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2. La globalizzazione culturale e il rapporto tra globale e

2.3 Il mondo dei consumi.

2.3.1 Il linguaggio del consumo.

Si è trattato neI precedenti paragrafi della globalizzazione culturale e delle due principali tendenze interpretative che ne sottolineano gli effetti di omogeneizzazione o di differenziazione (o, meglio, eterogeneizzazione).

I consumi, come qui si vogliono intendere, fanno parte della dimensione culturale della globalizzazione.

Qui e nella parte empirica della tesi il consumo verrà interpretato come linguaggio, come modalità attraverso la quale gli individui comunicano e gestiscono i significati del mondo che li circonda. “L’interpretazione del consumo come linguaggio, pur non misconoscendo il fatto che, dal lato della produzione, siano in atto processi di alienazione e mistificazione, considera prioritario il principio che attraverso il consumo passi inevitabilmente il

rapporto degli individui con gli oggetti nella società industriale” [Paltrinieri 2004: 111]. Siamo nell’ambito della cultura come è stata precedentementa definita, ossia come l’insieme della pratiche attraverso cui gli individui danno significato al proprio contesto di vita.

“All’interno del linguaggio del consumo si oggettivano – nel vero senso della parola, dato che si parla di cultura materiale – entità, concetti astratti e categorie di pensiero che costituiscono l’orizzonte possibile definito del nostro linguaggio di consumo” [Paltrinieri 2004: 112]. Analizzando il consumo come un linguaggio possiamo, analogamente al linguaggio verbale, considerarlo un ambito socializzante, ossia che a partire dall’infanzia insegna agli appartenenti a una determinata società gli usi e le consuetudini della propria famiglia, del proprio stato, del proprio ambiente di riferimento insomma. È un linguaggio che, una volta acquisito, consente di gestire il proprio universo di simboli e significati.

Uno degli approcci che per primo ha preso in considerazione il consumo come organizzatore della sfera simbolica è quello socio- antropologico.

Occorre fare riferimento all’antropologa Mary Douglas che ha definito le pratiche di consumo come dei rituali.

Il ruolo dei rituali, secondo l’autrice, può essere colto nella vita quotidiana, anche nelle operazioni più semplici e strumentali che facciamo. I rituali permettono di riaffermare le strutture e le categorie che costituiscono la realtà nella quale viviamo.

“Il problema fondamentale della vita sociale consiste nell’inchiodare i significati così che per un po’ di tempo se ne stiano fermi. In mancanza di regole convenzionali per selezionare e stabilire i significati condivisi, viene a mancare la base consensuale minima della società. Questo vale per noi esattamente come per la società tribale: i rituali servono a contenere le fluttuazioni dei significati” [Douglas 1984: 72].

Sostiene Paltrinieri: “Il rituale ha la capacità di mediare la nostra esperienza, di stabilire delle situazioni standard e di creare un legame tra presente e futuro.[…] Rispetto alle società contemporanee, studiando diversi sistemi comunicativi che operano all’interno di uno stesso sistema sociale (per esempio i beni di consumo, il denaro, il cibo), le regole che governano il loro uso e scambio, è possibile comprendere le norme e i rituali su cui si basa un sistema” [2004: 97].

Infatti Douglas sostiene che “in qualsiasi società esiste sempre il problema di disporre di significati comuni, e in questo contesto i rituali svolgono un ruolo fondamentale costituendo le convenzioni che stabiliscono in modo visibile le definizioni pubbliche” [1999: 18, 19].

Secondo l’antropologa, come per l’epistemologia strutturalista di Lévi-Strauss, sono i sistemi simbolici che precedono la vita sociale e non viceversa ed è la comunicazione che la rende possibile. Perché vi possa essere comprensione e interazione tra individui è necessario che esistano dei significati condivisi, i rituali rendono possibile ciò essendo “convenzioni che tracciano definizioni collettive visibili” [Douglas 1984: 72]. A differenza di Lévi-Strauss però per la Douglas i simboli non sono pura arbitrarietà ma hanno una dimensione psichica.

“Entro il tempo e lo spazio disponibile l’individuo si serve dei consumi per dire qualcosa su se stesso, la sua famiglia, il luogo in cui risiede […]. Con le sue affermazioni esprime adesione o dissenso sul tipo di universo in cui si trova, ponendosi a volte, ma non necessariamente, in competizione con gli altri. Attraverso le attività di consumo può gettare le basi di un accordo con altri consumatori per attribuire grande importanza ad eventi cui tradizionalmente si attribuisca scarso rilievo e per lasciarne cadere altri nell’oblio” [Douglas 1984: 76].

Secondo Paltrinieri “l’importanza che deve essere attribuita al consumo deriva dal fatto di riconoscere in esso un processo rituale, un’attività congiunta tra consumatori per la produzione e

stabilizzazione di significati condivisi. Attraverso i rituali di consumo si perviene a delle categorizzazioni, a marcare degli eventi, a rendere intelligibile il mondo” [2004: 99].

Scrive Mary Douglas: “l’uomo è un essere sociale. Non potremo mai spiegare la domanda considerando unicamente le proprietà materiali dei beni. L’uomo ha bisogno di beni per comunicare con gli altri e per dare un senso a ciò che succede intorno a lui. In realtà non ci sono due bisogni, ma uno solo, poiché la comunicazione può prendere forma soltanto in un sistema di significati strutturato” [1984: 105].

In tal modo gli individui, quando scelgono dei prodotti, entrano a fare parte di culture. Mary Douglas non legge il comportamento del consumatore come legato solo a una razionalità economica o al ragionamento utilitarista, ma ne sottolinea il valore nella costruzione di significati che permettono di ordinare e dare senso alla realtà che lo circonda. “Il linguaggio del consumo acquisisce una propria funzione: quella di partecipare alla costruzione e categorizzazione dell’esperienza sociale degli individui, di ciò che essi percepiscono come realtà” [Paltrinieri 2004: 110].

Anche il sociologo francese Baudrillard ha il merito di essere stato tra i primi a interpretare il consumo come linguaggio. In questo caso il consumo viene letto da una prospettiva critica che lo interpreta come legato alle dinamiche di riproduzione delle ineguaglianze e della struttura di potere del capitalismo.

“Attraverso gli oggetti, ogni individuo, ogni gruppo, cerca il suo posto in un ordine, pur tentando di sovvertire quest’ordine secondo la propria carriera personale. Attraverso gli oggetti parla una società stratificata: e se, come del resto i mezzi di comunicazione di massa, essi sembrano parlare a tutti (non esistono più, in linea di diritto, oggetti di casta), è proprio per rimettere ciascuno al proprio posto. In breve, sotto il segno degli oggetti, sotto il sigillo della proprietà privata, ciò che si svolge è un processo sociale continuo del valore. E gli oggetti sono anch’essi, ovunque e sempre, al di là delle loro caratteristiche di

utensili, i termini e la espressione di questo processo sociale del valore” [Baudrillard 1974: 19].

Sostiene Featherstone, commentando l’approccio del sociologo francese: “Baudrillard si basa sulla teoria della mercificazione di Lukàcs e Lefebvre, sostenendo che il consumo implica la manipolazione attiva dei segni e che non sono gli oggetti ad essere consumati ma il sistema degli oggetti, il sistema dei segni che compone il codice. Baudrillard attinge dalla semiologia per sviluppare le implicazioni culturali dell’analisi della merce e sostiene che nella società del tardo capitalismo segno e merce si sono fusi per produrre il segno mercificato” [1998: 34]. La logica dell’economia politica ha così implicato una sostituzione non solo del valore d’uso in valore di scambio ma di entrambi in valore segno. In questo modo il significante può essere manipolato liberandosi da una relazione fissa con gli oggetti e instaurando serie di significati.

“Non vi è oggetto di consumo se non dal momento in cui lo si cambia, e in cui questo cambiamento è determinato dalla LEGGE SOCIALE del rinnovamento del materiale che serve a distinguere e dell’inserimento obbligatorio degli individui, attraverso la mediazione del loro gruppo e in funzione della loro relazione con altri gruppi nella scala di status che costituisce in realtà l’ordine sociale. L’accettazione di questa gerarchia di segni differenziali, l’interiorizzazione, da parte dell’individuo, di queste norme, di questi valori, di questi imperativi sociali costituiti dai segni, rappresenta la forma decisiva, fondamentale, del controllo sociale: molto più che l’adesione alle norme ideologiche” [Baudrillard 1974: 58].

Negli ultimi scritti di Baudrillard vengono abbandonati i riferimenti all’economia, alla classe e alla modalità di produzione, la nuova fase del sistema è “il mondo postmoderno della simulazione in cui la televisione, la macchina della simulazione par excellence, riproduce il mondo all’infinito” [Featherstone 1998: 34]. In questo passaggio di riproduzione di copie, per cui

non vi è più un originale, viene eliminata la distinzione tra realtà e immaginazione portando a vivere gli esseri umani contemporanei in un’ “allucinazione estetica della realtà” [Baudrillard 1993]. Attualmente, secondo l’autore, viviamo in una realtà dove tutto può essere trasformato in segno e in immagine e dove siamo bombardati dai segni e dalle informazioni provenienti dai media.

2.3.2 I consumi tra omogeneizzazione ed