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L’ARCO DI CRISI: LE RELAZIONI TRANSATLANTICHE L’ultimo capitolo della presente analisi tratterà di un tema molto ampio e con

4.1.1 La Rivoluzione egiziana

Il 25 Gennaio le contestazioni e le proteste contro la brutalità del regime poliziesco di Hosni Mubarak assunsero la forma di dimostrazioni di massa, con decine di migliaia di egiziani che occuparono piazza Tahrir, nel centro del Cairo. L’esercito egiziano rispose con la forza, mentre l’unico obiettivo della rivolta diventava esautorare il generale Mubarak. L’Egitto, dopo la parentesi monarchica, a seguito della rivoluzione del 1952, era stato ininterrottamente governato dai militari, prima guidati da Neguib, poi da Nasser, Sadat e, dopo l’assassinio di quest’ultimo nell’ottobre 1981, dal generale Hosni Mubarak. Il ruolo dei militari nel Paese è stato sempre centrale e teso ad escludere altre categorie sociali per la guida dei gangli vitali dello Stato327. Sin dal

325https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2011/01/14/statement-president-

events-tunisia

326 Serie storica degli scambi commerciali bilaterali: https://www.census.gov/foreign-

trade/balance/c7230.html#2010

327 E.Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,

105 periodo di Nasser, il conflitto tra i militari e i movimenti islamici è stato una costante della storia egiziana, così come costante è stato il ruolo geopolitico e strategico giocato dall’Egitto durante la Guerra Fredda. La fine della guerra dello Yom Kippur328 aveva rappresentato uno spartiacque, dopo il quale, l’Egitto strinse una forte alleanza con gli Stati Uniti, culminata negli Accordi di Camp David del 1979 e la conseguente espulsione, fino all’89, dell’Egitto dalla Lega Araba. Il Cairo perciò rappresentava per gli Stati Uniti uno dei perni fondamentali della strategia mediorientale da oltre quattro decenni, con un programma di supporto logistico militare e finanziario destinato all’Egitto che, dal 1979329 ad oggi, si è aggirato attorno ad un miliardo e mezzo di dollari all’anno.

Dalla global war on terror dichiarata dal Presidente Bush dopo l’attentato dell’11/9 e le conseguenti invasioni di Afghanistan e Iraq, il Paese rafforzò la centralità nella visione strategica americana con il suo impegno nella repressione dell’islamismo violento.

La risposta statunitense alla rivoluzione egiziana dimostrò il livello di influenza americana verso un Paese alleato per decenni, che aveva incamerato decine di miliardi di dollari di aiuti economici e militari.

Quando perciò le rivolte egiziane iniziarono a prendere piede alle richieste “pane, libertà, dignità”, la posizione statunitense entrò in una fase delicata: il primo commento dell’Amministrazione americana fu quello del Segretario di Stato Clinton, che rilasciò una cauta dichiarazione in merito al diritto di espressione civile della popolazione egiziana senza violenze e la conferma nella fiducia della stabilità del governo egiziano, impegnato nella ricerca di soluzioni per soddisfare le aspirazioni legittime della cittadinanza330. La difficoltà statunitense riguardava le modalità di supporto dell’evoluzione interna egiziana alla ricerca di libertà politica e opportunità economiche, conciliandole con la tutela degli interessi strategici americani331. Tuttavia le manifestazioni e la repressione non accennavano a diminuire e la posizione di Mubarak divenne sempre più indifendibile a livello internazionale.

328 Per la genesi e lo sviluppo della guerra dello Yom Kippur si veda E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni internazionali: gli anni della guerra fredda 1946-1990, Roma-Bari, Laterza, 2015, pp 604-608 329 Il Congressional Research Service stima gli aiuti totali degli Stati Uniti all’Egitto dal 1946 al 2016 in

oltre 78 mld di dollari: J.M. Sharp, Egypt: Background and U.S. Relations, Congressional Research Service, 2018, summary

330 H. Clinton, Scelte Difficili, Cles, Sperling&Kupfer, 2014, pp 438

331 D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 117

106 L’Amministrazione statunitense, dal canto suo, si divise attorno all’ardua scelta tra l’abbandonare un alleato storico, che aveva assicurato la stabilità dell’area per oltre trent’anni, seppur con terribili conseguenze sulla libertà e sull’incolumità dei propri cittadini, e l’allineamento al governo Mubarak, trasgredendo l’impegno statunitense nella tutela dei valori fondamentali. Le argomentazioni percorrevano il solco tracciato tra l’idealismo democratico statunitense e il realismo politico per la tutela degli interessi nazionali. Giorno dopo giorno le piazze erano sempre più gremite sia di giovani disoccupati che di rappresentanti della Fratellanza Musulmana332, il gruppo politico di opposizione più organizzato dell’Egitto. Il 29 gennaio Mubarak ottenne le dimissioni di gran parte del proprio governo, senza tuttavia rassegnare le proprie, infiammando maggiormente le piazze. Obama, a seguito di quel gesto, contattò direttamente Mubarak chiedendo di dar seguito alla sua promessa di riforme democratiche e di migliori opportunità economiche333. Nei mesi seguenti, Obama affermò alla BBC, che il timore principale di quei giorni era stato quello che piazza Tahrir avrebbe potuto trasformarsi in una nuova Tienanmen334. Obama e il suo gabinetto erano divisi sulla condotta da adottare verso lo storico alleato, con Clinton e Gates contrari ad un intervento troppo drastico nei confronti del Rais, mentre altri security advisor cercavano di fare appello all’idealismo del Presidente. La questione centrale era diventata quale futuro avrebbe avuto l’Egitto e, soprattutto, chi l’avrebbe governato, dato che gli unici in grado di farlo sarebbero stati verosimilmente i militari o la Fratellanza Musulmana. Anche i governi europei espressero preoccupazione circa la grave repressione in atto: il Primo Ministro britannico Cameron, il Presidente francese Sarkozy e la Cancelliera tedesca Merkel, dichiararono congiuntamente che sarebbe stato essenziale che Mubarak avesse ottemperato alle promesse di riforma politica, economica e sociale, accompagnate da libere elezioni335.

332 La Fratellanza Musulmana è un movimento islamico radicale nato nel 1928 in Egitto e fondato da

Hassan al Banna. Dopo anni di crescita in Egitto, Nasser nel 1954 li considerò responsabili del proprio tentato omicidio e dichiarò illegale l’organizzazione. Da quel momento i Fratelli Musulmani si sono diffusi in tutti i paesi arabi, creando una potente rete finanziaria con lo scopo di espandere la propria ideologia islamica radicale a livello internazionale. (fonte: Z. Laub, Egypt’s Muslim Brotherhood, Council on Foreign Relations, ultimo aggionramento gennaio 2014,

https://www.cfr.org/backgrounder/egypts-muslim-brotherhood)

333http://edition.cnn.com/2011/WORLD/africa/01/28/egypt.protests/index.html

334https://www.thenational.ae/opinion/how-mubarak-decision-divided-the-white-house-1.167126 335https://web.archive.org/web/20110130234104/http://www.number10.gov.uk/latest-

107 Nei giorni successivi l’Amministrazione statunitense inviò Frank Wisner, illustre diplomatico ed ex ambasciatore in Egitto, al Cairo per spingere il Rais a promuovere un pacchetto di riforme che includesse l’abrogazione della legge d’emergenza in vigore sin dal 1981336.

Il 31 gennaio 2011 anche l’esercito iniziò a prendere le distanze da Mubarak, annunciando che non avrebbe fatto fuoco contro i manifestanti.

Durante la prima settimana di febbraio le vittime tra i sostenitori del regime e i rivoltosi si contavano a centinaia e, oltreoceano, le contraddizioni e le incertezze sulla linea da seguire risultavano evidenti. Obama, a seguito dell’ultima conversazione telefonica con Mubarak, mostrò pubblicamente la sua impazienza chiedendo che la transizione egiziana must begin now337; solo il 5 febbraio tuttavia, l’inviato speciale Wisner dichiarò che sarebbe stato necessario che Mubarak fosse rimasto a guidare la transizione. A seguito di questi messaggi contraddittori dell’Amministrazione statunitense, Obama seguì i consigli dei liberal idealisti, facendo mancare l’appoggio a Mubarak e accelerandone così l’uscita di scena.

L’11 febbraio 2011 Mubarak si dimise nelle mani del vicepresidente Suleiman. Venne così formato un governo provvisorio dal generale Mohammed Hossein Tantawi, che si era distaccato poco prima dal regime.

L’atteggiamento statunitense nei confronti delle primavere arabe tuttavia non fu omogeneo. L’America non modificò le proprie alleanze con i regimi autoritari della regione338, né – realisticamente – sostenne attivamente le dimostrazioni analoghe in Bahrain o in Yemen339; si limitò infatti alle più tradizionali dichiarazioni di supporto

336https://www.fidh.org/en/region/north-africa-middle-east/egypt/THE-EMERGENCY-LAW-IN-

EGYPT

337http://articles.latimes.com/2011/feb/13/world/la-fg-egypt-obama-strategy-20110213

338 V. Nasr, The Dispensable Nation, American Foreign Policy in Retreat, Anchor Books, New York, pp

164

339 Bahrein e Yemen furono altri due Paesi teatro delle Rivoluzioni Arabe, tra il 2011 e del 2012. Lo

Yemen e il suo Presidente Saleh erano divenuti importanti partner degli Stati Uniti dall’11/9 nella lotta al fondamentalismo islamico. Dal 2007 Saleh permise interventi dei droni statunitensi sul suolo yemenita a fronte di aiuti finanziari e militari nell’ordine di dieci miliardi di dollari. Quando le proteste giunsero anche in Yemen, Saleh invano tentò la conciliazione e fu costretto a firmare un accordo con il Consiglio di Cooperazione del Golfo che lo impegnava a lasciare il potere. La forma istituzionale e le garanzie democratiche non mutarono, ma il nuovo Presidente Hadi si guadagnò da subito la fiducia statunitense nella lotta alle cellule terroristiche yemenite. Medesimo approccio tennero in Bahrein, dove le rivolte della maggioranza sciita nel piccolo stato retto da una monarchia sunnita iniziarono il 14 Febbraio 2011. In questo caso gli interessi americani in gioco riguardavano la più importante base navale americana nel golfo, nella capitale Manama, che ospitava la Quinta Flotta degli Stati Uniti d’America. Solo un mese dopo l’Arabia Saudita intervenne militarmente in Bahrain per disperdere i rivoltosi e ripristinare l’ordine a sostegno della monarchia di Al Khalifa. La

108 alla democrazia e ai diritti umani, subordinandoli agli interessi strategici americani come la base navale in Bahrein dove era di stanza la Quinta Flotta, o le basi aeree yemenite necessarie per la campagna dei droni nel Corno d’Africa340.

Il periodo di transizione e le successive elezioni non evolsero come auspicato dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato. Durante la transizione gli Stati Uniti scelsero la prudenza diplomatica, senza schierarsi nelle future elezioni politiche del Maggio 2012 che videro la Fratellanza Musulmana prevalere con il candidato Mohammed Morsi.

Morsi, dopo aver ricondotto i militari nelle caserme, impiegò gran parte del suo capitale politico nella nuova riforma costituzionale, seguita a quella del marzo 2011341, intesa ad inserire la Sharia nel dettato costituzionale342. Morsi e i Fratelli Musulmani consolidarono il loro potere, ma si dimostrarono incapaci di condurre il Paese verso una robusta democrazia inclusiva: nell’Agosto 2012 Morsi rimosse Tantawi dal ruolo di Comandante in capo dell’Esercito egiziano e Ministro della Difesa, sostituendolo con Abd al Fattah al Sisi, giudicato un generale più docile343. Mentre nel Paese la repressione verso le minoranze religiose, come i cristiani copti, diventava sempre più forte e radicale344, nel novembre 2012 Morsi dichiarò sé stesso, il Consiglio della Shura e l’Assemblea Costituente, immuni dal potere giudiziario345. A quel punto, gli auspici della Casa Bianca di un percorso di secolarizzazione delle forze governative vennero meno346. Nello stesso Novembre, sul fronte internazionale, Morsi si impegnò nel negoziato per un cessate il fuoco a Gaza al fianco del Segretario di Stato Clinton. Di nuovo gli Stati Uniti erano di fronte alla tensione tra promozione dei propri interessi

Casa Bianca si limitò ad affermare che non considerava l’ingresso delle forze saudite in Bahrein come un’invasione. (fonti: https://www.theguardian.com/world/2011/mar/14/saudi-arabian-troops-enter- bahrain

https://www.npr.org/2012/01/05/144637499/bahrain-the-revolution-that-wasnt )

340 D. Fitzgerald, D. Ryan, Obama, US Foreign Policy and the dilemmas of intervention, Palgrave Pivot,

New York, 2014, pp 95

341 Nel Marzo 2011 si tenne un referendum costituzionale per l’approvazione di una serie di

modifiche costituzionali intese a limitare il numero di mandati presidenziali, il rafforzamento del controllo della magistratura sulle elezioni, la limitazione dei poteri presidenziali (fonte: A. Meringolo,

L’Egitto dice sì alla riforma costituzionale, Limes Online, http://www.limesonline.com/legitto-vota-si- alla-riforma-costituzionale/21873 )

342 E.Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali: dalla fine della guerra fredda a oggi, Roma-Bari,

Laterza, 2016, pp261

343https://www.theguardian.com/world/2012/aug/12/egyptian-defence-chief-ousted-shakeup 344 H. Clinton, Scelte Difficili, Cles, Sperling&Kupfer, 2014, pp 450-451

345https://www.cfr.org/backgrounder/egypts-muslim-brotherhood

346 V. Nasr, The Dispensable Nation, American Foreign Policy in Retreat, Anchor Books, New York, pp

109 nazionali e collaborazione con leader che non si riconoscevano, né rispettavano i valori americani. Inoltre la situazione nel Sinai stava velocemente precipitando: il terrorismo islamico attaccava ormai regolarmente il personale di sicurezza egiziano, i turisti e le forze internazionali di peacekeeping. Gli Israeliani, pertanto, erano allarmati dall’ondata terroristica che lambiva i confini del loro Paese e dall’inerzia del governo Morsi che non riusciva a controllare efficacemente la penisola347.

La collaborazione con la Fratellanza Musulmana sollevò feroci critiche negli States. Spencer Case, un analista politico conservatore accusò Obama sulle colonne della rivista National Review: Starting a year ago this week, Obama seemed to choose the worst over the bad in Egypt348. Le accuse si muovevano anche sul fronte della tutela dei diritti umani: nel dicembre 2011 Obama aveva firmato il 2012 Consolidated Appropriation Act, tale legge confermava importanti aiuti economici all’Egitto, subordinati al compito del Dipartimento di Stato americano di verificare l’implementazione di policies to protect freedom of expression, assosiation, and religion, and due process of law. Nel Marzo 2012 Amnesty International USA aveva scritto direttamente al Segretario Clinton, certificando l’evidenza di numerosi abusi sui diritti umani perpetrati dalle forze di sicurezza, la subordinazione femminile nei processi decisionali e l’utilizzo di gas da parte delle forze di sicurezza contro i dimostranti349.

L’assetto istituzionale egiziano venne messo di nuovo alla prova dalla fine del 2012, ovvero da quando Morsi si auto-attribuì poteri anche in campo giudiziario. Da quel momento numerose furono le proteste di piazza contro il Presidente dalle mire autoritarie. Anche lo scontro istituzionale si acuì con la decisione della Corte Costituzionale, vicina ai militari, di invalidare l’elezione del Senato e dell’Assemblea costituente che aveva elaborato la nuova costituzione filo-islamica350.

Il 30 giugno 2013, nel primo anniversario del mandato Morsi, una delle più grandi manifestazioni della storia del Paese paralizzò Il Cairo. Le Forze Armate egiziane sembravano sul punto di intervenire per deporre il Presidente Morsi. Il Segretario alla Difesa Hagel, che aveva sostituito Panetta nel febbraio 2013, contattò allora il Ministro

347 D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 119

348 S. Case, How Obama Sided with Muslim Brotherhood, National Review, luglio 2014,

https://www.nationalreview.com/2014/07/how-obama-sided-muslim-brotherhood-spencer-case/

349 La nota di Amnesty International USA è disponibile:

https://www.amnestyusa.org/pdfs/Amnesty_International_letter_Egypt__Secretary_Clinton.pdf 350https://www.rt.com/news/egypt-parliament-court-invalid-132/

110 Al Sisi per cercare di prevenire le violenze. Al Sisi accusò la Fratellanza Musulmana di collaborare strettamente con Hamas e con Al Qaeda e, non convinto dalle pressioni statunitensi, si dichiarò pronto ad intervenire351. La deposizione di Morsi avverrà il 3 luglio 2013 con un colpo di stato militare da parte del Generale Al-Sisi che sospese la Costituzione e arrestò Morsi. Si stava configurando una restaurazione dell’ordine precedente alla parentesi guidata dalla Fratellanza Musulmana per mano dei militari. Gli Stati Uniti, con un comunicato del Presidente Obama, chiesero il rispetto dello stato di diritto, esprimendo grande preoccupazione per l’intervento dell’esercito egiziano, e auspicarono il ripristino del processo democratico senza il ricorso all’uso della forza352 verso il Presidente Morsi e i suoi sostenitori. Si trattava della peggior crisi dei rapporti tra i due alleati dagli anni ’70. Ad ogni modo, Obama calibrò attentamente il suo intervento non parlando di “colpo di stato”, poiché in questo caso sarebbe stato obbligato a sospendere il trattato sugli aiuti militari immediatamente. Pochi giorni prima del Golpe, durante i tumulti, il Dipartimento di Stato aveva chiesto a Morsi di fare di più per rispondere alle richieste della popolazione egiziana; nelle stesse ore, a seguito delle dichiarazioni dell’ambasciatrice statunitense al Cairo – the Government of the US supprorts Egypt, its people and its government”353 – i

risentimenti antistatunitensi erano tornati a serpeggiare nelle piazze invase dai manifestanti contro Morsi.

Il colpo di Stato militare e la conseguente azione repressiva verso ogni forma di dissenso politico e civile raffreddarono i rapporti con gli Stati Uniti, che si ritrovarono di fronte al già citato dilemma tra promozione e salvaguardia dei diritti umani e difesa degli interessi nazionali e strategici a scapito dei processi democratici. Dopo un’estate di massacri ai danni dei sostenitori di Morsi, l’Amministrazione Obama rimaneva divisa sul ripristino degli aiuti militari all’Egitto: Ben Rhodes e Samantha Power spingevano nel subordinare gli aiuti a chiari progressi democratici, mentre i Segretari Carter e Kerry premevano verso un rapido ripristino del supporto logistico e finanziario354. Obama intervenne con un’operazione bilanciata: non tagliò completamente gli aiuti militari, ma li limitò, negando i principali elementi di

351 D. Chollet, The Long Game, How Obama defied Washington and redefined America’s role in the world, PublicAffairs, USA, 2016, pp 120

352https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2013/07/03/statement-president-

barack-obama-egypt

353https://www.theguardian.com/world/2013/jul/03/egypt-obama-us-mohamed-morsi-crisis 354https://www.politico.com/magazine/story/2016/01/we-caved-obama-foreign-policy-legacy-

111 assistenza militare pesante: F16, elicotteri Apache, e missili antinave. Questa azione era mirata a spingere Al Sisi a far riprendere all’Egitto il suo percorso democratico bruscamente interrotto nel luglio 2013. Nella primavera 2015, gli USA cedettero355. Obama ripristinò completamente l’impegno economico-militare degli Stati Uniti nei confronti dell’Egitto a cui si chiedeva un forte impegno nella lotta al terrorismo islamico e alle cellule di ISIS che si erano infiltrate nell’area. Ben Rhodes, lo storico National Security Advisor di Obama, ebbe modo di affermare che gli Stati Uniti si ritrovavano nella posizione di aver scontentato tutti i partner regionali356.

Strategicamente quindi gli Stati Uniti avevano riaffermato l’importanza dell’asse con l’Egitto a scapito della democrazia: erano stati costretti a ripristinare le relazioni militari, senza aver avuto concessioni da Al Sisi sulle libertà democratiche; inoltre venivano accusati di aver sacrificato le richieste di libertà e sviluppo dei manifestanti del 2011 sull’altare della sicurezza regionale. Infine, la posizione equilibrata (o altalenante) di Obama aveva portato alla perdita di influenza e alcune tensioni a livello internazionale con gli alleati storici dell’area mediorientale, che nel 2011 avevano visto come gli Stati Uniti avessero abbandonato in breve tempo uno storico alleato come Mubarak357. Israele, che insieme all’Egitto era l’unico altro beneficiario internazionale di aiuti militari diretti, focalizzava la questione su un piano strettamente di sicurezza regionale, mentre gli Emirati Arabi Uniti, che insieme a Kuwait e Arabia Saudita promisero all’Egitto 12 miliardi di $ di supporto finanziario riaffermando l’importanza di un paese stabile come l’Egitto358, notarono come il Presidente Obama non salvaguardasse le alleanze, seppur pluridecennali, con i governi dell’area.