IL MEDIO ORIENTE TRA DISENGAGEMENT E INSTABILITÁ Il prossimo capitolo tratterà delle politiche impostate dall’Amministrazione Obama e
2.2 La “dumb war”, il Retrenchment dall’Iraq e le sue conseguenze.
L’analisi a questo punto deve tener conto della seconda eredità di politica internazionale lasciata dall’Amministrazione Bush a Obama: la guerra in Iraq.
L’intervento che modificò gli equilibri mediorientali iniziò il 19 Marzo 2003 con la cd. Terza Guerra del Golfo Persico127, volta a rovesciare uno dei cardini dell’axis of
126https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2015/10/15/statement-president-
afghanistan
127 Per Prima Guerra del Golfo Persico si intende il conflitto scoppiato nel settembre 1980 a seguito
dell’invasione dell’Iran da parte delle truppe irachene di Saddam Hussein. Tale conflitto interislamico mise in evidenza le divisioni del mondo arabo: Siriani e Libici si schierarono con l’Iran; gli Emirati del Golfo e l’Arabia Saudita con l’Iraq. Tale lungo conflitto, che vide l’utilizzo indiscriminato di armi chimiche e durante il quale le due superpotenze USA e URSS fornivano aiuti alternativamente ad entrambi gli schieramenti, terminò il 20 Agosto 1988 con l’intervento delle Nazioni Unite. Per Seconda Guerra del Golfo Persico si intende il conflitto scoppiato a seguito dell’invasione del Kuwait e dell’annessione del piccolo Stato da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Scaduto l’ultimatum posto dalle Nazioni Unite a Saddam per il ritiro dal Kuwait, il 16 Gennaio 1991, una coalizione di 29 Paesi intervenne militarmente per ripristinare lo status quo ante. Il 3 Marzo 1991 venne firmato un cessate-il-fuoco definitivo che imponeva all’Iraq severe condizioni.
Per una descrizione della Prima e della Seconda Guerra del Golfo Persico si vedano nell’ordine: E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali II: gli anni della Guerra fredda 1946-1990, Roma-Bari, Manuali Laterza, 2015, pp 670-672
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evil128, il regime di Saddam Hussein. Malgrado gli Stati Uniti fossero riusciti a
rovesciare in pochi mesi il regime, la politica di Paul Bremer, il diplomatico statunitense a capo della Coalition Provisional Authority, avviò il processo di de baathificazione della società irachena e dello scioglimento dell’esercito di Saddam. Questa operazione, oltre a provocare un’insurrezione sunnita molto violenta, determinò una nuova collaborazione tra Al Qaeda e gli ex ufficiali dell’esercito iracheno, formando le prime cellule terroristiche che daranno luogo, dal 2010, a ISIS. Riguardo alla presenza americana in Iraq, uno degli ultimi atti della Presidenza Bush fu la sottoscrizione con il governo iracheno dello Status of Forces Agreement (SOFA), che indicava nel 31 Dicembre 2011 il ritiro totale delle truppe americane dal Paese. Il SOFA, per l’Amministrazione Bush, era frutto di un compromesso volto a scongiurare una risoluzione che imponesse un ritiro ancor più rapido minacciato dai Democratici che, nel biennio 2006-2008, controllavano entrambi i rami del Parlamento. Il SOFA rappresentava anche la risposta politica ad un’opinione pubblica interna129 ed internazionale sempre più schierata a favore di un ritiro delle forze internazionali dall’Iraq e contro l’azione del Presidente Bush130. Bush quindi lasciava al suo successore un contingente di oltre 165 mila unità in Iraq, rafforzato nel 2007 quando l’Amministrazione aveva deciso un surge di ulteriori 30 mila unità per pacificare la regione, tormentata dal terrorismo di matrice islamica e da un’endemica tensione infra settaria tra sciiti, sunniti e curdi131.
Un importante esame prospettico delle valutazioni sulla situazione in Iraq del New York Times132 della fine del 2007 fornisce un quadro sintetico, ma funzionale allo studio, della complessa situazione sul campo che Bush si apprestava a lasciare al suo successore, utilizzando i principali documenti governativi quali i rapporti Petraeus, il rapporto del Government Accountability Office, il rapporto della Commissione Jones e la National Intelligence Estimate. Dal punto di vista della sicurezza del territorio iracheno, la violenza interna rimaneva elevata in numerose provincie nonostante
Op Cit. E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali III: dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, pp 37-43
128http://www.washingtonpost.com/wp-srv/onpolitics/transcripts/sou012902.htm 129http://news.gallup.com/poll/106783/opposition-iraq-war-reaches-new-high.aspx 130 Op. Cit. M. Del Pero, Libertà e Impero, gli USA e il Mondo 1776-2016, pp 435
131 La componente USA rappresentava circa il 95% delle truppe internazionali presenti sul territorio
iracheno
132 Citato in di Riccardo Alcaro, Alessandro Marrone, Alessia Messina, IAI, IL CONFLITTO IN IRAQ
Prospettive da Washington, Contributi di Istituti di ricerca specializzati n. 83 Dicembre 2007, Senato della Repubblica, Servizio Studi affari internazionali, pp 7
52 moderati miglioramenti imputabili al surge del 2007; i livelli di violenza settaria e insurrezionale rimanevano medio - alti nonostante il proseguimento delle attività di controguerriglia133; infine, le capabilities delle forze di sicurezza irachene non erano migliorate abbastanza, con progressi pressoché discontinui.
Quando Bush lasciò la Presidenza, rispetto al biennio precedente, la situazione irachena era di poco migliorata e la tregua tra le due principali componenti religiose e sociali – sunniti e sciiti – era precaria ma reggeva.
Obama si distinse già da Senatore dell’Illinois nel 2002 per la sua posizione radicalmente contraria all’intervento militare in Iraq; questo giudizio non era mutato nel corso degli anni ed, anzi si era rafforzato come è possibile evidenziare nell’Inauguration Speech del 20 Gennaio 2009: “I don’t oppose all wars. And I know that in this crowd today, there is no shortage of patriots, or of patriotism. What I am opposed to is a dumb war. What I am opposed to is a rash war. What I am opposed to is the cynical attempt by Richard Perle and Paul Wolfowitz and other arm-chair, weekend warriors in this Administration to shove their own ideological agendas down our throats, irrespective of the costs in lives lost and in hardships borne.”134. Il primo presidente afroamericano degli USA accusò i principali ideatori della Dottrina Bush, Perle e Wolfowitz135, di essere guerrieri del week end accecati dall’ideologia e di aver trascinato gli USA in una dumb war, ignorando i costi in termini di vite umane ed economici.
Obama, in conformità alle sue promesse elettorali, annunciò, poco dopo, nel febbraio 2009, il ritiro delle Forze armate americane da Baghdad, da completare entro fine 2011136, confermando così la volontà della precedente amministrazione. Questo passaggio era centrale nella visione del Presidente Obama per tre ordini di motivi. In primo luogo, la conclusione della dumb war (o war of choice) avrebbe focalizzato la politica di sicurezza statunitense su una visione più pragmatica e realistica che teneva conto delle reali possibilità della potenza statunitense; in secondo luogo avrebbe confermato la volontà del neo Presidente di un rebalance dell’impegno americano all’estero, ovvero riequilibrare l’attenzione e l’impegno americano verso l’Asia rispetto alla centralità che aveva assunto il Medio Oriente dalla Seconda Guerra
133 Il picco dei livelli di violenza nel Paese si ebbe nell’anno 2006.
134https://www.theguardian.com/world/2009/jan/20/barack-obama-inauguration-speeches-1 135https://www.theguardian.com/world/2003/feb/23/usa.iraq1
136 M. Zaborowski, A potentially transformational Presidency: Obama’s First Year, in Quaderni di
53 del Golfo in poi137; infine il retrenchment dall’Iraq avrebbe avuto importanza fondamentale per un fattore domestico determinante: la crisi finanziaria ed economica degli USA imponeva una energica revisione degli stanziamenti del settore della difesa e questa riduzione sarebbe dovuta passare necessariamente da una rapida conclusione di una guerra che era costata, secondo alcuni economisti, più di un trilione di dollari sino a quel momento138.
La situazione politico- religiosa irachena al momento dell’insediamento del Presidente e dell’annuncio del retrenchment era però, come già segnalato, fragile e temporanea: il governo di Al Maliki soffriva di un’endemica corruzione e ineffettività e gli USA, che avevano guidato molto da vicino lo state building, erano in parte responsabili di questa debolezza statuale ed amministrativa. Sin dall’inizio della fase post war, gli USA avevano premuto, come accennato precedentemente, per lo scioglimento del partito Baath che costituiva l’ossatura socio - politica, amministrativa e militare del regime di Saddam Hussein; inoltre, il 15 Ottobre 2005, il processo costituzionale iracheno era terminato con l’approvazione di una Costituzione che aveva riportato l’Islam nella sfera politica del Paese dopo oltre vent’anni139, favorendo le divisioni settarie di cui la società irachena era composita140. Il Primo Ministro Al Maliki si era dimostrato un debole leader con uno stile autoritario che si era alienato progressivamente il supporto dei suoi alleati sciiti e curdi141. Quando Maliki era emerso sulla scena nazionale, aveva abbracciato progressivamente lo sciovinismo sciita, favorendo la propria componente, non solo nell’apparato politico e burocratico, ma soprattutto militare.
In questa situazione gli USA attuarono il progressivo ritiro delle proprie forze militari e civili dall’Iraq, con le tappe annunciate dal Presidente Obama. Il ritiro americano
137 Dopo una difficile intesa per la fine della guerra tra Iraq e Iran, il 2 Agosto 1990 le truppe irachene
occuparono il Kuwait, dichiarandolo diciannovesima provincia irachena. Le conseguenze di questa aggressione potevano essere catastrofiche per il Medio Oriente che avrebbe visto l’Iraq, Stato aggressore per la seconda volta dopo il 1980 , divenire una potenza egemone del Golfo, minacciando altri Stati sovrani. A seguito di un ultimatum del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il 16 Gennaio 1990 una coalizione internazionale a dominanza NATO intervenne contro Saddam che nel Marzo fu costretto ad un ritiro definitivo dal Kuwait ripristinando lo status quo ante.
138 L. Beehner, The Cost of the Iraq War, Council On Foreign Relations, novembre 2006,
https://www.cfr.org/backgrounder/cost-iraq-war
139 E. Mistretta, La nuova costituzione irachena, Associazione Italiana dei Costituzionalisti, novembre
2005, http://archivio.rivistaaic.it/cronache/estero/costituzione_iraq/index.html
140 V. Nasr, The dispensable Nation: American Foreign Policy in Retreat, New York, Anchor Book,2013,
pp 144
141 T. Dodge, The Resistible Rise of Nouri Al Maliki, Open Democracy, February 1, 2012,
54 portò alla luce un’importante questione: Washington aveva perso progressivamente la capacità di influenzare il processo di decision making iracheno. Nell’Agosto 2010 l’Amministrazione Obama dichiarò ufficialmente terminata la missione in Iraq, Iraqi Freedom, dichiarando il completo ritiro entro fine estate dell’anno successivo142. Con il progressivo ritiro delle truppe USA e dopo le elezioni legislative della primavera 2010, il governo di Al Maliki procedette alla sempre più forzata epurazione delle minoranze dal governo e dagli apparati politico – amministrativi acuendo le tensioni infra- settarie e, come si analizzerà successivamente, spingendo molti degli ex ufficiali baathisti e dei sunniti ad abbracciare il terrorismo e l’insurrezione armata incarnata dal 2014 da ISIS.
Dopo il completo ritiro, la situazione in Iraq è rimasta comparabile alla condizione precedente il 2003. Nel 2011, Washington si è lasciata alle spalle prioritarie e complesse questioni mediorientali e internazionali, così come aveva fatto con il Vietnam143 tra il ’73 e il ’74. L’approccio utilizzato dal Presidente nel suo primo mandato è stato comparato in alcuni elementi con la strategia di Nixon e Kissinger nei confronti della guerra in Vietnam: uscire dal teatro iracheno aveva significato evitare uno stillicidio economico e di vite umane che aveva perso priorità per gli Stati Uniti144. Oltre a ciò, allargando lo sguardo all’intero approccio mediorientale del Presidente, i tentativi di un’apertura con l’Iran sciita145, possono essere comparati con l’apertura alla Cina comunista di Mao Zedong146 al fine della costituzione di un nuovo balance of power regionale, che avrebbe permesso agli USA di concentrare la propria visione geopolitica in altri luoghi considerati più rispondenti all’interesse nazionale, come il mercato asiatico.
I beneficiari strategici della guerra in Iraq e della fase post war, furono quindi l’Iran, Hamas, Hezbollah e la Siria, ovvero tutti i paesi guidati, o a maggioranza sciita, che influenzavano direttamente o indirettamente l’azione governativa di Al Maliki.
142 Per la dichiarazione di Obama riguardo il ritiro dall’Iraq si vedano:
https://www.nytimes.com/2010/09/01/world/01military.html Op. Cit. D. Chollet, The long Game, pp 76
143 Op. Cit. D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention, pp 40 144 Il concetto di “vietnamizzazione” è spiegato dettagliatamente in E. Di Nolfo Storia delle Relazioni Internazionali: gli anni della guerra fredda 1946-1990 vol II, Roma – Bari, 2015, pp 412-413 145 Argomento approfondito nel paragrafo 2.5.
55 Il disengagement dall’Iraq, così come il surge afghano e, simbolicamente, l’uccisione di Bin Laden furono risultati di politica estera di Obama che favorirono il Presidente nelle elezioni presidenziali del Novembre 2012.
Successivamente, il governo iracheno non riuscì a far fronte alla nuova insorgenza di Al Qaeda nel Paese, fomentata anche dall’atteggiamento fortemente settario del governo Al Maliki, che aveva proseguito e rafforzato anche nei principali centri urbani del Paese forti campagne di pulizia etnica ai danni della minoranza sunnita. I sunniti così si ritrovarono nuovamente emarginati dal blocco sciita alla guida del Paese, mentre le provincie a maggioranza sunnita videro progressivamente ridursi i fondi e gli investimenti dallo Stato centrale.
Pochi giorni dopo il ritiro definitivo delle truppe, le principali provincie sunnite difatti pretesero dal governo centrale una forma di federalismo che lasciasse loro maggior autonomia decisionale; la risposta del premier Maliki fu il dispiegamento dell’esercito, rompendo in maniera definitiva la generale tregua sociale che reggeva dal surge americano del 2007, e configurando il contesto preconizzato dal Vicepresidente Biden in un’intervista al New York Times nel 2006 dove caldeggiava una riforma costituzionale federale come unico strumento per conservare la pace religiosa e sociale del Paese147.
Altro macro fattore che incise negativamente sulla fragilità statuale irachena fu la riorganizzazione qaedista favorita dalla guerra civile siriana. La guerra civile siriana, scoppiata a seguito delle rivolte contro il governo di Bashar al Assad, rappresentò sin dall’inizio un’opportunità strategica irrinunciabile per i jihadisti: la popolazione sunnita in rivolta, territori fuori controllo e controllo delle armi disgregato e inefficiente148. Come già affermato precedentemente, le rivolte in Siria presero forma sull’onda delle cd. Primavere Arabe scoppiate nei Paesi del MENA (Medio Oriente e Nord Africa) a cavallo del 2010 e 2011149.