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Direttore Generale

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 110-113)

II. In guerra, a Torino

4. Direttore Generale

Nel gennaio del 1928, Guido Fornaca morì improvvisamente, a 57 anni. Agnelli dovette scegliere il nuovo Direttore Generale della Fiat da un momento all'altro. Apparentemente, la rosa dei candidati

era ampia; su quasi tutti pesava però la controindicazione di una professionalità eccessivamente specialistica. Sebbene già allora si di-cesse che la Fiat era una grande famiglia, la sua direzione, come fa-miglia, era piuttosto rissosa. Gli ingegneri ricorrevano ad ogni mezzo pur di difendere o arrogarsi il merito delle realizzazioni tecniche, delle innovazioni negli impianti o delle vittorie nei concorsi automo-bilistici e aeronautici. Nel tentativo di screditare qualche collega, vennero anche spedite lettere anonime. Oltre ai contrasti di carattere personale, vi era una tensione molto forte tra gli uffici tecnici, ai qua-li competevano le diverse progettazioni, e la direzione delle officine, dove si faceva la produzione. Con gli uomini della produzione face-vano spesso quadrato le direzioni commerciali. I progettisti, per quanto prestigiosi e geniali, venivano tenuti in stato di soggezione. Si consideravano poeti sommi della tecnica automobilistica; mal sop-portavano che la direzione chiedesse loro, prosaicamente, di proget-tare una vettura che costasse un tanto al chilo e portasse quattro o cinque persone. Oltre alle caratteristiche generali del nuovo model-lo, anche ogni singolo pezzo delle migliaia che formano un'automo-bile poteva diventare oggetto di contrasto.

Nella scelta del nuovo Direttore Generale, Giovanni Agnelli ten-ne sicuramente conto di questa situazioten-ne; e fece anche considera-zioni di temperamento. Alcuni direttori di produzione, infatti, alla capacità tecnica dell'organizzazione associavano talvolta il tempera-mento inquisitorio del poliziotto; con l'indesiderabile aggiunta di spiacevoli atteggiamenti vessatori. Valletta si presentava, contempo-raneamente, come il dirigente che conosceva meglio il complesso or-ganizzativo, produttivo e finanziario della Fiat; e come personalità già affermata e di sicuro prestigio. Era dotato di tutte le capacità po-litiche di equilibrio e conciliazione necessarie a tenere unito quel gruppo di comandanti: capaci, ma eccessivamente legati ad una vi-sione settoriale dell'impresa; non completamente affidabili per l'ec-cessiva carica d'ambizione personale. Anche a Valletta l'ambizione non faceva difetto; ma si celava dietro una totale immedesimazione con la vita dell'azienda, in nome della quale sapeva annullare ogni al-tro interesse privato. Agnelli era al-troppo autoritario per tollerare lotte di potere. La scelta di Valletta, tuttavia, lasciò strascichi di risenti-menti e delusioni: sia in qualche direttore che operava ai vertici della produzione e che accettava malvolentieri un «amministrativo» alla Direzione Generale, sia nei vertici della Direzione Commerciale do-ve qualcuno si sentì ingiustamente escluso, pur non essendo mai sta-to preso in seria considerazione.

pianificazione e di controllo dell'attività aziendale, attraverso le dire-zioni centrali: tecnica, commerciale, siderurgica, grandi motori. Dal-le direzioni centrali dipendevano poi Dal-le diverse sezioni, che avevano a loro volta le proprie strutture gerarchiche. La « piramide » era stata così perfezionata: rimarrà sostanzialmente inalterata fino al secondo dopoguerra.

Questa struttura verticale e centralizzata lasciò nella mente di Valletta un'impronta duratura, ispirando la sua concezione dell'au-torità aziendale e un caratteristico metodo di reclutamento dei capi, a tutti i livelli. I comandanti aziendali vennero quasi sempre reclutati all'interno dell'azienda, dopo un'esperienza adeguatamente lunga nell'ambito dello stesso settore. Il titolo più importante per l'eserci-zio del comando era l'aver svolto lo stesso tipo di lavoro del gruppo che la persona interessata veniva chiamata a dirigere. Una struttura come questa garantiva compattezza e omogeneità, ma aveva anche una naturale tendenza, a scoraggiare l'accesso di forze nuove dall'e-sterno. Il gruppo dirigente, in particolare, si costituiva per coopta-zione dall'interno. Non è un caso che tutti i membri del Comitato Direttivo della Fiat, negli anni cinquanta, avessero un'esperienza in azienda di venti anni; ma qualcuno superava anche i quarant'anni.

Giunto alla Direzione Generale, Valletta venne anche nominato procuratore della Fiat; ebbe il riconoscimento, anche formale, del suo ruolo di rappresentante degli interessi della Fiat presso tutte le istituzioni pubbliche: uffici centrali e periferici dello Stato, tutte le sedi civili, penali e amministrative locali. In quegli stessi anni gli ven-ne affidato il compito di rappresentare la Fiat presso le aziende del gruppo e altre imprese o enti finanziari collegati con la Fiat: nel 1930 faceva parte del Consiglio di Amministrazione di 25 società.

Tra le società di cui era amministratore, ce ne fu una che contri-buì a formare quella concezione dell'automobile come bene di largo consumo che si affermerà nel secondo dopoguerra. Si trattava della Società Anonima per la Vendita di Autoveicoli (Sava), creata nel 1926 per promuovere la vendita rateale di auto e per acquisire un ti-po nuovo di clientela, che comprendeva anche i dipendenti Fiat. Vendere l'automobile, da quel momento, non significò più soltanto vendere un telaio con quattro ruote, un motore e una carrozzeria; si-gnificò anche modificare sostanzialmente i rapporti tra l'utente e il suo modo di vivere quotidiano, il suo lavoro, la società. Molto più tardi, Valletta rievocherà la funzione della Sava in questi termini:

« Scopo principale del senatore Agnelli era far penetrare l'automobile nel mondo operaio, fare una vettura economicissima, poi fare in modo che

potesse essere acquistata con rateazioni lunghissime poiché gli operai di al-lora, per accorrere allo stabilimento, dovevano impiegare delle ore. Quindi noi facemmo in modo che nel primo tempo una vettura potesse essere ac-quistata da 4 famiglie, cosicché vi poteva essere l'accorrenza allo stabilimen-to dei 4 capofamiglia e, nei giorni festivi, si potesse avere l'austabilimen-tomobile a di-sposizione di una famiglia ogni quattro settimane».

La lezione di Ford era stata recepita, riveduta e adattata alle mo-deste capacità di consumo dell'Italia. Era ancora un fordismo da po-veri: si usava l'automobile a turno.

Nell'organizzazione del finanziamento delle vendite rateali, Val-letta si avvalse anche del modello di un istituto di credito commer-ciale di Berlino, il Kreditanstalt fur Verkehrsmittel. Nell'aprile del 1929, Valletta richiese a Raffaele Mattioli, allora Direttore Centrale della Banca Commerciale Italiana, una relazione su questo istituto. Ricevette un ampio documento, redatto da Giovanni Malagodi, a quei tempi funzionario della Comit. Valletta, in un futuro ancora lontano, avrebbe avuto occasione di incontrarlo altre volte.

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 110-113)