soltanto quella dello Stato.
In evidente continuità con la sentenza Köbler, si è posta anche la sentenza sul caso Traghetti del Mediterraneo87 che ha riguardato la controversia promossa tra la società marittima Traghetti del
Mediterraneo spa (per brevità TDM) e la Tirrenia di Navigazione, che,
negli anni ‘70, effettuavano i collegamenti marittimi tra la penisola e la Sardegna/Sicilia. La fattispecie sostanziale da cui ha origine la sentenza in questione attiene alla materia della concorrenza e, in particolare, degli aiuti di Stato, settore quest’ultimo interconnesso con quello tributario, attesa la possibilità di concedere aiuti attraverso l’adozione di misure fiscali. La Tirrenia aveva praticato prezzi del vettore più bassi rispetto alle tariffe che si sarebbero avute in regime di libera concorrenza e questo aveva provocato forti danni alla TDM che, tra l’altro, nel 1981, era stata sottoposta alla procedura di concordato. Per questo motivo la TDM citava in giudizio la Tirrenia di
Navigazione dinanzi al tribunale di Napoli al fine di ottenere il
risarcimento del pregiudizio che aveva subito, negli anni precedenti, a
107
causa della politica di prezzi bassi provocata da quest’ultima. La TDM invocava a tal riguardo tanto la violazione, da parte della sua concorrente, dell’art. 2598 n.3 c.c. in tema di concorrenza sleale, quanto la violazione degli artt. 85,86,90,92 del Trattato CEE, per il fatto che, a suo parere, aveva violato le norme fondamentali di tale Trattato e, in particolare, aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in questione. Con sentenza 19.4.2000 n.5087 la Suprema Corte di Cassazione tuttavia rifiutava di accogliere tale istanza poiché la soluzione adottata dai giudici di merito rispettava la lettera delle pertinenti disposizioni del Trattato ed era, per di più, conforme perfettamente alla giurisprudenza della Corte88.
Il curatore fallimentare della TDM S.p.A,ritenendo che la sentenza 19.4.2000 n.5087 fosse fondata su un’errata interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di aiuti di stato e sulla premessa erronea dell’esistenza di una costante giurisprudenza della Corte in materia, citava la Repubblica Italiana, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, dinanzi al Tribunale di Genova per ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno che tale impresa aveva subito a causa degli errori di interpretazione commessi dalla Suprema Corte di Cassazione e a causa della violazione degli obblighi di rinvio che graverebbe a carico di quest’ultimo organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234, 3 comma TCE. il Tribunale ordinario aveva sottoposto alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali.
88La Corte di Cassazione aveva rilevato, infatti, che gli artt. 90 e 92 TCE
permettevano di derogare, a certe condizioni, al divieto generale degli aiuti di Stato, per favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza non permette di soddisfare pienamente.
108
Anzitutto chiedeva se uno Stato membro potesse rispondere, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dei singoli cittadini, per gli errori dei propri giudici nell’applicazione del diritto europeo e, in particolare, per il mancato adempimento, da parte di un giudice di ultima istanza, dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 234 c. 3 TCE. Ancora si discuteva sulla possibilità che uno Stato membro rispondesse dell’omesso rinvio pregiudiziale, laddove fosse di ostacolo all’affermazione di tale responsabilità, una normativa nazionale che lo escludesse, in caso d’interpretazione delle norme di diritto, di valutazione del fatto e delle prove, rese nell’ambito dell’attività giudiziaria, e lo limitasse ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice89.
Ribadendo il già affermato principio secondo cui uno Stato membro è responsabile per il danno cagionato al singolo dalla violazione del diritto comunitario qualunque sia l’organo che abbia dato origine alla trasgressione, sussiste un obbligo risarcitorio anche nell’esercizio dell’attività interpretativa. L’interpretazione delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale; non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa nell’esercizio dell’attività interpretativa90, dal momento che l’esclusione in tali casi della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito dell’esercizio di tale attività, equivarrebbe in pratica ad esonerare quest’ultimo da ogni responsabilità.
Infine, il riferimento all’ipotesi di una responsabilità da interpretazione definibile “anticomunitaria” è configurabile solo con
89 Art. 2 l. 117/88 90
BIONDI, Un “brutto” colpo per la responsabilità civile dei magistrati (nota a Corte di Giustizia, sentenza 13 giugno 2006, TDM contro Italia), in
109
riferimento ad un giudice di ultima istanza, in quanto, solo questi, data la definitività che colora le relative pronunce, è tenuto ex art. 234, par. III, TCE a fare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
La Corte, dopo la chiara presa di posizione favorevole alla responsabilità dello Stato per l’operato del magistrato in senso anticomunitario, precisa e stempera prevedendo che la responsabilità de qua è “eccezionale”, ossia legata non ad ogni violazione del diritto comunitario, ma solo a quelle che si connotino come “manifeste”. Interessante, poi, il tornare in tale pronuncia ancora una volta a puntualizzare quali siano i criteri su cui parametrare la violazione al fine di poterla qualificare o meno come manifesta e poter per tal via eventualmente condurre ad un giudizio di responsabilità. I canoni sono tanto legati al dato oggettivo delle caratteristiche della norma violata quanto al carattere scusabile o meno dell’errore, in base a criteri necessariamente oggettivi e soggettivi. Terzo indice della violazione manifesta è la condotta omissiva pura del giudice che, in spregio all’obbligo cui è tenuto ex artt. 234, par. III, TCE, conduce da sé l’operazione ermeneutica senza far rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Infine, il quarto indice contempla l’inescusabile ignoranza della giurisprudenza in materia della Corte. Da ciò si deduce che al magistrato italiano, oggi, è richiesta una specifica ed approfondita conoscenza non più solo del diritto civile, penale ed amministrativo strettamente pertinenti ai confini e matrice statali, ma nell’ottica di concepirsi come un giudice europeo che attinge a piene mani dalle fonti del diritto in senso ampio. L’ulteriore coloritura sta poi nel precisare che la violazione risiede in special modo nella negligenza nella conoscenza della “giurisprudenza della Corte”.
Chiude così la massima della sentenza in commento: «Pertanto, il
110
sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente».
Di conseguenza si deduce che la disciplina italiana della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un suo organo giurisdizionale di ultima istanza è stata considerata in contrasto al diritto europeo, perché incompatibile con il principio di effettività, dato che rende eccessivamente difficile, se non praticamente impossibile, il conseguimento della tutela risarcitoria.
111