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4. Adolescenti nel mondo globalizzato.

4.1 Essere giovani nella nostra società.

4.2.1 Caratteristiche dell’età adolescenziale.

Anche sull’adolescenza non tutte le teorie sono concordanti nel fissarne con precisione gli estremi di età; in particolare, se l’inizio si può far risalire alla crisi puberale che generalmente avviene attorno ai 13-14 anni (ma non è così per tutti gli individui), più difficoltoso è dire quando essa abbia fine.

Sostiene lo psicologo sociale Palmonari: “è con la pubertà (cioè la maturazione biologica che segna il termine della fanciullezza e che rende ogni individuo idoneo a riprodursi) che inizia l’adolescenza: poiché i fenomeni di cambiamento fisico ed emozionale connessi con la pubertà cominciano a manifestarsi in un range di età molto ampio, che può variare dai 9-10 anni ai 13-14 anni, non è possibile definire con precisione l’età che può essere universalmente considerata come l’inizio dell’adolescenza” [2001: 8].

Tuttavia se, nonostante ci possa essere una piccola variazione di età, è comunque dalla pubertà che possiamo indicare l’inizio dell’adolescenza, secondo Palmonari non è semplice precisare

quando questa abbia termine. L’autore, rifacendosi a teorie, come quelle di Freud e di Erikson, che sostengono che si è adulti quando si è in grado di “amare” e “lavorare”, sottolinea che la prima tappa, ossia la capacità di impegnarsi in un rapporto intimo con un’altra persona, “è raggiunta subito dopo l’acquisizione dell’identità, cioè della consapevolezza da parte del soggetto (uomo o donna) di essere sempre la stessa persona anche se si sente cambiato, nonché di essere un individuo unico, diverso da tutti gli altri, dotato di un proprio stile nel modo di rapportarsi col mondo” [Palmonari 2001: 9]. Allo stesso modo l’identità è il criterio che permette di scegliere verso quale carriera lavorativa avviarsi.

Però, nella nostra epoca, se “si può affermare che la maggioranza degli individui ha acquisito la capacità di instaurare rapporti di intimità ed è orientato verso un certo ambito professionale nel momento in cui raggiunge la maggiore età legale (in Italia 18 anni)” [Palmonari 2001: 9], in realtà non possiamo dire con certezza che l’adolescenza finisca a 18 anni; infatti per molti individui, la maggior parte, il periodo di preparazione all’età adulta continua come anche la dipendenza economica dalla famiglia di origine.

Palmonari indica come ormai gli studiosi tendano a proporre una distinzione tra adolescenza e gioventù, indicando quest’ultima come “la fase della vita che sta fra l’adolescenza e l’età adulta vera e propria, fase resa possibile dal benessere del mondo postmoderno. La nozione di gioventù assume così un significato istituzionale riferito non a tutti i giovani, ma solamente a quelli che, dopo l’adolescenza e prima dell’età adulta, entrano in un’ulteriore fase di sviluppo” [2001: 10]; ci si riferisce in particolare a chi continua gli studi a livello universitario.

In definitiva, secondo questo autore l’adolescenza si conclude verso i 18 anni, età in cui i ragazzi sono in grado di vivere esperienze di intimità e di fare scelte lavorative o di facoltà universitaria, che significa comunque indirizzarsi verso un

percorso escludendone altri. Ma “non possiamo essere altrettanto precisi riguardo a chi, oltrepassato il limite di 18-20 anni non è in grado di stabilire rapporti di intimità, né di fare una scelta di carriera. Si può parlare, in questo caso di adolescenze prolungate? E se una sola di queste competenze fondamentale viene raggiunta? In questo caso il quadro che si prospetta è molto incerto” [Palmonari 2001: 11]. Lo stesso discorso riguarda chi si avvia verso il lavoro in età precoce; è difficile dire che in questo caso l’adolescenza finisca prima. Infatti, nella nostra cultura, anche se un ragazzo o una ragazza, a causa di particolari situazioni ed esigenze familiari, cominciano a lavorare subito dopo la pubertà, vivono comunque in un contesto che li considera adolescenti e tende a influenzare, attraverso le mode e i messaggi dei mass-media, i loro gusti, le loro scelte, le loro condotte [Palmonari 2001].

Secondo lo psicologo sociale è importante “non cedere alla tentazione di reificare il significato di adolescenza. Infatti accettare questo equivarrebbe a sostenere che tutti i ragazzi di età compresa fra gli 11-12 e i 18-19 anni hanno gli stessi problemi, gli stessi sbalzi di umore, la stesse aspirazioni al consumo, gli stessi stili di vita” [Palmonari 2001: 15] e questo indipendentemente dal genere di appartenza, dal contesto di vita e famigliare, dal tipo di scuola frequentata.

Secondo Fabbrini e Melucci: “questa difficoltà ad individuare un compimento del processo adolescenziale, non è dovuto solo ai grandi cambiamenti intervenuti nella società contemporanea, che hanno portato alla permanenza più lunga nella famiglia, alla maggior durata degli studi, alla difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro, tutti fenomeni che ritarderebbero la conclusione di questa fase di età. La constatazione di un’adolescenza interminabile ha anche a che fare con il cambiamento delle categorie di analisi con le quali oggi osserviamo questo tempo della vita” [2000: 28].

Secondo la prospettiva fenomenologica proposta dai due autori non esisterebbe una vera fine dell’adolescenza, in quanto durante questa emergono elementi che rimarranno costanti nell’esperienza di tutte le persone anche di età più avanzata. Questi elementi hanno a che fare con il cambiamento del corpo, dell’equilibrio degli affetti, delle relazioni, processi che in questa fase raggiungono la massima concentrazione, ma che sono attribuibili anche alle età successive.

“Il cambiamento continuo, e la capacità di farvi fronte, è infatti oggi la risorsa fondamentale richiesta ad ogni adulto per muoversi nell’esperienza individuale e sociale. Le competenze ad affrontare i mutamenti riguardano la capacità di governare la tensione permanente tra i poli della continuità e della rottura” [Fabbrini, Melucci 2000: 29]. Queste competenze sono state sviluppate a partire dall’età adolescenziale in cui per la prima volta sono stati affrontati i problemi relativi al cambiamento.

Quello che Fabbrini e Melucci sostengono è che, per comprendere l’adolescenza, è inefficace definirla come uno stadio chiuso che ha un inizio e una fine e caratteristiche tali da renderlo completamente staccato dall’età adulta, ma occorre spostare l’attenzione sui processi piuttosto che sui contenuti dell’esperienza di questa età.

Comunque anche essi indicano negli anni tra i 13-14 e i 18 la fase centrale e più decisiva delle trasformazioni adolescenziali. Scrivono questi autori: “la prospettiva fenomenologica e di processo che adottiamo non nega che l’adolescenza sia un momento di costruzione, un unfinished business che troverà un suo compimento. Essa sposta però l’attenzione dai contenuti dell’esperienza ai processi stessi di costruzione. È il farsi del campo ad essere ancora immaturo, perché si sta appunto costituendo, si trova nella situazione di lavori in corso. La conseguenza principale di questo spostamento dell’attenzione dai contenuti ai processi è che si può pensare all’adolescenza come un periodo che non termina, per passare definitivamente a una

età matura senza problemi e senza crisi, ma che tiene invece aperti sul resto della vita gli apprendimenti della crisi stessa” [Fabbrini, Melucci 2000: 20].

L’adolescenza in questo modo non può essere considerata solo come fase di passaggio tra infanzia e vita adulta, con la meta ultima della maturità, ma come un periodo del ciclo vitale in cui avvengono processi di trasformazione che investono la mente e il corpo, le relazioni con gli altri e col mondo [Fabbrini, Melucci 2000].

L’approccio di studio che ne consegue non è adultocentrico; l’adulto che studia i ragazzi di questa età, riconoscendo in essi problematiche ed anche potenzialità che non ha abbandonato e che lo accompagnano nella sua vita presente, si sente parte del mondo osservato.

Le trasformazioni tipiche degli adolescenti hanno a che fare con alcuni temi, generalmente riconosciuti da tutti gli approcci, “riferibili al mutare del corpo, alla costruzione di un senso di identità coerente e continua, compatibile con la mutevolezza e la variabilità; al movimento e al riassetto intrapsichico delle parti interne, al cambiamento dei valori e dei codici morali, alle modificazioni nel campo delle relazioni interpersonali, con lo spostamento dalla famiglia al gruppo dei pari” [Fabbrini, Melucci 2000: 22].

Questi cambiamenti si caratterizzano poi per la repentinità con cui avvengono, per la complessità degli elementi in gioco, per l’incertezza a cui danno luogo nel vissuto personale e, in definitiva, per la situazione di crisi a cui portano, che è uno degli attributi tipici di questo passaggio.

Vediamo brevemente come si presentano questi cambiamenti, tralasciando momentaneamente il tema dell’identità che verrà approfondito nel prossimo paragrafo.

“L’adolescenza è uno dei periodi della vita umana più contrassegnati dal cambiamento. Si tratta di un processo atteso e ineluttabile, che si pone su varie dimensioni e comporta

incertezze e smarrimenti, euforia e ansia, soddisfazione e insoddisfazione” [Palmonari 2001: 21].

A causa di questi fatti il ragazzo si trova a dover ridefinire il suo rapporto con l’esterno; è consapevole del cambiamento e impegnato ad attribuire senso a ciò che gli sta capitando.

Per quando riguarda il corpo, è evidente come nell’età adolescenziale questo subisca mutamenti repentini e intensi in un periodo relativamente breve.

“Parlare di corpo [...] a proposito dell’adolescenza, ci obbliga a considerare i clamorosi mutamenti che sono in atto in questa fase come qualcosa di più che fatti fisiologici che fanno da contorno agli eventi intrapsichici. I fatti del corpo nell’adolescenza, come in altri momenti della vita caratterizzati da intenso mutamento, mettono in moto una ridefinizione globale dell’esperienza che riguarda tutti gli aspetti della presenza [Fabbrini, Melucci 2000: 46].

Il disagio che si accompagna a questi momenti è legato proprio alla difficoltà di gestire il processo di cambiamento per la sua intensità e per la qualità dei mutamenti che agiscono esternamente e internamente.

L’adolescente è così impegnato in una ridefinizione di sé anche in relazione agli altri che si trovano nel suo campo sociale, innanzitutto la famiglia, ma anche le persone in generale con cui si rapporta.

Inoltre, proprio per lo sviluppo che interessa anche l’ambito sessuale, si affermano in modo più forte le differenze di genere, accompagnandosi spesso all’esigenza di stringere forti amicizie con individui dello stesso sesso con cui sembra più facile condividere vissuti similari. Contemporaneamente si manifestano i primi interessi sessuali e amorosi.

“La prima adolescenza è considerata da alcuni studiosi come un periodo di intensificazione delle condotte di genere: ragazzi e ragazze, in altre parole, sentono l’esigenza di adottare condotte

ed esprimere interessi e aspirazioni tipicamente maschili e femminili” [Palmonari 2001: 32].

Naturalmente le categorie con cui si risponde a questa esigenza cambiano a secondo di luoghi e periodi storici diversi, così oggi, ad esempio, si registra una tendenza delle femmine ad assumere con maggiore libertà e varietà di un tempo la propria identità, la quale si allontana sempre più da quella stereotipica e legata al passato che attribuiva loro il compito di occuparsi prevalentemente delle faccende domestiche. Anche da parte maschile pare che ci sia una tendenza ad interpretare in modo meno rigide le caratteristiche che per tradizione si attribuivano al loro sesso [Palmonari 2001].

“Il processo di identificazione sessuale, cioè l’assunzione nel campo della propria identità del fatto di essere maschio o femmina, matura in un universo di significati che connettono le dimensioni interne (memoria, sensazioni, vissuti profondi, affettività), col fitto sistema di rappresentazioni culturali che l’ambiente propone (codici di comportamento, modelli etici ed estetici, attribuzione di ruoli) [Fabbrini, Melucci 2000:102].

Altro elemento centrale in questa età è il rapporto con i coetanei e con il gruppo. Si è già detto della tendenza ad approfondire il rapporto con coetanei dello stesso sesso.

Generalmente si parla di gruppo dei pari “per indicare tutti i raggruppamenti (aggregati) di adolescenti della stessa fascia di età” [Palmonari 2001: 99].

Il gruppo è importante per l’adolescente perché gli permette di condividere esperienze, interessi e valori.

Esistono gruppi informali e formali; i primi si caratterizzano per la spontaneità con cui si costituiscono, “spesso senza perseguire intenzionalmente attività specifiche, dove la coesione del gruppo si fonda sull’intensità della relazione e della comunicazione fra i vari membri, nonché sulla condivisione del tempo libero, del divertimento, dell’impegno nei confronti della realtà” [Palmonari 2001:100].

Questo tipo di gruppo si forma in tutti gli strati sociali, quindi non è prerogativa solo di contesti a livello alto o basso, e generalmente si caratterizza per avere al suo interno membri che hanno esperienze omogenee o simili a livello scolastico, familiare, culturale, di comportamento e di look.

Nei gruppi formali, siano essi di tipo religioso, sportivo, socioeducativo, culturale, politico, la situazione è diversa poiché ci sono adulti che seguono e coordinano le attività e che guidano i ragazzi verso obiettivi ben definiti.

Generalmente i gruppi formali sono più frequentati nei primi anni dell’adolescenza e vengono poi abbandonati da vari membri negli anni successivi, spesso perché non ne condividono più gli obiettivi e viene manifestata una maggiore preferenza verso i gruppi informali [Palmonari 2001].

Ultimo elemento che mi preme sottolineare come tipico dell’età adolescenziale è la comparsa di una nuova capacità critica e riflessiva che permette ai ragazzi di vedersi e di riflettere su se stessi, sugli altri e sul mondo che li circonda. “A partire da questa capacità di vedersi e poter dire su di sé, si struttura nel campo esperienziale una dimensione verticale che è un punto di vista fino ad allora inesistente. Emergono facoltà di giudizio, capacità di valutazione, potere di orientamento. Diventa possibile comprendere logiche esistenziali più ampie che vengono espresse nelle domande sul senso della vita e della morte, perché spaziano oltre la mera esperienza, in un orizzonte che si apre alle dimensioni più profonde e spirituali dell’esistenza [Fabbrini, Melucci 2000: 36].

In questa fase si cominciano a prendere le distanze e a guardare con occhio critico gli adulti e la famiglia di origine. I ragazzi iniziano ad esprimere opinioni sui fatti e gli eventi che li circondano, sulla religione, sull’attualità e sulla politica.

“L’adolescente diviene progressivamente capace di utilizzare il pensiero astratto e di rappresentarsi non soltanto il mondo familiare, scolastico, sociale e politico così com’è, ma come

potrebbero essere se certi elementi fossero diversi e certe altre condizioni fossero date [Palmonari 2001: 51].

Questa nuova capacità riflessiva acquisita dagli adolescenti ci porta a introdurre il tema della riflessione su se stessi e quindi dell’identità che in questo periodo della vita si pone per la prima volta come problema a cui dare una risposta.