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L'unico uomo possibile

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 183-200)

II. In guerra, a Torino

7. L'unico uomo possibile

A metà maggio Valletta ritorna a Torino. Le settimane di isola-mento gli hanno dato la possibilità di riflettere con calma sul proprio futuro, e di discutere con gli ufficiali alleati le prospettive del suo reinserimento nella vita dell'Italia nuova. I servizi segreti americani, il 25 maggio, comunicano al governo alleato: «I procedimenti di epurazione alla FIAT hanno interessato le persone di Giovanni Agnelli, Giancarlo Camerana e Vittorio Valletta. Tuttavia, il C.L.N. sta rivedendo la sua posizione in merito al caso Valletta, tenuto con-to della sua attività di sabotaggio dopo l'8 settembre 1943 e del biso-gno di consigli da parte sua». Il breve rapporto dei servizi segreti sottolinea anche che i quattro commissari « erano stati scelti da Val-letta». Non è soltanto un desiderio di rivalsa personale a sottrarre Valletta alla quiete delle colline e a risospingerlo verso la città: infat-ti, ha un preciso mandato da rispettare.

Dopo la Liberazione e prima che le formazioni di Giustizia e Li-bertà prendessero Giovanni Agnelli sotto la loro protezione, il Presi-dente della FIAT aveva avuto il battesimo del carcere a 79 anni com-piuti. Venerdì 4 maggio, Gino Pestelli registra nel suo diario: «Agnelli passa la notte alle "Nuove"; ne esce andando a casa a piedi, accompagnato dalla signorina P. ». Nello stesso giorno, comunque, Agnelli trovò anche la forza per presenziare all'assemblea dello IFI. Annunciò le proprie dimissioni e chiese che venissero conferiti « po-teri speciali al prof. Vittorio Valletta». È molto probabile che la sua decisione sia stata accettata con qualche riserva mentale; soprattutto da parte di chi intendeva utilizzare i capitali IFI in una serie di impo-nenti acquisti immobiliari, particolarmente nel centro di Torino.

Forte di questo mandato, generico nella formulazione ma inequi-vocabile nel significato, Valletta rientra nella mischia. Stabilisce la sua abitazione nella villetta di Via Genovesi, dove la protezione non

gli viene lesinata né da Alleati né da partigiani. Si fa dare anche un ufficio, in via XXIV maggio (oggi via Gramsci) nel centro di Torino, presso l'Istituto Fiduciario di Gestione, Revisione e Controlli. Qui, giungono ben presto a consultarsi con lui i Commissari insediati qualche settimana prima alla Fiat dal C.L.N. Forse per timore del-l'avvenire, diviene socio di una catena di cinematografi, di una fab-brica di biciclette e di una tipografia. Continua a vivere in un regime di vita semi-clandestino, senza curare eccessivamente l'eleganza del vestire. Un giorno di giugno si presenta, nel primo pomeriggio, in ca-sa dell'amico Luciano Jona: uno dei figli, aperto l'uscio e visto quel-l'uomo di bassa statura dal volto rabbuiato, con un impermeabile di colore indefinibile e un cappello a tesa larga mal tirato sulla fronte, crede sia un postulante e lo fa attendere sul pianerottolo.

Naturalmente, non perde mai di vista la situazione della Fiat e l'evolversi dei nuovi rapporti politici ed economici in cui si trova col-locata. La gestione commissariale e le autorità alleate fanno ben pre-sto ricorso al suo consiglio. All'inizio dell'estate, Peccei scrive a So-ria, che si trova ancora negli Stati Uniti, per comunicargli le prime notizie della Fiat liberata: «Per ragioni politiche, le autorità italiane hanno nominato un comitato di quattro commissari per l'Ammini-strazione Provvisoria dell'Azienda, in sostituzione della precedente direzione, ma in caso di necessità, i commissari si tengono in contat-to con Valletta». L'ex-amministracontat-tore delegacontat-to della Fiat si tiene a disposizione e lavora alacremente nel suo studio di via XXIV Mag-gio. Non ignora che la gestione commissariale, per quanto provviso-ria, non si ritiene tale e che «l'opera di svecchiamento», come si esprime Peccei, giovane funzionario trovatosi alla guida della dili-genza, potrebbe anche preludere ad un cambio della guardia di ca-rattere permanente ai vertici dell'azienda.

Tuttavia i poteri della gestione commissariale e le ambizioni per-sonali che essa alimenta dipendono dal potere che il C.L.N. riesce ad esercitare. E questo potere trova un limite preciso nelle prerogative e nella forza reale del governo alleato, insediatosi a Torino il 9 maggio 1945. A precisare i limiti della Giunta Consultiva di Governo e quin-di del C.L.N., Hannibal M. Fiore, Comandante Militare del Piemon-te, in data 15 maggio scrive a Franco Antonicelli, presidente della Giunta:

«Mi viene continuamente segnalato che da parte di Comitati di Libera-zione "di base" vengono pronunciate sentenze di epuraLibera-zione, sospensione, o retrocessione a gradi inferiori di dirigenti tecnici o amministrativi o, in ge-nerale, di impiegati e personale vario delle aziende. In base agli accordi

pre-si tra il Quartier Generale Alleato, il Governo Italiano e il Comitato di Libe-razione Alta Italia, la sola Autorità competente ad emanare così fatti giudizi è il Governo Militare Alleato, al quale i vari Comitati di Liberazione devono presentare le proposte di epurazione o di sospensione».

Valletta, intanto, aveva completato la stesura del suo memoriale difensivo e l'aveva consegnato alla Commissione d'Epurazione, alla Commissione del Governo Alleato per il Piemonte e a varie autorità di governo, tra cui Alcide De Gasperi. Appena ricevuto il memoria-le, tradotto in un inglese perfetto, il colonnello John W. Chapman, direttore della sottocommissione per la sicurezza pubblica, lo tra-smetteva all'ufficio competente, con questa annotazione a margine: « Ritengo che si tratti di una questione che debba essere portata a co-noscenza del Commissario Esecutivo in quanto è di interesse vitale per l'economia del Governo Militare Alleato».

Gli angloamericani, peraltro, si interessano immediatamente al caso di Valletta non soltanto per una rapida e positiva conclusione del procedimento di epurazione e per riportarlo alla guida della Fiat, ma anche per affidargli un compito specifico nell'amministrazione al-leata. Nel mese di giugno, infatti, l'ammiraglio Ellery Stone, capo del Governo Militare Alleato e il colonnello Robert Marshall, Commis-sario Regionale per il Piemonte, chiedono a Valletta di entrare a far parte della Commissione Industriale per l'Alta Italia, che opera a Mi-lano sotto il controllo dello stesso Governo Alleato. È una strada che non può essere percorsa immediatamente: non è, infatti, concepibile che Valletta governi a Milano e si trovi sul banco degli imputati a To-rino.

«Gli Alleati», dichiarerà Valletta, «hanno dimostrato particolare atten-zione alla mia persona, tanto che ho dovuto pregare tanto il colonnello Mar-shall quanto l'ammiraglio Stone di sospendere le iniziative che essi avevano iniziato per assegnarmi una carica nella direzione dell'industria italiana, do-vendo io essere giudicato per l'imputazione di epurazione e desiderando io che mi giudicasse una commissione italiana ».

Comunque, non ha lasciato passare l'occasione per sollecitare dal Governo Militare Alleato un intervento presso il C.L.N. Gli in-glesi continuano a considerarlo come loro interlocutore privilegiato e, alla fine di giugno, offrono un credito in sterline per l'acquisto di materie prime. Valletta ribadisce la sua incompetenza, ma dichiara di essere disposto a prendere in considerazione la proposta qualora «riuscissero a far cadere le accuse contro di lui». Pone anche la

con-dizione di recarsi personalmente in Inghilterra a selezionare le mate-rie prime richieste.

A sostegno di Valletta interviene anche la Curia Metropolitana di Torino. Un suo delegato, don Giuseppe Garneri, ottiene ascolto presso gli alleati e la stessa Giunta Consultiva. Indica in Valletta l'uo-mo « più idoneo a dare impulso alla Fiat, a incrementare commesse di lavoro e dare serenità e fiducia ai lavoratori e alle loro famiglie».

Nello stesso mese di giugno, secondo un messaggio segreto tra-smesso al Dipartimento di Stato dall'ambasciatore americano a Ro-ma, Valletta si sarebbe incontrato con alcuni industriali: Pier Luigi Roccatagliata della Nebiolo, Piero Pirelli, Enrico Falck, Rocco Piag-gio e Angelo Costa. L'incontro, avvenuto segretamente a Torino, avrebbe dato origine ad un «presunto movimento reazionario». Gli improvvisati cospiratori avrebbero stretto un patto d'azione antico-munista che prevedeva un'intensa campagna di propaganda, la cor-ruzione di politici e scrittori comunisti e il ricorso alla « forza delle armi». Secondo l'informatore, che era un funzionario dei servizi di propaganda alleati, ci sarebbe stato un accordo per investire in quel-la causa quel-la somma di 120 milioni di lire.

L'ambasciatore trasmise la notizia per conoscenza e indicò l'og-getto del messaggio con l'espressione « presunti movimenti reaziona-ri». Prese anche ulteriori distanze, osservando che i grandi industria-li tendevano a mostrarsi molto allarmisti « nella speranza di prolun-gare l'occupazione alleata e la protezione che viene loro garantita dalle truppe alleate». L'informatore trasmise anche l'elenco dei pre-sunti sottoscrittori di fondi: erano dieci industriali genovesi.

Il documento non consente di stabilire il ruolo di Valletta, che in ogni caso non ritroviamo più nella vicenda di questa improbabile congiura. Nel caso in questione, Valletta avrebbe dimostrato un'in-consueta fiducia verso industriali con i quali aveva sempre avuto rap-porti alquanto tiepidi, se non di aperta rottura. Difficilmente riuscia-mo ad immaginarlo, insieme con Angelo Costa, armare guerriglieri inesistenti per cancellare dalla geografia politica italiana una forza or-ganizzata ben altrimenti condizionabile, e con la quale avrebbe rag-giunto un compromesso molto vantaggioso.

Il 4 luglio, Valletta si reca a Roma per incontrare Giovanni Gronchi, Ministro dell'Industria, Carandini, Ambasciatore Italiano a Londra e Marcello Soleri, Ministro del Tesoro. Illustra la propria po-sizione e gli viene prospettata la possibilità di recarsi in Inghilterra e negli Stati Uniti per sollecitare crediti a favore dell'Italia. Al caso Valletta si interessò anche Alcide De Gasperi, allora Ministro degli Esteri, che lesse il suo Memoriale ed esercitò le opportune pressioni

sul C.L.N. È significativo che in questo, come in altri successivi viag-gi attraverso l'Italia, Valletta abbia adoperato un aereo militare del governo alleato.

Comunque, trattare in quel momento operazioni di credito sa-rebbe stato difficile anche per Valletta, posto che fosse prosciolto dalle accuse. Entrambi i governi, soprattutto quello statunitense, sta-vano procedendo con molta prudenza. I loro aiuti, infatti, fluista-vano soltanto attraverso canali istituzionali; le banche americane né pote-vano né volepote-vano sbilanciarsi molto in materia. Era, anzi, stato ap-provato un provvedimento del Congresso che vietava i prestiti priva-ti a tutpriva-ti i governi che si trovassero in rapporpriva-ti anomali con il governo degli Stati Uniti e prescriveva che tutti i prestiti dovessero passare at-traverso la Export-Import Bank di Washington, che era l'istituto de-legato dal governo americano per gli aiuti all'estero.

Nel corso del mese di luglio, in ogni caso, le pressioni degli Al-leati sugli organismi del C.L.N. si fecero più pressanti e inequivoca-bili. Valletta doveva essere messo in condizioni di collaborare libera-mente con il governo alleato, per il bene dell'Italia. Il 19 luglio il co-lonnello Marshall scrive a Franco Antonicelli, presidente del C.L.N. per il Piemonte, una lettera che non manca di franchezza:

« Il professor Valletta, che fino a tempi recenti è stato Amministratore Delegato della Fiat, viene attualmente preso in considerazione da questo co-mando per un importante incarico, nel cui svolgimento potrebbe adoperare la sua ampia esperienza e capacità a vantaggio della regione piemontese... La possibilità di questa designazione è questione urgente e quindi vi chiedo di prendere in considerazione il memoriale di Valletta e trasmettermi una ri-sposta entro sabato 21 luglio ».

Non conosciamo la risposta di Antonicelli; ma sappiamo che po-co tempo dopo lo stesso Marshall si recò personalmente da Alessan-dro Galante Garrone, presidente della Commissione d'Epurazione, per ribadire le richieste del suo governo. Galante Garrone, esponen-te del Partito d'Azione e sosesponen-tenitore di una linea intransigenesponen-te, magi-strato e militante politico, non poteva in nessun caso prendere in considerazione pressioni di qualunque sorta, in qualsiasi direzione venissero esercitate. Nello stesso periodo Galante Garrone ebbe an-che un colloquio, richiesto per lo stesso scopo, con Aurelio Peccei, anch'egli esponente del Partito d'Azione ma solidale con Valletta. Su queste circostanze, Aurelio Peccei ricorda:

«Una delle mie prime preoccupazioni, quando venni nominato Com-missario, fu quella di prendere contatto con Valletta. Personalmente, ero

fa-vorevole ad una certa e anche abbastanza ampia epurazione, ma non di Val-letta. Non era soltanto utile, ma necessario, anzi insostituibile. Bisognava te-nerlo. Ho difeso Valletta contro tutti. Ero convinto che gli altri dello "stato maggiore" potevano anche essere allontanati; non sarebbe capitato niente. Non avevano nessun merito particolare. Valletta, no; era l'unico che sapesse mandare avanti l'azienda».

Dalla primavera all'estate del 1945, in realtà, sono cambiate mol-te cose. Nelle prime settimane dopo la Liberazione, si era anche po-tuto pensare, per un momento, di chiudere definitivamente un capi-tolo della storia aziendale e aprirne uno integralmente nuovo, sotto il segno di una dirigenza diversa. In seguito, viceversa, i Commissari avevano dovuto recarsi personalmente da Valletta, con crescente fre-quenza, per aver informazioni e consigli sulla gestione della Fiat. Si continuava dunque ad avere bisogno del collaborazionista estro-messo.

Nello stesso tempo, le pressioni degli Alleati per una sollecita so-luzione del procedimento di epurazione e il loro interessamento ad ottenere che Valletta entrasse nell'amministrazione provvisoria del paese, non fecero altro che rafforzare ulteriormente la sua posizione. Quindi, i tentativi, fatti da Peccei, di ottenerne il proscioglimento e reintegrarlo, in qualche modo, nell'amministrazione dell'azienda, non erano tanto una scelta quanto il riconoscimento esplicito di una situazione di fatto che, volenti o nolenti, i commissari dovevano ac-cettare.

La Commissione d'Epurazione, inoltre, operava in condizioni estremamente difficili. Non era e non intendeva agire come tribunale politico; era invece un organo giudiziario e come tale intendeva svol-gere il suo compito. I suoi poteri, tuttavia, non erano molto precisi; altrettanto incerta era la disciplina giuridica; questa, infatti, passò at-traverso formulazioni diverse, che ritardarono i procedimenti e rese-ro più complesse le valutazioni dei singoli casi.

Sul caso Valletta, preso in considerazione soltanto il 28 luglio 1945, le valutazioni dei cinque membri della Commissione erano molto divergenti. Concordarono comunque nella decisione di appro-fondire le indagini e di concedere all'interessato la possibilità di pre-sentare un secondo memoriale, entro il 15 agosto, per poi procedere all'interrogatorio.

Valletta si presentò alla Commissione il 21 agosto; l'interrogato-rio si svolse in un clima molto disteso. Nella sua dichiarazione inizia-le, Valletta gioca subito la carta della modestia, sottolineando che fino al 1939 aveva avuto soltanto incarichi amministrativi e che solo con la sua nomina ad amministratore delegato aveva assunto una

po-La Fiat attraverso il Fascismo, dal Decennale del regime alla vigilia della seconda guerra mondiale. In alto: Torino, 24 ottobre 1932, Mussolini parla agli operai del Lingotto. In basso: all'inaugurazione dei nuovi stabilimenti di Mirafiori, il 15 maggio 1939.

OHI VITTORIA ! riTUDINE E FEDE i

La Fiat dalla guerra alla Repubblica.

Bombardamento del Lingotto, il 29 marzo 1944.

Torino, giugno 1943: preparazione delle «minestre Fiat» in uno spaccio azien-dale.

Le macerie di Mirafiori.

Valletta con un gruppo di reduci, ospiti di un istituto milanese per la ne degli invalidi di guerra, in visita alla Fiat il 2 aprile 1943.

Torino, 1946: visita a Mirafiori dell'ambasciatore statunitense James Dunn con la moglie durante il periodo della gestione commissariale. Pronuncia l'indirizzo di saluto il commissario ingegnere Gaudenzio Bono; accanto a Dunn, l'ingegne-re Domenico Taccone (con gli occhiali) l'ingegne-responsabile della Divisione siderurgica della Fiat; l'ingegnere Fiorefii, direttore di Mirafiori; il direttore amministrativo Camillo Ghiglione (con la fascia al braccio); dietro Bono (a sinistra) il progetti-sta-disegnatore e dirigente del CLN di Mirafiori Egidio Sulotto; l'operaio e com-missario Battista Santhià; l'ingegnere Giuseppe Gabrielli.

i l i r n u r .

VALLETTA

Una vignetta politica nel-l'ambito delle polemiche intorno al processo per i fatti verificatisi alla Fiat dopo l'attentato a Togliatti (dal settimanale «Candido», n. 45, 7 novembre 1948, pag.3).

La satira politica al tempo dei «trinariciuti»: una vi-gnetta di Guareschi a pro-posito delle vicende segui-te al licenziamento di sei operai (sette, in base agli atti processuali), dopo i fatti del luglio 1948 a Mi-rafiori (dal «Candido», n. 49, 5 dicembre 1948, pag. 3). F . I . A . T . VOLUNTAS SEI <»

— Vorremmo che lei ci firmasse il benestare per il prossimo sequestro della di lei persona.

— Il padrone sono me !

I ) I sci operai licenziati della F . I . A . T . , con regolare liquidazione e lettera di riassunzione in altre ditte fornitrici d e l l a F . I . A . T .

sizione di rilievo. La sua attività si era svolta ad esclusivo beneficio della Fiat, della città, della regione e dell'Italia. La sua modestia «aveva destato ammirazione in Patria e all'Estero». Sottolinea anche la riconosciuta modestia del suo tenore di vita. Il suo ideale era stato soltanto quello di « creare lavoro, più operai, più impiegati, più diri-genti».

Sottolinea poi che, fin dal 1922, la Fiat era stata tacciata di antifa-scismo e che tutti i direttori Fiat vennero iscritti d'ufficio al Partito Fascista soltanto nel 1932, dopo la seconda visita di Mussolini a To-rino. Costanti e aspri furono poi i dissidi tra la Fiat e il regime nella definizione delle commesse belliche; la direzione della Fiat, peraltro, fino all'ultimo aveva creduto e sperato che l'Italia entrasse in guerra a fianco degli Alleati. Valletta smentisce ogni addebito relativo alla creazione della Legione XVIII Novembre, alla quale si iscrissero sol-tanto 500 operai e precisa che le attività spionistiche dell'OVRA ven-nero condotte senza che la direzione ne fosse a conoscenza. Alle con-testazioni mosse a riguardo dell'assunzione di Roberto Navale, l'a-gente del Servizio Informazioni Militari, precisa che si trattò di una normale procedura di assunzione: «Siccome i sottufficiali dei carabi-nieri non erano andati bene, si assunse un ufficiale dell'Arma. Si pre-sentò Navale, le informazioni erano buone, il comando dell'Arma non si oppose». In alcune risposte, Valletta mette anche in risalto il prestigio che la Fiat si è conquistata negli Stati Uniti e menziona al riguardo il prestito Morgan, contratto nel 1926, utilizzato solo in pic-cola parte e restituito con ampio anticipo sui venti anni previsti: «Ciò fece un'ottima impressione negli ambienti anglosassoni ed ac-creditò la Fiat presso le banche italiane in modo anche maggiore, poiché possedeva riserve in dollari depositate oltre oceano». Non a caso, quindi, Soleri e Gronchi lo hanno recentemente sollecitato a recarsi negli Stati Uniti e in Inghilterra. Conclude la deposizione af-fermando che non desidera un ritorno alla Fiat, « che potrebbe avve-nire solo qualora l'autorità superiore lo richiedesse espressamente».

Il comportamento di Valletta fu quello di un normale imputato: sottolineare tutte le circostanze favorevoli, sfumare o smentire le cir-costanze sfavorevoli, citare i testimoni più opportuni. Nessuno dei commissari, viceversa, fece ricorso a documenti acquisiti negli archi-vi Fiat che potessero in qualche modo mettere in difficoltà l'impu-tato.

Lo stesso Valletta fu stupito della cortese equità manifestata dal-la Commissione, aldal-la quale non faceva certamente difetto dal-la capacità di valutare il suo caso tenendo nel giusto conto quanto stava acca-dendo alla Fiat e nel paese.

Il 28 agosto comincia la sfilata dei testi, che durerà fino alla fine di novembre. Si tratta di dirigenti, funzionari e operai della Fiat. So-no tutti unanimemente d'accordo nello scagionare Valletta dall'accu-sa di collaborazionismo. Alcuni lo accudall'accu-sano di aver favorito i fascisti nell'attribuzione di determinati posti, oppure gli imputano compor-tamenti a danno dei lavoratori: i termini delle contestazioni sono, co-munque, talmente generici da assumere ben scarso rilievo nel corso del procedimento. I testi sminuiscono anche l'importanza della XVIII Novembre: «i dipendenti della Fiat consideravano la XVIII Novembre come un sistema di imboscamento e ne approfittavano per non fare il servizio militare». Nessun «legionario» in realtà ave-va speciali libertà di circolazione per i reparti. A conferma delle co-perture offerte da Valletta, Ragazzi ricorda la battuta di un agente provocatore: «Quel Valletta è un potente parapalle». Viene sentito anche Rognetta, che offre la testimonianza più precisa e

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 183-200)