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4. Adolescenti nel mondo globalizzato.

4.3 Adolescenti e consumi.

Per quanto riguarda i consumi possiamo affermare che ciò che vale per la nostra società in generale è valido anche per gli adolescenti e che quindi le teorie interpretative su questo tema oscillano tra concezioni del consumo come modo di esprimere liberamente se stessi, quindi la propria identità, e invece il rischio di vivere solo per il consumo con la conseguente mercificazione di molti aspetti della vita.

Laffi [2000] propone una visione che pone l’accento sui rischi portati ai giovani da un mondo basato sui consumi. A parere di questo autore molte delle problematiche giovanili sono da attribuire a questo tipo di società, a “l’overdose di un paradigma economico che li contiene però solo in veste di consumatori, fortemente sovvenzionati dal mondo adulto, forse a risarcimento della crisi avvenuta nella trasmissione intergenerazionale di saperi e ideali” [Laffi 2000: 20].

Scrive ancora questo autore: “lo scenario di riferimento in cui sono cresciute le nostre ultime generazioni, una società che ha innalzato di anno in anno la soglia di spesa per accedere allo standard medio di vita, ha convogliato benessere e attenzioni su giovani via via in diminuzione, ha esploso le possibilità di consumo, ha innescato il miraggio della libertà e dell’autodeterminazione senza fornire tutti gli strumenti per esercitarle, ha infantilizzato il rapporto con le merci risolvendolo solo nelle sue dimensioni ludiche, estetiche e umorali. In questo contesto è avvenuta la giovanile paralisi delle scelte di vita, la

professionalizzazione delle giovani generazioni come consumatori” [Laffi 2000: 67].

La visione dell’autore sui rischi dei consumi per l’identità giovanile è estremamente negativa: “quelle adolescenziali e giovanili sono età fragili e ambigue, non strutturate e quindi facilmente manipolabili: le conseguenze pedagogiche di un’identità fondata sui consumi sono pesantemente negative perché accentuano tratti psicosociali marginalizzanti” [Laffi 2000: 71,72].

I rischi che vengono sottolineati sono quelli dello scarso interesse per ogni scelta di lavoro e di vita, perché ciò che conta è solo il consumo finale a cui si può arrivare; dell’apatia: infatti il consumo non implica passioni ma solo interesse momentaneo; dell’illusione dell’eccezionalità e della diversità che allontana dal gusto della condivisione; della volubilità, dal momento che ogni consumo e gusto ha tutto il diritto di non essere coerente e permanente nel tempo [Laffi 2000: 72].

In definitiva, se tutte le mete che caratterizzano i passaggi verso l’età adulta, ossia l’autonomia lavorativa e familiare, diventano difficili da raggiungere e quello che viene proposto è solo consumare e divertirsi, non c’è da sorprendersi del disagio che se ne genera “perché il malessere in quell’età, fatta di desiderio e di crescita, nasce anche dall’attrito fra sé, la realtà vissuta e quella ritenuta possibile, dove conta poco o nulla il passato e assai di più le proiezioni di sé (quanto si può essere ricchi, famosi, possidenti, al sicuro...) che proprio gli adulti mettono in commercio. Il vuoto di esperienza è strutturale, modelli nuovi di crescita non se ne vedono e allora il gioco è continuo e il consumo è onnivoro, alimentato nevroticamente da un esilio dalla vita adulta, mai risolto con le simulazioni di realtà” [Laffi 2000: 87].

In una ricerca su giovani milanesi e moda, a cura di Bovone e Mora [1997], le autrici, introducendo il tema del rapporto tra la nostra società, la moda e l’età giovanile, sottolineano come i

giovani siano anche soggetti attivi dei propri consumi. C’è una sorta di rapporto circolare tra l’industria, che vuole cogliere elementi provenienti dalle sottoculture giovanili per proporre nuove merci da vendere, e i giovani, che negoziano ciò che viene dal mercato in base ai propri gusti.

Da una parte “il mercato della moda è sempre più attento a cogliere i segnali che vengono dalle culture e sottoculture giovanili, gli stili espressivi dei giovani vengono spesso assunti dall’industria dell’abbigliamento e dai suoi creativi e si trasformano a loro volta in mode” [Mora 1997: 38]; tali mode si caratterizzano poi per il fatto di dovere essere nominate al plurale proprio perché vengono prodotti beni rivolti a pubblici giovanili con stili diversi. Inoltre, “dal punto di vista simbolico [tali beni] producono un’identificazione debole tra i loro fedeli osservanti, proprio perché facilmente sostituibili con altre regole altrettanto attuali presso altri segmenti di persone” [Mora 1997: 39].

Dall’altra parte occorre sottolineare “i processi interattivi e comunicativi di quei soggetti che apparentemente stanno alla fine della catena produttiva, proprio per mettere in evidenza le dinamiche di negoziazione che tali soggetti, tradizionalmente considerati passivi, sanno reggere e imporre anche agli altri livelli della catena [...]. I giovani [...] nelle loro interazioni quotidiane, se non creano moda nel senso alto del termine, almeno sperimentano ed elaborano stili che con la moda nelle sue diverse accezioni (creatività, grande industria, controcultura, omologazione, differenziazione, appartenenza ecc.) si incontrano” [Mora 1997: 39].

Pur sottolineando la complessità e l’instabilità del soggetto contemporaneo, generalmente caratterizzato dalle scelte vissute come reversibili e dalla contraddizione, cosa che, come abbiamo già sottolineato, avviene anche nei consumi, tuttavia “il processo di socializzazione rimane il percorso nel quale il soggetto incontra e struttura in un frame almeno cognitivamente unitario i diversi

pezzi dell’esperienza quotidiana. Attore di questo processo più di quanto lo abbiano considerato le teorie funzionaliste sulla socializzazione, il giovane conferisce senso a risorse materiali e simboliche, incontri, valori, abitudini, luoghi, ecc. e in questo modo, supportato dalle varie agenzie di socializzazione con cui entra in contatto, elabora un’immagine di sé che appare ai suoi occhi sufficientemente coerente” [Mora 1997: 41]. In questo modo la fedeltà alle mode o l’adesione a uno stile espressivo sono i segnali della costruzione di una propria visione del mondo e i luoghi e le persone frequentate, gli stili espressivi scelti e gli abiti sono indici dell’immagine di sé che i ragazzi vogliono dare e della condivisione di determinati significati [Mora 1997: 41].

In uno studio a cura di Frontori [1992] sul rapporto tra adolescenti e oggetti viene approfondito, in chiave psicologica, il rapporto tra l’adolescente, il sé e gli oggetti per lui significativi. Si parte dall’idea che la fruizione dell’oggetto stabilisca un contatto tra questo e il soggetto, che viene a significare per quest’ultimo un’esperienza che ha a che fare con il Sé. “Sul concetto di Sé le teorie psicologiche, in particolare quelle psicoanalitiche, non mostrano accordo, né attribuiscono ad esso un significato univoco. Gli si riconosce tuttavia una funzione in relazione al vissuto soggettivo di continuità e identità (sentirsi se stessi, autorappresentarsi, collegare sensazioni corporee e vissuti emozionali) nonché ai processi di trasformazione e di sviluppo, attraverso identificazioni che modellano le relazioni del soggetto con gli oggetti animati e inanimati” [Frontori 1992: XVII].

Gli oggetti hanno un ruolo importante nella costruzione identitaria.

Pietropolli Charmet, sempre all’interno di questo studio, sostiene che occorre che gli adulti assumano nei confronti del rapporto tra adolescenti e oggetti una visione che permetta di “poter discriminare quando l’adolescente ponga l’oggetto al servizio della propria marcia evolutiva, e quando invece egli rimanga

catturato dall’illusione che la merce possa consentirgli di tenere in sospeso la definizione della propria identità e la realizzazione del proprio faticoso processo di individuazione” [1992: 13].

A parere di Frontori gli oggetti di consumo hanno un significato importante nell’adolescenza poiché in questo periodo, a causa dei grossi cambiamenti che il soggetto vive, c’è necessità di ricostruire nuove identificazioni e nuove rappresentazioni della realtà. “Siamo in un’epoca nella quale le esigenze della formazione del nuovo Sé inducono chi sperimenta a cogliere tutte le occasioni possibili che il mondo della vita offre per trovare appigli più o meno stabili e significativi alle proprie, cangianti, oscillazioni di identità. E gli oggetti entrano con evidenza in questo gioco di manipolazione della realtà che va da sogni di onnipotenza alla sperimentazione realistica della propria condizione” [Frontori 1992: 61].

Nel Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia [2002], un capitolo, a cura di Grossi, è dedicato ai consumi culturali.

Traendo le conclusioni sui risultati dell’indagine in questo ambito, l’autore sottolinea come i consumi culturali in rapporto ai giovani possano essere letti secondo un’ottica che li interpreta come al tempo stesso eterodiretti, ossia beni immateriali prodotti per il consumo, ed autodiretti, ossia mezzi attraverso cui i ragazzi possono costruire la propria identità, socializzare ed esprimersi [Grossi 2002: 420].

“In questa contraddizione o ambivalenza, tuttavia, si trova non solo la chiave interpretativa principale dei consumi culturali giovanili nelle società della tarda modernità come quella italiana, ma anche si annida, per così dire, il problema più generale della formazione e trasmissione della cultura generazionale e della innovazione culturale all’interno della società stessa” [Grossi 2002: 420].

Ritengo che, se è interessante osservare le pratiche attraverso cui gli oggetti, le merci, entrano a fare parte della vita delle

persone, quindi anche dei giovani, e vengono investiti di significati, nella ricerca di se stessi e di qualche punto fermo (in mancanza d’altro) a cui appigliarsi, penso anche che il bisogno contemporaneo di certezze e di identità, lasciato solo in balia dei prodotti del mercato, possa nascondere seri rischi. Inoltre la libertà di scegliere, che pare sterminata a fronte di tanta offerta, credo che sia una libertà in realtà limitata.

Per quanto attiene alla fascia di età che ci interessa, possiamo affermare che se, al giorno d’oggi, tutti ricopriamo il ruolo di consumatori, accanto ad altri ruoli come quello di lavoratori (ossia produttori), gli adolescenti, per la maggior parte ancora estranei al mondo del lavoro, risultano essere prevalentemente consumatori, anche se, proprio perché ancora non lavorano, sono solitamente consumatori a carico dei genitori.

La sfera di consumo rivolta agli adolescenti risulta essere molto ampia e questa fascia di età è fatta oggetto di molta della pubblicità veicolata dai media; sono tanti i produttori che si interessano, studiano i gusti e cercano di creare prodotti rivolti ai ragazzi. “Questo trasforma il giovane nel soggetto principe dell’estetica merceologica contemporanea, mentre i prodotti a lui destinati diventano un laboratorio per l’intero panorama del mercato delle merci. Se un certo approccio, una certa idea e, in particolare, se un certo immaginario funzionano all’interno di uno spazio così vincolato all’instabilità generazionale, infatti, è molto probabile che funzionino anche, al di fuori di quella fascia di pubblico, in un mercato compresso fra la continua accelerazione e un ormai persistente stato di crisi” [Branzaglia 1996:8].

Gli adolescenti, dal punto di vista del consumo, risultano avere un ruolo che sta tra la possibilità di essere propositivi e innovatori - infatti spesso vengono studiati i gusti giovanili per poi proporli, legati agli oggetti, sul mercato - e il rischio di essere sopraffatti dal desiderio di consumare ciò che la pubblicità propone e di seguire senza filtri i modelli proposti dai media, dal

momento che sono soggetti in fase di grandi cambiamenti e quindi portatori di incertezza, instabilità e fragilità.

I giovani d’oggi sono insomma figli del loro tempo; quindi, se l’uomo contemporaneo si caratterizza per instabilità e insicurezza, la questione diventa esponenziale in un’età da sempre legata a questi attributi. Ma non c’è solo questo e penso che i ragazzi siano anche in grado di avere un atteggiamento critico verso ciò che li circonda e talora innovativo, proprio perché l’adolescenza è anche l’età in cui si mette in discussione ciò che sta intorno.

Diventa quindi interessante, e questo è l’oggetto della ricerca che di seguito sarà presentata, osservare i modi con cui i consumi, che tanto spazio hanno nella vita e nell’orizzonte simbolico dell’uomo contemporaneo, vengono interpretati dagli adolescenti di oggi. Occorre fare questo senza eccessive demonizzazioni del consumo, che ci impediscono di vedere i meccanismi con cui l’individuo riesce a difendersi dal rischio di mercificazione della vita o ad approdare ad un utilizzo positivo e sano degli oggetti, ma anche senza inutili e irresponsabili celebrazioni, che nascondano che in realtà, se ci spostiamo da uno sguardo micro a uno macro, dietro alla produzione stanno spesso le amare contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca. Cosa pensare se dietro le scarpe da ginnastica e il pallone che per il ragazzo occidentale simboleggiano la libertà di giocare e divertirsi con gli amici, sta il lavoro sfruttato di un bambino dall’altra parte del mondo?

Il nostro è il mondo delle ambivalenze e delle contraddizioni e cercare di interpretarlo in modo responsabile non è facile.

5. Consumi e identità tra globale e