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Il potere degli amministratori

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 55-58)

Nel seguire l'itinerario del pensiero pedagogico vallettiano, ab-biamo per un momento perso di vista i suoi studi. Nell'ottobre del 1909, dopo un curriculum percorso senza incidenti, Valletta conse-guì la laurea presso la Scuola Superiore di Commercio di Torino, con una dissertazione su « La responsabilità degli amministratori del-le società anonime nell'erezione del bilancio». Presentò anche due sottotesi, una delle quali era dedicata all'organizzazione di una « cas-sa mutua cooperativa».

Gli argomenti scelti dal candidato Valletta rivelano i suoi interes-si. Da una parte la sua giovanile apertura ai problemi della società lo porta ad affrontare un problema di assistenza e tutela sociale; d'altra parte, la pratica dell'amministrazione aziendale lo mette di fronte ad un problema altrettanto fondamentale: la natura e la portata del po-tere degli amministratori.

Nella prima direzione troviamo un Valletta generosamente im-pegnato a predisporre varie tecniche per una più equa distribuzione della ricchezza. Nella seconda direzione viceversa troviamo un Val-letta autoritario, intransigente sostenitore della concentrazione dei poteri aziendali nelle persone degli «amministratori».

La trattazione di questo argomento, pur non discostandosi da una diligente rassegna di indirizzi e opinioni, lascia comunque intui-re alcune scelte di fondo maturate durante quel fruttuoso decennio di formazione personale, tra studio, lavoro e insegnamento. Il saggio di Valletta è dedicato per quasi due terzi alle funzioni e responsabili-tà civili e penali degli amministratori delle socieresponsabili-tà anonime nella for-mazione del bilancio, alla « chiarezza e verità del bilancio », alle di-verse forme di «oscurità e falsità del bilancio». Le grandi raccolte di materiali storici e legislativi, italiani e stranieri, di cui gli studi e l'atti-vità di Fabio Besta avevano dotato la biblioteca di Cà Foscari, con-sentirono a Valletta di condurre una analisi comparata di quella te-matica all'interno di diverse istituzioni di diritto commerciale, tra le quali Valletta privilegia per chiarezza e completezza quelle tedesche.

L'analisi di Valletta riecheggia fedelmente la notevole influenza esercitata dalla Germania sulla cultura italiana per tutto il periodo compreso tra il primo decennio postunitario e la prima Guerra Mon-diale. Oltre ad investire diversi settori della cultura, dalla filologia al-la musica, dalal-la medicina agli ordinamenti militari, questa influenza si era rivelata particolarmente forte in quello che venne chiamato « il germanesimo economico», cioè la politica protezionistica con tutto ciò che essa implicava, e nella stessa concezione degli istituti caratte-ristici dell'economia industriale. In particolare, nello scritto di Val-letta si ravvisano i segni del grande prestigio esercitato dalla teoria della supremazia degli interessi dell'impresa su tutti gli altri, in parti-colare su quello dei soci, dalla quale derivava il corollario del prima-to dell'organo amministrativo su quello assembleare.

Gli amministratori venivano investiti di un potere quasi assoluto, di fatto sottratto al giudizio della minoranza e responsabile solo nei confronti del gruppo di controllo. Valletta sottoscrive il punto di vi-sta secondo cui « il contenuto delle loro attribuzioni, nella gestione di un'impresa industriale o commerciale, è molto più esteso di quello che discende dal semplice mandato ». Anzi, il legislatore tedesco, in nome dell'« ufficio più elevato di tutela dell'ordine pubblico e di in-teressi più generali», riconosce agli amministratori un «ius imperii»: a differenza della legge italiana, «che limita la responsabilità degli amministratori a quella del pater familias, impone che i membri della direzione debbano portare nella loro gestione la diligenza di un ordi-nario uomo d'affari, della quale è poi garanzia, nei rapporti dei cre-ditori sociali e della Società stessa, la cauzione che è fatto obbligo agli amministratori prestare sotto pena di presunta rinuncia alla cari-ca». Ius imperii, dunque; l'amministratore non ha solo il compito di controllare l'avvenuta esecuzione e regolarità dei fatti amministrativi, ma li deve produrre. Gli atti non espressamente indicati nello statuto sociale e nel mandato non sono di per sé arbitrari: se lo fossero, si giungerebbe « alla conseguenza che gli amministratori non potrebbe-ro compiere il più futile atto di amministrazione, data l'impossibilità di una enumerazione tassativa negli atti costitutivi». Ammesso que-sto principio, secondo il quale i poteri dell'amministratore non pos-sono essere definiti a priori, i suoi atti risulteranno comunque leciti purché non siano in contrasto con lo « scopo della società e con i bi-sogni pratici di quel commercio che ne forma l'oggetto » e risulteran-no arbitrari solo se in evidente contrasto con tale scopo, quali « atti di liberalità per donazione, o per rinunzia ad un debito, di alienazio-ne, di ipoteca su un immobile della Società, che gli amministratori possano aver compiuto senza speciale autorizzazione dell'Assemblea

per atto pubblico ». Dunque, il potere degli amministratori, pur es-sendo espressione della volontà sociale sancita dagli atti costitutivi, se ne rende di fatto indipendente fin quando non emergano « fatti ed omissioni concrete da cui si ricavi la colpa e il danno».

I capisaldi del pensiero di Valletta sono molto espliciti. Dopo aver sottolineato come, a differenza del nostro Consiglio di Ammini-strazione, « il Vorstand tedesco cumuli i poteri degli amministratori e dei direttori delle nostre società », sottoscrive il punto di vista secon-do cui gli amministratori non sono di fatto responsabili di fronte al-l'assemblea. Gli interessi che si esprimono nell'assemblea sono in realtà subordinati agli interessi più ampi che gli amministratori stessi vengono a rappresentare; gli interessi dei costituenti sono in sottor-dine rispetto agli interessi dei beneficiari, cioè quelli dei dipendenti, della comunità civile e dei consumatori. Gli amministratori, in so-stanza, hanno l'obbligo di agire per il bene dell'impresa, intesa come organizzazione complessa che riunisce il capitale e il lavoro, tutelan-do gli interessi degli azionisti solo al fine di garantire il flusso degli in-vestimenti.

E legittimo chiedersi quale ruolo vengano ad avere gli azionisti in una società nella quale gli amministratori, dopo aver versato la loro cauzione, abbiano ricevuto una delega di poteri che assomma ad un

ius imperii. Lo dichiara esplicitamente lo stesso Valletta:

« Se gli azionisti di una società sono scontenti degli amministratori han-no facoltà di han-nominare un comitato con incarico di investigarne l'operato; eccellente idea, ma completamente ineffettuabile in pratica. Gli azionisti quale autorità generale, suprema, sono sconosciuti l'uno all'altro e non han-no mezzo alcuhan-no di giudicare dell'attitudine, della capacità e dell'indipen-denza di coloro cui affideranno tale mandato... Il Comitato di investigazione finisce così di essere composto di tronfie nullità, ciascuna delle quali ha un proprio interesse da salvaguardare, oppure è un amico degli amministratori o delle parti implicate »

Sulla base di queste premesse Valletta, « onde vedere superata la crisi che attraversano presentemente le nostre Società anonime», propone l'istituzione di « un giudice delegato alla tenuta del registro della Società e rivestito di poteri per la punizione delle infrazioni col-pose», seguendo gli esempi della legislazione inglese, svizzera e te-desca.

La scarsa considerazione per il ruolo e le capacità di iniziativa degli azionisti, trova peraltro riscontro nella citazione da un testo in-glese, con la quale si conclude il suo studio:

« L'apatia degli azionisti è notoria ed è proprio quella apatia a permette-re che si commettano le frodi. Ma non è soltanto quello. Pensano che le loro azioni funzionino come uno sportello di cassa e che non siano un investi-mento della stessa sorta di una casa o di un pezzo di terra. Nelle società ano-nime il solo pensiero degli azionisti è il reddito che ne ricaveranno. A loro non importa nulla delle frodi, finché queste non intaccano il prezzo di mer-cato delle loro azioni».

Con il trascorrere dei decenni, la considerazione di Valletta per la funzione dell'assemblea degli azionisti non era certo destinata ad aumentare.

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 55-58)