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Nell’Aprile del 2016, a pochi mesi dal termine del secondo mandato di Obama, viene pubblicato su The Atlantic69, un’importante articolo a firma di Jeffrey Goldberg che riassume numerose interviste ed incontri avuti con Barack Obama durante la sua presidenza.

Nell’intervista Obama tocca molti dei punti programmatici che hanno favorito la sua ascesa alla Casa Bianca dal 2008 e, necessariamente, anche gli sviluppi internazionali che hanno trascinato gli Stati Uniti oltreoceano. Centrali sono le tematiche riguardanti i rapporti con il Medio Oriente ed in generale il mondo musulmano; le guerre in Iraq e Afghanistan e l’avvento di ISIS; il Reset con la Federazione Russa e il Pivot to Asia senza tralasciare una stoccata ai partner transatlantici, in particolare Gran Bretagna e Francia, nella questione libica post 2011.

Gran parte dell’articolo è dedicato ad un teatro di guerra che ha segnato uno spartiacque fondamentale nella politica estera statunitense: la guerra civile in Siria. In particolare è possibile indicare il 30 Agosto 2013 come la data di svolta, ovvero il giorno in cui Obama, nonostante le forti pressioni del Segretario di Stato Kerry e dell’establishment più interventista, decise di non reagire alla violazione della cd. Red line precedentemente adottata. Goldberg, a commento di questa decisione, scrive che “Obama entered the White House bent on getting out of Iraq and Afghanistan, he was not seeking new dragons to slay”. Obama in sostanza era intenzionato a non agire boot on the ground per non rimanere invischiato in una nuova sanguinosa ed impopolare

68 La Guerra Civile siriana scoppia nel più ampio contesto delle Primavere o Rivolte Arabe ed ha inizio

con le prime manifestazioni contro il regime di Bashar Al Assad nel Marzo del 2011, evolvendo nel 2012 in una guerra civile che non trova tutt’oggi soluzione.

33 guerra nonostante fosse inorridito dall’utilizzo delle armi chimiche da parte del regime siriano di Bashar Al Assad70.

La sezione del lungo articolo di Goldberg è utile per andare a verificare i cinque assunti individuati nel paragrafo precedente e procedere così nello sviluppo dell’analisi storiografica.

La Guerra civile per come si è sviluppata e per il ruolo geopolitico che la Siria svolge nel Medio Oriente è stata definita da molti come una “guerra per procura”. In origine, le prime rivolte sono scoppiate nel marzo 2011, quando ormai, da alcune settimane, le immagini televisive delle cd. Primavere Arabe in Tunisia ed Egitto soprattutto, avevano risvegliato nella popolazione siriana la volontà di abbattere il regime ultradecennale. Il 15 Marzo 2011, dopo anni di ordine e silenzio, decine di migliaia di persone scesero in piazza contro Assad; nei giorni successivi parte dell’esercito, costretto a fare fuoco contro la popolazione, disertò e venne proclamato il Free Syrian Army. Dal Maggio 2011 si può parlare liberamente di guerra civile con invasione di città da parte dei carri armati lealisti e per la prima volta Human Rights Watch denuncia crimini contro l’umanità perpetrati da Assad. Agli inizi del 2012 la guerra assume i suoi caratteri più crudi con decine di migliaia di vittime civili; nello stesso periodo si iniziò a parlare propriamente di “guerra per procura”, principalmente tra le due grandi ramificazioni dell’Islam, i paesi sunniti del Golfo che finanziavano direttamente il Fronte Al Nusra, che nel frattempo aveva affiancato l’FSA, e Iran ed Hezbollah libanesi che sostenevano attivamente il regime in carica.

Sin dallo scoppio della guerra, la principale preoccupazione internazionale era quella delle ingenti riserve di armi chimiche stoccate nei depositi del regime siriano; il rischio preventivato dall’intelligence USA era quello dell’utilizzo di tali armi da parte del regime contro la popolazione civile inerme, oppure, con il regime alle strette, l’utilizzo verso un alleato come Israele; d’altro canto c’era la minaccia che tali armi entrassero nelle mani del fronte islamista altrettanto instabile e pericoloso. Obama nel 2012 era certo che il conflitto siriano toccasse molti interessi americani come la stabilità regionale, la crescita del fondamentalismo e l’interesse umanitario, ma la minaccia più urgente e diretta alla sicurezza nazionale USA era rappresentata proprio dalle armi chimiche. Il 20 Agosto 2012 nel corso di una conferenza stampa alla Casa Bianca,

70 Presidente della Siria dal 2000, succeduto al padre Hafiz Al Assad che aveva preso il potere con la

cd. Rivoluzione correttiva del 1970. Assad, esponente del partito pan arabo Baath è di fede alawita, gruppo religioso sciita nonostante la maggioranza della popolazione siriana sia di fede sunnita.

34 Obama indicò la red line oltre la quale il regime di Assad avrebbe subito enormi conseguenze: “We have been very clear to the Assad regime, but also to other players on the ground, that a red line for us is we start seeing a whole bunch of chemical weapons moving around or being utilized. That would change my calculus. That would change my equation. […]We have communicated in no uncertain terms with every player in the region that that’s a red line for us and that there would be enormous consequences if we start seeing movement on the chemical weapons front or the use of chemical weapons. That would change my calculations significantly”.

Obama si era rifiutato già nei mesi precedenti di cedere ai “falchi” del suo partito e alle insistenze di partner storici, in primis il Premier israeliano Netanyahu; l’intervento militare in Siria era lasciato come remota opzione solo nell’eventualità dell’utilizzo di armi chimiche contro la popolazione.

Nell’Aprile 2013, la Casa Bianca annunciò per la prima volta che fonti dell’intelligence erano oramai certe dell’utilizzo di armi chimiche su scala ridotta da parte del regime di Assad. Gli strateghi militari preventivarono la necessità di almeno 75 mila unità sul terreno per neutralizzare tutti i depositi71. Per i critici del Presidente non vi erano più alternative, la red line era stata oltrepassata e l’America doveva rispondere immediatamente; si levarono voci da entrambi gli schieramenti, dal senatore repubblicano McCain al collega democratico Levin, incentivando le pressioni per un intervento balistico che mettesse fuori uso le forze aeree e le batterie SCUD di Assad. Il 21 Agosto successivo, un nuovo attacco di gas sarin alla periferia di Damasco mieté oltre un migliaio di vittime. Nei giorni successivi a quel nuovo crimine internazionale, nella situation room, solo il chief of staff, Denis McDonough insisteva sulla pericolosità di un intervento militare diretto in Siria; il Segretario di Stato Kerry invece fu uno dei più forti sostenitori di un intervento immediato; l’altra influente voce a favore dell’utilizzo dello strumento bellico che si levava da New York, era quella di Samantha Power, l’Ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. La riluttanza di Obama viene riportata dal giornalista nell’articolo con la frase “don’t do stupid shit”: la Siria, per Obama, potenzialmente rappresentava un terreno scivoloso quanto l’Iraq, e nelle minacce prioritarie su cui intervenire attraverso lo smart power, tra cui Al-Qaeda, il programma nucleare iraniano, la continua minaccia all’alleato Israele, non erano paragonabili alla minaccia posta dal regime di Assad agli interessi USA.

35 Nonostante le forti pressioni, la decisione di Obama fu quella di demandare ad una risoluzione del Congresso o del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Non volle perciò utilizzare i poteri presidenziali senza aver avuto prima l’avallo internazionale o quantomeno un’autorizzazione da parte dei Rappresentanti del Popolo statunitense. Gli USA alla fine non fecero valere la red line. Una risoluzione ONU che prevedesse un intervento multinazionale in Siria non era di certo praticabile con il diritto di veto della Russia, storica alleata del regime di Assad; inoltre il 29 Agosto la House of Commons britannica respinse la richiesta di autorizzazione all’intervento proposta dal governo Cameron.

L’unica opzione rimasta sul tavolo era quella delle trattative in seno alla Conferenza di Ginevra per trovare un accordo sulle armi chimiche ed arrivare ad una risoluzione unanime del Consiglio di Sicurezza ONU. Nell’autunno 2013 si raggiunse l’accordo tra USA e Russia, con il Ministro degli Esteri Russo Lavrov che poté annunciare l’invio di ispettori ONU in Siria al fine di distruggere completamente l’arsenale chimico presente sul territorio nazionale entro la metà del 201472.

In questo sintetico e non esaustivo dipanarsi di eventi, è possibile verificare tutti gli orientamenti principali precedentemente elencati: il Presidente Obama, anche a discapito di alcuni membri della sua Amministrazione, era certo dell’impossibilità degli USA di far fronte ad un intervento e ad un nuovo enlargement in Medio Oriente; l’eventuale intervento, concepito solo come ultima ratio, ed in realtà mai effettuato, era da coordinarsi solo in una cornice internazionale d’intesa con gli alleati europei o sotto autorizzazione delle Nazioni Unite; il fattore ideologico di un regime dittatoriale cruento con il proprio stesso popolo non ha di certo influenzato l’orientamento del Presidente verso l’intervento, anzi, il tema dell’esportazione della democrazia nei termini definiti da George W. Bush non è rientrato tra i fattori determinanti per la scelta del Presidente. Infine la fermezza nell’utilizzo di strumenti diversi da quello strettamente militare, quali le sanzioni economiche, l’embargo sull’importazione delle armi e lo strumento diplomatico, lasciando sempre un punto di interlocuzione e di contatto ad alti livelli tra gli Stati Uniti ed il Regime.

Rimandando l’analisi critica e le conclusioni successivamente, risulta utile concludere questa breve disamina a verifica dei principi sopra enunciati, con quanto scritto da Goldberg al termine della sezione dedicata alla crisi siriana: “la storia potrà ricordare

36 il 30 Agosto 2013, come il giorno in cui Obama salvò gli Stati Uniti dall’ingresso in un’altra disastrosa guerra civile musulmana e il giorno in cui rimosse la minaccia di un attacco chimico su Israele, Turchia o Giordania. O potrà essere ricordato come il giorno in cui ha lasciato scivolare il Medio Oriente dall’influenza statunitense verso le mani della Russia, l’Iran e ISIS”.

Il lungo articolo di Goldberg prosegue con un susseguirsi di interviste al Presidente Obama che delineano ampiamenti i tratti della sua politica estera e di difesa nel Mondo. Obama si descrive come un internazionalista ed anche un idealista che vuole promuovere valori quali la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Sul tema dell’intervento in Libia tuttavia si intrecciano due tematiche più strategiche, quali il problema dei cd. Free riders e del burden sharing: in questo frangente il Presidente Obama è stato spesso critico con i suoi principali alleati oltreoceano, in particolare con Francia e Gran Bretagna, e con tutti i membri della NATO, rimproverati di non investire il 2% dei PIL nazionale nel settore difesa come previsto al Summit del Galles nel 201473. La devoluzione delle responsabilità internazionali per Obama passava in maniera importante anche sui fattori economici e di bilancio. Altro carattere precedentemente enunciato che trova verifica nell’articolo su The Atlantic è la volontà di agire multilateralmente che Obama ha auto - imposto agli Stati Uniti nei casi in cui i loro diretti interessi non siano direttamente minacciati, poiché “multilateralism regulates hubris”74