L’ARCO DI CRISI: LE RELAZIONI TRANSATLANTICHE L’ultimo capitolo della presente analisi tratterà di un tema molto ampio e con
4.1.2 Il Caso Libico e il leading from behind
L’altro caso storico che si andrà ad analizzare è quello della Libia , poiché esso può essere considerato come un crinale nella politica estera statunitense con importanti conseguenze per la sicurezza regionale e i rapporti transatlantici.
355 “we caved” disse un ex ufficiale statunitense (fonte:
https://www.politico.com/magazine/story/2016/01/we-caved-obama-foreign-policy-legacy-213495)
356 La frase corretta, molto più forte ed incisiva: “We’re in that sweet spot where everyone is pissed
off at us,” riportata da Michael Crowley su Politico
(https://www.politico.com/magazine/story/2016/01/we-caved-obama-foreign-policy-legacy- 213495)
357 La rivoluzione egiziana, la questione energetica e le trattative con l’Iran furono le tre principali
condizioni che minarono i rapporti tra gli Stati Uniti di Obama e lo storico alleato Saudita. Sull’abbandono statunitense di Mubarak si veda:
https://www.nytimes.com/2011/02/09/world/middleeast/09diplomacy.html
358https://www.huffingtonpost.com/2013/08/16/obama-egypt-
112 Dalla rivoluzione del 1969, il Colonnello Muammar el-Gheddafi era la guida indiscussa della Grande Jamahiriya Araba Libica Popolare Socialista359. La Libia si era caratterizzata per decenni di contrasti con gli Stati europei e gli Stati Uniti e una politica estera aggressiva mirata alla creazione di uno stato pan-arabo, al finanziamento diretto di gruppi paramilitari360 e per un potere assoluto esercitato in maniera imprevedibile, culminato nell’attentato di Lockerbie361.
L’embargo economico e l’isolamento diplomatico degli anni ’90 favorirono una modifica sostanziale della politica estera di Gheddafi. Il Raìs o Al-Qaib nel 2000 riconobbe la responsabilità libica nell’attentato di Lockerbie e accettò l’estradizione degli attentatori nel Regno Unito per farli processare; inoltre autodenunciò il programma di ricerca nucleare e ne annunciò lo smantellamento, permettendo all’AIEA di visitare gli impianti in via di dismissione362.
Dal 2001, Gheddafi aderì alla lotta contro il fondamentalismo islamico e la posizione internazionale della Libia subì un completo rovesciamento, intessendo legami sempre più stretti con gli Stati europei. Iniziò anche un graduale riavvicinamento con gli Stati del Nord Africa, Egitto e Marocco in primis, con i quali riprese il traffico aereo. L’intervento statunitense in Iraq, accusato di possedere armi chimiche di distruzione di massa, spinse inoltre Gheddafi a collaborare dall’aprile 2003 allo smantellamento degli impianti chimici e dello stock di armi chimiche già possedute363. Questa apertura agli Stati Uniti e agli Stati europei aveva tre ordini di motivazioni: avere un alleato come gli Stati Uniti, avrebbe permesso a Gheddafi di combattere efficacemente Al Qaeda che si era radicata sul territorio libico; uscire dall’elenco dei rogue states, avrebbe permesso alla Libia una più rapida ripresa economica e una maggior
359 Dal 1977 fu questo il nome ufficiale dello Stato libico voluto da Gheddafi
360 Come l’IRA in Irlanda, l’OLP in Palestina, l’ETA nei Paesi Baschi spagnoli o il Fronte Polisario nel
Sahara Occidentale.
361 La Libia venne ritenuta responsabile del disastro di Lockerbie del 21 dicembre 1988 con
l’attentato ad un aereo della compagnia Pan Am che provocò 270 vittime. Al rifiuto di Gheddafi di consegnare i due libici sospettati, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò le risoluzioni 731/1991, 748/1992 e 883/1993 con importanti sanzioni economiche e commerciali verso la Libia. Nel 1996 gli USA vararono una legge ancor più stringente relativa all’embargo, l’Iran-Libia Sanctions Act, che prevedeva ritorsioni verso tutti i Paesi che avessero continuato i rapporti commerciali con la Libia e l’Iran. (fonte: F. Tamburini, M. Vernassa, I paesi del Grande Maghreb, Storia, Istituzioni e geopolitica
di una identità regionale, Pisa University Press, Pisa, pp 142)
362 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,
Laterza, 2016, pp264
363 Il 5 Aprile 2003, il Sottosegretario di Stato John Bolton affermò in un’intervista radio we are hoping that the example of iraq […] would be persuasive to a number of other States in Middle East […] like Syria, Libia and Iran. (fonte: http://www.acronym.org.uk/old/archive/docs/0304/doc13.htm )
113 credibilità internazionale; infine l’uscita della Libia dallo status di pariah internazionale, avrebbe rafforzato la posizione interna di Gheddafi364.
Nel 2006 Gheddafi ripudiò ufficialmente il terrorismo e nel maggio 2006, il Segretario di Stato Condoleezza Rice annunciò il ripristino pieno delle relazioni diplomatiche con la Libia e l’apertura di un’ambasciata a Tripoli, sottolineando i progressi libici nella collaborazione internazionale nella lotta alle minacce globali365.
Il coronamento della nuova immagine internazionale della Libia e del suo Leader avvennero nel 2009, quando Gheddafi fu eletto Presidente dell’Unione Africana366. Tuttavia la Libia prerivoluzionaria non rappresentava solo un elemento importante della politica estera statunitense, ma era oggetto di interessi nazionali da parte di paesi europei, soprattutto mediterranei. Nel 2004 era stato inaugurato il Greenstream, il gasdotto marino, parte del progetto congiunto ENI-NOC Western Libia Gas Project e la Libia rappresentava in quel momento storico, il principale esportatore di gas naturale e petrolio per Paesi come l’Italia, ma non solo367.
La variabile energetica fu una delle poste in gioco decisive nelle Rivoluzioni Arabe, specialmente nel caso libico. La rendita petrolifera dei paesi produttori più ricchi, che finanziava gli affari privati dei regimi, è stato uno dei degli importanti elementi che ha determinato lo scoppio delle rivoluzioni arabe.
La pressione dell’Unione Europea, soprattutto dagli anni 2000, nella diversificazione delle importazioni di gas e petrolio rispetto alla Russia, ha determinato il rinnovato interesse delle companies petrolifere verso il Magheb e l’Egitto.
Così, dal 2006, quando Gheddafi fu riammesso pienamente nel consesso internazionale, la Libia riaprì il paese alle grandi compagnie energetiche multinazionali368 , tra cui le statunitensi Exxon, Chevron, l’inglese BP369
Da sottolineare infine, tra le condizioni internazionali della Libia prerivoluzionaria, lo stretto rapporto di Gheddafi con il governo Italiano, legato principalmente a due
364 D. Hochman, Rehabilitating a Rogue: Libya’s WMD Reversal and Lessons for US Policy, Strategic
Studies Institute, Carlysle, pp 64
365 La dichiarazione di Rice è disponibile su: https://2001-
2009.state.gov/secretary/rm/2006/66235.htm
366 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,
Laterza, 2016, pp265
367 La Libia al 2010 esportava il 28% del proprio petrolio in Italia (corrispondente a quasi un quarto
del totale importato da Roma), il 15% in Francia e il 10% in Spagna e Germania (fonte: https://www.statista.com/statistics/201075/oil-exports-from-libya/ )
368 L’Italiana ENI era l’unica compagnia estera presente in Libia sin dal 1959. 369 M. Paolini, Sotto le rivolte, gas e petrolio, in Limes (n°1/2011), pp 75-77 e pp 82
114 interessi strategici italiani: l’approvvigionamento energetico – tramite gli investimenti dell’ENI – e la questione migratoria. Nell’Agosto 2008 l’Italia firmò a Bengasi, un importante trattato di amicizia, partenariato e cooperazione nel quale l’ex madrepatria si impegnava ad investimenti dell’ordine di 5 miliardi di euro in 20 anni, la costituzione di un comitato di compensazione dei debiti e crediti delle imprese italiane e libiche ed infine numerose disposizioni riguardo il controllo dei confini marittimi, per limitare il flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia e l’Unione Europea370. La svolta internazionale e il buon reddito pro capite371 tuttavia, non riuscirono a mettere a tacere l’opposizione crescente a Gheddafi. In particolare le buone performance macroeconomiche non migliorarono le condizioni interne del paese, dove l’inflazione raggiungeva il 12%, il tasso di povertà il 7,4% e la disoccupazione era attorno al 30%372. Ciò che stava avvenendo in Tunisia ed Egitto contagiò facilmente la Libia che, in poche settimane, dimostrò tutta la fragilità del sistema statuale creato nei decenni da Gheddafi373.
Le prime manifestazioni contro il regime si ebbero attorno alla metà del febbraio 2011 a Bengasi, in Cirenaica, per poi diffondersi in tutta la Libia. Anche dall’estero i movimenti di opposizione tentarono il ruolo di catalizzatori delle proteste, come ad esempio la National Conference of Libyan Opposition, creata nel 2005 a Londra. Gheddafi non capì la profondità del malcontento che serpeggiava nel Paese, né riconobbe un’importante particolarità delle rivolte libiche rispetto alle rivoluzioni che stavano avvenendo nei Paesi del MENA: le insurrezioni della Cirenaica, poi diffusesi in tutta la Libia, prendevano sì le mosse dalla situazione economica, ma erano spinte da gruppi storicamente avversi al regime di Gheddafi. Tali gruppi, di tendenza indipendentista e quindi contrari al dominio tripolino incarnato da Gheddafi, seppero volgere a proprio vantaggio le esperienze accomunate dai dimostranti egiziani e tunisini nelle settimane precedenti, ovvero l’impiego strategico dei social media nel
370 F. Tamburini, M. Vernassa, I paesi del Grande Maghreb, Storia, Istituzioni e geopolitica di una identità regionale, Pisa University Press, Pisa, pp 153- 158
371 Al 2010, il reddito pro-capite libico si attestava a 29.000 dollari, mentre ad esempio quelli di
Tunisia ed Egitto erano compresi tra i 9.000 e i 10.000 dollari (fonte: Banca Mondiale)
372 F. Tamburini, Il Maghreb dalle Indipendenze alle rivolte arabe: storia e istituzioni, Pisa University
Press, Pisa, 2016, pp 171
373 L’identità dello Stato libico è un problema che si trascinava sin da prima dell’avvento di Gheddafi,
ovvero dalla creazione della colonia denominata Libia da parte dell’Italia fascista, nel 1934 quando vennero unite amministrativamente le regioni della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan.
115 mediatizzare la reazione violenta e sproporzionata del regime che si voleva andare a sfidare374.
Gli insorti riuscirono nell’intento. La militarizzazione della repressione operata da Gheddafi provocò la crescita della resistenza popolare, alla quale si associarono reparti dell’esercito e importanti personalità del regime stesso, tra cui il Ministro dell’Interno Jounis e della Giustizia Jalil. Il 27 febbraio 2011 questi soggetti diedero vita al Consiglio Nazionale di Transizione, che adottò la bandiera libica pre- Gheddafi e si autonominò unico rappresentante della rivoluzione e della liberazione del paese. L’Europa e gli Stati Uniti si trovavano così di fronte alla disgregazione dello Stato libico, diviso nella Cirenaica controllata dal CNT e nella Tripolitania ancora sotto il controllo delle forze lealiste. Qui interviene la seconda peculiarità, seppur dibattuta, della rivoluzione libica: il ruolo delle tribù nella mobilitazione politica e militare contro il regime. Infatti, seppur ridimensionato nel tempo, il ruolo tribale, soprattutto nella Cirenaica era ancora fondante la società libica e, il potere assoluto di Gheddafi si era retto per decenni attraverso un’imponente rete di alleanze tribali che ne attraeva alcune e ne soggiogava altre. Questa conformazione storica non aveva permesso la nascita di gruppi di pressione trasversali nel paese che potessero spingere Gheddafi alle dimissioni e ad un governo di transizione come stava accadendo negli altri paesi in rivoluzione.
Il processo di dissolvimento della Libia provocò numerose reazioni internazionali tra cui l’invio, il 25 febbraio 2011, di centinaia di consulenti militari statunitensi, inglesi e francesi375. Tale evento rappresentava la prima volta che Europa e Stati Uniti intervenivano con personale militare in una delle Rivoluzioni Arabe dal loro inizio avvenuto nel dicembre 2010.
Rapidamente si raggiunse una fase di stallo dove il CNT non riusciva a guidare totalmente la lotta contro i lealisti e con numerose tribù, gruppi armati e milizie che avevano dato vita ad una guerra di liberazione parallela e indipendente; Gheddafi, dal canto suo, non lesinò l’utilizzo di aviazione, mezzi corrazzati e artiglieria pesante per assediare le città in mano ai ribelli e compiendo crimini contro l’umanità376.
374 G. Dottori, Disinformacija, l’uso strategico del falso nel caso libico, in Limes ( N°1/2011), pp 44 375 Il sito di intelligence israeliano DEBKAfile pubblicò un report sulla presenza degli advisor militari
internazionali a Bengasi e Tobruk per la formazione e l’organizzazione dei rivoluzionari : https://www.debka.com/us-military-advisers-in-cyrenaica/
376https://www.hrw.org/news/2011/07/18/libya-gaddafi-must-be-held-accountable-crimes-against-
116 L’utilizzo della forza nei confronti dei civili libici e la sistematica violazione dei diritti umani da parte del regime spinsero il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad adottare la risoluzione 1970 del 26 Febbraio, dove si impose un embargo totale sui materiali militari o dual use, escludendo equipaggiamento militare non letale per uso umanitario o protettivo. Oltre all’embargo, il Consiglio di Sicurezza impose anche il congelamento degli asset finanziari della famiglia Gheddafi, l’inibizione della libertà di viaggio del clan Gheddafi stesso377 e il deferimento delle autorità libiche di fronte alla Corte Penale internazionale.
Tale risoluzione non impedì che la situazione peggiorasse e che le forze lealiste di Gheddafi assediassero Bengasi, una città di oltre 700 mila persone, di fronte agli occhi di tutto il mondo.
L’Amministrazione statunitense per settimane elaborò le possibilità di azione diplomatica, economica e militare per prevenire ulteriori crimini contro l’umanità e un possibile genocidio. Ai primi di Marzo, tutta l’Amministrazione era intenzionata ad agire, la questione rimaneva a quale rischio e con quali costi378; tale orientamento fu anche motivato dalla richiesta di intervento militare da parte dei principali partner militari d’oltreoceano, ovvero Regno Unito e Francia e persino la Lega Araba.
Sarkozy e Cameron proposero nei medesimi giorni al Consiglio di Sicurezza l’autorizzazione all’esecuzione di una no fly-zone , ricercando il supporto statunitense. La pressione politica e dell’opinione pubblica negli States stava crescendo, tant’è che solo due settimane prima il Senato statunitense aveva approvato all’unanimità una risoluzione che chiedeva alle Nazioni Unite di proteggere i civili libici ed includeva l’istituzione di una no-fly zone379.
All’interno della Situation Room, tuttavia, nessuno credeva che la no-fly zone fosse sufficiente per arginare l’avanzata lealista di Gheddafi, il pericolo maggiore infatti proveniva dalle truppe ancora fedeli al Rais, dai mercenari assoldati e dall’artiglieria pesante di terra. Dal punto di vista statunitense erano tre le principali opzioni sul tavolo per evitare il massacro di Bengasi: non agire e far sì che fossero gli europei ad intervenire, coadiuvare i britannici e i francesi nell’istituzione della no-fly zone ,
377 G. Fercioni, Quaderni di Relazioni Internazionali N° 15 (novembre 2011),ISPI, Milano, pp 94,
https://www.ispionline.it/it/documents/QRI15.documentazione.pdf
378 D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 97
379 Il testo della Risoluzione S.Res.85 -112Th Congress: https://www.congress.gov/bill/112th-
117 oppure allargare gli obbiettivi militari per proteggere i civili, progettare una sorta di Dunkirk option per evacuare il maggior numero di civili e prevedere un’operazione su larga scala contro le forze di Gheddafi.
Gli europei, dal canto loro, avevano fatto capire alla diplomazia statunitense che avrebbero agito con o senza l’aiuto americano. Tuttavia la Libia non rappresentava per Obama un interesse nazionale vitale. Il Segretario alla Difesa Gates, era profondamente contrario ad un intervento militare in Libia e considerò l’opzione di rassegnare le proprie dimissioni in caso di intervento380.
L’ago della bilancia nella scelta statunitense fu rappresentato dalla posizione della Lega Araba , che votò a maggioranza per chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’istituzione della no-fly zone. La Lega Araba, che aveva estromesso i rappresentanti di Gheddafi dal suo Consiglio, si era affrettata a riconoscere il CNT come rappresentante ufficiale dello Stato libico.
Con 21 Stati Arabi a favore di un’iniziativa internazionale, il lavoro diplomatico degli Stati Uniti, Francia e Regno Unito in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU diventava più agevole.
Tuttavia le differenze di approccio tra Obama, il “falco” Clinton e gli omologhi europei continuavano a perdurare, con Sarkozy in prima linea che premeva per un intervento militare energico381.
Nonostante il Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense fosse ancora diviso, Obama coadiuvato da Clinton, Power e Rice, decise di procedere. L’unica modalità realistica per intervenire era per Clinton, e per il Presidente, attraverso un’autorizzazione internazionale, senza la quale, gli Stati Uniti si sarebbero trovati in una situazione dalle conseguenze inimmaginabili382.
Il 17 Marzo 2011, con 10 voti a favore e cinque astensioni (Brasile, Cina, Germania, India, Russia), venne approvata la Risoluzione 1973/2011. Tale risoluzione sottolineava le inadempienze delle autorità libiche - che avevano continuato a commettere atti di violenza sulla popolazione civile - rispetto alla risoluzione precedente 1970/2011. Il cuore della risoluzione era nel paragrafo 6 comma 8 che
380 Le sue memorie sono citate in D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 99
381 H. Clinton, Scelte Difficili, Cles, Sperling&Kupfer, 2014, pp 476
382 D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention, Palgrave Pivot,
118 autorizzava to take all necessary measures to enforce compliance with the ban on flights imposed by paragraph six383.
La rivoluzione libica con quell’atto mutava in una questione internazionale a tutti gli effetti384.
Il 19 Marzo successivo le colonne delle milizie lealiste erano giunte a soli 160 chilometri da Bengasi e Sarkozy convocò una riunione di emergenza a Parigi per garantire l’enforcing della Risoluzione. Fu quello il momento di maggior tensione all’interno della NATO nella fase appena precedente l’intervento in Libia: mentre i Capi di Stato e di Governo erano convocati a Parigi, Sarkozy annunciò che gli aerei da guerra francesi erano già in volo. Questa spinta in avanti indispettì molti dei Paesi convocati per il Summit di emergenza, prima fra tutte l’Italia che, secondo la convinzione informale generalmente accettata, reclamava il diritto di assumere la prima linea nella risoluzione della crisi in un suo ex possedimento385. Allo stesso tempo, sempre per responsabilità francese, si era aperta la questione turca. Il governo turco infatti, non era stato invitato al Summit di emergenza386 e minacciò ritorsioni bloccando ogni azione della NATO che teoricamente avrebbe dovuto guidare l’operazione militare387.
Per superare l’impasse, gli USA decisero di intervenire direttamente e, conclusosi il Summit con un nulla-di-fatto, gli incrociatori della Marina Militare lanciarono oltre cento missili Cruise per inibire i sistemi di difesa antiaerea libici.
Obama, per motivare la sua decisione di intervenire, utilizzò il linguaggio dei liberal interventisti, seppur sottolineando i limiti del potere americano. In un discorso tenuto di fronte alla National Defence University a Washington, il 28 Marzo, dichiarò I've made it clear that I will never hesitate to use our military swiftly, decisively, and unilaterally when necessary to defend our people, our homeland, our allies and our core interests.[…] There will be times, though, when our safety is not directly
383 Il testo della Risoluzione 1973/2011:
https://www.nato.int/nato_static/assets/pdf/pdf_2011_03/20110927_110311-UNSCR-1973.pdf
384 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,
Laterza, 2016, pp266
385 H. Clinton, Scelte Difficili, Cles, Sperling&Kupfer, 2014, pp 482
386 Sarkozy ed Erdogan si erano più volte scontrati sul tema dell’eventuale ingresso della Turchia
nell’UE.
387 La NATO, sin dalla sua fondazione nel 1949, agisce ad ogni suo livello per consensus. L’opposizione
netta della Turchia nel caso in esame avrebbe bloccato la possibilità all’Organizzazione di agire. (fonte: https://www.nato.int/cps/ic/natohq/topics_49178.htm)
119
threatened, but our interests and our values are388. Per Obama, il costo dell’inazione,
in termini di stabilità regionale e credibilità statunitense era maggiore rispetto ai costi di un intervento militare389. Per contenere questi ultimi, Obama dichiarò più volte che il ruolo degli Stati Uniti in Libia sarebbe stato limitato e without putting American troops on the ground.
Si delineò un approccio ibrido da parte statunitense: dopo aver dato il via all’intervento, spingendo in ritirata le truppe lealiste dall’assedio di Bengasi e annientando le difese aeree di Gheddafi, avrebbero dovuto essere gli Alleati NATO europei a guidare la seconda fase, con una light footprint strategy390.
L’intenzione di Obama era quella di capovolgere il modello consolidato dalla fine della Guerra Fredda, nel quale gli Stati Uniti erano i protagonisti degli interventi militari, sia a guida NATO, come nel caso dei Balcani391, sia nella creazione di coalitions of willing, come nel caso dell’intervento in Iraq.
Questa nuova impostazione venne battezzata come leading from behind392 ed era parte di una più ampia strategia del Presidente durante i suoi due mandati nei confronti degli alleati transatlantici: il burden sharing393.
388 La trascrizione del discorso di Obama sull’intervento in Libia:
https://www.npr.org/2011/03/28/134935452/obamas-speech-on-libya-a-responsibility-to-act
389 D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention, Palgrave Pivot,