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Gli aiuti al «movimento patriottico»

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 163-172)

II. In guerra, a Torino

3. Gli aiuti al «movimento patriottico»

Il sentimento nazionale, unica autentica fede politica di Valletta, nella condizione «sciagurata e avvilente» dell'Italia occupata, lo por-tò a collaborare con le forze che avevano dato vita alla resistenza contro i nazifascisti. Nella sua valutazione generale, tali forze costi-tuivano una molteplicità di volontà diverse e disperse che, battuto il comune avversario, avrebbero dovuto trovare ordine, unità e signi-ficato all'ombra della monarchia.

Nell'attesa di questa soluzione, Valletta intrattenne contatti di-retti o indidi-retti con comunisti e monarchici, azionisti, liberali e socia-listi, democratici cristiani e combattenti senza bandiera. Per indicare

questo insieme di forze, Valletta usava un'espressione che rivelava le lontane origini risorgimentali della sua cultura politica: le chiamava «il movimento patriottico».

Vennero dati molti aiuti finanziari. Il socialista Piero Passoni, che sarebbe poi divenuto prefetto di Torino dopo la Liberazione, fu uno dei principali tramiti attraverso cui il Comitato di Liberazione Nazionale ricevette ingenti somme di denaro. Anni dopo, queste cir-costanze verranno ricordate, al di fuori delle polemiche dell'imme-diato dopoguerra, in questi termini:

«... erano i mesi di dicembre 1944 e gennaio '45... gli appuntamenti ve-nivano stabiliti a notte e dopo il coprifuoco, presso l'incrocio tra corso Vin-zaglio e corso Peschiera. Piero vi giungeva con qualche minuto di anticipo, poi indugiava facendo pian piano il giro della piazza... C'era tempo e agio... di osservare minutamente ogni angolino per accertarsi che non vi fosse ap-postata qualche ombra sospetta, ritornare nel punto prestabilito e al soprag-giungere della "Topolino" attesa, accendere con studiata ostentazione una sigaretta, segnale di via libera. Allora l'auto accostava, s'apriva la porta di destra e Piero doveva ripiegare la sua forte persona per accucciarsi nell'abi-tacolo accanto al professor Valletta».

I finanziamenti a favore del C.L.N. giungevano anche attraverso Benedetto Rognetta, funzionario della Fiat, giunto a Torino dopo la liberazione di Roma nel giugno del 1944. Tra gli antifascisti della Fiat, Aurelio Peccei e Riccardo Chivino costituivano un punto di ri-ferimento importante in seno al Partito d'Azione. A questi contatti si aggiungevano quelli con l'Organizzazione Franchi, comandata dal li-berale monarchico Edgardo Sogno del Vallino, e con le formazioni autonome dell'ultramoderato Martini Mauri. Camerana dava parti-colare appoggio alle formazioni Nuovo Risorgimento Italiano, che intendevano costituire una specie di contraltare al C.L.N. Gli aiuti di Valletta alla Resistenza fluivano anche attraverso Piero De Rossi, il direttore della Microtecnica che poteva vantare un passato di an-tifascista e una speciale attenzione da parte della polizia di regime: fu infatti arrestato e rilasciato « per intervento della direzione Fiat, che ha convinto il superiore comando germanico dell'insostituibilità del De Rossi». Valletta si incontrò segretamente anche con Alfredo Piz-zoni, presidente del C.L.N. per l'Alta Italia, che si lamentò della len-tezza con cui il governo di Roma faceva giungere i fondi: ebbe 30 mi-lioni.

L'aiuto finanziario dato da Valletta al movimento di liberazione fu dunque sostanzioso, distribuito con equità ed ecumenica larghez-za di vedute. Tuttavia, il suo rapporto con le forze del Comitato di

Liberazione Nazionale non si ridusse alla generosa e gradita elargi-zione di finanziamenti, di cui nessuno avrebbe mai rivendicato la re-stituzione. Non si ridusse, nemmeno, al tentativo di addomesticare preventivamente gli eventuali oppositori di un domani ancora incer-to. Fu anche un rapporto politico in senso laincer-to. Il Comitato di Libe-razione Nazionale rientrava infatti nel complesso gioco di forze ma-novrate da Valletta per portare in salvo la barca della Fiat.

Giorgio Bocca ha scritto, con ragione, che « durante la guerra e la Resistenza, Valletta non faceva il doppio gioco. Faceva il triplo, il quadruplo, gioco». Fare un solo «gioco» avrebbe comunque com-portato la cancellazione della Fiat dalla carta industriale d'Italia. Fa-re il gioco dei tedeschi significava sposaFa-re la causa di chi era comun-que destinato a perdere e bruciare il prestigio e la credibilità della classe dirigente della Fiat, che ne reggeva le sorti da decenni. Fare il solo gioco del movimento di liberazione significava consegnare mac-chine, uomini e capitali nelle mani dei tedeschi. Fare il gioco dei fa-scisti avrebbe comportato una fine ancora più sicura e ingloriosa. Valletta finirà poi per dare la precedenza al rapporto con gli alleati, ma collocandolo in un disegno nel quale veniva garantita la continui-tà finanziaria, industriale e dirigenziale della Fiat, insieme ad una re-lativa apertura verso le forze emerse dalla grande notte del ven-tennio.

Il rapporto con il Comitato di Liberazione Nazionale rientrava, dunque, in questo disegno più ampio. Durante l'occupazione, ma so-prattutto dopo il giugno del 1944, questo rapporto trovò un solido terreno di intesa in un obiettivo comune: la difesa degli impianti in-dustriali. Lo ricorda Paolo Greco, liberale, presidente del C.L.N. fino alla Liberazione, nel suo diario dell'ottobre 1944:

«Accordi del maggiore Tempie (paracadutato in Piemonte nell'estate del 1944)... col dottor Valletta della Fiat, per salvaguardare gli impianti_e li-mitare i bombardamenti a qualche capannone allo scopo di giustificare di fronte ai tedeschi l'impossibilità di eseguire le loro ordinazioni».

I contatti di Valletta con Tempie rientravano a loro volta in una più vasta rete di relazioni che la Fiat aveva stabilito o ripreso con i paesi alleati, soprattutto attraverso la famiglia di Agnelli, fin dal set-tembre del 1943, e la direzione di Roma. Da Torino, nel mese di aprile Camerana aveva stabilito un contatto segreto con il quartier generale dei servizi segreti americani a Berna, comandato da Alien Dulles. Dopo aver illustrato a Dulles la linea di condotta della Fiat in regime di occupazione, Camerana diceva di ritenere che:

« nel dopoguerra l'Italia dovrebbe avere maggiori rapporti commerciali e anche industriali con gli Stati Uniti che non con l'Inghilterra. Gli Stati Uniti, per parte loro, dovrebbero studiare la cosa fin da adesso, in quanto la posizione geografica dell'Italia e la sua manodopera a buon mercato costi-tuiscono una base interessante per gli americani».

Si guardava già al futuro. Valletta incaricherà un vicedirettore della Fiat, Paolo Ragazzi, di tenere i contatti con gli ufficiali alleati paracadutati in Piemonte, in particolare con le missioni Young-stown, Sophie and Marina, Gobi. Alla fine di giugno, Valletta fece installare nella sala prova della Fiat Aviazione e in un edificio di Ca-luso, stazioni radio rice-trasmittenti con cui verranno tenuti collega-menti quasi permanenti con le forze alleate. Nello stesso periodo, in-fine, Valletta mise a disposizione di Tempie un ufficio che ospiterà poi il comando anglo-americano dopo la Liberazione di Torino. In-fine, nell'autunno del 1944, James Angleton, capo del controspio-naggio americano in Italia, si rivolse a Valletta e ad altri industriali del Nord per ottenere il loro appoggio alla «Operazione Edera», che consisteva essenzialmente in un'iniziativa di propaganda a favore dei Savoia. I manifesti diffusi nelle grandi fabbriche dell'Italia setten-trionale contenevano infatti un appello rivolto da Umberto di Savoia a tutti gli operai affinché continuassero la loro lotta e confidassero nei sentimenti democratici della casa regnante.

Mentre tiene le fila di un accordo con gli alleati che garantisce un dosaggio opportuno dei bombardamenti, Valletta stabilisce anche «rassicuranti intese» con i comandi tedeschi. Il 17 ottobre ha un nuovo incontro con Leyers a Como. Leggiamo nel relativo verbale:

«Il prof. Valletta si intrattiene con il gen. Leyers... esponendogli le preoccupazioni sue e delle maestranze operaie, relative tanto ad un arresto della produzione, quanto nei riguardi di quelle misure distruttive che po-trebbero essere prese dalle truppe occupanti nell'eventualità dell'abbando-no della zona».

Leyers conferma che il suo punto di vista « collima con le richie-ste e le proporichie-ste avanzate dal prof. Valletta». Ne ha già parlato con Tarchi, il Ministro delle Corporazioni, e ribadisce che « la sua diretti-va - a sostegno della tesi prospettata dal prof. Valletta - è e rimane quella di evitare inutili distruzioni tanto agli impianti industriali, quanto a quegli impianti pubblici essenziali per la popolazione civile, come gas, acqua, etc. ». Il generale si impegna personalmente a par-larne con l'ambasciatore Rahn e con il maresciallo Kesselring, «da cui potrebbero partire norme precise alle truppe operanti». In una

successiva seduta del 30 ottobre 1944, presso il Comando Militare tedesco di Torino, il generale von Stein si dichiara « molto scontento, anzi risentito, della scarsa efficienza produttiva» della Fiat; questo rende oltremodo difficile accogliere la richiesta rivoltagli da Valletta di risparmiare dalla distruzione i capannoni dell'Aeronautica d'Ita-lia. Come segno di buona volontà, accoglie poi la proposta di Vallet-ta: rendere inutilizzabili il campo volo, «con la postazione di una fitta rete di pali di ferro sulla pista di cemento e con l'aratura del campo di volo». Anche su questa soluzione Valletta temporeggia; quando poi gli giunge conferma, attraverso informazioni confiden-ziali, che i tedeschi hanno l'ordine di minare gli stabilimenti dell'Ae-ronautica d'Italia e di farli saltare al momento della ritirata, convoca d'urgenza il direttore del campo di volo, un politico liberale in con-tatto con il movimento clandestino. Lo mette al corrente della situa-zione e gli chiede di «recarsi personalmente al comando tedesco e persuadere il colonnello a non distruggere le nostre fabbriche». «E se per caso, caro ingegnere - disse Valletta - si trovasse a corto di ar-gomenti, adoperi questo». Estrasse dal cassetto una busta piena di quattrini, che venne puntualmente consegnata all'ufficiale tedesco interessato. Questi, per coprirsi le spalle e dimostrare di aver esegui-to l'ordine, fece saltare un capannone in costruzione; erano pochi pi-lastri, con un pezzo di tetto, ma distribuiti su un'area molto ampia; vennero calcolati i metri quadri, poi indicati nel relativo rapporto, diligentemente inviato ai comandi tedeschi.

In questo genere di operazioni, Valletta non fu certamente un eroe solitario: la difesa degli impianti era infatti un naturale obiettivo comune degli industriali e delle formazioni clandestine. Per la realiz-zazione dei piani di difesa, tuttavia, era necessario ottenere garanzie dai comandi tedeschi e dalla Repubblica Sociale. In questo lavoro di-plomatico si avvalse anche di alcuni abili intermediari ben disposti, come Herbert Scholtz, console tedesco a Torino. Dopo la guerra, Valletta ricordò questo insieme di circostanze nella sua deposizione al processo contro il generale Rodolfo Graziani:

« L'azione di difesa venne concordata fra la direzione della Fiat, le for-mazioni partigiane e i servizi segreti inglese e americano. Si stabilì un piano per cui gli operai degli stabilimenti fossero sempre occupati e, nello stesso tempo, producessero il meno possibile... In tal modo gli operai continuaro-no a lavorare senza correre il rischio di essere deportati in Germania. Debbo aggiungere che, a onore del vero, mentre incontrammo delle ostilità presso le autorità politiche, sia italiane che tedesche, trovammo terreno favorevole presso le autorità militari, che cercarono di venire incontro ai nostri deside-ri. Ricordo che il generale tedesco, comandante della piazza di Tori

CO i l

quale era stato ordinato di far saltare gli stabilimenti, dopo aver avuto alcuni colloqui con me, limitò le distruzioni ad alcune colonne di sostegno, per cui si può dire che gli impianti rimasero completamente intatti. Ricordo anche che fummo noi industriali a sollecitare la nomina di Angelo Tarchi a mini-stro dell'industria, sapendo che in lui avremmo trovato un individuo che avrebbe aderito alla nostra politica. Tarchi in un primo tempo non voleva accettare; poi, quando comprese che avrebbe potuto far del bene al paese, si decise. Posso dire che, quando facemmo appello al patriottismo presso alcu-ni elementi della Repubblica Sociale Italiana, trovammo sempre della com-prensione».

Ottenute le necessarie garanzie dai tedeschi, che stabilirono poi un accordo con Tarchi per risparmiare tutti gli impianti a Nord del Po, Valletta utilizzò i contatti con gli Alleati, per predisporre le misu-re da adottamisu-re al momento dell'arrivo degli angloamericani, secondo un disegno già impostato da Camerana nel mese di aprile del 1944, quando il vicepresidente della Fiat aveva incontrato Alien Dulles, di-rettore dell'Office of Strategie Services, a Berna.

Nel mese di novembre del 1944 Valletta incontra il maggiore Tempie, comandante della missione britannica di collegamento che operava nella zona di Cuneo. Valletta dichiara che al momento la Fiat produce 500 vetture al mese per i tedeschi e che riuscirà ad otte-nere scorte per andare avanti ancora qualche mese; all'arrivo degli Alleati comunque, la Fiat è in condizioni di passare anche a 1000 vet-ture al mese. « L'intera organizzazione della Fiat - secondo il rappor-to inviarappor-to da Tempie al Foreign Office dopo quell'incontro - sarà a nostra disposizione». E lo stesso Tempie, facendo un bilancio della sua missione e dei diversi colloquii con gli imprenditori e i leader po-litici dell'Italia nordoccidentale, scrisse:

«Forse la persona più interessante che ho incontrato è Valletta, Diretto-re Generale, capo e uomo-orchestra dell'organizzazione Fiat (one-man band of Fiat organization). Soprawanza di molto tutti gli altri per chiarezza di idee ed è molto filobritannico».

Evidentemente, un po' di camaleontismo non guastava neanche con i due alleati anglosassoni.

Nel colloquio con Tempie, Valletta aveva anche garantito ampia disponibilità di energia elettrica, carburante, autoveicoli, generi ali-mentari, assicurando che tutto era stato opportunamente occultato.

In effetti, nel lavoro di occultamento, la Fiat aveva acquisito una notevole esperienza e forza organizzativa; nei mesi precedenti questa attività era stata svolta su vasta scala con il concorso di molte forze, interne ed esterne alla Fiat. All'interno delle fabbriche e officine

era-no stati ricavati magazzini sotterranei; in alcuni casi gli spazi eraera-no stati murati, come quelli scavati sotto la Grandi Motori, dove il diret-tore Arnoldo Fogagnolo aveva nascosto tre grandi scorte di gasolio e benzina. Si trattava, negli altri casi, di parti di ricambio, motori, pneumatici, generi alimentari. Una leggenda vuole anche che siano stati nascosti ingenti quantitativi di armi. Soprattutto per i generi ali-mentari, si fece ricorso ai magazzini di ospedali o istituti religiosi messi a disposizione dai salesiani, dai fratelli delle Scuole Cristiane, dall'Ordine di Malta. Vennero utilizzate anche le parrocchie. Data la vastità dell'organizzazione molte notizie trapelarono, con relativi fer-mi o arresti. Una delazione anonima, negli ultifer-mi giorni di occupa-zione, porterà i tedeschi a scoprire l'esistenza delle scorte di gasolio e benzina alla Grandi Motori e Valletta trascorse una notte d'arresto presso il comando tedesco.

Quando Valletta mise a disposizione degli Alleati le risorse della Fiat, sottolineò non a caso, queste capacità di organizzazione e di mobi-litazione. Tuttavia, le cifre della produzione che, secondo Valletta, la Fiat sarebbe stata in grado di garantire, erano molto esagerate; anche le sue valutazioni sullo stato generale dell'azienda e della città di Torino erano eccessivamente ottimistiche. Infatti, pochi giorni dopo quell'in-contro, Valletta tenne un rapporto molto allarmato ai direttori lamen-tando la mancanza di materie prime e la scarsità degli approvvigiona-menti. Annunciò anche un programma di produzione, già discusso con Leyers, per tenere occupate le maestranze sovrabbondanti, per utilizza-re i materiali disponibili: all'Aeronautica d'Italia si sautilizza-rebbero prodotti gassogeni, mobili, biciclette, serramenti. Nelle fabbriche decentrate nel novarese si sarebbe cominciato a produrre rimorchi, carri in legno a traino animale, tricicli da trasporto.

Se l'allarmismo, peraltro ben motivato, era d'obbligo con gli ita-liani e i tedeschi a Torino e a Como, l'ottimismo era d'obbligo in Svizzera con gli americani e gli inglesi. A questi Valletta si rivolse con l'atteggiamento di chi pensa al futuro e alla ricostruzione. I progetti di Valletta sarebbero maturati con il tempo, ma intanto i contatti con gli alleati ebbero un effetto positivo: i bombardamenti sulla Fiat ces-sarono.

4. « Traditore della patria ».

Sembrava che la guerra potesse finire da una settimana all'altra. Invece, l'inverno 1944-45 era alle porte e teneva in serbo ancora mol-ti avvenimenmol-ti.

Nei mesi precedenti, Valletta aveva moltiplicato gli sforzi della Fiat per garantire ai dipendenti e a Torino i mezzi essenziali di sussi-stenza. La Germania, in quella fase della guerra, non poteva più con-tare sulle grandi riserve di risorse naturali e alimentari dell'Europa Orientale e dei paesi slavi. L'Italia Settentrionale condivise con la Boemia il triste privilegio di essere l'ultima terra di saccheggio per gli eserciti tedeschi. A guerra ormai perduta, il problema non era più di strappare all'industria un po' di produzione bellica, che peraltro era sempre stata scarsa; ma di estorcere alle popolazioni il non molto che restava per sopravvivere fino alla fine della guerra.

Nel corso del 1944, la direzione Fiat coordinò le «provvidenze» decise e praticate dalla fine del 1942. Istituì, infatti, il Comitato Cen-trale di Assistenza, costituito essenzialmente dall'Ufficio Stampa e Propaganda diretto da Gino Pestelli: il compito era di coordinare le attività degli uffici di assistenza creati nei singoli stabilimenti e di provvedere alla raccolta e alla distribuzione delle risorse messe a di-sposizione dalla Fiat secondo un indirizzo unitario. Venne anche isti-tuito un Consiglio di Gestione degli Spacci aziendali.

Secondo l'impostazione data da Valletta, il piano di assistenza doveva agire su quattro direttrici: approvvigionamento e distribuzio-ni di bedistribuzio-ni essenziali, dalla legna ai generi alimentari; assistenza eco-nomica agli enti di beneficenza, come l'Arcivescovado, le organizza-zioni cattoliche, gli ordini religiosi; predisposizione delle scorte ne-cessarie per l'emergenza finale della guerra; organizzazione di un piano di assistenza per le « formazioni patriottiche » e per gli Alleati, al momento del loro arrivo. Il piano venne realizzato soprattutto nei primi tre punti.

A Torino, luoghi ed eventi legati a questa organizzazione sono ri-masti molto vivi nel ricordo dei protagonisti; e sono anche entrati nella memoria collettiva della città. Le 80.000 paia di lenzuola acqui-state dalla Fiat attraverso la Pignone e la SNIA; i sacconi di foglie di granoturco, in sostituzione dei materassi di lana; le 100.000 razioni giornaliere di minestra; gli ammassi di grano e di farina in provincia di Cuneo; l'allevamento clandestino di maiali con relativo impianto di macellazione nei pressi dell'Aeronautica d'Italia; le sardine in sca-tola comprate in Jugoslavia, i depositi di patate nelle parrocchie; i pacchi alimentari distribuiti agli spacci. Se la memoria dei protagoni-sti e dei beneficiari di questa organizzazione ha avvolto in un alone leggendario gli avvenimenti, i documenti aziendali dell'epoca e le de-libere del Consiglio di Amministrazione hanno invece toni asciutti e perentori.

decla-magioni retoriche. Il 1944 aveva visto un calo verticale della produ-zione Fiat: in maggio erano stati prodotti 1440 autocarri e autoveico-li, ma solo 417 unità in novembre. Le aziende decentrate si erano tra-sformate in officine di riparazione. Tra la fatturazione e il volume dei salari, a cui si erano aggiunte le erogazioni straordinarie per i capi fa-miglia, prestiti e adeguamenti vari, si era creato un dislivello che dif-ficilmente avrebbe potuto durare a lungo.

A metà di novembre del 1944, dopo una fitta sequenza di collo-quii al comando tedesco di Como, Leyers aveva confermato il rifiuto della proposta avanzata da Valletta di riprendere la produzione aero-nautica sulla base di nuovi programmi. Venne anche cancellata l'or-dinazione di 25.000 motori con cambio, da parte della Volkswagen. La Fiat ricevette invece un'ingente ordinazione di materiali bellici, autocarri, carri armati, veicoli militari, parti di ricambio.

In relazione a questi nuovi programmi di produzione, messa alle corde dalla pressione dei comandi tedeschi, il 18 novembre la dire-zione della Fiat annuncia un aumento dell'orario di lavoro, con corri-spondente pagamento degli straordinari. Nel pomeriggio dello stesso

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 163-172)