• Non ci sono risultati.

Salvare gli uomini

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 160-163)

II. In guerra, a Torino

2. Salvare gli uomini

«Salvare gli uomini»: era una delle consegne lasciate dal senato-re Agnelli nei suoi ultimi interventi in Consiglio d'Amministrazione.

Non più un ordine, ma un'esortazione. La Fiat si adoperò per sot-trarre i suoi uomini, gli ex-militari «fedeli all'Italia nazionale», chiunque si trovasse in età di leva, alla deportazione o alla detenzio-ne detenzio-nelle carceri o detenzio-nei comandi germanici, fin dagli inizi dell'occupa-zione tedesca.

La via più ovvia e sicura era quella di concordare gli esoneri delle classi di leva che dovevano essere chiamate o richiamate in base al-l'accordo italo-tedesco siglato il 21 maggio. Hitler aveva preteso che un milione e mezzo di lavoratori italiani venissero trasferiti in Ger-mania. Mussolini glieli aveva promessi, nella speranza di salvare le sorti del suo governo inesistente. A metà di giugno, come si è visto, Valletta aveva strappato qualche concessione da Leyers, relativamen-te a 1.200 operai Fiat apparrelativamen-tenenti a quelle classi.

Una seconda strada percorsa dalla Fiat per tenere a Torino, o al-meno in Italia, i potenziali candidati alla Germania fu quella dell'as-sunzione. La Fiat, bene o male, era pur sempre un'industria di «vita-le» interesse per la produzione bellica e, impegnando fittiziamente gli assunti a Torino o nelle fabbriche di riserva (Baraggia Vercellese, Novara, Pisa, Firenze), li si poteva accreditare come produttori di ar-mamenti. Circolavano con un tesserino bilingue, che serviva da la-sciapassare. Si trattava in molti casi di partigiani e di militanti politi-ci. Qualcuno di loro ebbe problemi con la polizia tedesca e Valletta ricevette lettere di questo tenore dal colonnello Tesch:

« Gentilissimo signor professor Valletta,

mi rincresce veramente, dopo attento esame, di non poter cambiare quanto deciso, malgrado il Suo intervento, nella questione degli 86 operai, ai quali durante un'operazione di polizia nella fabbrica è stato tolto il lasciapassare bilingue per essersi assentati dal lavoro. Al contrario debbo insistere su quanto detto e pregarLa di eseguire quanto disposto e licenziare in tronco gli 86 in questione».

Valletta non rispose né sì né no, trasmise « un elenco di 23 operai la cui assenza è giustificata ed ai quali quindi, come con Voi d'accor-do, non deve essere applicato il provvedimento del licenziamento » Tre giorni dopo trasmise un «ulteriore elenco di 26 operai, ai quali è stata ritirata la tessera di riconoscimento e che hanno giustificato l'abbandono del posto di lavoro nelle lettere allegate, che noi appog-giamo». Una terza lettera, senza dare molte spiegazioni, chiudeva il conto: «ritengo che sia giusto che anche ai 37 operai restanti sia evi-tato il licenziamento, con riferimento a quanto ho avuto il piacere di esporLe a voce».

« Salvare gli uomini » significò anche sottrarre rastrellati, fermati, arrestati dai luoghi di detenzione in cui venivano tenuti e interrogati dagli ufficiali tedeschi: la caserma di Via Asti o l'Albergo Nazionale, sede della polizia tedesca; oppure il comando di Saluzzo, in provin-cia di Cuneo; oppure la Questura o le Carceri Nuove nel centro di Torino. Il compito era delicato, Valletta lo aveva affidato ad alcune persone che se ne assumevano l'intera responsabilità. Queste si reca-vano presso i comandi, cominciareca-vano ad interessarsi dei detenuti, fa-cevano balenare la possibilità di qualche favore agli ufficiali ed otte-nevano l'archiviazione delle pratiche, il rilascio immediato; se del ca-so, una benevola disattenzione atta a favorire la fuga.

Alla fine del 1944, Valletta ricevette un rapporto riservato su questo tipo di attività. Era firmato da Roberto Navale, l'ex-ufficiale del Servizio Informazioni Militari già implicato nell'uccisione dei fra-telli Rosselli, poi assunto dalla Fiat come Direttore del Servizio di Sorveglianza. Da questo rapporto risulta che, su 2480 dipendenti Fiat fermati «in seguito a rastrellamento o per altri motivi dal 1° maggio al 31 dicembre 1944», 1147 erano stati liberati «per interes-samento del Servizio di Sorveglianza», 1180 «per interesinteres-samento dell'Ufficio Germania». Sugli altri casi, 97 erano ancora in corso di definizione; in 56 casi si erano avuti «interventi inefficaci per tardiva segnalazione». 1200 operai che si trovavano alla fine del 1944 a sver-nare a Riva del Garda, stando ad un documento dell'OSS, in buona parte erano stati ospiti delle carceri tedesche, come risulta anche dai rapporti riservati che Valletta riceveva dal suo incaricato (un perfetto bilingue, già operaio delle Ferriere). Per esempio, quello del 10 no-vembre 1944: «Essendo stati informati che diversi nostri dipendenti ed ex-dipendenti erano trattenuti (perché partigiani o per altri moti-vi a noi ignoti) alle Carceri Giudiziarie dalle autorità germaniche, ab-biamo preso contatto telefonicamente con il competente comando tedesco di Saluzzo... ». Dopo 11 giorni di trattative con il comandan-te della sezione di Polizia di Saluzzo, colonnello della Quinta Divi-sione di Montagna, l'incaricato di Valletta era giunto a questo accor-do: «un gruppo di 15 lavoratori (di cui si allega elenco) verrà conse-gnato sotto scorta alla Fiat-Mirafiori - Ufficio Germania - che dovrà provvedere per l'assunzione per Riva del Garda». Inutile dire che l'entità e la provenienza delle somme per queste operazioni sono un mistero che non si riesce a strappare né dai documenti scritti né dalla memoria dei testimoni superstiti.

In alcuni casi, i detenuti liberati per interessamento di Valletta avevano nomi già illustri, o quasi. Ci fu, tra questi, l'avversario di trent'anni prima, al tempo del processo contro Giovanni Agnelli:

Bruno Villabruna, divenuto podestà di Torino durante il governo Badoglio. Valletta lo ricorderà come « la sola autorità cittadina rima-sta coraggiosamente al suo posto, a collaborare con la Fiat nella dife-sa degli operai e dei cittadini ». Ci fu anche Aurelio Peccei, funziona-rio Fiat nella Direzione Affari Speciali, con un'ampia esperienza in-ternazionale, particolarmente in Estremo Oriente. Gino Pestelli, nel suo diario, lo ricordò così:

«Giovane distinto, colto. E un liberale. Membro del C.L.N. ha congiu-rato per la causa della liberazione con coraggio e costanza. Molti mesi di carcere. Seviziato e torturato, non ha parlato. Comportamento stoico. Un animo forte. Valletta ha fatto molto per la sua liberazione, che è di pochi mesi fa. Ricordo la visita del padre di Peccei a Valletta, quando il figlio era ancora nelle mani dei torturatori di Via Asti. La distinzione, l'impietrito do-lore di quel padre, degno del figlio ».

Stando alle memorie di Mario Dal Fiume, ci fu anche un interes-samento di Valletta per il caso di Domenico Riccardo Peretti Griva, antifascista, primo presidente della Corte d'Appello di Torino. Nel 1945 diventerà Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo.

Infine, nell'emergenza dell'occupazione tedesca, Valletta non fe-ce mancare il suo aiuto personale ai molti collaboratori, amici e co-noscenti di religione ebraica. Gli aiuti in questa direzione vennero organizzati secondo un piano preciso e affidati da Valletta a Carlo Bussi, uno dei fidati esecutori dei compiti più riservati. Luciano Jo-na, l'amico ed erede dello studio professionale di Valletta, ricordò nelle sue memorie la collaborazione stabilitasi tra la Fiat e Don Pie-tro Ricaldone, Rettor Maggiore dei Salesiani, nel proteggere numero-se famiglie ebraiche e nel garantire loro il modo di sopravvivere.

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 160-163)