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Consumo come rischio nella costruzione dell’identità: la mercificazione della vita.

3. Individuo, identità e consumi.

3.4 Identità, consumi e appartenenze.

3.4.2 Consumo come rischio nella costruzione dell’identità: la mercificazione della vita.

Tra gli autori critici verso la possibilità che il consumo possa garantire una costruzione veramente libera e creativa dell’identità dell’individuo contemporaneo troviamo Bauman.

Il mondo dei consumatori (ossia la società attuale) è per l’autore un mondo di infinite possibilità e di infiniti obiettivi seducenti che vede i suoi abitanti sempre in corsa a rincorrere offerte che paiono sempre migliori [Bauman 2002].

“Il consumatore di una società di consumatori è una creatura totalmente diversa dal consumatore di qualsiasi altra società precedente. Se tra i nostri antenati filosofi, poeti e predicatori si

ponevano la questione se si lavorasse per vivere o si vivesse per lavorare, il dilemma che più spesso si sente rimuginare oggi è se si abbia bisogno di consumare per vivere o se si viva per consumare. Qualora si sia ancora capaci di separare il vivere e il consumare, e se ne senta la necessità” [Bauman 1999: 91]. In questo mondo lo shopping diventa il modello attraverso cui si partecipa alla vita. “L’archetipo di tale particolare corsa cui ogni membro di una società dei consumatori partecipa (in una società dei consumatori tutto è una questione di scelta, tranne l’obbligo di scegliere, l’obbligo che si trasforma in una inclinazione e che dunque non è più percepito come obbligo) è l’attività dello shopping.[…] Qualsiasi cosa facciamo e qualsiasi nome assegniamo alla nostra attività, è una sorta di shopping, un’attività modellata su quella dello shopping ” [Bauman 2002: 76].

In ogni attività, dal cercare il lavoro, al mantenere o creare rapporti di amicizia o di amore, ci si comporta come se si stesse facendo shopping.

Attraverso lo shopping si pone in essere un tentativo di superare il senso di incertezza che pervade la vita degli esseri umani contemporanei e si ha la percezione di essere liberi di scegliere ciò che preferiamo e che più ci si addice; questa libertà però è solo apparente poiché i suoi confini sono definiti dal mercato, da un’entità che precede e supera il consumatore

La dinamica dello shopping si pone in essere anche per quanto riguarda la costruzione e la ricerca di identità.

“Data l’intrinseca volatilità e volubilità di tutte o quasi le identità, è la possibilità di «andare a fare shopping» nel supermercato delle identità, il grado di vera o presunta libertà del consumatore di scegliere la propria identità e restarvi fedele fin quando lo desidera, a fungere da via maestra per il raggiungimento delle fantasie di identità. Acquisita tale capacità, si è liberi di fare e disfare identità a proprio piacimento. O almeno così sembra” [Bauman 2002: 89].

Allo stesso modo dei beni di consumo le identità sono sottoposte a uso e logorio, dal momento che noi siamo tutti nel mercato e sul mercato, al tempo stesso consumatori e beni di consumo. Così non bisogna meravigliarsi molto che l’uso/logorio delle relazioni umane e di conseguenza anche delle nostre identità (noi ci identifichiamo in riferimento alle persone con cui siamo in relazione) risulti sempre più simile all’uso/logorio delle automobili, seguendo quel ciclo che ha inizio con l’acquisto e termina con la discarica [Bauman 2003].

Il problema allora diventa non quello della scelta dell’identità o del cambio di questa, dal momento che sono infinite le possibilità di assumerne una o più, nuove e diverse: “selezionare i mezzi necessari per ottenere un’identità alternativa di propria scelta non è più un problema (se si ha, cioè, abbastanza denaro per acquistare tutti i necessari accessori): nei negozi c’è un qualche aggeggio che non aspetta altri che voi, pronto a trasformarvi sul momento nel personaggio che volete essere, in come volete essere visti ed essere riconosciuti” [Bauman 2003: 84]. Invece “il problema reale e la maggiore preoccupazione odierna è il dilemma opposto: quale delle diverse identità selezionare e per quanto tempo mantenerla una volta operata la scelta? […] Non si saprà mai per certo se l’identità che si sfoggia al momento sia la migliore che si possa avere e quella che potrebbe dare maggior soddisfazione” [Bauman 2003: 85].

Dunque l’eccesso di possibilità di scelta e la conseguente indecisione, la perenne corsa a cambiare identità per trovarne una migliore sono la condanna della contemporaneità. “I beni di consumo incarnano il punto estremo di non definitività e revocabilità delle scelte e il punto estremo della facoltà di disporre a piacimento degli oggetti scelti… Cosa ancora più importante, fanno sembrare che il controllo sia nelle nostre mani. Siamo noi, i consumatori, che tracciamo la linea divisoria tra cose utili e cose da buttare. Con i beni di consumo come

partner, possiamo forse smettere di preoccuparci di finire nel bidone dei rifiuti, o forse no?” [Bauman 2003: 94].

Anche il sociologo italiano Codeluppi guarda con occhio critico il legame tra consumo di beni e ricerca di identità.

La nostra società, secondo l’autore, si caratterizza non solo per la centralità della dimensione del consumo, ma anche per il fatto che la cultura del consumo si estende ad ambiti in cui prima non era presente: “la cultura del consumo invade in maniera crescente anche ambiti – naturalmente con i relativi luoghi fisici – che nelle società capitalistiche occidentali in passato non avevano a che fare col mercato: educazione, arte, politica, sport, salute ecc.” [Codeluppi 2003: 8, 9].

Dunque sembra che quello del consumatore diventi il modello generale di comportamento, applicabile in qualsiasi situazione; per gli uomini contemporanei “sembra che una sorta di «legge del consumo» regoli il funzionamento dell’intera società. Una legge che impone a tutti di comportarsi da consumatori in qualsiasi ambito sociale essi si trovino” [Codeluppi 2003: 9, 10]. La ragione di questo è probabilmente da collegare al fatto che chi vive in società complesse come le attuali trova difficile definirsi sul piano sociale impiegando le elementari variabili sociologiche di tipo tradizionale come il sesso, l’età, il reddito. Attraverso le merci e le loro marche invece gli individui riescono a collocarsi socialmente in maniera efficace, possono cioè costruirsi un’identità sociale impiegando materiali provenienti dalla comunicazione delle merci. In questo la pubblicità viene loro in aiuto proponendo identità precostituite, inquadrandole all’interno di un certo contesto sociale e connettendole anche a uno specifico stato d’animo, ma soprattutto a una particolare merce e alla sua marca. Ma quello che si genera non è che un’illusione, dal momento che le identità costruite in questo modo sono, per forza di cose, costruzioni momentanee [Codeluppi 2003].

Dunque i consumi offrirebbero una possibilità di costruzione di un’identità che però è estremamente labile, non solida, costretta

a un continuo mutamento e sottomessa alle logiche e agli interessi del mercato. Nell’analizzare la presenza e l’imporsi delle grandi multinazionali nel sistema educativo statunitense, ma talora anche italiano, Codeluppi sottolinea come “il linguaggio delle merci sostituisce il linguaggio della democrazia e il consumismo sembra essere il solo tipo di cittadinanza offerto ai bambini, per i quali la libertà della democrazia coincide con la libertà di consumare tutto quello che desiderano” [ 2003: 28]. Attualmente la pubblicità che viene creata per promuovere l’acquisto di prodotti, secondo Codeluppi, si trova nella fase metapubblicitaria [Codeluppi 2001], in cui “la pubblicità diventa sempre più «autoreferenziale» e cosciente del proprio linguaggio e della propria storia. Tende cioè ad avere come oggetto sempre meno il prodotto da pubblicizzare e sempre più se stessa, i proprio discorsi e i propri meccanismi di comunicazione” [2001: 20].

In questo contesto un’importanza fondamentale è assunta dalla marca che viene a costituire un’entità quasi autonoma dal prodotto, “il quale spesso non può addirittura esistere e funzionare se non all’interno del mondo comunicativo proposto dalla marca. In una società come l’attuale, che appare saturata dalla comunicazione in tutte le sue forme e dove i prodotti sono sempre più uguali tra loro e dunque sempre meno coinvolgenti per i consumatori, non è più sufficiente comunicare l’esistenza di un prodotto o le informazioni rispetto a ciò che tale prodotto è in grado di offrire, ma è assolutamente necessario imporsi comunicando una specifica identità” [Codeluppi 2001: 23].

Così le marche non devono semplicemente informare su quali siano le caratteristiche del prodotto ma proporre anche dei valori, uno stile di vita, una visione del mondo.

E questo accade perché la crisi dei valori forti, caratteristici della modernità, ha fatto emergere dei valori deboli che l’individuo può momentaneamente scegliere. Così la marca non è in grado di creare nuovi valori ma può soltanto rafforzare quelli già esistenti,

allora prende uno di tali valori deboli, se ne appropria socialmente, e agisce come un attore sociale capace di proporre dei modelli di riferimento [Codeluppi 2001: 23].

L’obiettivo non è più, come avveniva negli anni ottanta del secolo scorso, quello di fare in modo che il consumatore si identifichi in un determinato stile di vita, ma quello invece “di pervenire a un’adesione nei confronti di un sistema di valori proposto dalla marca, in un mondo mentale che alcuni autori hanno definito mindstyle” [Codeluppi 2001: 23].

La marca dunque è andata nel tempo adattandosi al mutato consumatore, assumendone sempre più le caratteristiche di eclettismo e di mancanza di un’identità forte. “In passato, la maggior parte delle grandi marche ha ottenuto successo proprio perseguendo con coerenza nel tempo il suo progetto di identità. Ma nelle società ipermoderne la natura razionale del principio di coerenza appare sempre più anacronistica. […] Per queste marche il consumatore comprende che dietro un certo nome non c’è una personalità coerente, ma un soggetto dall’identità vivace e dinamica alla costante ricerca di se stesso e che in questa ricerca può anche essere incoerente nelle sue manifestazioni. Anche per questo lo vive come più amabile, in quanto si comporta esattamente come lui” [Codeluppi 2001: 26, 27]. Il consumatore così, a parere di Codeluppi, tende sempre più a considerare la marca quasi fosse un individuo con cui non solo ci si può rapportare, ma che ha anche su di lui un’opinione. Questa infatti tende a rivolgersi direttamente al consumatore “poiché il suo obiettivo non è quello di produrre i prodotti, ma quello di «produrre» i consumatori, cioè di attrarre gli individui e di trasformarli in attori del suo mondo” [Codeluppi 2001: 28].

Da questa visione emerge dunque un soggetto che è condizionato dalla marca in quanto questa, facendosi simile al consumatore per eclettismo e incoerenza, cerca di attirarlo nel suo mondo, è una marca che non propone più un prodotto ma un

modo di essere ad uso dell’individuo contemporaneo dall’identità incerta e mutevole.

Personalmente trovo interessanti entrambi gli approcci sopra presentati, sia quello che sottolinea il lato attivo e creativo del consumatore contemporaneo, sia quello che mette in guardia e sottolinea i rischi che comporta la centralità e la pervasività della dimensione del consumo nella nostra società.

Del primo apprezzo la volontà di vedere in positivo la dimensione dell’eclettismo dell’individuo di oggi in cui, effettivamente, convivono più anime non per forza coerenti. Ad esempio, accanto al bisogno di avere sempre di più e sempre l’oggetto all’ultima moda, può stare un interesse e una sensibilità ai problemi dei paesi più poveri; la diffusione dei prodotti del commercio equo solidale ed un interesse crescente verso la finanza etica ci pone di fronte a questo.

Tuttavia trovo significative le preoccupazioni delle teorie, come quella di Bauman e Codeluppi, che sottolineano i pericoli che un consumo che diventa l’unico vero luogo di affermazione dell’identità può comportare per un individuo, il quale, come si è detto, si caratterizza per l’identità incerta e le appartenenze instabili. Quando, come oggi, aumentano accanto ai consumi di beni anche i consumi di psicofarmaci e le patologie psichiatriche correlate ad ansia e depressione, qualche domanda sulla sanità degli stili di vita attuali occorre porsela.

È innegabile che il consumo come linguaggio capace di veicolare significati occupi una posizione decisiva nel mondo attuale e penso che l’individuo contemporaneo abbia da un lato le possibilità per esprimersi attraverso di esso più che in epoche passate, temo anche però che la ricerca di una identità che passi solo attraverso il consumo di oggetti possa essere limitante o comunque rischiosa.

Ritengo che il consumatore odierno, nella società dei consumi, si trovi in una situazione di tensione tra due poli che sono quello dell’opportunità e quello del rischio, e che un consumo diventato veicolo importante di significati nella costruzione di identità e nella ricerca di appartenenze, possa offrire opportunità o rischi valutabili di volta in volta a seconda dei diversi tipi di consumo e dei diversi individui.

Se poi ci spostiamo da un’ottica micro a una macro, all’interno del mercato stanno anche poteri talmente forti e al tempo stesso intangibili, che difficilmente mi fanno pensare ad un soggetto consumatore pienamente attivo.

Aggiungerei anche che spesso si dà conto di un punto di vista prettamente occidentale su questi fatti, cambiando visuale credo che si percepirebbero elementi e vissuti diversi.

Trovo comunque difficile scindere completamente le due posizioni presentate sopra, entrambe infatti danno conto di caratteristiche del consumatore che sono ben visibili nella nostra società.

Si è detto che l’ambivalenza caratterizza la nostra epoca e i fenomeni che di essa studiamo; credo che la globalizzazione ed i fenomeni ad essa correlati portino fortemente in sé questa ambivalenza, quindi ritengo che l’unico errore sarebbe interpretarli in maniera troppo rigida e unidirezionale; per il resto la lettura differente dipende dai diversi punti di osservazione e dai differenti paradigmi interpretativi.

4.

Adolescenti nel mondo