IL MEDIO ORIENTE TRA DISENGAGEMENT E INSTABILITÁ Il prossimo capitolo tratterà delle politiche impostate dall’Amministrazione Obama e
2.5 L’Iran: non proliferazione e dual track strategy.
Uno dei più importanti obiettivi dei due mandati del Presidente Obama è stato senza dubbio il lungo lavoro diplomatico attorno alla questione nucleare iraniana. Una delle più cogenti legacy del suo predecessore fu, come già osservato, l’aver incluso ne “l’asse del male” la teocrazia iraniana ma, a dispetto della forza retorica di questo messaggio universale di Bush, questa impostazione aveva spinto gli Stati Uniti in un angolo diplomatico e strategico di difficile risoluzione.
Quando Obama venne eletto, l’Iran a seguito di numerosi elementi si trovava in una posizione di forza relativa con un’influenza regionale rafforzata: la guerra in Iraq della coalition of willingness guidata dagli USA, aveva sconfitto il più temibile nemico politico e religioso del Medio Oriente, Saddam Hussein, e le elezioni del 2005 avevano portato al governo una maggioranza sciita filo iraniana; la produzione petrolifera e l’impennata dei prezzi dopo lo scoppio della Terza Guerra del Golfo, avevano favorito le entrate statali iraniane, che erano andate a sovvenzionare politiche di modernizzazione del settore militare e l’ampliamento della rete di influenza in tutto il Medio Oriente. L’Iran era diretto e indiretto finanziatore di movimenti sciiti armati come Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza, movimenti che si ponevano in contrapposizione e rappresentavano una diretta minaccia ad Israele, “il regime criminale che sta sfruttando la ricchezza dell'oppressa nazione palestinese e sta uccidendo innocenti da 60 anni” come ebbe modo di affermare in più occasioni Mahmud Ahmadinejad, il presidente conservatore iraniano dal 2005 al 2013180
Le capacità nucleari iraniane erano state sviluppate durante gli anni della presidenza Bush: nel giro di otto anni l’Iran acquisì la tecnologia per l’arricchimento dell’uranio e costruì e mise in funzione oltre cinquemila centrifughe181. La Repubblica Islamica dell’Iran ha sempre negato che questo impulso alla tecnologia nucleare fosse legato alla ricerca di capabilities militari182, nonostante le fonti dell’intelligence USA avessero informazioni che portavano a conclusioni “moderatamente” differenti183.
180http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2014/12/15/piu-il-prezzo-del-petrolio-scende-piu- democrazia-ce-nel-mondo/22222/ 181http://www.payvand.com/news/08/nov/1264.html 182http://www.bbc.com/news/world-middle-east-26960548 183https://www.nytimes.com/2007/12/05/world/middleeast/05weapons.html
65 La questione del programma nucleare iraniano era stata sollevata sin dal 2002184, quando il gruppo di opposizione iraniano diffuse i dettagli dei primi impianti di Arak e Natanz185. Da quel periodo, la Comunità Internazionale si iniziò ad interrogare se il programma nucleare iraniano fosse esclusivamente civile e l’AIEA – l’Agenzia Internazionale sull’Energia Atomica – nel 2003186, dopo aver effettuato alcune ispezioni, dichiarò che l’Iran stava violando il Trattato di non proliferazione Nucleare187. A seguito delle pressioni internazionali e sotto minaccia di essere deferito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Iran raggiunse un accordo con Regno Unito, Germania e Francia definito Dichiarazione di Teheran188. I contenuti dei questo accordo tuttavia ebbero vita breve in quanto, nell’Agosto 2005, il neo Presidente Mahmoud Ahmadinejad, aperto sostenitore del programma nucleare, annunciò la ripresa dell’arricchimento dell’uranio, seppur a fini pacifici. Così tornò prepotentemente alla ribalta la questione nucleare a livello internazionale e, nel giugno 2006, Cina, Russia e Stati Uniti si unirono a Regno Unito, Germania e Francia per formare il cd. P5+1189.
Se l’Iran avesse ottenuto la capacità di produrre armi nucleari, avrebbe potuto rafforzare in maniera significativa il proprio potere regionale minacciando direttamente i partner regionali degli Stati Uniti, ma il pericolo maggiore era rappresentato dalla potenziale nuova corsa nucleare che sarebbe potuta scattare tra i vari attori regionali mediorientali.
184 Lo scoperta e lo sviluppo del programma nucleare iraniano fino alla metà del 2006 sono
sintetizzate in S. Squassoni, Iran’s Nuclear Program: Recent Development, CRS Report for Congress, Congressional Research Service, 2006
185 M. Sterio, President Obama’s Legacy: The Iran Nuclear deal Agreement?, in Case Western Reserve
Journal of International Law, 1, 2016, pp71
186https://www.iaea.org/newscenter/focus/iran/chronology-of-key-events
187 Il trattato, stipulato il 1° Luglio 1968, prevede che ciascuno degli Stati militarmente nucleari
firmatari, si impegna a non trasferire armi nucleari o incoraggiare Stati militarmente non nucleari a produrre o procurarsi congegni nucleari esplosivi.
188 In questo accordo le autorità iraniane riaffermavano che le armi nucleari non avevano un ruolo
nella dottrina difensiva del Paese e che il programma nucleare iraniano aveva solo scopi pacifici ed era in accordo con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare del 1968. Il Governo iraniano inoltre si impegnava a cooperare con l’AIEA per rendere maggiormente trasparente il proprio programma nucleare. (il testo completo della Dichiarazione :
http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/3211036.stm )
189 Il P5+1 era così formato dai 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la
Germania, uno dei principali Partner commerciali internazionali dell’Iran. Questo gruppo di Paesi, conosciuto in Europa come E3+3, e affiancato dalla figura dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, si riunì col fine di una negoziazione omnicomprensiva sul tema nucleare con l’Iran.
66 Al momento dell’ingresso alla Casa Bianca, erano quattro sostanzialmente le opzioni in campo del Presidente Obama190: avrebbe potuto lasciare intatto lo status quo attendendo un cambio di direzione dell’Iran; avrebbe potuto accettare un Iran con armi nucleari che, come detto, avrebbe portato una forte destabilizzazione internazionale almeno per tre ordini di motivi quali una corsa agli armamenti nucleari, un Iran dominus della regione mediorientale e lo scongiurare un’azione unilaterale dell’alleato israeliano191; avrebbe potuto usare la forza militare per distruggere la capacità nucleare iraniana o avrebbe potuto applicare la propria idea di smart power per un nuovo approccio nei confronti del regime.
Obama sin dal suo insediamento operò una dual track strategy policy192, ovvero un ampio programma di engagement e di pressioni economico- finanziarie per spingere il riottoso Stato iraniano a sottoporsi a controlli internazionali e fugare ogni dubbio sulle potenzialità nucleari militari iraniane. Ogni parte della strategia presidenziale era funzionale all’altra: attraverso l’engagement gli USA avrebbero testato la reale volontà dell’Iran nel perseguire il nucleare pacifico; se fosse stato così, si sarebbe potuti procedere a negoziazioni per far mantenere al regime teocratico le sue promesse. In caso contrario, gli Stati Uniti avrebbero svelato alla comunità internazionale, con assoluta certezza, le reali volontà aggressive del regime sciita, che ne avrebbe pagato le conseguenze.
La prima fase della strategia dell’Amministrazione Obama era rappresentata dall’engagement diplomatico o diplomacy first, uno dei principali pilastri del nuovo corso di politica estera193. La già analizzata retorica obamiana rientra a pieno nella paziente strategia del Presidente nei confronti dell’Iran. Già nel inaugural address del gennaio 2009 si nota la marcata l’apertura al “mondo musulmano, basata su mutui
190 Op.cit. C. Dueck, The long Game, pp 183
191 In uno studio del Marzo 2009 del Center for Strategic and International Studies si analizzava quali
potessero essere gli obiettivi, le modalità e le conseguenze di un potenziale attacco unilaterale israeliano ai siti nucleari iraniani, ipotizzando una profonda destabilizzazione della sicurezza regionale e gravi rischi di una nuova ondata di attacchi asimmetrici verso gli obiettivi statunitensi, suggerendo infine un engagement diplomatico statunitense omnicomprensivo (A.Toukan, A,H. Cordesman, Study on possible israeli strike on iran’s nuclear development facilities,CSIS, marzo 2009 https://csis-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-
public/legacy_files/files/media/csis/pubs/090316_israelistrikeiran.pdf ).
192 C. Castiglioni, Obama’s policy toward Iran: Comparing first and second term, Analysis No.220,
Dicembre 2013, ISPI,
https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/analysis_220_2013.pdf
67 interessi e rispetto”194. Ancora più specifico per questa analisi è l’augurio indirizzato da Obama al popolo e ai leader iraniani in occasione del Nawrūz, il Capodanno persiano celebrato il 21 Marzo 2009: in questo messaggio, Obama si rivolse direttamente ai Leader iraniani auspicando un nuovo inizio per le relazioni tra i due Paesi, tesi e ai minimi livelli dalla Rivoluzione iraniana e dalla conseguente crisi degli ostaggi del 1979. Nel medesimo messaggio Obama tese la mano all’Iran per l’inserimento del Paese a pieno titolo nella comunità internazionale, ma non senza una contropartita fondamentale: The United States wants the Islamic Republic of Iran to take its rightful place in the community of nations. You have that right – but it comes with real responsibilities, and that place cannot be reached through terror or arms, but rather through peaceful actions that demonstrate the true greatness of the Iranian people and civilisation. And the measure of that greatness is not the capacity to destroy, it is your demonstrated ability to build and create.195
Come era prevedibile, la risposta ai primi tentativi di Obama di instaurare nuove relazioni bilaterali con l’Iran non si discostò dall’ oratoria belligerante ed antiamericana degli ultimi decenni. Le relazioni USA-Iran erano state caratterizzate sin dalla Rivoluzione del 1979 da una contrapposizione retorica assoluta: per gli USA, Teheran costituiva un avversario sia ideologico che geopolitico, intento a scardinare gli assetti della pax americana in Medio Oriente e capace di proiettare su scala transnazionale il suo radicalismo religioso196. Inoltre la retorica antisemita iraniana aveva fatto sì che nei decenni che si sono susseguiti, il fronte conservatore israeliano si saldasse con il Partito Repubblicano statunitense.
La nuova strategia aperturista e dialogante di Obama si scontrò da subito con i risultati delle elezioni iraniane del giugno 2009, che videro la riconferma del Presidente conservatore Ahmadinejad, ma che provocarono numerose proteste e scontri interni: numerosi osservatori internazionali accusarono il regime di aver favorito pesanti brogli a favore del Presidente uscente, mentre le proteste all’interno del Paese furono stroncate con la forza tramite l’utilizzo della milizia islamica Basiji.
La volontà di Obama di engagement con l’Iran si espresse inoltre nella riattivazione, nel primo anno del suo mandato, dei colloqui della formazione 5+1. Senza un
194https://www.nytimes.com/2009/01/20/us/politics/20text-obama.html 195https://www.theguardian.com/world/2009/mar/20/barack-obama-usa 196 Op. cit. M. Del Pero, Era Obama, pp 150
68 approccio multilaterale, gli obiettivi di Obama sarebbero rimasti lettera morta e le pressioni economiche largamente inefficaci; inoltre anche i democratici liberal più interventisti non si sarebbero lasciati facilmente convincere da un reapproaching unilaterale dopo trent’anni di ostilità diplomatica con l’Iran. Un punto fondamentale rimaneva in continuità con la Presidenza Bush: l’assoluta avversione statunitense alla possibilità di un Iran dotato di armi nucleari.
Lo strumento complementare all’engagement diplomatico fu individuato nelle pressioni economiche: alla fine del 2009 l’Amministrazione Obama lanciò un programma diplomatico intensivo per imporre nuove sanzioni internazionali contro l’Iran. Questo secondo aspetto dell’azione politica USA non poteva però essere portato avanti senza il sostegno internazionale: Obama aveva fatto della non proliferazione nucleare uno dei suoi principali cavalli di battaglia in politica estera, incontrando il favore dei suoi alleati europei197. Il Presidente aveva annunciato che lo smantellamento degli arsenali nucleari mondiali era uno dei principali obiettivi della sua Amministrazione. Inoltre l’impostazione mista di azione diplomatica e pressione economico finanziaria confortava i Paesi transatlantici che l’opzione militare, rimaneva sì sul tavolo, ma come ultima chance, per uno Stato come l’Iran che importava dai paesi UE beni per oltre 5 mld di €198.
Le sanzioni già imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con due risoluzioni del dicembre 2006199 e del marzo 2007200, riguardavano il divieto di vendita e trasferimento di qualsiasi materiale relativo al programma nucleare e materiale dual use. Ad esso si assommavano il congelamento di beni di individui e società considerati legati al programma nucleare di arricchimento e il divieto di vendita o importazione di armi.
Le nuove misure, che il Segretario Clinton definì “crippling”, aggiunsero nuove restrizioni commerciali e finanziarie ai danni dell’Iran: con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n°1803 del marzo 2008 e n°1929 del giugno 2010 si inasprì
197 Ralph Rotte e Christoph Schwarz, Shared Challenges—Joint Solutions? The United States and Europe Face New Global Security Risks—High Times for Grand Strategy, in Strategic Studies
Quarterly, Air University Press, Vol. 3, No. 3 (FALL 2009), pp 74-77
198 Directorate- General for Trade, European Commission, Iran – Main Indicators, 2017,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2006/september/tradoc_111518.pdf
199 Risoluzione Consiglio Sicurezza dell’ONU 1737 (2006) 200 Risoluzione Consiglio Sicurezza dell’ONU 1747 (2007)
69 l’embargo commerciale a cui si aggiunse un più severo regime di ispezione delle merci in entrata e uscita dal paese, il congelamento di conti di banche e società iraniane e l’estensione della lista di persone connesse al programma nucleare.
Queste ultime sanzioni tuttavia escludevano gli interessi strategici di Mosca e Pechino, il settore energetico e così, per rafforzare il regime sanzionatorio gli USA e l’UE applicarono bilateralmente sanzioni ben più restrittive del settore finanziario e soprattutto energetico, col fine di impedire l’approvvigionamento di componenti e di risorse finanziarie per i programmi nucleari e balistici del regime iraniano.201 Tali restrizioni portarono una drastica riduzione della produzione petrolifera dell’Iran che passò dall’essere il secondo produttore dell’OPEC al quarto posto nel 2013202.
Nonostante il rafforzamento sistematico delle sanzioni, i colloqui diplomatici non ebbero successo e, nella campagna presidenziale del 2012, una delle tematiche di politica estera utilizzate da Romney fu proprio l’inefficacia dell’impostazione statunitense dovuta alla debolezza rappresentata dal Presidente Obama e dal suo apologizing tour, una serie di incontri con i Leader di Paesi storicamente ostili agli Stati Uniti come Kim Jong Il, Chavez, Castro e non ultimo Ahmadinejad203. Il candidato repubblicano accusò l’Amministrazione Obama di passività di fronte al pericolo crescente di Teheran e affermò pubblicamente più volte di voler intervenire militarmente in Iran per prevenire l’acquisizione di armi nucleari.
La vittoria di Obama nel novembre 2012 fu vista come un’opportunità per capitalizzare e accrescere nuove speranze. Il Congresso e gli Alleati statunitensi spingevano perché la nuova Amministrazione Obama superasse l’impasse del primo mandato e mettesse in sicurezza la regione e il mondo intero204.
Le condizioni politiche e diplomatiche tuttavia non mutarono fino al 2013205. Con l’avvicinarsi delle nuove elezioni presidenziali in Iran l’Ayatollah Khamenei,
201 A cura di L. La Bella, L’impatto delle sanzioni contro l’Iran, in Osservatorio di Politica
Internazionale, CESI Centro Studi Internazionali, settembre 2010
202 World Bank, Working for a World Free of Poverty, “Overview”, in Iran, Marzo 2015,
http://www.worldbank.org/en/country/iran/overview.
203 Questa affermazione fu fatta dal Gov. Romney durante il terzo dibattito presidenziale il 22
Ottobre 2012 alla CNN
204 C. Castiglioni, Obama’s policy toward Iran: Comparing first and second term, Analysis No.220,
Dicembre 2013, ISPI
205 M. Sterio, President Obama’s Legacy: The Iran Nuclear deal Agreement?, in Case Western Reserve
70 storicamente arbitro imparziale, si discostò dal conservatorismo di Ahmadinejad per due ordini di motivi: dal 2011 il Presidente aveva progressivamente preso le distanze dalla Guida Suprema cercando di minarne la legittimità sulla quale era fondato il regime; inoltre le Primavere Arabe e la crisi economica dell’Iran, dovuta in gran parte alle sanzioni internazionali, ponevano una minaccia diretta alla tenuta del regime206. Da non sottovalutare infine che nel 2013 anche l’influenza regionale iraniana rischiava di subire duri contraccolpi: il principale Paese alleato, la Siria, era dilaniata da una guerra civile che, al tempo, contava oltre 100 mila vittime, il movimento libanese Hezbollah, supportato direttamente dal regime stava perdendo il sostegno della maggioranza della popolazione iraniana; in aggiunta l’avvento di ISIS in Iraq minacciava direttamente la stabilità e la capacità statuali del governo sciita in Iraq; infine dall’estate 2012, le autorità israeliane erano diventate più assertive, parlando apertamente di un possibile intervento militare per neutralizzare le capacità nucleari iraniane pur in aperto contrasto con l’alleato statunitense207. Il Premier israeliano Netanyahu nel Settembre 2012 era ricorso persino ad un singolare espediente comunicativo, presentando la minaccia nucleare iraniana con le fattezze di un cartone animato che raffigurava una bomba intenta ad esplodere nel corso della sua relazione all’Assemblea delle Nazioni Unite208.
Con il Marzo 2013, gli USA aprirono un nuovo round di colloqui segreti con il governo iraniano, ma fu solo con il cambio alla guida del governo, a seguito delle elezioni del giugno 2015, con Hassan Rouhani che si riaprirono le speranze di un accordo per l’amministrazione statunitense. Rouhani era considerato più moderato, dialogante e più pragmatico del suo predecessore. Tutte caratteristiche politiche e personali che portarono i due Leader, Obama e Rouhani ad una storica telefonata nel settembre 2013209
Nel novembre 2013, il gruppo dei 5+1 e l’Iran ripresero ufficialmente i colloqui per raggiungere un accordo preliminare, il Joint Plan of Action, che limitava il programma
206http://www.mepc.org/why-hassan-rouhani-won-irans-2013-presidential-election
207https://www.timesofisrael.com/only-the-government-will-decide-on-iran-strike-barak-says/ 208https://www.huffingtonpost.co.uk/2012/09/27/israel-benjamin-netanyahu-bomb-cartoon-un-
iran_n_1920495.html
209 Contatti diretti tra i Presidenti di USA e Iran non avvenivano proprio dalla citata crisi degli ostaggi
del 1979. Questo avvenimento fu simbolicamente definito dalla stampa mondiale come una nuova era dei rapporti tra i due Paesi (ad esempio: https://www.reuters.com/article/us-un-assembly- iran/obama-irans-rouhani-hold-historic-phone-call-idUSBRE98Q16S20130928)
71 nucleare iraniano ed interrompeva l’arricchimento dell’uranio in cambio di un allentamento dell’embargo persistente da parte delle potenze occidentali210. Questo accordo preliminare, della durata di un anno, preludeva a nuovi colloqui e trattative per raggiungere un accordo stabile entro il 20 Luglio 2014. Il joint plan of action incontrò numerose critiche da parte di Israele, ma anche la forte opposizione degli ambienti conservatori iraniani e delle lobbies americane filoisraeliane e filosaudite211. La voce di Israele fu la più forte a sollevarsi in campo internazionale: l’accordo, per il governo israeliano, era frutto di un pessimo compromesso che non avrebbe fatto cessare la malcelata volontà iraniana di dotarsi di strumenti bellici nucleari e per di più non si imponeva all’Iran di astenersi dal sostegno del terrorismo in tutta l’area mediorientale. Netanyahu durante le fasi più concitate delle trattative internazionali fu perfino invitato dal Leader Repubblicano alla Camera Boehner a parlare di fronte alle Camere riunite, senza consultare la Casa Bianca212: nel suo discorso enfatizzò la minaccia esistenziale dell’Iran per Israele e denunciò l’accordo, che avrebbe lasciato un’ampia infrastruttura nucleare al potentato persiano. Infine l’ulteriore preoccupazione israeliana riguardava il ritmo con cui sarebbero cessate le sanzioni all’Iran; tali scadenze avrebbero permesso alla teocrazia sciita di perseguire liberamente le sue aspirazioni alla leadership regionale, innescando così una corsa agli armamenti nella regione senza precedenti213.
I colloqui tra i sei Paesi si protrassero oltre la scadenza prevista fino all’Aprile 2015, quando si raggiunse a Losanna un Framework Agreement da perfezionare entro il Luglio successivo. Numerose furono le reazioni internazionali a questo nuovo accordo, che anticipava un risultato storico per gli Stati Uniti e la comunità internazionale: l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, invitata permanente ai colloqui dei 5+1 parlò, assieme al Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif di un decisive step dopo più di dieci anni di lavoro. Il Presidente Obama, per l’occasione, indisse una conferenza stampa, affermando che se l’accordo fosse stato pienamente implementato
210https://www.reuters.com/article/us-iran-nuclear-agreement-text/interim-nuclear-agreement-
between-iran-and-six-powers-idUSBRE9AN0FS20131124
211 M. Scacchioli, R. Florio, Il Medioriente: la fine della pax americana, in La Dottrina Obama (a cura di) P. Wulzer, pp 168
212 La trascrizione completa del discorso di Netanyahu è disponibile su:
http://www.limesonline.com/il-discorso-di-netanyahu-al-congresso-degli-stati-uniti/76313
213 N. Pedde, I tanti nemici dell’accordo sul nucleare tra Iran e USA, in Limes Online, aprile 2015,