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AFFANNI, TORMENTI E DELIZIE DELL’ETICA

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 32-43)

sia più eludibile il confronto con una delle strutture portanti della nostra disciplina. Struttura purtroppo molto spesso schivata, raggirata e finanche trasgredita. Trat-tandosi qui di una di quelle trasgressioni perfide, infami, losche e degenerative. Vale a dire, il contrario di quelle trasgressioni necessarie ed utili alla crescita ed all’evolu-zione dell’essere umano.

Il quesito che spesso ci si pone è: che cos’è l’astrologia? Essenzialmente è una conoscenza. Questo è basilare. Ma oltre una tale risposta, un gradino sotto, altre definizioni sono plausibili: un’arte, una mantica, un quadro di lettura che funziona come un linguaggio (definizione di M. Mandl), una traduzione semantica dei moti celesti. Ma soprattutto ed in conseguenza di quanto precede (e qui sta il passo di cui dicevo) l’astrologia è un’etica.

Etica è un termine a cui sono state conferite una serie impressionante di signi-ficazioni, non infrequentemente incompatibili l’una con l’altra. Il senso a cui mi ri-ferisco trae origine da come la stimava Aristotele, sino ad annodarsi dopo oltre due millenni a quel percorso della conoscenza più profondo, che è poi la scienza

(Wis-senschaft) come l’intendeva Freud. Ed anche oltre. Aristotele fonda

sistematica-mente l’etica sulla natura; la natura consiste nella totalità del cosmo, dal cui ordine dipendono i princìpi che muovono ciascun individuo e le sue facoltà dall’interno e dall’esterno. Siamo su un piano di perfetta sovrapposizione con i precetti della dot-trina astrologica. Gli astri influenzano il mondo sublunare per mezzo della qualità del loro influsso luminoso, le cui infinite combinazioni determinano conseguenze mai uguali l’una all’altra. D’altra parte non esistono astri malèfici per propria natura intrinseca: ognuno è utile alla vita, dal suo formarsi alla sua conservazione. Solo l’eccesso di un elemento sugli altri cagiona la fine della vita e quest’eccesso è pro-dotto da un astro in particolare – chiamato anereta –, che però in precedenza ave-va contribuito non meno degli altri allo sviluppo dell’esistenza. Ne consegue che il male, la malvagità, non esistono di per sé, ma sono la conseguenza di una degene-razione del bene, così come la morte sopravviene a causa del deterioramento di quegli elementi naturali che avevano prodotto la vita e ne avevano permesso la conservazione fino al suo limite possibile. Come dire che un eccesso di bene, d’amo-re, in determinate condizioni produce un effetto letale su quell’individuo, oppure su quel cielo peculiare, che in quel luogo genera fenomeni atmosferici particolarmente avversi, terremoti o calamità sociali o politiche.

Che cosa cerca l’essere umano? La felicità ed il piacere sono le risposte (ridotte ai minimi termini) maggiormente accettate dai pensatori d’ogni tempo, entrambe riconducibili alla categoria del bene. Questione di punti di vista. Ne conseguono comportamenti, strategie e fini assai diversi. Interrogativi ai quali l’astrologia non ha titolo per rispondere. Essa stessa fluttua all’interno di una tale dinamica. E co-munque non è detto che felicità e piacere siano incompatibili. Soprattutto appar-tengono ad un ordine naturale, così come lo è l’astrologia. Ad essa non compete un “a priori”, bensì, passatemi l’espressione, accompagnare l’essere umano – sia come

dall’in-flusso degli astri, passa per il corpo e si conclude – almeno in un primo tempo – nella mente e nel più profondo di sé. Ed è proprio questo il terreno dove etica ed

astrologia si incrociano nuovamente, essendosi per così dire originate dalla stessa matrice, che è appunto la natura. In questo senso, l’astrologia è un’etica in quanto mezzo, non in quanto fine. Tuttavia è anche qualcosa di più di un mezzo, e proprio per questo esplora itinerari che talvolta le sono paralleli, talaltra l’incrociano.

Si potrebbe proseguire su questo piano. Ma non andrò oltre, giacché ciò che volevo mostrarvi è come i discorsi dell’astrologia e dell’etica si intreccino tra loro. Per scioglierli è necessario strappare l’etica dalla rappresentazione aristotelica, cioè dalla sua correlazione con la natura. Cosa che è stata fatta in questi due millenni, senza che tuttavia periodicamente non si ritornasse alle origini aristoteliche, sebbe-ne con sfumature diverse. Crimisebbe-ne che peraltro è stato perpetrato anche sebbe-nei con-fronti dell’astrologia, sebbene in tempi molto più recenti. Quasi nessuno guarda più il cielo (si può ancora fare, nonostante l’inquinamento luminoso!), si osserva sulla carta solo il cielo proiettato sul piano dell’eclittica, mai quello reale rispetto al luogo che si intende esaminare, solo una sparutissima pattuglia prende in considerazione le diverse forme del moto degli astri, eccetera. Non c’è allora motivo di sorprendersi se etica ed astrologia sembrino così estranee ai giorni nostri. Così estranee che pure un discorso come questo suona strano, bizzarro, insolito, anomalo (se non peggio) al lettore. Altro che dodecafonia schönberghiana! Ma è anche evidente che non sussi-ste alcun motivo per continuare su questa strada, che non porta da nessuna parte. Dunque, è necessario ribadirlo con forza e determinazione: l’astrologia è un’e-tica o, per lo meno, le è strettamente connessa. E da questo ne consegue prima di tutto che la questione riguarda chiunque si interessi all’astrologia e non solo gli astrologi professionisti.

L’astrologia non è un’isola(ta)

Riguarda tutti. Qui allora assume senso quell’affermazione fatta all’inizio del para-grafo precedente, che forse qualcuno avrà giudicato sorprendente: quel passo fon-damentale così difficile da compiere, da assimilare e da vivere. Sì, perché è impen-sabile legarsi con animo puro all’astrologia rimanendo convinti che nulla possa ac-cadere dentro di noi. Senza che nuovi interrogativi si affaccino alla nostra mente. Non starò certo ora qui a passare in rassegna i cambiamenti che si producono a causa di tali scosse telluriche interiori. Ognuno conosce i suoi, se n’è fatto un’espe-rienza e sa di che si tratta. Mi limito soltanto ad indicarne un paio, tanto minuscoli quanto vasti al tempo stesso: ciò che riguarda le convinzioni ed i valori conquistati in precedenza. Non è detto che poi si siano capovolti, stravolti o sconvolti. Può es-sere capitato a qualcuno, forse a molti, ma non a tutti. Però come minimo li mante-niamo in una sorta di continua sospensione, affinché si sia sempre disponibili ad accogliere quello stimolo che ci consente di metterli nuovamente in discussione. È un tratto che ci differenzia, o che dovrebbe differenziarci, da buona parte

dell’uma-no consorzio, perlomedell’uma-no di quello che appartiene all’occidente di razza bianca. Questo, lo ribadisco, succede quando ci si dispone con animo puro nei confronti dell’astrologia. Ma l’intensità e la qualità di tali esperienze dipendono dalla fonte di conoscenza rispetto alla quale ci si abbevera. Più è preziosa, dotta, rigorosa, autore-vole e qualificata, maggiori saranno le virtù dispensate. Ecco perché ritengo che il passo fondamentale di un’astrologia strettamente connessa all’etica sia per molti così difficoltoso ed imbarazzante: l’inadeguatezza dottrinaria che così spesso si in-contra da molti anni a questa parte depaupera chiunque vi si riferisca di quell’espe-rienza umana così ricca e particolare, come l’abbiamo delineata nelle righe che pre-cedono.

Allora non è poi così scontata la mia ipotesi che l’astrologia è un’etica, o vi si correla strettamente. Ipotesi che io tento di far passare per assioma, ma lo stato at-tuale dell’arte non induce a particolare ottimismo. Tuttavia occorre insistere su questo. Ma prima di tentare di trovare un modo per far accettare a chiunque una tale sostanza, è necessario mostrare sino in fondo a quali fascinosi territori essa ci trascini.

Fascinosi a saperli guardare, giacché la loro lusinga non consiste nell’essere al-tri, esotici, inconsueti, unici, alieni. Sono bensì i luoghi del quotidiano, della condivi-sione collettiva della realtà, dei rapporti sociali, economici, politici, culturali. Giac-ché quel “più profondo di sé” di cui si diceva prima non può assolutamente prescin-dere dai vari territori dell’altro. In questi territori non si tratta tanto di riversarvi le nostre tecniche, la cui utilità si pone in un certo qual senso ad un livello secondario, ma di farvi irrompere questa esperienza del legame tra etica ed astrologia. A questo punto non possiamo non sapere che ciò che serve, ciò che esalta e nobilita la qua-lità dell’esistenza, ciò che talvolta ne costituisce la poesia, è l’eros, ovvero quello che unisce, quello che lega, quello che congiunge. Il suo contrario, ciò che separa, ciò che divide, ciò che disgrega reca con sé il germe, anzi, la iattura della distruzione, della discordia. E non è che il saperlo ci autorizzi a chiamarci fuori, ad assumere un atteggiamento di neutralità: oltre che illusoria, una tale posizione sarebbe cinica ed indecente, ai confini con la pornoscopia. Allontanarsi per farsi vedere. Ma che ci sa-rebbe da vedere se non la nostra repulsione, la nostra miseria, la nostra desolazione, la nostra meschinità? Superbia e presunzione. E, perbacco!, è proprio questo l’atteg-giamento prevalente tra noi, professionisti e no. Occorre invece partecipare, esserci, coinvolgersi, condividere, schierarsi, denunciare, proporre, aprirsi. Inevitabilmente prima o poi, in modi soffici o più cruenti, i rapporti con il potere giungono al con-flitto. Ma è l’inevitabile destino del rapporto individuo–potere. E quando dico “po-tere” mi riferisco a quello d’ogni tipo: parentale, familiare, condominiale, del portie-re, delle varie lobbies, tecnocratico, religioso, fino ad arrivare a quello più elevato, al potere per antonomasia, cioè quello politico–finanziario. Non vorrei proseguire ol-tre su questo terreno. Preferisco mantenermi su una dichiarazione di principio, sen-za scendere nel dettaglio. Cosa che non sarà male affrontare in un secondo tempo. Sperando che arrivi.

Il mestiere dell’astrologo

Una lunghissima premessa, peraltro indispensabile, per dire che l’etica del professio-nista non è che sia una fantasia, un’elucubrazione, una perversione di qualche illuso sognatore, di qualche utopista particolarmente affezionato alla grappa, di un qual-che sedicente intellettuale della volta celeste, ma costituisce un argomento qual-che in-veste fin dalle origini l’intera dottrina astrologica, l’apotelesmatica come si diceva un tempo. Una lunghissima premessa che, tra gli altri, persegue lo scopo di dare so-stanza e corpo teoretico alla giusta e sacrosanta osservazione di Marco Pesatori, che sostiene come le “direttive” enunciate da Perry “devono essere ben possedute

dentro e dall’inizio dall’Astrologo stesso”. Si tratta di una buona ouverture. Ma può

non bastare. Anzi, il più delle volte non basta affatto. Dovendomi riferire, sia chiaro, all’astrologo professionista, colui che più d’ogni altro nella nostra disciplina porta il peso e gode le delizie di un’etica militante. Pesatori lo sa, come ben testimoniano i suoi interventi di qualche tempo fa’. Cos’è allora che manca? E, affondando la lama, chi (è che) manca?

Di quello che il più delle volte manca di base se n’è discusso finora: rifarsi alle radici, alle origini. Però c’è dell’altro. Perry lo fà intendere nelle pieghe del suo di-scorso, Pesatori ed io in passato siamo stati ben più espliciti: il lavoro intorno al proprio desiderio, intorno ai propri moti pulsionali, intorno, anche, ai propri bisogni. Immergersi sino al bordo dell’incoscienza nell’immateria dell’es, avventura all’estre-mo di sé, o almeno sin dove ci riesce, avanti e indietro tra corpo e mente, per lam-bire quel reale così spesso diverso dalla realtà. Ma è solo un passo. Ve n’è uno suc-cessivo, quello finale direi, fondamentale per autorizzarci al mestiere dell’astrologo: entrare in sintonia con la mappa psichica del consultante, riferirci ad un codice lin-guistico che sia il suo. Per ridurre il più possibile il rischio di una parola mal intesa dal consultante, dagli effetti imprevedibili. In quanti modi può essere accolto un enunciato di questo tipo: “Marte ti predispone all’aggressività” oppure “agli inciden-ti”? Ecco, questo dovremmo sapere: che effetto fanno le nostre parole, le nostre frasi, l’inflessione e la gestualità con cui le accompagniamo. Questione improcrasti-nabile, specialmente alla luce della rarità degli incontri con il consultante: se si sba-glia non è che poi si ripresentino molte occasioni per rimediare. Non è infrequente che non si ripresentino affatto.

Ora, quel primo passo è alla portata di ognuno, basta volerlo o, ancor meglio, desiderarlo. Il secondo un po’ meno. Consiste nell’apprendere una tecnica di comu-nicazione interpersonale efficace; quale? Da chi? Dove? Risposte non facili. Non tanto da permettermi di fornirle io in questa sede. Altri a suo tempo le hanno ten-tate. Nell’indifferenza generale. Il problema quindi sta nel riuscire a spazzar via que-sta ignobile indifferenza. Se i nostri inviti, le nostre proposte, dovessero cogliere il bersaglio dell’orecchio interiore di chi ci legge, a qualsiasi livello egli appartenga, tale risposta non sarebbe impossibile. E però meglio sarebbe affrontare il problema a livello d’istituzione, d’associazione: CIDA o Albo Professionale che sia.

Discorso di là da venire. Nel frattempo una pezza si può mettere. Non è che funzioni sempre, ma talvolta sì, soprattutto con i soggetti più sensibili. Avendo la consapevolezza che sempre di pezza si tratta. Mi riferisco a quello che lo stesso Perry evoca, toccando così, mi pare, il vertice del suo lavoro, il passo più condivisibi-le, e come tale il più emozionante: vale a dire quella compassione che l’astrologo sempre, quando si presentino determinate circostanze, deve reperire nei confronti del consultante. Questi se ne renderà conto, e perdonerà qualche espressione infeli-ce che magari sfugge al consultato. Ma senza una preparazione tecnica specifica, all’astrologo non resta che ricorrere alle sue risorse personali. E se queste nel frat-tempo non si sono arricchite alle fonti del legame astrologia–etica ed avventurate nei vertiginosi percorsi dell’inconscio, sarà assai arduo che siano in grado di andare a scovare quella compassione talvolta così necessaria. A meno che fossimo al co-spetto di un individuo assai dotato naturalmente di particolare maturità e statura morale. Ed invero astrologi di tal specie ne ho conosciuti ben pochi. Davvero proprio pochi.

Vedete da voi che però da sola la compassione può non bastare e comunque senza il supporto etico e della struttura psichica è di difficile gestione: facilmente si scivola nella pietà o, peggio, nel pietismo. Infatti, talvolta è necessario anche un po’ ferire, ma senza quei supporti siamo sempre nel campo dell’azzardo. Con quel che ne consegue.

Ma è come saltellare ad occhi bendati su un terreno minato: quando eravamo giovani ed ingenui pensavamo che fare l’astrologo non richiedesse poi tutto questo impegno, tutto questo lavoro dentro e fuori di sé, pensavamo solo all’apprendimen-to della tecnica. Ora che possediamo una consapevolezza ben più profonda ci chie-diamo: ma allora, chi autorizza l’esercizio del mestiere dell’astrologo? Quale autorità si assume la responsabilità di rilasciare e certificare una tale competenza? Nessuna. Neppure l’Albo Professionale. Esso tutt’al più certifica la conoscenza delle tecniche e quel minimo di maturità che consente di sostenere una consultazione. Ma è im-pensabile che possa andare oltre. Né deve. La verità è che l’astrologo si autorizza da sé all’esercizio della professione. Non c’è altra via. È la più rischiosa in quanto in-controllabile, ma l’unica possibile. Ecco perché le organizzazioni responsabili hanno il dovere morale di proporre non solo riunioni più o meno periodiche tra i professio-nisti, ma anche aggiornamenti tecnici, culturali in genere e, überalles, incontri di formazione sulla comunicazione interpersonale e, perché no?, sulla conoscenza dei propri moti psichici tramite tecniche di psicoterapia di gruppo. Cose che qui in Italia regolarmente non succedono. Altrove non so. Anzi, qualcosa so – come peraltro buona parte dei lettori di questa rivista –, ma è assolutamente necessario stendervi il famoso velo pietoso: se non ve lo stendessimo passeremmo alla soppressione fisi-ca, anche con mezzi di fortuna, di quei delinquenti psichici travestiti da assennati astrologi, così attenti a farsi passare per benemeriti dell’arte nostra, che, alla luce di sopravvalutati quanto pessimi libri, con olimpica serenità pretendono di controllare il famoso controtransfert degli allievi ed ogni loro moto inconscio. Con il risultato,

assolutamente devastante, di creare degli pseudocloni di sé stessi, e di stabilire il ferreo controllo su questi poveretti che sono talmente convinti di essere dei buoni astrologi, da ricevere malcapitati consultanti e – che il cielo li perdoni – permettersi di scrivere a loro volta articoli per le riviste specializzate. Leggendo i loro scritti non è difficile riconoscerli: due o tre righe di giaculatorie nei confronti del loro maestro plagiatore finiscono sempre per scribacchiarle. In cuor mio spero sempre che tali sciagurati allievi non facciano a loro volta scuola, perpetuando così una tale deso-lazione. Comunque, tornando a noi, cioè alle nostre organizzazioni di categoria – passatemi il termine –, sarebbe davvero il caso di cominciare finalmente a porsi il problema e passare all’azione. E non è che lo scrivente e sicuramente qualcun altro, si sottrarrebbe ad una concreta e costruttiva collaborazione.

Astrologia ed istituzioni, ovvero: prove tecniche di un conflitto

L’etica non è propriamente un valore che accompagni l’essere umano presso gli im-perturbabili lidi dell’omeostasi, che è una sorta di capolinea del piacere. Al contra-rio, lo prende a calci lì dove essi si manifestano con maggiore efficacia per indiriz-zarlo nella direzione opposta. L’etica costringe l’essere umano ad una sorta di rivo-luzione permanente, che avrebbe inorgoglito persino un agitato perenne come Lev Trotskij. O, per uniformarci ad una cultura più prossima al nostro tempo, proprio es-sa suggeriva a Bob Marley l’incitamento ad una ribellione permanente: sempre e comunque. E questo non perché bisogna porsi forzatamente nella posizione del ba-stian contrario, non perché la natura ci ha generosamente installato un nido di for-miche nella zona perineale, ma semplicemente perché l’etica non dà tregua, non ha e non vuole padroni: l’etica, o meglio nel caso specifico, l’eros è in eterna lotta con il suo contrario, vale a dire ciò che separa, ciò che slega, ciò che distrugge senza una coscienza entropica.

Ha di nuovo ragione Marco Pesatori quando nota “la timorosa sudditanza ver-so il dominio dell’Istituzione” da parte di Perry. L’astrologo, navigato titolare deten-tore dialettico di un’etica, necessariamente il più delle volte verrebbe a trovarsi in conflitto con il potere. L’Istituzione cristallizza oltre il necessario, giacché non cono-sce altro modo per perpetuarsi. L’astrologo sa, o dovrebbe sapere, che la cristallizza-zione è soltanto una delle funzioni vitali: prolungarla oltre il suo limite essenziale significa la fine, la morte, la vittoria del thanatos. Da qui l’opportunità e l’urgenza di schierarsi, di coinvolgersi, di prendere parola a sostegno dell’eros.

In tali circostanze sostenersi con le nostre tecniche è in via generale ininfluen-te. L’osservazione dei fenomeni sociali, politici ed economici sono assolutamente difficili da analizzare attraverso i nostri metodi, talvolta al limite dell’enigmatico. Ma in questo contesto non è quello sguardo che mi interessa, bensì quello dell’a-strologo nel suo statuto d’essere umano dotato di solida etica. Non ci sarà modo per il potere di prenderlo in giro, di ingannarlo. Non si farà infilzare dal ribaltamen-to del linguaggio e dei codici linguistici cui siamo penosamente costretti qui in

Ita-lia da un anno e mezzo a questa parte: nessuno può illudersi di convincerlo, tanto per dire, che la restaurazione di privilegi a favore della classe abbiente sia una rifor-ma a favore delle classi finanziariamente disagiate e neppure che i non–violenti della rete Liliputh appaiano per violentissimi teppisti. O almeno così dovrebbe esse-re. Non c’è proprio motivo di arricciare il naso. È sempre e comunque inevitabil-mente politica: non c’è modo di collocarsene al di fuori. È consentito ad uno solo:

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 32-43)