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Per l'Esposizione del 1911

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 58-64)

I tempi della «miseria dal colletto duro» erano ormai finiti. L'at-tività professionale cominciava a dare un reddito ragguardevole, al quale si aggiungeva lo stipendio percepito in qualità di Direttore del-la Scuodel-la Media, pari a L. 4.000 annue.

II nome di Valletta, intanto, cominciò anche a circolare negli am-bienti pubblici. Il senatore Marazio fece nominare Valletta nella Commissione per il Coordinamento e la Sistemazione degli Studi nelle Regie Scuole Medie di Commercio, istituita dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nell'estate del 1909. Nel gen-naio del 1910, su mandato del Consiglio Comunale di Torino, dove Gitti era stato eletto nelle file liberali, il sindaco Teofilo Rossi nomi-nò Valletta amministratore della Congregazione di Carità. Era un'i-stituzione nata nel 1890, con legge sulle Opere Pie emanata dal se-condo governo Crispi; da essa nacque, in tempi molto successivi, l'Ente Comunale di Assistenza. Valletta, né pio né miscredente, per cinque anni prestò la sua opera di professionista con competenza e disinteresse, a riprova che le tecniche amministrative potevano essere adattate e applicate alla gestione di una società di grandi dimensioni come di un ente di beneficienza, un forno cooperativo come un cir-colo sportivo. Le prestazioni fornite a beneficio della Congregazione di Carità gli valsero un certo prestigio anche al di fuori della ristretta cerchia degli ambienti professionali; gli diedero anche una prima percezione complessiva della città di Torino, della quale conobbe le sofferenze e le risorse attraverso le elemosine e le richieste di assi-stenza che giungevano alla Congregazione dalle parrocchie, median-te ottanta elemosinieri.

nel-l'organizzazione di alcune attività connesse con l'Esposizione Inter-nazionale che si teneva allora a Torino per il cinquantenario dell'U-nità d'Italia e che intendeva celebrare le realizzazioni economiche, sociali e industriali della Nazione. Valletta si adoperò per trovare adeguata rappresentanza nelle manifestazioni torinesi alle Scuole di Commercio italiane, mobilitò i suoi studenti nella partecipazione ai premi banditi dalla Giuria e, in un settore diverso dei suoi interessi, contribuì al reperimento dei fondi necessari alla costruzione dell'ae-rodromo torinese di Mirafiori. Nel corso del 1911 intervenne anche in due congressi che si tennero a Torino, nell'ambito delle manifesta-zioni per l'Esposizione: il Decimo Congresso Nazionale fra Indu-striali, Commercianti ed Esercenti ed il Primo Congresso Nazionale dei Dottori in Scienze Commerciali e dei Licenziati delle RR. Scuole Superiori di Commercio. Le relazioni presentate da Valletta espri-mono il suo impegno per lo sviluppo e la riorganizzazione dell'inse-gnamento commerciale ai diversi livelli della scuola. La prima rela-zione («Sulla necessità di coordinare gli studi economico-commer-ciali con quelli di carattere generale») riprende e sviluppa temi e va-lutazioni che erano già affiorati nei suoi scritti precedenti. « La larga falange dei giovani licenziati delle scuole primarie e secondarie», af-ferma Valletta, «non ha preparazione sufficiente (o non ne ha affat-to) per svolgere il lavoro industriale, al quale nulla vale l'indirizzo ci-vico-umanistico ancora predominante nelle scuole». L'indirizzo mo-derno, basato sugli studi economico-commerciali, è il solo che possa creare «produttori coscienti, capaci di far pesare sulla bilancia dei confronti la potenza economica della Nazione». L'appello di Vallet-ta cade praticamente nel vuoto e la relazione non viene nemmeno messa in discussione. Essa ha tuttavia un certo rilievo nell'itinerario personale di Valletta; contiene infatti alcune riflessioni che suonano come un bilancio delle sue diverse esperienze di insegnante e diretto-re scolastico, di studente universitario e di professionista. Assumono quasi il significato di un programma: gli studi tecnici e commerciali, secondo Valletta, devono garantire un massimo di specializzazione e una partecipazione attiva alla vita delle industrie e del commercio, ma solo gli studi superiori consentiranno di portarvi « il più alto con-tributo di intellettualità», ad opera del professionista che abbia «svi-scerato scientificamente e criticamente i vasti problemi economici e sociali che dello sviluppo commerciale sono i primi, se non gli unici fattori, ed aggiungere così alla coscienza del produttore quella del sociologo, dell'uomo politico e del finanziere».

L'intervento di Valletta al Congresso dell'ottobre del 1911 («Va-lore e diritti della laurea rispetto alla carriera d'insegnamento»),

an-che se di contenuto più tecnico, esprimeva comunque la stessa preoccupazione; quella di consolidare la figura sociale e professiona-le dell'insegnante di discipline commerciali, conferendo ai titoli rila-sciati dagli istituti competenti, di ogni grado, una precisa identità culturale e un valore professionale ben definito.

L'ideale di Valletta è dunque quello di innestare su una rigorosa specializzazione professionale una visione generale della società nuo-va che nuo-va emergendo.

Nella formazione e nella storia personale di Valletta la cultura in-dustriale non si sovrappose dall'esterno alla cultura professionale, ma nacque dal suo stesso terreno. I grandi dibattiti sull'industrializ-zazione italiana e sui suoi molteplici aspetti, come è noto, non avven-nero a Torino. Quando il Piemonte viene investito dalla prima onda-ta dell'industrializzazione, nel primo decennio del secolo, la cultura industriale non è la cultura di intellettuali e di politici che discutono o discorrono o discettano di industria e non è nemmeno quella dei poeti che stanno scoprendo che la velocità rombante di un'automo-bile è incomparabilmente più esaltante della Vittoria di Samotracia; è una cultura che nasce direttamente dalle professioni e dalla menta-lità politecnica, cresce con le ambizioni dei settori più dinamici del ceto medio e produce infine una élite di specialisti che sono anche mediatori di interessi.

9. Un processo.

Altri avvenimenti contribuirono ad arricchire la reputazione pro-fessionale e l'influenza personale di Valletta. Le vicende del processo intentato nel 1909 contro gli amministratori della Fiat, accusati di aver condotto manovre fraudolente in Borsa e commesso il reato di falso in bilancio con la dichiarazione di utili non realmente consegui-ti, avevano coinvolto anche il collegio sindacale, responsabile di aver ratificato come valido il bilancio in questione e lo stesso Giuseppe Broglia, il maestro e patrono di Valletta. Direttore amministrativo della Fiat, Broglia risultò imputato di concorso nei reati di cui erano stati accusati Ludovico Scarfiotti, Presidente del Consiglio di Ammi-nistrazione, Giovanni Agnelli, amministratore delegato, e Luigi Da-mevino, agente di cambio e consigliere.

A Broglia, in particolare, venne contestato di aver condotto, in qualità di liquidatore della Fabbrica Italiana di Automobili, l'inven-tario che doveva poi servire per la costituzione della nuova società Fiat, enunciando una plusvalutazione della voce « titoli di credito e

partecipazioni» ed omettendo l'esposizione di talune passività e per aver poi compilato i controversi bilanci del 1906 e 1907.

Il processo, come è noto, ebbe vasta risonanza sulla stampa quo-tidiana e si concluse con una sentenza assolutoria, in entrambe le istanze (maggio 1912 e luglio 1913).

Valletta ebbe in realtà una parte secondaria in quel processo, che mobilitò ben altri personaggi, da Vittorio Emanuele Orlando, presi-dente del collegio dei difensori, agli uomini di vertice della Banca Commerciale Italiana. Nell'aprile del 1912, Valletta presentò una pe-rizia, preparata con molta cura, in difesa del collegio sindacale. Il ca-so investiva, sia pure da altri punti di vista, il collega anziano Giusep-pe Broglia, al quale Valletta era legato da vincoli di riconoscenza e di clientela. Le conclusioni di Valletta scagionavano completamente i sindaci della Fiat e riconoscevano la correttezza dei bilanci. I sindaci, secondo Valletta, « avevano obbedito con continuità e precisione alle disposizioni di legge». Evidentemente il tribunale tenne in conside-razione la perizia di Valletta, che viene esplicitamente menzionata anche nella motivazione della sentenza assolutoria di prima istanza, emessa il 12 maggio 1912.1 membri del collegio sindacale furono as-solti con formula piena. Nei loro confronti non vi fu alcun ricorso da parte del Pubblico Ministero, che invece impugnò la sentenza relati-vamente alla posizione degli altri imputati.

Per dovere di cronaca vale la pena riferire una diversa versione dei fatti, che attribuisce a Valletta un ruolo più importante, sostenu-to con molta spregiudicatezza professionale. Si tratta di una testimo-nianza resa dall'on. Bruno Villabruna, alla fine degli anni sessanta, a Diego Novelli, allora capocronista torinese de «L'Unità». Villabru-na, che all'epoca dei fatti era un giovane ma già affermato penalista, avrebbe incontrato Valletta, «ragioniere sfaccendato», nella sala da biliardo del caffè Teatro Alfieri. Dovendo difendere il direttore di una sala da ballo sulle rive del Po, denominata «Lo chalet», accusato di bancarotta, Villabruna affidò la perizia contabile a Valletta, che contribuì all'assoluzione dell'imputato con una certificazione abile e ben argomentata della veridicità e obbiettività dei registri contabili e dei bilanci.

Allo stesso Valletta, pochi mesi dopo, Villabruna si rivolse per una consulenza relativa al caso della Fiat. Un'azionista biellese della Fiat si era rivolta a Villabruna per ottenere il risarcimento dei danni subiti in relazione alle vicende del 1906/7, a cui si riferivano le accu-se contro gli amministratori dell'azienda. Secondo Villabruna, Val-letta avrebbe accettato di prestare la sua opera di perito d'accusa e, dopo la necessaria indagine amministrativa, avrebbe anche

presenta-to un dettagliapresenta-to rapporpresenta-to. A quel punpresenta-to, autunno del 1909, proprio quando si riteneva che il tribunale avrebbe accolto pienamente le ar-gomentazioni dell'accusa ed espresso una sentenza di condanna con-tro gli amministratori della Fiat, il procedimento cominciò a denun-ciare battute d'arresto, trascinandosi poi fino all'aprile del 1912, quando finalmente cominciò il dibattimento in aula. Al momento della riapertura del processo, sempre secondo Villabruna, Valletta sarebbe passato dalla parte degli accusati offrendo loro il proprio aiuto con una perizia che certificava la perfetta correttezza dei bilan-ci aziendali.

La testimonianza di Villabruna, resa a distanza di molti decenni dai fatti in questione, merita qualche precisazione. In primo luogo, nessuno dei documenti contenuti nella raccolta degli atti processuali suffraga questa versione dei fatti. Vi si trovano infatti le perizie d'ac-cusa presentate da Piero Astuti, poi corrette in parte dai periti d'uf-ficio e si trova anche la memoria di difesa presentata da Broglia nel giugno del 1909, prima che questi finisse nel gruppo degli imputati. Ma non vi si trova la «prima» perizia di Valletta. Negli atti è invece raccolta la relazione peritale presentata da Valletta in difesa del colle-gio sindacale della Fiat, a cui abbiamo fatto riferimento.

Perché non si trova traccia della «prima» perizia di Valletta? Scartata l'ipotesi dello smarrimento di atti processuali, restano molti dubbi che questa «prima» perizia ci sia mai stata. Innanzitutto, non si comprende perché mai il collegio di difesa avrebbe affidato il deli-cato compito di controllare la veridicità e obbiettività dei bilanci proprio ad un perito che in precedenza si sarebbe manifestamente prestato a difendere le ragioni degli accusatori. Inoltre, non è facile capire perché Villabruna rivelò questa vicenda a distanza di quasi cinquanta anni, mentre avrebbe potuto benissimo farlo nelle sue ve-sti di avvocato difensore dell'azionista in queve-stione, mettendo in dif-ficoltà gli accusati e dimostrando la debolezza soggettiva di un loro perito, che si sarebbe reso responsabile di una grave infrazione alle più elementari regole dell'etica professionale. Probabilmente, nei suoi ricordi, Villabruna si riferì ad uno scambio informale di pareri, ma non ad atti di rilevanza processuale.

Nel processo contro gli amministratori della Fiat Valletta inter-venne anche come testimone. Il 16 aprile 1912 partecipò brevemente al dibattimento. La sua testimonianza suffragò una delle principali li-nee di difesa degli avvocati di Broglia: sottolineare la tensione esi-stente nei rapporti tra Broglia e Piero Astuti, il perito d'accusa che aveva sostenuto la tesi della falsità dei bilanci e il carattere extraindu-striale degli utili dichiarati. Nella sua breve testimonianza, con

un'e-spressione alquanto eufemistica, Valletta avanza l'ipotesi che i con-trasti tra Astuti e Broglia «trovassero origine in motivi di scuola». Nella giovane, anzi nascente, corporazione dei ragionieri professioni-sti e più ancora nelle sedi accademiche, antica fucina di odi teologici, ideologici e metodologici, i contrasti non mancavano. Riguardavano tanto i fondamenti teorici della ragioneria, il suo oggetto specifico, la definizione e l'applicabilità delle sue procedure, quanto il suo rap-porto con le altre scienze economiche. Altri testimoni, come Camillo Motta, che era anche segretario amministrativo della Scuola Superio-re di Commercio (insieme con quel CesaSuperio-re Torazzi, che molti anni dopo Valletta avrebbe chiamato alla Direzione Affari Speciali della Fiat), sostennero con molta franchezza che il Broglia aveva bloccato sul nascere la carriera universitaria di Piero Astuti.

Per quanto secondario sia stato il ruolo sostenuto da Valletta in quel procedimento, fu comunque tale da accendere un debito di riconoscenza che Broglia molto presto non avrebbe mancato di onorare.

10. Il Cavalier Valletta.

Ai primi anni del secondo decennio del secolo risale certamente l'inserimento di Valletta negli ambienti della massoneria torinese. Vi venne introdotto da Giuseppe Di Miceli, un affermato avvocato tori-nese, alto dignitario massonico, che aveva affidato la cura dei suoi in-teressi allo studio di Valletta.

Nello stesso periodo, l'opera prestata per l'organizzazione del-l'Esposizione Internazionale di Torino del 1911 valse a rafforzare il prestigio del giovane professionista, che continuava a prodigare le sue energie nell'insegnamento, nella crescente attività dello studio e nell'amministrazione della Congregazione di Carità. Soprattutto in considerazione del lavoro generosamente svolto da Valletta a favore di questa istituzione e delle scuole torinesi, il Re Vittorio Emanuele III, su proposta di Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio e Mi-nistro degli Interni, il 22 dicembre 1912 nominò Vittorio Valletta Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Il 9 marzo del 1913 la « Gazzetta di Torino » pubblicava un articolo sul Banchetto in onore

del cav. prof. Vittorio Valletta-,

« Circa duecento commensali si sono raccolti ieri sera attorno alle tavole

del ristorante del Parco per festeggiare la recente nomina a cavaliere della " " -Corona d'Italia del rag. prof. Vittorio Valletta. E fra la massa dei convenuti x0>v " ' '•

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alla simpatica dimostrazione d'onore al valente professionista, all'esimio in-segnante, all'ammirevole e operoso giovine si notavano il senatore Michele Bertetti, insieme ad un gran numero di personalità cittadine».

L'elenco dei partecipanti alla tavolata e dei messaggi di congra-tulazioni inviate da enti e personalità diverse, accuratamente riferite dal giornale, era una fotografia delle amicizie e della clientela, dei protettori e dei protetti del giovane professionista: professionisti e pubblici amministratori, industriali e banchieri, operatori commer-ciali e rappresentanti delle scuole. «Quando la lieta riunione giunse alla fine - prosegue la « Gazzetta di Torino » - , l'araldo ing. cav. Ba-rasi, tra lo spumeggiare dello champagne, comunicò un gran numero di entusiastiche adesioni, fra le quali furono particolarmente applau-dite quelle del Prefetto sen. Vittorelli, del Sindaco conte sen. Teofilo Rossi, degli on. Paniè, Cesare Rossi, De Vecchi, Montù, Rastelli e Casalegno »: segue un lungo elenco di adesioni che, oltre a compren-dere « le signorine allieve del festeggiato e il Collegio San Giuseppe, del quale il Valletta è apprezzatissimo insegnante », presentava i no-mi più significativi dell'amno-ministrazione comunale di Torino.

In quella circostanza era dunque ampiamente e autorevolmente rappresentata quella costellazione di interessi e di forze sociali che in Piemonte si riconoscevano in Giovanni Giolitti e nella sinistra libera-le. L'alleanza di queste forze, in verità, aveva già superato il suo mo-mento di massimo vigore. Tuttavia, l'ingresso ufficiale di Valletta nei circoli influenti della borghesia torinese venne ancora propiziato dai protagonisti piemontesi dell'età giolittiana; e nella mente del cavalie-re cavalie-resteranno ampie tracce di questa cultura.

Per l'occasione, tutti brindarono «all'avvenire del festeggiato», poi calorosamente elogiato nei discorsi ufficiali per « l'opera beneme-rita svolta nell'Amministrazione della Congregazione di Carità » per la «mirabile forza di volontà addimostrata nella sua luminosa car-riera».

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 58-64)