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Cooperazione, organizzazione, autorità

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 46-55)

Gli anni tra il 1909 e il 1911 sono il periodo di massima concen-trazione intellettuale. La Scuola Media Commerciale di cui Valletta è

Maurizio Quadrio (Ponte di Valtel-lina 1800-1876), commissario per la Valtellina del governo provviso-rio di Milano nel 1848. (Torino, Museo Nazionale del Risorgimen-to; Archivio Fotografico: «Esuli del 1849»),

La madre, Teresita Quadrio. Vittorio Valletta nell'infanzia geno-vese.

diventato direttore è un istituto prestigioso. Vi insegna oltre che lo storico Giuseppe Prato, autore di studi sul Settecento piemontese ancora oggi insuperati, anche uno studioso del calibro di Gioele So-lari. Vi insegna materie giuridiche, prima di essere chiamato all'Uni-versità di Cagliari. Più anziano di undici anni del suo direttore Vitto-rio Valletta, Solari aveva ormai raggiunto il pieno della maturità in-tellettuale e si cimentava nel suo poderoso lavoro di filosofo del dirit-to e di sdirit-torico delle dottrine politiche, con una visione del socialismo che forse non fu del tutto estranea agli interessi di Valletta.

Per Valletta era una responsabilità ben più ampia di quelle as-sunte precedentemente negli istituti privati e nelle scuole popolari. Il direttore della scuola aveva compiti molto ampi: era responsabile dell' amministrazione, della disciplina e delle condizioni igienico-sa-nitarie della scuola. Doveva anche organizzare la didattica in un pia-no coerente e funzionale all'inserimento professionale degli allievi e alla prosecuzione degli studi superiori. Doveva infine organizzare le attività collaterali della scuola, come le visiste agli stabilimenti indu-striali, la partecipazione a premi, esposizioni, concorsi.

In questo genere di attività, Valletta trovò pane per i propri den-ti. Il lavoro di direttore e insegnante infatti metteva in movimento, contemporaneamente, le sue vocazioni più spiccate: insegnare, orga-nizzare, comandare, suscitare energie ed entusiasmi. Nella scuola, in fondo, a Valletta capitò per la prima volta di essere un «capo». Riu-sciva ad essere contemporaneamente severo, ma anche amabile e persuasivo. Le sue lezioni vengono ricordate per chiarezza, semplici-tà, efficacia di esposizione e di sintesi.

Tra i meriti che vennero riconosciuti a Valletta (e non solo nella Scuola Media di Commercio) fu quello di avere introdotto e organiz-zato l'insegnamento del «Banco Modello».

Vincenzo Gitti e Giuseppe Broglia avevano ricavato i fondamen-ti e lo sviluppo di questa disciplina dagli studi di Besta e di Enrico Castelnuovo, successore di Ferrara alla direzione della Scuola di Ve-nezia, una singolare figura di romanziere tardoromantico votatosi poi all'insegnamento della ragioneria. Gitti e Broglia furono i primi a tentare di diffondere nelle scuole commerciali di Torino l'insegna-mento di questa disciplina, ma con risultati modesti, almeno inizial-mente. Gitti si era trovato imprigionato nelle strettoie dei programmi ministeriali, che lasciavano poco tempo per le innovazioni. Broglia, nel 1902, aveva organizzato l'impianto del «Banco Modello» presso la scuola di commercio « Cristoforo Colombo », che all'inizio del se-colo, a Torino, rappresentava l'avanguardia dell'insegnamento com-merciale di grado medio-superiore. Comprendeva un biennio

intro-2. BAIRATI, Valletta.

duttivo e un secondo biennio « internazionale », con un anno di stu-dio e lavoro in Francia e uno in Germania. Aveva tuttavia escluso dai suoi programmi « la simulazione di una vasta azienda con una com-pleta distribuzione dei vari uffici» e soprattutto «l'esercizio in una scuola di una vera azienda».

Non clamorose, ma comunque significative furono le correzioni che Valletta apportò allo schema predisposto da Broglia. Di natura eminentemente pratica, le esercitazioni di « Banco Modello » svilup-pavano, come si legge nelle dispense del corso tenuto da Valletta presso la Regia Scuola Media Maschile di Commercio nel 1908-9, «il funzionamento di aziende fittizie, le quali debbono agire in ogni loro ufficio dando all'allievo l'illusione, per quanto possibile perfetta, di trovarsi in una vera e propria azienda e di assolvere ogni incombenza ad essa relativa».

Si precisava anche che «debbono avervi maggior risalto e com-pleto sviluppo l'azienda mercantile e quella industriale», mentre la simulazione dell'azienda bancaria deve limitarsi « alla funzione prin-cipale di deposito e sconto». In questo modo, accanto alla contabili-tà in senso stretto, si aggiungeva e coordinava l'insegnamento degli elementi basilari dell'organizzazione aziendale. Una prima serie di esercitazioni doveva illustrare la preparazione legale, il lavoro dei promotori, la raccolta dei capitali, la costituzione finanziaria e forma-le dell'azienda, la definizione di un piano amministrativo generaforma-le e l'impianto fisico dell'ente. Una seconda serie di esercitazioni prevista dallo schema predisposto da Valletta comprendeva il funzionamento tecnico dell'azienda, l'organizzazione contabile e amministrativa del-le singodel-le parti, per giungere aldel-le varie fasi e adempimenti dell'eserci-zio aziendale, con la chiusura finale, fusione, liquidadell'eserci-zione e falli-mento.

Dalla definizione generale della dinamica aziendale, si passava poi alla simulazione dei tre tipi di azienda (industriale, mercantile, bancaria), per poi passare all'impianto di alcuni casi concreti, con re-lative esercitazioni pratiche. Vennero istituite, per esempio, una azienda importatrice di carboni retta da società in nome collettivo, con sede in Torino e deposito supposto in Genova, una cartiera retta da una società in accomandita semplice e una Banca di Deposito, sorretta da una società anonima. I dati e le informazioni necessarie per l'impianto delle aziende derivavano, in parte, dai «raccoman-danti », cioè gli operatori commerciali, bancari o industriali che ave-vano appoggiato l'iscrizione alla scuola di loro dipendenti o figli, in parte da un archivio di materiali di tecnica commerciale e da una col-lezione di studi e perizie tecnico-amministrative. L'uno e l'altra

veni-vano tenuti aggiornati con pubblicazioni e materiali acquisiti da Val-letta nell'esercizio della professione.

I risultati di queste esercitazioni vennero anche diffusi all'ester-no. Per esempio, nell'estate del 1910, Valletta è impegnato a rac-cogliere i saggi scritti dai suoi studenti di «Banco Modello» su temi riguardanti particolari tipi di azienda, a leggerli e discuterli con gli interessati per poi inviarli alla competente commissione dell'Esposizione Internazionale che si sarebbe tenuta a Torino nel 1911 per il cinquantenario dell'Unità d'Italia. Significativi i temi scelti da alcuni suoi allievi, che portavano nomi già illustri nel mondo commerciale e industriale: Giuseppe Contratto presentò un saggio sul tema Uno stabilimento vinicolo; Alberto Rivetti si cimentò sul Funzionamento di un'azienda industriale per la

fabbri-cazione dei tessuti di lana.

Con lo studio dei lineamenti generali della ragioneria e delle tec-niche contabili, la scuola di commercio trasmetteva gli strumenti ba-silari del controllo economico aziendale; con l'insegnamento del « Banco Modello », Valletta propose un modello di operatore azien-dale che, sia pure su scala ridotta, prefigurava una delle sue caratteri-stiche di dirigente industriale: la capacità di cogliere il flusso della vi-ta aziendale attraverso una visione sintetica e articolavi-ta, coerente e dettagliata dell'attività dell'impresa nei suoi singoli momenti.

Questo lavoro di simulazione del funzionamento di un'azienda esigeva continuamente chiarezza e ordine nell'esposizione, fantasia nella postulazione di situazioni fittizie e un certo senso di teatralità istrionesca, che a Valletta non faceva e non avrebbe fatto mai difetto. Queste doti didattiche trovano peraltro riscontro nel grande quader-no di appunti per gli anni scolastici 1905-8, custoditi da una sua al-lieva del Regio Istituto Internazionale. Nel trasmettere la sua ricca e versatile cultura amministrativa, il giovane insegnante non trascura gli elementi essenziali di diritto del lavoro, la legislazione sociale e i rudimenti della gestione del personale. Dedica anche un'attenzione particolare alla struttura e al funzionamento delle società cooperati-ve, con marcati accenti di impegno sociale e democratico. Sui « forni cooperativi», per esempio, sottolinea:

« Sono una sottospecie delle cooperative in genere e la loro istituzione viene facilitata dal concorso di enti morali, quali istituti di beneficienza, ope-re pie, comuni proventi, i quali tendono appunto a favoriope-re la costituzione dei forni cooperativi, perché una certa zona, povera di mezzi finanziari non abbia a cadere tra le spire della speculazione per parte di finanzieri o abili impresari; cosicché i forni cooperativi fabbricano pane con grano fornito

dai soci, provvedendo poi a fornire il pane stesso fra i soci in ragione del grano o della farina portata».

Se r insegnamento gli riservava queste soddisfazioni, le sue fun-zioni di direttore gli diedero l'occasione di trasmettere agli studenti messaggi ed esortazioni di ordine più generale. Su questo piano si colloca la sua costante esortazione a favore della cooperazione. Nel 1909 fa circolare un suo saggetto dal titolo Cooperazione e mutualità

scolastica. Non è frutto di studi originali, ma riassume alla buona gli

articoli pubblicati negli anni precedenti sulla cooperazione de «La Riforma Sociale », alla quale il collega Giuseppe Prato già collabora-va. Come considerazione generale, rileva che «la fortuna incontrata dal movimento cooperativistico sia dovuta in gran parte, oltre che al-le al-leggi economiche di eliminazione del profitto, all'idea filantropica che l'anima e ne consente e ne soccorre l'attuazione». Addita come esempio «la meravigliosa fioritura per tutto il mondo di quella po-tentissima, sebbene irregolare, Società Cooperativa che è la Salesia-na». Sulla scorta di queste riflessioni «abbiamo pensato alla necessi-tà di introdurre... anche nella scuola i primi concetti e le prime appli-cazioni pratiche della cooperazione, parendoci questa, la scuola, la sede più adatta alla sua divulgazione». Se i giovani impareranno sui banchi di scuola il valore e la pratica della collaborazione e della ra-zionale utilizzazione delle risorse messe volontariamente in comune, «l'avvenire della cooperazione sarà assicurato e coll'awenire della cooperazione l'avvenire della patria». I benefici della cooperazione non si arresteranno alla scuola: «Dove così grande è l'analfabetismo, dove i latifondi strozzano l'agricoltura, dove la malaria stende il de-serto per intere contrade, non si può trascurare l'aiuto che a questi mali potrebbe derivare dalla cooperazione saggiamente aiutata e ap-plicata su vasta scala». Lancia quindi un appello a raccogliere le for-ze per creare una grande federazione cooperativistica tra tutte le scuole medie e superiori di commercio, le scuole professionali ed agricole. Organizzate su questa base, si chiede il direttore Valletta, « quale aiuto avrebbero esse ancora da invocare dalla carità dei priva-ti e dallo Stato?».

L'organizzazione cooperativistica, dunque, nel 1909, viene con-siderata da Valletta come la strada maestra del rinnovamento sociale. Sulla base di questa premessa, incluse nella struttura dell'istituto il nucleo di una cooperativa che doveva gestire un proprio fondo per l'acquisto di materiali di studio, attrezzature sportive, divise e articoli vari. Doveva anche provvedere alla diffusione di informazioni relati-ve alle possibilità di inserimento professionale dei futuri diplomati.

Un consiglio di studenti aveva il compito di amministrare i fondi del-l'associazione cooperativa. Il direttore si riservava il diritto di selezio-nare gli allievi destinati a questi compiti. Nel corso delle esercitazioni di «Banco Modello» illustrò anche il funzionamento dell'associazio-ne « seguendo le norme suggerite per le grandi aziende cooperative ».

Nella relazione presentata da Valletta alla Giunta di Vigilanza al-la fine dell'anno scoal-lastico 1909-10, il direttore espresse in forma leg-germente diversa le sue convinzioni. Con le grandi conquiste liberali del Risorgimento, sono definitivamente tramontati gli ideali aristo-cratici e sulla scena sociale è emerso «il cittadino». La scuola si è co-sì data un nuovo orientamento, «un nuovo ideale eminentemente democratico, mediante la formazione del cittadino conscio dei diritti e degli obblighi che la società gli assegnerà ». Nello stesso tempo lo « sviluppo economico » ha moltiplicato le occasioni di partecipare al lavoro produttivo e la scuola, seguendo una nuova tendenza « econo-mico-utilitaria », si è assunta il compito specifico di curare « la forma-zione del produttore». Nell'ordinamento scolastico, quindi, l'esigen-za più urgente è quella di affiancare all'insegnamento specifico di un mestiere o di una professione « un'educazione di carattere generale», che formi l'uomo e il cittadino, elemento e parte del complesso orga-nismo sociale della Nazione, ...di quel movimento associativo che è fattore primo del progresso individuale e collettivo».

Nel pensiero di Valletta la pedagogia cooperativistica doveva fornire gli elementi essenziali di questo incontro tra il cittadino e il produttore. Non meno significative sono le scelte che Valletta impo-ne impo-nei programmi scolastici relativi al livello più geimpo-nerale della for-mazione civile. Viene scelto il testo classico della letteratura popolare ottocentesca: Samuel Smiles. Autore prolifico di romanzi a tesi e ma-nuali di economia popolare, era giunto al culmine della sua gloria con Self-tìelp, tradotto in italiano con il titolo Chi si aiuta, Dio lo

aiu-ta e con l'ammiccante sottotitolo: ovvero, storia degli uomini che da nulla seppero innalzarsi agli alti gradi di tutti i rami dell'umana attivi-tà. Valletta aveva dunque scelto proprio il meglio, la fonte di quella

copiosa narrativa di massa che aveva trovato la sua variante italiana in Volere è Potere di Michele Lessona ed era giunta a costituire, in-sieme ai manuali Hoepli, una delle vie attraverso cui la piccola e me-dia borghesia si raffigurarono la società industriale e vi riaffermarono i propri valori: lavoro, sacrificio, risparmio, sobrietà, perseveranza, autocontrollo. Era un'etica che prescriveva soprattutto rinunce e im-pegni; un'etica, è stato osservato, del dovere più che del successo.

Per quanto riguarda l'economia politica, seconda disciplina della

formazione del cittadino, Valletta fece una scelta altrettanto signi- , ^Ì'N 4 %

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ficativa: i Principi di Economia Politica di Charles Gide, un teorico del movimento cooperativo, indicato da Valletta come originale fon-datore di un cooperativismo efficiente e dinamico, capace di conci-liare «l'impresa» con le «tendenze filantropiche».

Ma tutti questi ingredienti pedagogici sarebbero rimasti alquan-to insipidi se il diretalquan-tore non vi avesse aggiunalquan-to una dose eccitante di forte nazionalismo. Il 5 giugno 1910, alla presenza del senatore Ma-razio, della Giunta di Vigilanza, degli insegnanti e degli studenti, Valletta apre la cerimonia dell'Inaugurazione della Bandiera della Scuola con un discorso che, di lì a poco tempo, avrebbe potuto fare invidia alla «Grande Proletaria» di Giovanni Pascoli:

« O giovani, salutate la vostra bandiera! Sia essa il simbolo di fratellanza fra voi che insieme sedete al desco della scienza. E questa fratellanza non sia che un anello di quella catena che tutta deve unire l'italica gioventù. Pensate che in tempi, ormai sacri alla Storia del nostro Risorgimento, altri giovani, cui sorridevano, come a voi, le gioie della vita, hanno sacrificato queste gioie per giungere all'ideale supremo della Redenzione della Patria e dall'Alpe al Mare veder sventolare il vessillo tricolore ».

Il direttore volle rievocare la memoria degli studenti di Curtato-ne e Montanara, del «geCurtato-nerale Garibaldi» che con animo geCurtato-neroso cedette al Re Vittorio Emanuele II il regno e la Patria unita; Carlo Alberto, « il principe che, per ricercare e promuovere il bene del suo popolo, gli elargiva quelle civili riforme che valevano a togliere gli antichi privilegi e a rendere tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge, senza differenza di censo, di casta, di religione»; il conte Camillo Benso di Cavour, che seppe trasformare « il pensiero e l'apostolato di Mazzini, la lealtà e il valore di Re Vittorio, l'eroismo di Garibaldi, il pensiero e l'impeto e i deliri e il sangue dei pensatori e dei cospirato-ri e dei marticospirato-ri in forza ordinata, che spezzò le resistenze e vinse le ripugnanze dell'Europa». Né poteva mancare il dovuto ossequio « al nostro Presidente, il Senatore Annibale Marazio, il quale consacra ora tutte le sue cure all'educazione e all'istruzione di voi giovani». L'eredità ideale del Risorgimento non doveva quindi essere rovinata dall'ignoranza e dalla discordia:

« Figli non degeneri di una stirpe d'eroi, sappiate custodire il tesoro da essi lasciatovi... E poiché oggi l'Italia tiene uno dei primi posti fra le nazioni civili, spetta a voi far prosperare le arti, le industrie, il commercio del vostro paese. Non saranno più le lotte cruente, ma nobili gare fra nazione a nazio-ne, le quali emulando quanto v'è di buono e di grande in ciascuna di esse, spingeranno sempre più innanzi il progresso... per il benessere della Na-zione ».

Da queste esortazioni, spogliate della retorica che le anima, emerge un tema caratteristico: la nuova società industriale in via di sviluppo ed espansione vista come nuova Patria, degna erede della vicenda risorgimentale. Dal pensiero di Valletta questa vena di na-zionalismo democratico e popolare non svanirà mai, anzi si arricchi-rà di nuove linfe e trovearricchi-rà anche formulazioni più sobrie.

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 46-55)