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Sotto i bombardamenti

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 134-160)

II. In guerra, a Torino

7. Sotto i bombardamenti

Tra il 18 novembre e il 10 dicembre del 1942, a Torino toccò lo stesso trattamento riservato nel mese di ottobre a Genova e Milano. Torino venne bombardata con una intensità senza precedenti. In quei 22 giorni, sul capoluogo piemontese si rovesciò una massa di bombe pari a quella di tutti i primi 900 giorni di guerra. La Fiat fu l'obiettivo principale. I comandi anglo-americani la consideravano, giustamente, uno dei centri vitali dell'industria bellica italiana. Ma, certamente, ne esageravano l'importanza, anche sulla base di infor-mazioni e di valutazioni riservate notevolmente lontane dalla realtà. Questo spiega, almeno in parte, l'estrema durezza dei bombarda-menti. In un documento segreto dell'OSS, predisposto in vista degli attacchi arei e corredato da una descrizione dettagliata degli stabili-menti Fiat con tanto di documentazione topografica, si leggono que-sti giudizi: «Si deve ricordare che il fattore di convertibilità di una fabbrica che produce automobili alla produzione di guerra è eccezio-nalmente alto... La Fiat, dopo il 1939, ha avuto un'espansione gigan-tesca ed è stata convertita al 100 per cento alla produzione di guer-ra...». In particolare, l'informatore riteneva che lo stabilimento di Mirafiori, « essendo stato costruito in un periodo di preparazione alla guerra, non aveva avuto bisogno di alcuna conversione... E quindi evidente che... la Fiat deve essere messa al primo posto della lista».

Il prezzo che la Fiat dovette pagare per il contributo dato allo sforzo bellico, e per i benefici ricavati, fu quindi molto elevato: oltre ai danni e alle distruzioni subite dagli stabilimenti, vennero colpite trentotto aziende collegate. Il 3 dicembre 1942, facendosi portavoce della città colpita e mettendo bene in vista il ruolo che la Fiat avreb-be potuto svolgere per essa, Valletta scrive a Thaon di Revel. La pro-sa è la solita, incerta nella sintassi, approssimativa nel lessico ma pe-rentoria nella sostanza:

« In relazione ai provvedimenti di eccezione che devono essere adottati per facilitare i problemi urgenti che investono la popolazione e le industrie della città oggetto dell'offesa dei bombardamenti nemici, ci permettiamo di fare presente come tali provvedimenti debbono avere effettivo carattere di eccezionalità e di sgravio, in modo da facilitare la soluzione dei problemi di natura complessa che investono tale città, sia nel campo dell'assistenza ai

si-nistrati, sia in quello tendente ad assicurare la continuità del lavoro, il vetto-vagliamento e la ricostruzione. Facciamo quindi presente la necessità delle massime agevolazioni, in modo che senza le attuali restrizioni di carattere fiscale e burocratico sia possibile:

- la costituzione di società commerciali agli effetti anzidetti

- l'acquisto di casamenti, cascinali, terreni, tanto più se bonificabili e incolti, senza il pagamento del plusvalore

- l'acquisto di azioni per ottenere il possesso di società o la maggioranza senza l'obbligo del contemporaneo investimento di pari importo in Buoni del Tesoro speciali al 3 per cento (la presente facilitazione è chiesta sia per assicurarsi il possesso di beni ospedalieri per il ricovero di sinistrati, am-malati o comunque minorati dalle recenti incursioni, sia per assicurarsi il possesso di aziende agli effetti del decentramento industriale)

- e infine tutte quelle provvidenze di carattere fiscale e finanziario che per-mettono la realizzazione di concrete iniziative...».

Non siamo in grado di valutare gli effetti concreti di questo ap-pello. E certo, comunque, che i bombardamenti dell'inverno 1942-43 segnarono una svolta nella politica di Valletta. Come risulta chia-ramente dalla lettera a Thaon di Revel, egli non considera più la Fiat una semplice azienda fornitrice dello Stato, ma anche una sorta di comitato di salute pubblica destinato a surrogare, nell'opera di assi-stenza della città, i latitanti poteri pubblici.

I bombardamenti avevano colpito Valletta anche personalmente: l'8 dicembre 1942, lo stabile di Via Garibaldi23, che era stato il luogo di nascita delle sue fortune personali e professionali, venne bombardato e distrutto. Elesse allora a propria fissa dimora uno stanzone del piano se-minterrato di Mirafiori, dove si accampò insieme ad altri due direttori. Vi trascorse le notti più difficili della guerra. La sua vita personale, che già da alcuni anni si riduceva a rari e fugaci ritagli di tempo dedicati alla madre e alla figlia, svanì nella marea degli eventi bellici e delle più ampie responsabilità che la situazione lo chiamò a sostenere.

Giovanni Agnelli seguiva le vicende della Fiat in guerra con il so-stegno delle risorse fisiche e psicologiche che gli restavano. Presen-ziava ancora ai Consigli di Amministrazione e ai Comitati Direttivi; ma interveniva soprattutto per ammonire ed esortare. La responsabi-lità di tenere insieme la Fiat e gestirne la sopravvivenza in vista di tempi migliori cadde interamente su Valletta, che la seppe portare con coraggio, spregiudicatezza e chiaroveggenza, con la capacità di utilizzare i disegni altrui a vantaggio della Fiat, sul filo di una diplo-mazia spericolata, al servizio dell'azienda e della città.

I bombardamenti sulla Fiat del novembre del 1942 sanciscono la fine dei rapporti di convenienza tra la Fiat e il governo fascista. Il 2

dicembre 1943 l'ambasciata americana a Berna, sulla scorta di infor-mazioni riservate ricevute da un informatore in Italia, trasmette un telegramma al Dipartimento di Stato nel quale è compreso un elenco di «italiani influenti» disposti a collaborare con gli Alleati: il primo della lista è il «Comm. Giovanni Agnelli» di Torino.

L'attacco dell'aviazione angloamericana, seguito a quelli di Ge-nova e Milano, era ampiamente prevedibile. Dai diari di Gino Pestel-li, capo dell'Ufficio Stampa e Propaganda della Fiat dal 1928, si rica-vano gli elementi essenziali del piano predisposto da Valletta per l'e-ventualità, ormai scontata, di un'emergenza generale. Tra il 21 no-vembre e il 31 dicembre 1942 Valletta concretò questo piano di emergenza, dettando alcune centinaia di disposizioni che coordina-vano le misure assistenziali della Fiat con gli sforzi della cittadinanza e delle organizzazioni sociali della città. A Torino, la Fiat era sempre stata una specie di entità separata dal corpo sociale, tanto da dare credibilità a quanti sostenevano che «la Fiat è ammirata all'estero, tollerata in Italia e odiata a Torino». I tragici eventi della guerra fu-rono indubbiamente momenti di incontro tra l'azienda e la vita citta-dina. In quelle circostanze, vennero stabiliti accordi con l'Alleanza Cooperativa Torinese per la pianificazione e la distribuzione del pa-ne alla città e per l'estensiopa-ne degli Spacci Alimentari Fiat, creati pa-nei principali centri di sfollamento e all'interno degli Stabilimenti. Ven-ne allora creata la catena delle cosiddette «miVen-nestre Fiat»: la qualità viene sacrificata alla quantità. «Monotone, ma nutrienti», osservava Pestelli. Gli Spacci Aziendali distribuiscono, a prezzo di costo, bian-cheria, vestiti, stoffe e calzature. Si predispone anche un servizio di fabbricazione rapida di «mobili-tipo» per i sinistrati più gravi. Un accordo speciale viene stipulato con la Milizia Forestale e il Consor-zio Agrario per l'acquisto e la raccolta della legna da ardere. Le di-sposizioni di Valletta comprendono anche l'istituzione di Uffici e Servizi d'Informazione e Consulenza per la denuncia dei danni, gli approvvigionamenti e i trasporti. Le Colonie Fiat di Ulzio, Misano Adriatico e Marina di Massa ospitano figli dei dipendenti e dei sini-strati; vengono anche istituite improvvisate ma funzionanti scuole elementari. Vengono create una ventina di linee di servizi camionisti-ci per lo sfollamento in un raggio di 30-40 chilometri. Presso le par-rocchie, si organizzano depositi di generi alimentari. Durante l'occu-pazione tedesca, un parroco e un funzionario della Fiat, Giovanni Allia, vengono arrestati per aver imboscato «patate Fiat». Un'atten-zione particolare viene riservata ai dirigenti, funzionari e impiegati Fiat, che vengono sistemati nei pressi della città in una serie di vil-le appartenenti ad una Casa di Cura. Valvil-letta vil-le acquistò in

blocco e vi sistemò i collaboratori sinistrati: dovette anche superare la resistenza di qualche dirigente non disposto a vivere in uno spazio, per le sue abitudini, troppo ristretto. Per l'occasione, il complesso delle Ville Roddolo, che fino ad allora erano state destinate alla cura delle malattie nervose, viene ribattezzato « la ca' dèi mat » (la casa dei matti): «un ambiente tra il collegiale e il monastico», scrive Pestelli. C'è anche un teatro e un cinema. Valletta vi si reca ogni tanto ed esorta i suoi dirigenti con sentenze che riflettono la solidità e sempli-cità delle sue convinzioni:

«Pagare di persona; solo chi affronta il fuoco, chi si butta nel fuoco può parlare chiaro e forte; rendersi conto personalmente delle cose, andare sul posto, muoversi, interrogare la gente; non temere, non disdegnare la colla-borazione degli altri, anche dei minori, sollecitarla; non avere stupide gelo-sie e suscettibilità di grado, di ufficio; non nasconderci, non nascondere le difficoltà; non scaricare il lavoro e le responsabilità; i dirigenti, i capi devo-no dare l'esempio nel reagire allo stato d'animo più pericoloso: l'apatia, la stanchezza morale, la supina rassegnazione al peggio; i direttori marciano in automobile, ma faranno bene a ragionare senza macchina, a piedi, come de-vono andare gli impiegati e gli operai».

Nel segno della solidarietà cittadina, la direzione della Fiat, attra-verso l'iniziativa di Gian Carlo Camerana, interviene con un contri-buto finanziario di un milione per la ricostruzione della sede della Casa Editrice Einaudi, colpita dai bombardamenti nel novembre. L'IFI, la Finanziaria del gruppo costituita nel 1927, fa resistenza a questa erogazione di fondi: Valletta si impone, e la somma viene sborsata.

Questo complesso di iniziative accreditò Valletta come persona-lità politica. Ma, naturalmente, non si dimenticò di essere, prima di tutto, il capo della Fiat. Con lo « stato maggiore » predispose un pia-no di organizzazione aziendale d'emergenza. Consisteva essenzial-mente in un programma di decentramento che comprendeva la co-stituzione di stabilimenti di riserva nella Baraggia Vercellese per le produzioni di guerra: carri armati, automezzi militari, motori d'avia-zione, a cura della Fiat e a carico dello Stato, per una spesa comples-siva di 400 milioni di lire.

Ad uno dei direttori centrali Fiat, che ammirava molto la ef-ficienza tedesca e vantava pubblicamente un'improbabile confidenza con il Fùhrer, questo piano pare insufficiente e improvvisato, nean-che paragonabile alle grandiose « selve di stabilimenti » costruite nel-la Germania bombardata. Il modello tedesco, peraltro, era stato se-gnalato come esempio da Renato Ricci, Ministro delle Corporazioni,

giunto a Torino il 23 novembre, dopo i bombardamenti, per rimpro-verare duramente a Valletta l'eccessiva concentrazione degli stabili-menti Fiat e la mancata tempestiva adozione di misure d'emergenza. In un successivo colloquio con Mussolini, a Palazzo Venezia, Vallet-ta gli estorcerà l'approvazione del piano, con il relativo sVallet-tanziamento statale; non senza ricordargli gli ostacoli frapposti alla progettata co-struzione di uno stabilimento sotterraneo nei pressi di Firenze. Negli stessi giorni, Valletta affrontò anche gli esponenti del regime. Vallet-ta ricorderà più Vallet-tardi queste circosVallet-tanze, in particolare l'atteggia-mento « energico » della direzione Fiat

«nei confronti dei Ministri e gerarchi che venivano a curiosare tra le ro-vine. A più di un Ministro e a più di un generale (Maravigna, responsabile della difesa antiaerea) accorso ad incolpare gli altri delle loro manchevolez-ze, la Direzione Generale della Fiat diceva chiaro e forte lo schifo proprio e della cittadinanza con frasi che nessun altro avrebbe certo potuto pronun-ciare, con ogni rischio correlativo».

Ministri e gerarchi, in teoria, non avevano proprio tutti i torti: il complesso produttivo Fiat, con la sua gigantesca estensione, era estremamente vulnerabile. Solo la sorte volle che molte bombe desti-nate a Mirafiori non andassero a segno e i danni più gravi si verificas-sero nella Palazzina degli uffici. Il Lingotto e la SPA, la fabbrica di autocarri, subirono viceversa danni molto gravi. Ma nemmeno Val-letta aveva tutti i torti: i progetti di costruzione di uno stabilimento sotterraneo a Firenze, già predisposti nel 1937, erano stati ritardati e neutralizzati da un governo che, agli occhi dei dirigenti Fiat, preten-deva di vincere la guerra con poco sforzo e molte parole. In mancan-za di un piano d'emergenmancan-za vero e proprio, Valletta e i dirigenti della Fiat avevano ampliato la rete dei ricoveri sotterranei e avevano invo-cato dalle competenti autorità militari, fin dall'inizio delle ostilità, misure di difesa che non vennero o si rivelarono totalmente inade-guate. I Ministri fascisti rimproveravano alla Fiat di essere proprio quello che era: un fragile gigante. La Fiat, da parte sua, rimproverava i Ministri fascisti di essere ciò che non avrebbero mai riconosciuto di essere: comandanti ormai incapaci di porre rimedio alla disfatta in-combente, ma sempre pronti a scaricare su altri le loro responsabili-tà, a gridare al tradimento.

A difendere la città e la Fiat giunse invece, all'inizio di dicembre, l'artiglieria antiaerea tedesca (la Flak), che si rivelerà efficace. Vallet-ta manifestò più volte la propria riconoscenza al comandante della Flak e al console tedesco per aver garantito alla Fiat le difese che il

governo italiano non era stato capace di fornire a Torino. Il giorno di Natale del 1942 fece offrire doni e ranci speciali agli uomini della batteria antiaerea della Fiat-Mirafiori e partecipò alla festa natalizia organizzata dai soldati tedeschi, con canti, musica e discorsi. Insieme ai tedeschi si trovavano molti prigionieri russi; anche loro ricevettero regali per quel magro Natale: di nascosto, dagli operai della Fiat.

In quel lavoro di difesa degli uomini e delle cose, alla Fiat e nella città di Torino, Valletta venne affiancato da molti esponenti della di-rezione e da moltissimi funzionari, ai quali il Consiglio di Ammini-strazione, nelle brevi sedute di questo periodo, continuò ad esprime-re gratitudine. A Valletta, tuttavia, dai primi mesi del 1943 cominciò a venire meno la presenza costante e attenta di Giovanni Agnelli. Il senatore, che già da qualche tempo aveva abbandonato il ruolo di primo attore sulla scena aziendale, dopo i bombardamenti di quel-l'inverno, trascorse periodi sempre più lunghi nella villa di Villar Pe-rosa, nella Valle del Chisone, dove più di un secolo addietro i suoi antenati possidenti avevano creato le premesse della sua fortuna.

Nella seduta del Consiglio di Amministrazione della Fiat del 25 febbraio del 1943, il senatore annunciava laconicamente di voler la-sciare la carica di amministratore delegato e di conservare quella di presidente. Nella stessa seduta, Valletta, ora amministratore unico, per espressa volontà di Agnelli proponeva al Consiglio di Ammini-strazione della Fiat di accogliere nella sua compagine il nipote ventu-nenne Giovanni, figlio dello scomparso Edoardo:

«Il professor Valletta riferisce che il tenente Giovanni Agnelli, figlio maggiore dell'indimenticabile vicepresidente della Fiat, aw. Edoardo Agnelli, dopo aver affrontato l'anno scorso tutta la campagna invernale qua-le volontario di guerra nel settore russo, ha chiesto e ottenuto, dopo un bre-vissimo soggiorno in Italia, per superare alcuni esami universitari, di essere assegnato al fronte tunisino, ove da parecchi mesi si trova in prima linea quale valoroso combattente. Poiché vi è speranza che il tenente Agnelli pos-sa fruire fra non molto di una licenza per epos-sami e poiché gli studi, ormai prossimi a compimento, e la dura vita del fronte hanno rapidamente matu-rato anche in lui le doti di intelligenza e di carattere che tanto rifulsero nel-l'amato suo genitore, il prof. Valletta e il vicepresidente conte Camerana ri-tengono che, pur apprezzando i motivi altamente patriottici che hanno fino-ra determinato il tenente Agnelli ad esporsi impavido in prima linea, sia ve-nuto il momento di accoglierlo ufficialmente nella famiglia della Fiat, alla quale già virtualmente appartiene attraverso i legami di affetto e devozione che lo avvincono alla memoria di suo padre e alla persona dell'avo suo ama-tissimo, senatore Giovanni Agnelli. L'augurio di tutti è che sotto l'alta guida del capo possa avviarsi una feconda collaborazione di questo tanto

promet-tente giovane coi quadri dirigenti della Fiat, per la continuazione della lumi-nosa tradizione famigliare e per la maggiore futura fortuna della Fiat stessa».

Così, nella prosa del verbale, compare alla ribalta dell'azienda il futuro avvocato Agnelli. Per vederlo alla presidenza della Fiat do-vranno passare 23 anni. Solo allora, si salderà la continuità della pre-senza familiare al vertice dell'azienda, che si era spezzata con la mor-te di Edoardo Agnelli.

8. 5 marzo 1943: ore 10 si sciopera a Mirafiori.

Era già nell'aria da alcune settimane. Nel mese di gennaio e di febbraio 1943 la riscossa militare sovietica stava galvanizzando il mo-vimento comunista clandestino. Alla Fiat, fin dall'epoca dei bombar-damenti, aveva ripreso a circolare clandestinamente nelle fabbriche «L'Unità»: «Un giornaletto comunista che si rifa nientemeno che al tempo e al nome di Gramsci, giornale stampato con rubriche, artico-li, notiziario e sottoscrizione», annota Pestelli nel suo diario. Nello stesso periodo vengono trovate in alcuni stabilimenti Fiat copie del numero 7 de «L'Unità», con il manifesto del Fronte Nazionale d'A-zione, il nucleo originario del Comitato di Liberazione Nazionale piemontese. Valletta viene messo al corrente sui piani del movimento clandestino attraverso vari canali di informazione: informatori perso-nali e autorità di polizia. Inoltre ha già contatti, molto discreti e con-fidenziali, con alcuni esponenti azionisti e socialisti che sono entrati in rapporto con il Partito Comunista tramite Elvira Pajetta e si sono poi inseriti nel Fronte Nazionale d'Azione.

Intanto con la pia ma irrealistica intenzione di placare il malcon-tento e di alleviare le condizioni delle popolazioni, il Ministro delle Corporazioni, il 13 gennaio 1943, invia una circolare alle aziende dei centri del Nord colpiti dai bombardamenti. Si disponeva il pagamen-to di una mensilità (192 ore) ai dipendenti, limitatamente ai capifa-miglia che provassero di avere effettivamente sfollato. Ne seguì una trattativa con la Confindustria che si trascinò, infruttuosamente, per alcune settimane. La Confindustria non voleve cedere; riteneva che un provvedimento del genere non sarebbe stato adottato neanche dai «tanto deprecati governi democratici».

I rapporti di Agnelli e Valletta con la Confindustria non erano mai stati facili. Anche in questo la Fiat si considerava un'azienda « a parte». Nel caso specifico, la distanza si accentuò fino alla rottura.

Valletta si mosse con abilità tra la resistenza della Confindustria e la forza rinascente del movimento operaio. Come alcuni dei dirigenti che gli stavano vicino, coglieva il significato politico dello sciopero che si stava preparando ma capiva anche che la solidarietà operaia si coagulava su motivazioni essenzialmente economiche. Affrontò, quindi la questione come il capo di un'azienda affronta una vertenza sindacale: calcolando i limiti della trattativa. Inizialmente, comun-que, anche Valletta non aveva ancora misurato la consistenza orga-nizzativa del movimento operaio; non prevedeva che la lotta operaia avrebbe raggiunto tanta intensità.

Secondo le informazioni di cui disponeva, la data dello sciopero era stabilita per il primo giorno di marzo: due giorni prima fece an-nunciare che la direzione aveva stabilito un aumento salariale di 50 lire come acconto sui futuri miglioramenti. Ci fu qualche giorno di sbandamento nell'organizzazione operaia clandestina e lo sciopero fallì. Si decise di ritentare il 5 marzo. Nel frattempo Valletta, preve-dendo che la circolare del Ministero delle Corporazioni, con le sue discriminazioni, avrebbe moltiplicato il malcontento, si recò a Roma per tentare un compromesso. Lasciò al Duce un promemoria in due punti. Il primo riproponeva le misure drastiche già prospettate a Fa-vagrossa all'inizio della guerra: «Militarizzazione degli stabilimenti ausiliari; disciplina militare di guerra, così per le sanzioni come per le ricompense (ricompense al valore militare anche sulle linee del lavo-ro)». Il secondo punto, formulato nella speranza di disinnescare la bomba che stava per esplodere, prevedeva invece la «concessione del premio di una mensilità anche ai non sfollati e di un'indennità giornaliera, come è già stata concessa agli statali dei centri sinistrati». La soluzione non viene accettata né dal Duce, né dal Ministero delle

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