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1.3. I contratti di pooling come una possibile soluzione alla patent crisis

1.3.5. L'adattamento del Giappone

Gli accordi di patent pooling non riguardano soltanto i mercati di Unione Europea e Stati Uniti. Come si è visto, questa pratica commerciale si è resa necessaria in contesti economici caratterizzati da una vigorosa innovazione tecnologica e un complesso panorama brevettuale. A questo proposito è doveroso soffermarsi sulla situazione giapponese, il cui mercato tecnologico è tra i più rigogliosi in assoluto.95

Il governo nipponico ha intrapreso una politica di consolidamento della proprietà intellettuale sin dal luglio 2003 con lo scopo dichiarato di fare del Giappone una

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Linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81(3) del Trattato della CE agli accordi di trasferimento di tecnologia, punto n. 214.

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Regolamento relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia, in G.U.C.E. L 93/17.

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A questo proposito si vedano i dati relativi al Giappone in: OECD, Compendium of Patent

nazione fondata sulla conoscenza e la tecnologia.96 L'obiettivo consiste nel cosiddetto “Intellectual Creation Cycle” il quale mira ad aumentare la ricchezza del paese attraverso un uso efficiente della proprietà intellettuale per promuovere il settore della R&D e l'economia derivata, massimizzando il valore della produzione industriale. In questo contesto un'importanza cardinale hanno assunto le pratiche collaborative e di coordinamento tra i detentori dei numerosi brevetti generati dalla vigorosa crescita dell'industria tecnologica nipponica. Anche in Giappone dunque gli accordi di patent pooling e le pratiche di standardizzazione si profilano come validi strumenti per correggere le problematiche della patent crisis.

Le autorità giapponesi hanno addirittura avvertito prima della Comunità Europea l'esigenza di definire con precisione il contesto giuridico che lega la proprietà intellettuale al diritto della concorrenza.97 Già nel 1989 la Fair Trade Commission del Giappone aveva pubblicato le prime Linee Guida circa l'applicazione delle norme di proprietà intellettuale per garantire il correlato rispetto della disciplina antitrust. Il documento è stato poi aggiornato successivamente nel 1999 e in seguito nel 2007. A questi strumenti legislativi va poi aggiunta la normativa specificamente dedicata ai patent polls nell'ambito degli accordi di standardizzazione, emanata nel 2005.

L'ambito di applicazione delle Linee guida circa il coordinamento degli accordi di licenza con la disciplina antitrust ricomprende tutte le tipologie di contratti che riguardano i brevetti e il know-how. Tra questi sono presenti anche gli accordi di patent pooling, dei quali viene evidenziata sia la gamma dei potenziali benefici che i rischi anti-concorrenziali, in linea con l'approccio europeo e nordamericano. La disciplina antitrust che argina la pratica del pooling si fonda sui divieti dell'Antimonopoly Act, tra cui quello di pratiche commerciali sleali, creazione di

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A questo riguardo un'attenta analisi è fornita in: M. ARMILLOTTA, Japanese Guidelines on

Standardization and Patent Pool Arrangements: Practical and Legal Considerations under the Current Antimonopoly Act - A Global Perspective, in Report of the Industrial Property Research Promotion Project (Japan Patent Office), 2008.

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G. COLANGELO, Mercato e cooperazione tecnologica. I contratti di patent pooling, Giuffrè Editore, 2008 , pp. 200-204.

monopoli e ingiustificata restrizione del commercio. Attraverso una serie di descrizioni analitiche il legislatore nipponico ha tentato di fornire all'interprete una disciplina calibrata per perseguire soltanto quegli accordi che si mostrino realmente svantaggiosi per la concorrenza. Ad esempio, sono delineate all'articolo 3(1) alcuni casi in cui l'aggregazione è finalizzata all'esclusione o al controllo delle attività commerciali di altri concorrenti mediante l'abuso di privative giuridiche su tecnologie necessarie. Casi del genere si verificano quando, a seguito della formazione di un pool, un partecipante si rifiuti di concedere licenza ai new comers oppure tenga nascosto agli altri partecipanti di essere titolare di brevetti su alcune tecnologie inserite in uno standard. Inoltre, a differenza delle esperienze di Stati Uniti e Unione Europea, in Giappone fin da subito si è avuto un occhio di riguardo ai rapporti tra le tecnologie aggregate. Fin dalle prime Linee Guida del 1989 se un pool aggrega tecnologie sostitutive o limita la concorrenza sul mercato di un prodotto o sia impostato in modo da rifiutare le licenza di tecnologie essenziali viene perseguito come un'ingiustificata restrizione del mercato.

Se un tempo l'economia esigeva strutture organizzative per lo sviluppo di nuovi prodotti che richiedevano l'uso di una miriade di tecnologie brevettate ora, come noto, nell'era della rivoluzione digitale, i pools vengono sempre più spesso utilizzati per promuovere e diffondere l'implementazione di standard. Da questo punto di vista la normativa giapponese, che dal 2005 è organizzata in un apposito testo legislativo, si colloca in linea con quella degli Stati Uniti e dell'Unione Europea. In primo luogo si deve valutare se l'aggregazione coinvolga brevetti su tecnologie essenziali (soprattutto in senso tecnico) o invece sostituibili. Al fine di garantire l'imparzialità del meccanismo valutativo, il Legislatore nipponico ha previsto meccanismi di valutazione indipendenti.

In accordo con la dottrina americana, anche le autorità giapponesi presumono che i pools contenenti soltanto tecnologie essenziali e complementari siano prima facie pro-concorrenzili. Parte della dottrina ha rilevato come questo approccio sia preferibile a quello dell'UE il quale non concede esenzioni di categoria alle pratiche di pooling e si limita a fornire all'interprete alcune indicazioni per evitare

che un accordo di aggregazione ricada nel divieto di cui all'articolo 101(1) TFUE.98

Infine un apposito gruppo di disposizioni si occupa della disciplina delle attività di licenza realizzate dal pool: la possibilità da parte dei titolari di stipulare contratti di licenza indipendenti, la facoltà del licensing administrator di limitare l'accesso alle attività di cooperazione tra i licenziatari e le politiche di ripartizione della royalties tra i vari partecipanti.

La disciplina nipponica ha raggiunto un elevato livello di precisione ed efficienza, anche perché il proprio mercato investe tradizionalmente ingenti risorse nelle attività di ricerca e sviluppo. Anche per questo motivo l'inserimento di clausole particolarmente delicate come le grant back provisions e le no challange clauses vengono disciplinate con cura e rigore. Nel primo caso possono essere limitate soltanto a quegli sviluppi che sono essenziali per l'esistenza stessa della tecnologia del titolare. Nel secondo caso si prevede che il diritto di recedere dall'accordo in caso di contestazione vada ristretto alle tecnologie detenute dal soggetto nei confronti del quale si contesti la validità del brevetto (senza possibilità alcuna di estendere il recesso alle tecnologie degli altri partecipanti al pool). Anche il diritto nipponico prevede poi la concessione in licenza di tecnologie essenziali aggregate a condizioni FRAND (fair reasonable and non discriminatory) e la nullità di ogni sorta di restrizione eventualmente posta a carico dei licenziatari circa le attività di ricerca e sviluppo relativamente alle tecnologie ricomprese nel pool.

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M. ARMILLOTTA, Japanese Guidelines on Standardization and Patent Pool Arrangements:

Practical and Legal Considerations under the Current Antimonopoly Act - A Global Perspective, in Report of the Industrial Property Research Promotion Project (Japan Patent

CAPITOLO II

2. Il patent pooling tra logica giuridica e logica economica