• Non ci sono risultati.

L’ARCO DI CRISI: LE RELAZIONI TRANSATLANTICHE L’ultimo capitolo della presente analisi tratterà di un tema molto ampio e con

4.2 Le relazioni internazionali con la Russia: dal reset all’Ucraina

4.2.2 La fine del reset e l’Ucraina

437 Del Partenariato orientale facevano parte: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Repubblica

di Moldova, Ucraina (http://www.consilium.europa.eu/it/policies/eastern-partnership/ )

438 E. Alessandri, La nuova leadership USA e le relazioni transatlantiche, Osservatorio di Politica

Internazionale, IAI, settembre 2010, pp 17

135 Il ritorno di Putin in prima linea come Presidente della Federazione Russa coincise con un raffreddamento dei rapporti e con uno dei momenti più complessi della crisi mediorientale. Infatti, il Cremlino, in occasione delle rivoluzioni arabe, aveva perorato la sua storica posizione di non ingerenza negli affari interni di altri Stati. Singolare era stata l’astensione russa alla già citata risoluzione 1973/2011 del Consiglio di Sicurezza che autorizzava la no fly zone in Libia e che successivamente aprì all’intervento NATO contro le forze lealiste di Gheddafi. La Russia accusò tuttavia gli Stati Uniti di aver incoraggiato e finanziato il malcontento in Tunisia, Egitto, Libia e Siria, paragonando, come già segnalato precedentemente, le proteste popolari arabe a quelle delle rivolte colorate nelle Repubbliche ex sovietiche. Secondo la logica russa, perciò, le proteste arabe sarebbero state fomentate ed incoraggiate dalle Potenze occidentali per escludere l’influenza russa dal medio Oriente440.

I principali dissidi riguardo alle rivoluzioni arabe tra il Cremlino e Washington avvennero attorno questione siriana. La Siria, per Mosca, ha sempre goduto di uno status particolare nelle relazioni strategiche, con l’unica base navale russa del Mediterraneo situata a Tartus. Sin dall’inizio delle rivolte contro Assad, Medvedev e Putin avevano escluso qualsiasi autorizzazione ad un’operazione internazionale che avesse potuto modificare gli equilibri politico-religiosi dell’area.

Nel gennaio 2012, il Ministro degli esteri russo Lavrov si espresse in maniera chiara: if some intend to use force at all cost... we can hardly prevent that from happening […]But let them do it at their own initiative on their own conscience. They won't get any authorisation from the UN Security Council441

La Russia, durante lo sviluppo della Guerra civile siriana, continuò a svolgere il proprio ruolo di attore chiave. Con la risoluzione 2118 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 2013, che autorizzò la distruzione delle armi chimiche siriane, approvata all’unanimità, la Russia assunse il ruolo di pacificatrice in uno scenario così complesso, salvaguardando l’alleato Assad e riportandolo al tavolo delle trattative, nuovamente legittimato.

Una delle svolte nella complessa proxy war siriana442 fu l’intervento dell’aviazione russa contro ISIS a fianco dell’esercito siriano nel settembre 2015. Essa si configurava

440 A. Malashenko, Russia and the Arab Spring, Carnegie Moscow Center, Mosca, 2013, pp 9,

https://carnegieendowment.org/files/russia_arab_spring2013.pdf

441http://www.bbc.com/news/world-middle-east-16609789

442 J. Shapiro, M. R. Estrin, The proxy war problem in Syria, Brookings, febbraio 2014,

136 come la prima operazione della Russia fuori dalla propria sfera geografica di influenza. Tale prova di forza dimostrava il livello di modernizzazione delle Forze armate russe rispetto all’intervento in Georgia del 2008 e, ancor più importante, come sottolineava Dmitry Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center, le operazioni russe in Siria avevano posto una nuova sfida all’ordine statunitense: Mosca aveva cioè interrotto il monopolio dell’uso globale della forza che perdurava dalla fine della Guerra Fredda, ritornando con forza in un’area che aveva abbandonato negli ultimi anni dell’Unione Sovietica443.

Infine, l’intervento era altresì finalizzato a far uscire la Russia dall’isolamento diplomatico dove Mosca era stata spinta a causa della vicenda Ucraina444.

Dal 1991 l’Ucraina indipendente aveva spesso oscillato tra politiche di avvicinamento all’Europa e la tendenza a considerarsi un Paese slavo legato alla Russia. Di questa tensione interna all’Ucraina, con una forte minoranza russa nell’est, erano stati espressione i principali capovolgimenti di governo avvenuti negli anni 2000: dalla Rivoluzione arancione filo-occidentale guidata da Julija Timoshenko che, al governo nel 2005 a dal 2007 al 2010 si era proposta come la principale artefice dell’avvicinamento all’Unione Europea, fino alla controffensiva filo-russa che prese piede dal 2009445.

Il primo gennaio 2009, prima dell’insediamento ufficiale di Obama, si verificò una grave crisi energetica del Paese, provocata da Gazprom, la principale azienda statale russa che opera nel settore dell’estrazione ed esportazione di gas naturale all’Ucraina e all’Europa446. Gazprom interruppe per alcuni giorni le forniture di gas all’Ucraina, mostrando al governo Timoshenko, all’Europa colpita indirettamente e agli Stati Uniti, quanto la vulnerabilità energetica “occidentale” potesse essere uno strumento efficace di politica estera nelle mani della Russia. Questa forte dipendenza dell’Ucraina da Mosca determinò l’insuccesso politico di Timoshenko, seguita da accuse di corruzione che la portarono in carcere. Nel febbraio 2010 il candidato filo russo Viktor Yanukovych divenne Presidente dell’Ucraina con una vittoria di misura sulla Timoshenko. Nei primi anni di governo, con la Russia rassicurata, la posizione ucraina

443 D. Trenin, Demands on Russian Foreign Policy and its drivers: Looking out five years, Carnegie

Moscow Center, Agosto 2017, http://carnegie.ru/commentary/72799

444 A. Salacone, La Russia dal reset allo scontro, in in La Dottrina Obama: la politica estera americana dalla crisi economica alla presidenza Trump (a cura di ) P. Wulzer, Textus Ed.,2017, pp 116

445 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,

Laterza, 2016, pp93

137 riguardo ai rapporti con UE e Russia rimase equidistante fino al novembre 2013, quando Yanukovych decise di sospendere il processo di preparazione per la firma di un accordo di libero scambio con l’UE. Tale sospensione, formalmente non motivata, era dovuta principalmente alle pressioni economiche della Russia, che aveva minacciato l’incremento del prezzo del gas che avrebbe portato al default dell’economia ucraina, già pesantemente indebitata sul fronte russo per oltre tre miliardi di dollari447. La rinuncia all’accordo con l’UE spostava nettamente gli equilibri politici del paese e appariva collegata alla nuova politica estera di Putin, orientata nettamente al recupero di un controllo indiretto sul Russkij mir, il mondo russo448. La politica del Cremlino era basata sulla stipulazione di nuovi accordi economici con Bielorussia e Kazakistan per la creazione dell’Unione economica eurasiatica; tuttavia su queste premesse, Putin riteneva che un legame troppo stretto tra Ucraina e UE avrebbe impedito il successo del suo progetto449.

A seguito di quell’inversione di rotta, si diffusero accese proteste e manifestazioni in tutto il paese. Nacque un movimento simile a quello della Rivoluzione Arancione, determinato ad abbattere il governo ed intraprendere un nuovo percorso di avvicinamento all’Unione Europea. Le pressioni popolari ed internazionali spinsero Yanukovych a rinunciare alla presidenza e a fuggire a Mosca tra il 22 e il 24 Febbraio 2014. Al suo posto si costituì un governo provvisorio filo-occidentale e nazionalista. Il Cremlino non tollerò questo cambio di regime e lo considerò frutto dell’ingerenza dell’Occidente. Un vero e proprio golpe di forze esterne contro un presidente legittimamente eletto che avrebbe avuto la finalità di un ulteriore allargamento della NATO a discapito della Russia. L’alone di sospetto russo fu rafforzato dalla presenza nelle settimane precedenti dell’assistente al segretario di Stato per gli affari europei Victoria Nuland – protagonista peraltro di un goffo incidente diplomatico – e del senatore John McCain alle proteste di Euromaidan450.

447 Op Cit. H. Clinton, Scelte Difficili, pp 314

448 Concetto geopolitico attraverso il quale la Russia rivendica rapporti particolari con alcuni Paesi

vicini dell’ex blocco sovietico in nome della comune appartenenza culturale, linguistica e religiosa. (. Salacone, La Russia dal reset allo scontro, in in La Dottrina Obama: la politica estera americana dalla

crisi economica alla presidenza Trump (a cura di ) P. Wulzer, Textus Ed.,2017, pp 116)

449 E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,

Laterza, 2016, pp 94

450 A. Salacone, La Russia dal reset allo scontro, in a cura di ) P. Wulzer La Dottrina Obama: la politica estera americana dalla crisi economica alla presidenza Trump , Textus Ed.,2017, pp 118

138 Così la Russia rispose promuovendo una campagna di sovversione al neo-governo attraverso una combinazione di guerra di informazione, attacchi cibernetici, azioni sotto copertura, l’ingresso di forze speciali e forze convenzionali nelle regioni orientali del Donetsk, Luhansk e in Crimea451. Queste regioni, con forti componenti russe, avevano infatti contemporaneamente organizzato proteste di piazza contro la destituzione di Yanukovych e Putin giustificò l’intervento militare a sostegno dell’incolumità delle minoranze russe, minacciata dal nuovo governo nazionalista. A fine febbraio 2014, il Parlamento della Crimea indisse un referendum per staccarsi da Kiev mentre le Forze armate e mezzi blindati russi “presidiavano” ormai le principali città della penisola. Il 18 marzo 2014 il referendum sanciva con una maggioranza bulgara del 97% il distacco della Crimea da Kiev e la Russia procedeva all’incorporazione della Crimea suscitando le proteste dei paesi occidentali che respinsero il referendum come illegittimo. L’Amministrazione Obama e gran parte dei governi europei furono concordi nell’affermare che il referendum avesse violato sia la Costituzione ucraina che il diritto internazionale452.

La crisi ucraina e l’annessione russa della Crimea a seguito del referendum riportarono la Russia e la sicurezza europea al centro delle priorità geopolitiche statunitensi. Nella più volte citata intervista a Jeffrey Goldberg, il Presidente Obama, riguardo agli avvenimenti dell’Ucraina fece una distinzione fondamentale: l’Ucraina per i Russi rappresentava un core interest, non per gli Stati Uniti; inoltre, non appartenendo alla NATO, l’Ucraina era vulnerabile all’influenza militare russa e we have to be very clear about what our core interest are and what we are willing to go to war for453. Questo ragionamento, che ricalcava le linee pragmatiche di realpolitik di Obama, presentava anche un’altra faccia della medaglia: Putin aveva usato a pretesto per invadere la Georgia nel 2008 e l’Ucraina nel 2014, la protezione delle minoranze etniche russofone; la domanda che si ponevano il Pentagono e i vertici NATO era se quella motivazione avrebbe potuto essere usata anche per un eventuale intervento russo su due membri NATO, l’Estonia e la Lituania, entrambi con una forte minoranza russofona al proprio interno454.

451 C.Dueck, The Obama Doctrine, American Grand Strategy Today, Oxford University Press,New

York, 2015, pp70

452 J.B Bellinger III, Why the Crimean Referendum is illegitimate, Council on Foreign Relations

https://www.cfr.org/interview/why-crimean-referendum-illegitimate

453 S. Pifer, J. Herbst, The Obama Doctrine and Ukraine, The National Interest, marzo 2016,

http://nationalinterest.org/feature/the-obama-doctrine-ukraine-15505

139 La strategia statunitense per reagire alla crisi ucraina si compose di tre principali linee di azione455.

La prima componente della strategia obamiana riguardò la rassicurazione degli alleati europei, in particolare sulla capacità dell’America di garantire la difesa dell’Europa. Nei giorni successivi all’annessione della Crimea, la NATO schierò le proprie truppe e mezzi pesanti sui confini orientali dell’Alleanza. In una visita in Estonia, Obama rassicurò i Paesi Baltici e tutte l’Alleanza sulla volontà degli Stati Uniti di difendere tutti i Paesi appartenenti all’Alleanza Nordatlantica. Nel giugno 2014, il Congresso approvò la European Reassurance Initiative, uno stanziamento di un miliardo di dollari al fine di rassicurare gli Alleati riguardo alla loro sicurezza e all’integrità territoriale di tutti i membri dell’Alleanza. Gli investimenti riguardavano la maggior presenza statunitense, esercitazioni militari, infrastrutture logistiche, modernizzazione degli equipaggiamenti e lo sviluppo di nuove capabilities456. Tale programma venne sviluppato durante tutto il periodo residuo di Obama alla Casa Bianca con un incremento di fondi, nell’ultimo anno di Presidenza, che andava a sfiorare i tre miliardi e mezzo di dollari. Il secondo pilastro complementare della revisione militare in Europa fu l’approvazione dello European Infrastructure Consolidation nei primi giorni del 2015. L’EIC457, come illustrato da D. Borsani in Gli Americani faranno almeno di alcune basi militari in Europa su ISPI, “previde la revisione della presenza militare statunitense nell’Europa centro-occidentale in ottica di contenimento di costi, attraverso anche la dismissione di alcune basi logistiche strategicamente obsolete”. La ratio venne rivelata dal Generale Breedlove, il Supreme Allied Commander Europe della NATO: il reinvestimento delle somme ricavate nell’ERI, e perciò nell’aumento del peso militare nell’Europa centro-orientale. L’EIC, in sostanza, rivide la postura europea degli Stati Uniti secondo la direttrice orientale e mediterranea dell’Alleanza Atlantica.

Con l’ERI e l’EIC, Obama e gli Stati Uniti certificarono il ripristino delle priorità strategiche americane rispetto alla sicurezza militare in Europa e una nuova scala di priorità strategiche statunitensi che poneva di nuovo la Russia tra le sue principali componenti. Tali programmi, due facce della stessa medaglia, hanno rappresentato la

455 D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 164-170

456https://www.csis.org/analysis/european-reassurance-initiative-0

457https://www.defense.gov/News/News-Releases/News-Release-View/Article/605338/dod-

140 fine del disengagement europeo che era stato nei programmi della prima Amministrazione Obama in funzione del rebalancing verso l’Asia e hanno rimesso al centro il ruolo della NATO come garante della sicurezza collettiva458.

I due programmi statunitensi inoltre erano coerenti con uno dei concetti cardine delle politiche transatlantiche delle due amministrazioni Obama: il burden sharing ovvero la condivisione degli oneri per il mantenimento della pace e della sicurezza transatlantica rappresentata dalla NATO. Il dibattito attorno al burden sharing transatlantico è sempre stato presente nella storia dell’Alleanza. Già il Generale Eisenhower nel 1951 dichiarò il dispiegamento militare in Europa da parte statunitense non era sostenibile nel lungo periodo. In seguito, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, gli Alleati diminuirono drasticamente i budgets destinati alla difesa. Solo a seguito degli interventi in Afghanistan e Iraq, il Segretario alla Difesa Rumsfeld tornò a chiedere lo sviluppo della NATO Response Force nell’ottica di un miglior burden sharing tra gli Alleati. Tuttavia la nuova spinta di Bush verso il burden sharing si scontrò con la diminuzione della credibilità americana in Europa dovuta agli sviluppi della guerra in Iraq. Una volta alla Casa Bianca, Obama spinse nella condivisione degli oneri all’interno dell’Alleanza, anche in funzione della nuova Af-Pak strategy che necessitava di un nuovo invio di truppe. Due erano i cardini delle ripetute richieste americane rivolte agli alleati d’oltreoceano: l’aumento delle spese nel settore della Difesa per ogni Stato Membro e la divisione dei compiti e delle capabilities per l’ottimizzazione delle risorse stanziate. Nonostante gli Europei avessero apprezzato il cambio di impostazione rispetto al ruolo della NATO, pochi seguirono gli Stati Uniti nella nuova missione afghana. Il segretario alla Difesa Gates, nel febbraio 2010 lamentò la demilitarizzazione dell’Europa, suggerendo che essa sarebbe divenuta un impedimento per raggiungere la sicurezza europea nel XXI secolo459. La crisi in Libia aveva rappresentato un’opportunità per il ribilanciamento del burden sharing all’interno dell’Alleanza. In particolare, la missione Unified Protector in Libia, fu definita da alcuni commentatori come una potenziale pietra miliare nello sviluppo del nuovo burden sharing NATO. Il segretario della Difesa Gates, nell’ottobre 2011 descrisse infatti come Unified Protector avesse rappresentato un esempio di una più

458 D. Borsani, Gli Americani faranno a meno di alcune basi militari in Europa, Commentary, ISPI,

gennaio 2015, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-americani-faranno-meno-di-alcune- basi-militari-europa-12004

459 E. Hallms, B. Schreer, Towards a post American alliance? NATO Burden sharing After Libya,

141 equa distribuzione degli oneri all’interno dell’alleanza. La predisposizione dell’Amministrazione Obama era stata infatti quella del leading from behind, ovvero una maggior responsabilizzazione degli Alleati NATO e la messa a disposizione solo delle tecnologie indispensabili all’operazione militare.

Alcuni commentatori non esitarono a configurare il nuovo confronto tra la Russia e l’Occidente come una nuova Guerra Fredda. Nonostante alcune differenze macroscopiche, come una configurazione internazionale multipolare e fortemente regionalizzata, numerosi erano i punti di contatto della nuova fase aperta con la crisi Ucraina460, a partire da una nuova postura strategica russa definita con la Nuova dottrina militare della Federazione Russa, approvata a fine 2014. La nuova dottrina russa, considerava ormai passato il tempo del reset con gli Stati Uniti e della collaborazione con la NATO461. Nel documento si tornava alla concezione di modelli di sviluppo contrapposti tra loro e la crescita potenziale della NATO divenne una delle principali minacce esterne, ben più grave del terrorismo internazionale. Da non trascurare infine la teorizzazione del nuovo modello di guerra del XXI secolo teorizzato dai vertici militari russi: la guerra ibrida462.

L’altro strumento statunitense per garantire maggiormente la sicurezza europea fu l’annuncio fatto a Bruxelles, il 26 Marzo 2014, che gli Stati Uniti avrebbero esportato maggiori quantità di gas naturale in Europa al fine di garantire una maggior diversificazione delle importazioni energetiche dei paesi UE463. Tale “apertura”, oltre a rassicurare gli Stati membri dell’UE sulla loro sicurezza energetica464, era mirata

460R. Levgold, Managing the New Cold War, Foreign Affairs, Agosto 2014,

https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2014-06-16/managing-new-cold-war

461 La collaborazione Russia- NATO era stata un ulteriore risultato del reset americano: la

cooperazione venne istituita nel novembre 2010 durante il Summit NATO a Lisbona e riguardò principalmente la lotta alla pirateria internazionale, esercitazioni congiunte di salvataggio sottomarino e collaborazione sulla distruzione di armi chimiche di distruzione di massa. (fonte: NATO-Russia Relations: The Background, NATO, novembre 2017

https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2017_11/20171107_1711-NATO- Russia_en.pdf)

462 La strategia della guerra ibrida era stata applicata in Ucraina in maniera efficace: l’utilizzo di mezzi

politici e militari, convenzionali e non, aveva reso difficile una coesione occidentale. Essa aveva permesso un notevole attivismo e successi, senza rischi di escalation (come l’attivazione dell’art.5 della NATO) e con costi e mezzi limitati. (fonte: C. Jean, La guerra ibrida secondo Putin, in “il Mondo i Putin, n°1-2016, Limes, http://www.limesonline.com/cartaceo/la-guerra-ibrida-secondo-putin)

463http://shalegas.in.ua/en/barak-obama-ssha-zbil-shat-eksport-pryrodnogo-gazu-do-yevropy/ 464 D. L. Goldwin, Refreshing European Energy Security Policy: How the U.S. can help, Brookings,

marzo 2014, https://www.brookings.edu/articles/refreshing-european-energy-security-policy-how- the-u-s-can-help/

142 anche allo scopo di superare alcune resistenze europee in merito all’applicazione di rigide sanzioni alla Russia.

Il secondo versante dell’azione statunitense riguardò l’isolamento internazionale della Russia e le sanzioni economiche.

L’Amministrazione statunitense condannò aspramente le azioni russe seguite alla fuga del Presidente ucraino e il Dipartimento di Stato denunciò le azioni illegali e la falsa narrativa del Cremlino465.

Furono applicati tre tipi di sanzioni: le prime, chiudevano l’accesso ai mercati finanziari occidentali alle persone vicine al governo russo e al governo della Crimea, senza tuttavia coinvolgere inizialmente Putin, Lavrov o i responsabili delle compagnie Rosneft e Gazprom. Il secondo tipo fu applicato, dal luglio 2014, a seguito dell’escalation in Donbass, quando gli Stati Uniti promossero nuove sanzioni economiche rivolte ai settori finanziari, dell’energia, della difesa e un embargo totale alle componenti tecnologiche del settore dell’estrazione petrolifera e della raffinazione. Infine, la terza componente delle restrizioni economiche fu individuata nell’embargo rispetto a component militari o dual use466.

Inoltre, in accordo con gli Alleati europei, vi fu un’ondata di sanzioni diplomatiche mirate all’isolamento russo: vennero sospesi i colloqui bilaterali di alto livello e la Russia fu sospesa dalla partecipazione al G-8 che, dal marzo 2014, si tornò a riunire sotto la formula del G-7467; vennero sospesi i colloqui per l’ingresso russo nell’OECD; vennero sospesi i trattati di investimento bilaterali tra Stati Uniti e Russia e l’Unione Europea sospese le facilitazioni per i circuiti elettronici; in aggiunta l’Unione Europea, da luglio 2014, sospese i prestiti a tassi agevolati per progetti russi e ogni colloquio