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3. Individuo, identità e consumi.

3.3 L’altro, le differenze.

Finora si è presa in considerazione l’identità dal punto di vista del singolo in rapporto con la società e quindi sono stati introdotti i concetti di identità personale e sociale come due poli tra i quali si colloca l’individuo. La differenza finora presa in considerazione è stata quella del singolo nei confronti della società e dei suoi modelli, quindi differenza come capacità di mantenere la propria singolarità e unicità.

Ora si prenderà in considerazione la differenza anche in altri termini, in questo caso si tratta della diversità dall’altro, da chi riconosciamo come diverso da noi o estraneo al nostro ambiente abituale e con cui ci troviamo a rapportarci.

Nelle dinamiche quotidiane infatti, oltre a confrontarci con i modelli che ci vengono socialmente proposti e talora imposti, ci troviamo anche a doverci rapportare con altri individui portatori di diversità.

L’identità si costruisce infatti nell’incontro con ciò che non siamo, che è diverso da noi, non c’è idem senza alter.

“Se realizzarsi e diventare individui sono esigenze che guidano la trasformazione dell’identità nella cultura contemporanea, viene allo stesso tempo in primo piano la domanda su che cosa ci rende simili e in che cosa siamo diversi gli uni dagli altri. La differenza diventa una chiave centrale sia delle relazioni interpersonali che della convivenza civile” [Melucci 1994: 47].

Se consideriamo poi il fatto che la nostra società si caratterizza, come si è detto, per la complessità, per l’incertezza, per la mancanza di modelli stabili e di fini certi, caratteristiche queste che portano a una molteplicità delle appartenze, a una “pluralizzazione del senso” [Melucci 1994: 48], se prendiamo anche in considerazione la globalizzazione e i suoi effetti, tra interdipendenze transnazionali e circolazione sempre maggiore di persone, cose, immagini, idee, possiamo dire che le differenze e i rapporti tra diversi sono qualcosa che ci riguarda da molto vicino. In effetti “la pluralità di valori, scopi e preferenze, non può più essere vista come una patologia della realtà sociale contemporanea, ma come una sua dimensione costitutiva” [Melucci 1994: 48].

Secondo Geertz: “a fronte della frammentazione del nostro mondo, la concezione tesa a individuare nella cultura – in una data cultura, in questa cultura – un consenso circa idee di fondo, sentimenti e valori comuni non regge più. Sono invece i rifiuti e le fratture che oggi delineano il paesaggio delle identità collettive. Quale che sia la cosa che definisce un’identità nel capitalismo senza frontiere o nel villaggio globale, non è certo l’armonia profonda su questioni di fondo. È piuttosto qualcosa che assomiglia al ritorno di differenze familiari, all’ostinarsi in scontri e alla residua presenza di minacce - la convinzione che, qualsiasi cosa succeda, l’ordine delle differenze va mantenuto” [1999: 62].

Le differenze portano al tempo stesso rischi e ricchezze: i primi sono la disgregazione, la perdita del legami che possono garantire la solidarietà, le seconde sono le potenzialità di creare nuove integrazioni e sinergie, impossibili se vi è solo omogeneità.

Gestire le differenze non è facile e richiede capacità di organizzazione “ma con una logica profondamente diversa da quella che abbiamo ereditato dal modello industriale. Organizzare vuole dire stabilire connessioni e lavorare sui

processi e non costringere all’unità. Questa prospettiva comporta margini di rischio maggiori rispetto al passato nel rendere le differenze traducibili” [Melucci 1994: 50].

Parlare di differenze nella nostra società globale, rimanda a due grandi temi che negli ultimi decenni sono venuti sempre più alla ribalta. Uno è quello delle differenze di genere, legato all’emancipazione femminile che ha portato a mettere in discussione i ruoli tradizionali maschili e femminili e a ribadire da parte delle donne il valore della propria differenza.

Un altro aspetto, che è particolarmente legato alle dinamiche tra globale e locale, è quello delle differenze/ appartenenze etniche. Questo fenomeno può essere letto da vari punti di vista.

Uno è legato alla globalizzazione che, come abbiamo in precedenza affermato, ha al suo interno una componente omogeneizzante che tende all’imposizione dei modelli dominanti occidentali sugli altri paesi, in questo caso l’affermazione e ricomparsa di lotte per il riconoscimento di identità etniche nei paesi del sud del mondo è legato a una sorta di “resistenza” all’imporsi della cultura occidentale e a un’affermazione della propria autonomia e diritto ad essere diversi.

Un secondo aspetto è legato alla già citata incertezza e mancanza di punti fissi e appartenenze stabili nella nostra epoca, è questo il caso della ripresa e riaffermazione, talora posticcia e reinventata, di identità etniche e territoriali che servono a vincere l’insicurezza e a crearsi un’identità più stabile. Questo avviene nei paesi non occidentali ma anche i quelli occidentali, ne è un esempio il caso della Lega in Italia con la sua rivendicazione di un’identità padana.

Un terzo aspetto è legato ai processi migratori, costantemente in aumento, che portano all’incontro e alla convivenza di individui portatori di culture diverse e spesso a disagi, incomprensioni e problemi nel rapporto tra gli abitanti del paese ospitante e gli immigrati. Si pone qui il problema di equilibrio tra le differenze di ciascun gruppo e il diritto di affermare la propria diversità con la

necessità di giungere a un compromesso che garantisca una convivenza civile.

Sostiene Geertz: “la concezione dell’identità culturale intesa come un campo di differenze […] rivela, a mio avviso, un alto grado di validità generale per il mondo moderno” [1999: 69]. Dunque è sulla valorizzazione della differenza che bisognerebbe puntare. Perché si giunga a una accettazione dell’altro non “anche se” diverso ma proprio “perché” diverso occorre cambiare mentalità, riconoscere la parzialità e la plausibilità di ogni punto di vista e il valore delle differenze come arricchimento.