IL MEDIO ORIENTE TRA DISENGAGEMENT E INSTABILITÁ Il prossimo capitolo tratterà delle politiche impostate dall’Amministrazione Obama e
2.1 AF PAK strategy, surge and the war of necessity
Una volta insediatosi nel gennaio 2009, erano tre i principali focus strategici di Obama nel Medio Oriente: la risoluzione del conflitto israelo – palestinese77, una dignitosa exit strategy dall’Iraq e l’azzeramento della rete di Al – Qaeda in Afghanistan.
La prima componente strategica di Obama che si andrà ad analizzare è il resurge in Afghanistan, in funzione degli esiti che ha avuto sulla dottrina obamiana in politica estera e di difesa.
Nella campagna presidenziale, Obama disgiunse i destini delle guerre in Afghanistan e Iraq, rispettivamente the good war, o “the war had to be won”78 e the dumb war; per Obama infatti gli Stati Uniti, invece di iniziare una guerra “stupida”, invadendo l’Iraq, avrebbero dovuto terminare la missione di sradicare lo jihadismo dall’Afghanistan.79 Dopo anni di Amministrazione Bush, durante i quali la politica estera statunitense era
77 Alla complessa questione israeliana nel Medioriente si accennerà nel focus del paragrafo 2.5
dedicato ai rapporti statunitensi con l’Iran e all’accordo sul nucleare
78 Barack Obama, Remarks at the W. Wilson Center, Washington DC, 2007,
http://www.americanrhetoric.com/speeches/barackobamawilsoncenter.htm
40 stata overstretched, ovvero troppo espansiva, sia in termini di costi umani che in termini finanziari, la retorica elettorale di Obama sul Medio Oriente sembrò abbandonare l’interventismo a favore di un atteggiamento più pragmatico e realista. In realtà, è possibile sottolineare una combinazione di elementi di continuità ad altrettanti di discontinuità rispetto alla Dottrina Bush e alla sua Amministrazione, a partire dalla squadra di governo: sorprendentemente Obama scelse la sua sfidante alle primarie democratiche per il ruolo di Segretario di Stato, Hillary Clinton, mentre alla Difesa mantenne Robert Gates, repubblicano nominato da Bush nel 200680. Nel team di consiglieri di Obama entravano Susan Rice, ambasciatrice presso le Nazioni Unite fino al luglio 2013, in seguito Consigliera alla Sicurezza Nazionale, e Samantha Power, assistente del Presidente e sostituta di Rice all’ONU. Infine come Consigliere Sicurezza Nazionale entrava un moderato, James Jones. In sostanza, Obama per il suo primo Governo aveva scelto un’abile combinazione tra internazionalisti liberali e liberal interventisti, più ricettivi rispetto alle posizioni dell’establishment militare81. A bilanciare i due orientamenti vi erano il Vicepresidente Joe Biden e, naturalmente, Obama.
Riguardo all’Afghanistan, gli elementi di continuità rispetto a Bush sembrano oggi avere la meglio sugli elementi di discontinuità. L’Afghanistan rappresentava per Obama non solo una semplice problematica ereditata dal passato, bensì una sfida vitale per la posizione statunitense nel mondo; rispondere in maniera efficace ed efficiente in Afghanistan significava poter dimostrare la capacità di far fronte ad una delle principali minacce globali: il terrorismo internazionale82.
Il contesto ereditato da Barack Obama era particolarmente complesso in Medio oriente e nei due teatri di impegno bellico principali per gli Stati Uniti, Iraq e Afghanistan: l’insurrezione dei Talebani era al suo apice sin dai tempi dell’invasione statunitense nel 2001, favorita anche dall’impegno dell’Amministrazione Bush sul fronte iracheno; inoltre i focolai insurrezionali erano diffusi in tutto il Paese ed il governo di Hamid Karzai, che non godeva più dell’approvazione della maggioranza della popolazione, non aveva il controllo diretto che della Capitale Kabul e dei suoi sobborghi; l’economia afghana era devastata da più di trent’anni di guerra e non era stata
80 R. Gates mantenne il ruolo di Segretario alla Difesa fino al Luglio 2011
81 M. Del Pero, Libertà e Impero, gli USA e il Mondo 1776-2016, Bari, 2017, pp 76 82 White House,National Security Strategy, Washington, 2010, pp 6:
41 ripristinata sufficientemente per sostenere la popolazione; infine, il governo rimaneva largamente inefficace e corrotto a tutti i livelli amministrativi.
Allo stesso tempo, in Pakistan il governo si era trovato ad affrontare una serie di carestie, siccità83 e insurrezioni dove l’esercito aveva perso migliaia di uomini e lo Stato era incapace da mesi di controllare direttamente il confine Pakistan – Afghanistan, favorendo la diffusione della rete qaedista84.
Il punto centrale durante il periodo di transizione tra Bush ed Obama fu quello di elaborare una specifica strategia con specifici obiettivi ed altrettanto specifici strumenti per raggiungerli. La domanda più importante in questo scenario di guerra e nation- building riguardava proprio il ruolo delle forze militari: in questo contesto Obama era convinto che la componente militare fosse essenziale per la stabilità del paese, ma allo stesso tempo era determinato a non sovra estendere gli Stati Uniti su progetti che non erano in grado di supportare. Intendeva, inoltre, agire tramite la diplomazia; in particolare si concentrò su un duplice obiettivo: re-intensificare la campagna contro Al Qaeda, riportando l’obiettivo della guerra a quello originario e la formazione degli apparati di sicurezza afghani, al fine di renderli autosufficienti nel medio periodo e “afghanizzare” il conflitto85 fino a raggiungere un completo nation - building86.
Obama, poche settimane dopo la sua elezione, impostò una revisione della strategia nell’area, ponendo in secondo piano la promozione della democrazia87 rispetto a obiettivi più realisticamente realizzabili nel medio termine. La sua piattaforma programmatica prevedeva l’aiuto concreto agli afghani nell’educazione dei bambini e delle donne, la garanzia delle necessità primarie della popolazione e la ricostruzione economica88 ma, per ottenere questi risultati, la priorità era quella di tornare ad avere il controllo della regione e pacificarla il più possibile. Si prospettava quindi l’idea di
83https://pakistanweatherportal.com/2011/05/08/history-of-drought-in-pakistan-in-detail/ 84 Richard L. Armitage and Samuel R. Berger, Daniel S. Markey, US strategy for Pakistan and Afghanistan, Council On Foreign Relation, (n° 65 ), novembre 2010, pp ix
85 Il riferimento all’afghanizzazione viene riportato da M. Del Pero in Era Obama, con un particolare
nesso alla politica di vietnamizzazione operata dall’Amministrazione Nixon dal 1969 al 1972 in Vietnam, pp 77.
86 A. Salt, Transformation and the War in Afghanistan, in Strategic Studies Quarterly, Vol. 12, No. 1,
Air University Press, 2018, pp 100
87 R. Kaufman, Dangerous Doctrine: How Obama’s Grand Strategy Weakened America, The
University Press of Kentucky, 2016, pp 100
88 D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention ,New York,
42 inviare più truppe, più civili e più assistenza di intelligence, nonché un maggior supporto internazionale.
Per predisporre ed implementare tale indirizzo fu nominato Richard Holbrooke - stimato diplomatico statunitense, fautore degli Accordi di Dayton del 1995 che avevano pacificato la Bosnia89- come Rappresentante Speciale per l’Afghanistan ed il Pakistan.
A fine 2009, la revisione strategica ordinata dal Presidente fu completata a cura di Bruce Riedel, un senior adviser della CIA ed ex ufficiale della Casa Bianca sotto la Presidenza Clinton90.
L’obiettivo principale in Afghanistan fu individuato nello smantellamento definitivo della rete terroristica di Al-Qaeda, focalizzato soprattutto a ridosso del confine tra Afghanistan e Pakistan e prevenire il ritorno dei talebani al controllo del Paese91. La premessa fondamentale della revisione di Riedel era che l’instabilità in Afghanistan contribuisse allo sviluppo della rete terroristica e ai focolai insurrezionali in Pakistan, e allo stesso tempo, luoghi sicuri per i terroristi in Pakistan contribuissero al diffondersi dell’insorgenza in Afghanistan.92 La novità perciò introdotta dalla nuova amministrazione fu perciò quella di un’operazione che comprendesse sia Afghanistan che Pakistan. Il focus sul ruolo del Pakistan era stato un elemento cruciale nella campagna elettorale di Obama, il quale si era espresso in maniera netta contro le negligenze del governo pakistano nella lotta al terrorismo. Riedel adottò nel documento di revisione della strategia il concetto di Af- Pak region93, che legava i due Paesi in un unico contesto di analisi; tale concetto sottolineava quanto fosse permeabile il confine tra i due Stati e quindi ridefinì le aree di intervento in un unico teatro operativo94. La nuova definizione portava anche al superamento geopolitico della storica dicotomia Pakistan – India che si trascinava sin dalla Guerra Fredda, individuando una nuova area “calda” corrispondente alla frontiera nord occidentale del Pakistan, zona con limitato controllo governativo ed in mano a organizzazioni
89Op. Cit. E. Di nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali vol III, pp 51-52 90Op. Cit. D. Chollet, The long Game, pp 69
91 P.D. Miller, Setting the Record Straight on Obama‘s Afghanistan Promises, Foreign Policy, marzo
2016, http://foreignpolicy.com/2016/03/29/setting-the-record-straight-on-obamas-afghanistan- promises/
92https://www.aljazeera.com/news/asia/2010/12/2010121944648778319.html
93 Questo concetto è stato coniato da Richard Holbrooke, ex rappresentante permanente degli USA
al Palazzo di Vetro, mediatore storico degli Accordi di Dayton del 1995 e nel biennio 2009-2010 fino alla sua scomparsa, advisor di Obama e Clinton sulla regione dell’Afghanistan e Pakistan.
43 terroristiche affiliate ad Al Qaeda. Inoltre, la revisione di Riedel condusse ad una nuova proposta finalizzata al raggiungimento della pace: non più unicamente un processo up-down attraverso tentativi, sempre inconcludenti, di scindere il rapporto tra le tribù talebane ed Al Qaeda, bensì bottom - up, attraverso il Nation building e l’economy building dell’Afghanistan tramite anche altri importanti obiettivi a cascata da implementare, quali l’educazione delle donne, la ricostruzione della società afghana ed infine lo sradicamento delle coltivazioni d’oppio. Proprio questo doppio binario di escalation militare e di lavoro diplomatico fu alla base di uno degli approcci definiti dal Segretario di Stato Clinton come smart power.
Uno dei primi successi ottenuti sotto il profilo economico fu raggiunto dal Consigliere speciale per gli affari di Afghanistan e Pakistan, Richard Holbrooke: sotto il patrocinio statunitense, Kabul e Islamabad strinsero un accordo per il libero commercio che, nell’ottica dell’Amministrazione statunitense, avrebbe condotto nuove vie di prosperità nelle zone di confine e avrebbe dato una valida alternativa all’estremismo alle popolazioni su entrambi i fronti.
L’escalation militare, nel frattempo, raggiunse i massimi livelli dall’invasione dell’ottobre 2001. Il comando delle operazioni venne affidato al Generale McChrystal, più proattivo nelle tattiche di counterinsurgency. Il Gen. McChrystal applicò le tattiche precedentemente utilizzate in Algeria ed Iraq, concentrando l’azione principale nelle aree più densamente popolate per sottrarle al controllo delle forze talebane e, successivamente, avviare tali aree verso lo sviluppo socio economico. Il nuovo approccio che ne derivò non fu esclusivamente militare, ma comprehensive: fu necessario coinvolgere la comunità internazionale per spingere l’evoluzione della governance dell’Afghanistan, incrementare la capacità di intelligence, e di informazione diplomatica ed economica. Questa strategia previde una serie di fasi consecutive: clear, hold, build and transition verso cui giungere alla stabilizzazione dell’Afghanistan e riuscire a stabilire i tempi del ritiro statunitense ed internazionale dal Paese. La novità introdotta dalla nuova strategia sul campo fu principalmente quella di aver fatto tesoro degli anni inconcludenti della guerra: la piena maturazione di un nuovo concetto, three block war, per cui le forze militari dovevano essere pronte
44 ad azioni militari, di peacekeeping e di supporto umanitario, anche contemporaneamente.95
Nel giro di pochi mesi, nell’Agosto 2010, le truppe statunitensi in Afghanistan toccarono le 100 mila unità (più un contingente di altre 60 mila provenienti dai paesi appartenenti alla missione ISAF96), affiancate da un incremento notevole anche dei supporti civili per la formazione del personale afghano nella legislazione e nei programmi economici. Questo nuovo surge in Afghanistan divise nettamente l’Amministrazione su un nodo principale: l’obiettivo finale della missione, ovvero cosa si potesse considerare una vittoria. L’obiettivo doveva essere sconfiggere soltanto Al Qaeda o anche i Talebani? Queste due entità, dai confini porosi, finivano spesso per sovrapporsi, la sconfitta degli uni o degli altri portava a risultati diversi: la distruzione di Al Qaeda era considerato l’obiettivo più importante ai fini della sicurezza degli Stati Uniti, del Medio Oriente e del mondo intero; mentre la rovina dei clan talebani insorti era un obiettivo diretto alla stabilità governativa interna dell’Afghanistan. Alla base dell’obiettivo, vi erano anche due soluzioni diverse dell’Amministrazione: Biden, Holbrooke e l’ambasciatore Eikenberry propendevano per la lotta ad Al Qaeda e quindi all’incremento delle operazioni COIN, mentre Gates, Clinton e Petraeus prediligevano invece concentrare gli sforzi contro i Talebani, con un metodo che combinava approccio militare e intensa azione diplomatica.
La caratteristica di questa nuova forte presenza statunitense in Afghanistan decisa dal Presidente, fu quella di un particolare equilibrio tra le componenti militari, civili, economiche e politiche. L’escalation determinata da Obama cercava di tenere insieme i due obiettivi dando inoltre tempistiche certe per il ritiro definitivo: lo scopo era decimare velocemente le forze di Al-Qaeda per mirare successivamente ad un rapido ritiro delle forze in campo. La decisione di un surge civile e militare in Afghanistan fu criticata politicamente, sia per le modalità che per le tappe del ritiro annunciato: il più convinto oppositore delle proposte del Pentagono e della Casa Bianca all’interno dell’Amministrazione era proprio il Vicepresidente Biden che, caldeggiando l’idea degli sforzi nel counterterrorism97, reputava inefficace il surge. Inoltre, anche la tempistica del ritiro dall’Afghanistan scelta dal Presidente, a partire dal 2011, venne
95 V. Camporini, Lessons Learned’ from Afghanistan, Roma, Istituto Affari Internazionali, settembre
2011, http://www.iai.it/sites/default/files/iai1110.pdf
96 ISAF fu la forza di intervento internazionale autorizzata dalla risoluzione 1386 del Cds dell’ONU,
iniziata come Missione multinazionale e dall’agosto 2003 il contingente è stato a guida NATO.
45 contestata da più parti: Clinton fu ferma nell’idea che fosse un calendario troppo timido per permettere al Dipartimento di Stato e alla diplomazia di ottenere risultati apprezzabili; mentre McCain, Senatore repubblicano sconfitto alle presidenziali 2008, accusò pubblicamente il Presidente di un programma di ritiro estremamente rischioso ed affrettato98.
La politica di Obama e del gen. McChrystal, nonostante avesse portato una relativa diminuzione dei cd. “danni collaterali” – ovvero civili innocenti uccisi dalle forze ISAF -, non risolse la problematica principale: la forte e diffusa insorgenza talebana99. Obama a metà 2010 licenziò il Generale, reo di aver rilasciato una lunga intervista alla rivista Rolling Stone100 con giudizi sferzanti riguardo membri dell’Amministrazione Obama. McChristal fu rimpiazzato con David Petraeus, celebre Generale distintosi nell’elaborazione dell’approccio COIN in Iraq101. Sotto il suo comando, gli attacchi delle Forze Speciali in Afghanistan raddoppiarono e, in un anno di azione, le forze statunitensi catturarono e uccisero migliaia di ribelli102.
Anche grazie all’utilizzo massiccio di Unmanned Aerial Vehicles (UAV)103, l’impegno economico degli USA in Afghanistan diminuì progressivamente, così come diminuirono i costi in vite umane di cittadini statunitensi sul territorio afghano. Dal punto di vista dei rapporti tra gli Stati Uniti ed il governo afghano rimanevano sul tavolo numerosi nodi da sciogliere e punti di conflitto.
Il 5 Dicembre 2001 a Bonn erano stati sottoscritti dalla Comunità Internazionale gli accordi che definivano la transizione post regime talebano ed individuavano in Hamid Karzai, la guida di questa transizione. Karzai, erede di un’importante famiglia pashtun, era stato poi eletto con un mandato pieno nelle elezioni presidenziali del 2004. Karzai con le sue dichiarazioni pubbliche e private, non riusciva tuttavia a garantire l’equilibrio e la moderazione auspicati dal partner americano. Il suo potere si reggeva grazie ad un accordo tra le principali tribù afghane e grazie al suo rapporto personale con il Presidente Bush. Nell’Agosto 2009 Karzai era stato rieletto facilmente,
98https://www.theguardian.com/world/2011/jun/23/obama-afghanistan-withdrawal-us-reaction 99 D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention,2014,New York,
Palgrave Macmillan, pp 75
100https://www.rollingstone.com/politics/news/the-runaway-general-20100622
101 Questa strategia si concentrava sulla difesa dei centri civili e sull’infiltrazione pacifica delle forze di
sicurezza all’interno del tessuto sociale iracheno al fine di conquistarne la fiducia ed espungere i terroristi.
102Op. Cit. D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention, pp 76 103 Si veda paragrafo successivo
46 nonostante pesanti accuse di brogli104. In quell’occasione il ruolo del Segretario di Stato Clinton fu determinante assieme a quello del presidente della Commissione Esteri Kerry: l’ONU nell’Agosto 2009 aveva chiesto un ballottaggio tra Karzai ed il suo principale rivale Abdullah Abdullah. Solo mesi dopo, nel Novembre 2009, grazie alle pressioni internazionali e soprattutto statunitensi, il presidente uscente aveva accettato di sottoporsi nuovamente alle urne per uscirne legittimato. Non si arrivò a nuove consultazioni a causa del ritiro volontario di Abdullah Abdullah105.
Nonostante gli sforzi militari, politici e diplomatici degli Stati Uniti, tra fine 2010 ed inizio 2011 i rapporti tra i due governi arrivarono al minimo storico. Obama e Karzai sembravano aver imboccato due strade inconciliabili per pacificare il Paese: Karzai stava negoziando direttamente con le principali tribù talebane per una tregua, mentre le forze statunitensi, sotto il Comando di Petraeus - comandante del CENTCOM106 - puntavano ad infliggere un colpo mortale ai talebani.107 Inoltre l’annuncio contestuale al surge, con una scadenza per il ritiro delle truppe USA entro diciotto mesi, non servì per accelerare la costruzione di uno Stato sovrano, come prevedeva l’Amministrazione statunitense, bensì aveva messo in moto un processo di manovre faziose di Karzai, anche con i talebani108
In sostanza, il biennio 2011- 2012 segnò alcuni successi fondamentali per l’Amministrazione Obama on the ground e altrettanti fallimenti sui negoziati diplomatici di pace in Afghanistan.
Nel Maggio 2011, il raid dei Navy Seal ad Abbottabad, capitale del distretto omonimo al confine nord-ovest del Pakistan, portò all’uccisione di Osama Bin Laden, il leader indiscusso di Al Qaeda e artefice degli attacchi dell’11/9. Questo evento segnò uno dei punti più alti della strategia messa in campo da Obama, anche sul piano interno109. Le conseguenze strategiche non furono però altrettanto positive per l’Amministrazione: gli osservatori internazionali iniziarono ad interrogarsi sull’opportunità di un rapido ritiro totale degli Stati Uniti dall’Afghanistan ed inoltre i rapporti con Islamabad, partner fondamentale per la sicurezza regionale, si deteriorarono ulteriormente in
104 Op. Cit. E. Di nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali vol III, pp 63 105 Op. Cit. H. R. Clinton, Scelte difficili, pp 189
106 Comando Centrale delle Forze militari statunitensi nell’area MENA 107 A. Rashid, How Obama Lost Karzai, Foreign Policy, febbraio 2011,
http://foreignpolicy.com/2011/02/21/how-obama-lost-karzai-2/
108 H. Kissinger, Ordine Mondiale, Milano, 2015, Mondadori, pp 318
109 L’indice di gradimento interno all’operato del Presidente fece un balzo stimato dai 9 agli 11 punti
47 maniera sostanziale110. L’incursione statunitense in Pakistan, infatti, era stata organizzata ed effettuata senza avvertire né il governo pakistano, né tantomeno l’ISI - i servizi segreti pakistani che si sospettava intrattenessero legami con i talebani, Al Qaeda e gli estremisti afghani111.
Da metà 2011 il Presidente annunciò, come promesso, l’inizio del graduale ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, nonostante un parere sostanzialmente negativo da parte del Pentagono, preoccupato di una possibile recrudescenza delle violenze. Il Segretario alla Difesa Gates si era già espresso nel 2009 in maniera fortemente negativa rispetto all’annuncio del ritiro, che “[avrebbe potuto avere] conseguenze catastrofiche”112 Nonostante i colloqui di pace si fossero raffreddati alla fine del 2011, sul piano interno Obama si giovò dei relativi successi in politica estera del suo governo e in campagna elettorale risultò più convincente proprio in questo settore rispetto all’avversario repubblicano Mitt Romney113
Mentre il primo mandato di Obama in Afghanistan si era caratterizzato con il surge, il secondo si aprì con la volontà di un graduale disimpegno114 secondo il piano adottato sin dai primi mesi del 2009.
Mentre il Segretario alla Difesa Panetta ebbe il compito di organizzare il disimpegno, con il termine delle missioni militari fissato nel 2013, Obama instaurò nuovi colloqui diplomatici col partner afghano per implementare gli obiettivi e i termini dello Strategic Partnership Agreement, sottoscritto nel maggio 2012115.
A metà del 2013, durante il passaggio di consegne tra la prima Amministrazione