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Intermezzo farsesco: la socializzazione della Fiat

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 172-183)

II. In guerra, a Torino

5. Intermezzo farsesco: la socializzazione della Fiat

Nella tragedia non mancarono episodi farseschi. Uno in partico-lare: la socializzazione della Fiat decretata da Mussolini.

Complessivamente, i rapporti tra Fiat e Repubblica di Salò furo-no sporadici. All'avvento del nuovo regime, Agnelli aveva dichiarato che per nessuna ragione si sarebbe iscritto al Partito Fascista Repub-blicano; e ne aveva fatto esplicito divieto anche ai dirigenti. Tuttavia, nell'affannoso tentativo di mettere insieme un governo, Mussolini aveva anche pensato di offrire un dicastero a Valletta. A chi lo avvici-nò per comunicargli il desiderio del Duce, Valletta si disse lusingato e onorarissimo, ma anche spiacentissimo di non poter accettare: in-fatti, l'occupare una così alta carica lo avrebbe inevitabilmente posto in una posizione ambigua e ogni sua decisione sarebbe stata giudica-ta come un atto di favore nei confronti della Fiat.

Valletta, comunque, intrattenne sempre rapporti di distaccata educazione con gli esponenti della Repubblica Sociale. Si era limita-to a piazzare un suo uomo nell'unica istituzione che rivestiva qualche interesse per la Fiat: il comitato per la motorizzazione della Repub-blica. Fu proprio questo rappresentante della Fiat a seguire, con molto senso di umorismo, le peregrinazioni di 400 macchine utensili provenienti dalla OCI di Modena, una società del gruppo, attraverso l'Italia Settentrionale, l'Austria, la Germania occidentale e poi anco-ra l'Austria.

Oltre agli eccellenti rapporti con Angelo Tarchi, ministro delle Corporazioni, Valletta non faceva mancare alle autorità locali del nuovo fascismo le solite lusinghe personali, espresse in un linguaggio caro alla rudezza dei camerati. Zerbino, quando era Alto Commissa-rio per il Piemonte, gonfiava il petto d'orgoglio se Valletta gli diceva «Voi sì che siete un uomo con i coglioni duri! ».

Nel corso del 1944, Mussolini aveva scatenato contro l'odiato Piemonte, « centro della Vandea monarchica, reazionaria, bolscevi-ca», la forza « risanatrice » della socializzazione delle imprese. Nel gennaio del 1945, era arrivato anche il turno della Fiat: il 6 febbraio Valletta si reca a conferire con Fernando Mezzasoma, Ministro della Cultura Popolare. Si dichiara entusiasta del programma mussolinia-no; ne sollecita una «pronta attuazione».

« Ritengo anzi - prosegue Valletta - che bisognerebbe accelerare i tem-pi estendendola ratem-pidamente a tutte le aziende industriali perché non può esservi dubbio ormai che la guerra attuale porterà ad un violento slittamen-to verso sinistra, da qualsiasi parte saranno i vincislittamen-tori. La socializzazione

in-vece di essere uno slittamento, è un equilibrato sterzamento verso sinistra. I capitalisti intelligenti dovranno capire che di fronte al pericolo bolscevico la socializzazione rappresenta non il male minore, ma una logica e fattiva riso-luzione della questione sociale». Rientrato a Torino, l'8 febbraio annuncia, laconicamente, al Consiglio di Amministrazione: « Si porta a conoscenza del Consiglio che con decreto ministeriale 11 gennaio 1945 la nostra società è stata sottoposta alla disciplina della socializzazione».

Non aggiunge altro. Il giorno dopo conferisce con l'ambasciato-re tedesco Rudolf Rahn e il 12 febbraio incontra Mussolini, al quale esprime il compiacimento della Fiat per la socializzazione.

Il Duce lo ringrazia e lo invita a collaborare con Angelo Tarchi, a cui Valletta rende una doverosa visita nella stessa giornata. Rientra a Torino e manifesta a Zerbino la «grande impressione» che hanno suscitato in lui le considerazioni di Rahn e l'incoraggiamento del Du-ce. Sentenzia anche che

«la legge del Duce incontrerà l'approvazione di tutti coloro che al di so-pra di interessi privatistici vedono nel programma sociale del fascismo non solo la salvaguardia per un'ordinata convivenza, ma anche la possibilità di affermare la personalità e l'iniziativa dell'individuo ».

Zerbino ci crede, o fa fìnta di crederci; stende immediatamente un rapporto per il Duce nel quale, dopo aver riportato quanto sopra, aggiunge che

«da parte degli industriali... i provvedimenti legislativi che riguardano la socializzazione delle industrie sono stati accolti con serenità e compren-sione».

Dopo aver speso tali parole, Valletta contrastò poi la propaganda fascista a favore della socializzazione; così che, all'interno del peri-metro aziendale della Fiat, il programma mussoliniano era rimasto un oggetto misterioso. Né era sufficiente a chiarirlo la dichiarata di-sponibilità di due esponenti Fiat a candidarsi futuri commissari del-l'azienda socializzata.

Si giunge al 9 marzo 1945, giorno del referendum con cui i di-pendenti Fiat dovevano esprimere il loro atteggiamento nei confronti della socializzazione. I risultati del voto vengono immediatamente trasmessi agli Alleati con questo rapporto:

«Il giorno fissato, grande apparato di urne. Due operai comunisti stan-no a vigilare i votanti presso le urne. Gli operai passastan-no e stan-non votastan-no. I vo-tanti sono stati lo 0,16 per cento; gli astenuti 99,74! Nello 0,16 sono

presi quelli che hanno votato per Greta Garbo. Grande scandalo negli am-bienti fascisti».

Altrove, la socializzazione ha avuto risultati più brillanti: all'Alfa Romeo, il 90 per cento degli operai hanno votato a favore della socia-lizzazione. Da Milano il governo di Salò minaccia di inviare una commissione di fascisti «puri» per indagare sulla posizione della Fiat. Invece arriva soltanto il solito Paolo Zerbino, che nel frattempo è diventato Ministro dell'Interno in sostituzione di Buffarini-Guidi. Il 20 marzo, a Palazzo Cisterna, sede dell'Alto Commissariato per il Piemonte, viene convocato lo « stato maggiore » della Fiat, con Val-letta e Camerana. Sono presenti altri industriali e dirigenti. Zerbino stigmatizza e minaccia. Si domanda anche come la Fiat riesca a paga-re migliaia e migliaia di dipendenti senza produrpaga-re nulla. C'erano le riserve, ma anche quelle avevano un limite. Zerbino si dice costretto a ritenere che sacchi di sterline piovano dal cielo.

«Valletta sorride incredulo, ma c'è chi la pensa proprio così» - conclu-de Zerbino - « Il Duce ha mandato me a Torino perché la questione è di or-dine pubblico. Pensateci bene perché, se saremo costretti, le vostre persone di dirigenti saranno fisicamente estraniate dall'azienda e una volta estrania-te, ognuno di voi potrà essere chiamato a rispondere di reati come questo: intelligenza con il nemico, sabotaggio della guerra e mi pare che non ci sia bisogno di altro».

6. Aprile.

Negli stessi giorni, ben altre forze intendevano estromettere dalla Fiat i suoi massimi esponenti. All'iniziativa presa in novembre dal Comitato di Agitazione e notificata verbalmente a Valletta, segue il procedimento d'epurazione da parte della Commissione nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale. Il procedimento si conclude il 23 marzo con la condanna di Agnelli, Camerana e Valletta, ricono-sciuti colpevoli di quattro capi d'imputazione:

« aver partecipato alla vita politica del fascismo con notorie pubbliche manifestazioni di apologia degli atti di governo e di partito»; «aver dato prova di faziosità fascista, segnatamente con la costituzione e il funziona-mento e l'impiego della Legione XVIII novembre»; «aver compiuto mani-festazioni del malcostume introdotto dal fascismo nella vita politica italiana, fra l'altro elevando alla carica di dirigente Fiat il criminale fascista magg. Navale»; infine, «aver notoriamente lucrato grandi incrementi patrimoniali in ovvia conseguenza del comportamento politico come sopra accertato a loro carico, con vantaggio economico ingentissimo ».

Si decreta quindi « il sequestro conservativo dei loro indebiti lu-cri e il sequestro provvisorio dello stesso gruppo aziendale Fiat».

Per una strana coincidenza, due giorni dopo, Valletta riceve una comunicazione del colonello Tesch con la quale viene nuovamente minacciato di arresto se non vengono immediatamente messi a di-sposizione automezzi Fiat da 45 tonnellate per trasporti verso Bol-zano.

«Poiché non c'è speranza, né si crede che la Fiat metterà volontaria-mente a disposizione il tonnellaggio necessario, il colonnello Tesch richiede che per lunedì a mezzogiorno il prof. Valletta nomini un direttore responsa-bile.... Se si faranno ancora delle difficoltà, il col. Tesch procederà immedia-tamente all'arresto del prof. Valletta ».

Evidentemente i tedeschi non erano molto soddisfatti del com-portamento di questo «collaborazionista» e «traditore della Patria».

Valletta, comunque, non sembra eccessivamente preoccupato né delle minacce del colonnello Tesch, né del procedimento avviato nei suoi confronti della Commissione d'Epurazione. Il 27 marzo, tra una condanna della nascente democrazia e le minacce di una dittatura or-mai stremata, Valletta incontra un rappresentante del governo Bono-mi. È Aldrovando Medici Tornaquinci, Sottosegretario per l'Italia Occupata. Sei giorni prima è stato paracadutato in una zona delle Langhe presidiate dalle bande partigiane del magg. Mauri. Medici giunge a Torino il 24; il 27 marzo Valletta gli consegna un ampio promemoria sulle « possibilità di lavoro della Fiat alla cessazione del-le ostilità». È pervaso dallo stesso ottimismo che già aveva caratteriz-zato le informazioni confidenziali trasmesse in novembre ai servizi segreti alleati in Svizzera.

Il successivo arresto di Valletta presso il comando militare tede-sco per occultamento di benzina e gasolio, insieme con Arnoldo Fo-gagnolo, alcune prove di forza con le autorità fasciste, un prudente avvicinamento agli esponenti più popolari del movimento operaio caratterizzano i giorni che precedono la fine dell'occupazione tede-sca. Tra i comandi tedeschi, il C.L.N. e la Curia Arcivescovile vengo-no negoziate le modalità della ritirata tedesca. Valletta le segue con attenzione e le orienta, attraverso i suoi emissari, verso un obiettivo primario: salvare gli stabilimenti dalle distruzioni dell'ultima ora.

La Germania si avvicina alla catastrofe. Le truppe alleate sfonda-no la linea del Po. I partigiani si trovasfonda-no alle porte di Torisfonda-no. Il 18 aprile, il Comitato di Liberazione proclama lo sciopero generale. Nella notte tra il 18 e il 19, i fascisti prelevano nella sua abitazione

Antonio Banfo, operaio comunista della Grandi Motori, e suo gene-ro, Salvatore Melis. Vengono torturati e uccisi in Via Asti. Grazioli, Solaro e Cabras, comandante della Guardia Nazionale Repubblicana dichiarano che Banfo e Melis sono stati uccisi da altri comunisti per-ché contrari allo sciopero. Valletta li affronta in prefettura, e li accu-sa di essere i mandanti.

Il 20 aprile Angelo Rabino, un altro operaio comunista della Grandi Motori, insieme con altri operai ricercati dalla polizia, viene ospitato e protetto presso la direzione della Fiat. Pestelli registra nel diario questo ritratto:

«Grosso, alto, l'aria bonaria, è un intrepido, anche lui un generoso, co-me il Banfo. Comunista convinto, uomo di fede, ha dato alla causa operaia tutto sè stesso. Abbiamo imparato a volergli bene conoscendolo nei fre-quenti rapporti a Mirafiori e alla Grandi Motori delle Commissioni Interne (irregolari, non fasciste)... È da 40 anni alla Fiat e il suo vestito è pieno di strappi. Chiede sempre per gli altri, mai per sé... Tra i nostri operai comuni-sti di uomini come lui ce ne sono parecchi... Gente incolta, operai autentici, poveri, ma saldi nella loro fede e nella loro perigliosa lotta, e argomentatori robusti. Gente bene informata, non faziosa, ma dotata di una coscienza di classe e di un senso umano che impongono rispetto... In un rapporto, mesi fa, dichiarò a Valletta che se i repubblicani lo avessero toccato, lo avrebbero preso loro, gli operai, per proteggerlo e a Valletta si inumidirono gli occhi. Spirito comunista, fiero sentimento della lotta anche contro l'azienda capita-listica, ma comprensione umana del valore, dei rischi, dei sacrifici personali anche di Valletta ».

Tra i comunisti torinesi, oltre a chi voleva un'esemplare esecu-zione sommaria di Valletta e chi lo voleva epurato e additato alla pubblica vergogna, c'era anche chi lo voleva salvo e al suo posto - un avversario provvidenziale di cui si aveva comunque bisogno. Attorno alla sua persona si forma, a distanza e con molta discrezione, un si-stema di protezione: sono partigiani di Giustizia e Libertà, delle for-mazioni Matteotti, autonomi, qualche comunista. Il 23 aprile Vallet-ta viene informato che Zerbino, Ministro degli Interni di Salò, qual-che giorno prima di partire per il viaggio qual-che si sarebbe concluso a Piazzale Loreto, ha firmato il mandato d'arresto contro di lui e ha dato incarico di darne immediata esecuzione. Valletta vive in ufficio a Mirafiori, dove nessuno oserebbe mai andare a stanarlo. Aspetta, come tutti, l'epilogo, la smobilitazione e la fuga dei 35.000 tedeschi che ancora occupano il Piemonte con due divisioni corazzate.

Il 25 aprile viene dichiarato lo sciopero generale insurrezionale. Il 26 aprile, alle 9 del mattino, il C.L.N. aziendale si presenta a

Val-letta per un trapasso di poteri che avviene con una certa solennità. Parla per tutti Egidio Sulotto, esponente comunista del Comitato, disegnatore di riconosciuto talento, alla Fiat dal 1925:

«Da questo momento siamo in sciopero generale insurrezionale. La Fiat, dal punto di vista politico, tecnico, militare, passa nelle mani del C.L.N. e del Comando Militare; la legge marziale ha precedenza su qualsiasi altro rapporto gerarchico; il C.L.N. aziendale assomma in sé tutti i poteri del Governo, del quale è emanazione legittima. I tedeschi di guardia allo stabilimento devono essere consegnati come prigionieri di guerra; tutte le ri-serve di viveri, di materie prime, di carburante sono requisite e a disposizio-ne della forza militare insurrezionale. Se per caso ha a sua disposiziodisposizio-ne armi, ce le dia, per evitare grane in futuro ».

Valletta prende atto di quanto dichiarato da Sulotto, e dice che le armi erano già state consegnate alle formazioni Matteotti. Fa poi una telefonata circolare a tutte le sezioni Fiat per trasmettere le di-sposizioni del C.L.N.

Verso le dieci, esce da Mirafiori con l'ormai celebre «Topolino» e si reca al Comando Tedesco, dove gli ultimi ufficiali rimasti scrivo-no e firmascrivo-no l'ordine di ritiro dei soldati che presidiascrivo-no ancora Mi-rafiori. Valletta porta l'ordine ai tedeschi di Mirafiori, che sono ben lieti di andarsene. E l'ultimo colpo di coda del grande camaleonte.

Rientra in ufficio. Nel pomeriggio il C.L.N. emette il Comunica-to n. 1:

« Tutti i dipendenti della Fiat Mirafiori, escluse le donne, da questo mo-mento sono considerati mobilitati e pertanto rimangono a disposizione del C.L.N. di fabbrica. I mobilitati saranno trattenuti nello stabilimento a co-minciare da questa sera e dovranno attenersi alle disposizioni che verranno emanate dal C.L.N. ».

Dalla disposizione vengono esclusi tutti gli uomini di età supe-riore ai 50. Molti direttori, essendo di età supesupe-riore, si ritengono au-torizzati a tagliare la corda, insieme con molti funzionari. Valletta non si muove dalla Direzione Generale, dove si fermano i suoi colla-boratori più stretti; alcune segretarie riescono a mettere insieme una cena. È rimasta Caterina Locati, l'anziana cassiera entrata alla Fiat nel 1899. Ci sono anche delle ragazze che in futuro faranno molta strada nell'azienda: Carla Accossato, Maria Rubiolo.

La forza militare del C.L.N., in realtà è molto esigua.

«Alle ore 18 dello stesso giorno (26 aprile) - scrive Riccardo Levi - una prima isolata autoblindo prese contatto con la difesa armata degli operai e la

sera del successivo 27 aprile le forze partigiane regolari giunsero a presidiare la zona. Ma gli stabilimenti principali, come la Mirafiori, rimasero sempre sotto l'esclusivo controllo del C.L.N. di azienda, unico potere civile».

Gli armati, in tutto lo stabilimento, non sono più di 800. La sera del 26 aprile, verso le 19, una colonna di mezzi corazzati tedeschi passa di fronte alla Palazzina Uffici di Mirafiori e spara alcu-ni colpi di cannone contro l'edificio. Muore uno dei partigiaalcu-ni che presidiano la Palazzina da una delle terrazze. Nello stesso giorno, a Mirafiori, muore un altro partigiano: furono le ultime due vittime dell'occupazione. Si allestisce una camera ardente nell'Officina 9, se-de se-del C.L.N. aziendale. La mattina dopo, Valletta chiese-de a Sulotto di poter render omaggio ai due caduti. Il permesso viene accordato, e Valletta scende in quell'Officina 9 che è diventata la centrale politi-ca di Mirafiori. Lo accompagnano Pestelli e un altro direttore; ci so-no anche il comandante militare di Mirafiori e Sulotto. Il gesto di Valletta, oltre che un atto di devozione e coraggio, vuole anche esse-re un segnale lanciato ai nuovi timonieri della Fiat: «ci sono anco-ra». Percorrono un corridoio; da un lato una fila di uffici, uno dei quali funge da camera ardente; dall'altro, le macchine e gli operai ar-mati. Mentre camminano, Pestelli sente una voce alle spalle: «A lu piuma ades?» (Lo prendiamo adesso?). In tre «gli spianano il mitra addosso per farlo fuori». Il comandante militare e Sulotto interven-gono a proteggere Valletta e cercano di spiegare ai sostenitori della giustizia sommaria che c'è una competente commissione d'epurazio-ne del C.L.N.: sarà questa a valutare l'operato del Direttore Ged'epurazio-nera- Genera-le. Valletta rende omaggio alle salme e ritorna alla Palazzina. Pochi minuti dopo, il suo ufficio viene perquisito. Valletta insiste, con te-stardaggine e orgoglio. Vuole restare al suo posto, alla Fiat, dentro il suo mondo. Non vuole piegarsi ad accettare la realtà del momento. Non vuole ammettere che l'edificio di quel suo mondo sta subendo l'ondata di ribollenti passioni civili e politiche che sconvolgono i rap-porti gerarchici, le più consolidate regole del gioco, l'ordine e le pro-cedure di un'azienda che, nelle persone dei suoi massimi dirigenti, viene chiamata a rispondere delle sue scelte recenti e remote.

Carlo Edoardo Schmidt di Friedberg, direttore della Fiat di Ro-ma, in quella movimentata mattina del 27 aprile, riesce a trascinarlo, quasi a forza, su un'autoambulanza che l'Ordine di Malta, nei giorni precedenti, aveva messo a disposizione della Fiat. Su questa si allon-tana dalla Fiat. Vi farà ritorno quasi undici mesi dopo in un clima molto diverso.

« Dopo molte insistenze - ricorda un dipendente che si occupò di lui in quei giorni - lo si convinse a rifugiarsi nella clinica Sanatrix, ospite degli stessi proprietari. Ricordo ancora la partenza da via Genovesi, all'imbruni-re. Il professore pareva disfatto. Con un paio d'occhiali neri e il cappello ca-lato sulla fronte, seduto in fondo all'auto 1500, attraversammo la città e in meno di dieci minuti fummo alla clinica».

Si trovava ai piedi della collina torinese, tra il Monte dei Cappuc-cini e Valsalice. Era sotto la giurisdizione dell'Ordine di Malta e go-deva quindi di una certa extraterritorialità. Il colonnello inglese che in quei giorni vi faceva frequenti visite, in segno di deferenza per quella istituzione, prima di entrare si toglieva le armi e le depositava all'ingresso. Valletta venne ospitato nella villa adiacente, residenza dei proprietari della clinica. La sua presenza venne circondata da una cortina di totale segretezza. Venne anche allontanato tutto il per-sonale di servizio. Valletta restò solo, con il primario e la sua fami-glia. Erano i primi giorni di quiete, sia pure forzata, dopo anni di tensione e di lotta. Sulle prime ci fu qualche momento in cui la tem-pra dell'uomo sembrò incrinarsi sotto il peso di eventi e situazioni che gli avevano strappato il ruolo del dominatore e lo avevano estro-messo dal luogo naturale della sua vita, ragione di ogni suo pensiero, oggetto di totale dedizione.

A chi condivise con lui quei giorni difficili, Valletta manifestò apertamente il timore di non rientrare mai più alla Fiat e, quasi a tira-re un bilancio della vita, raccontò agli amici che l'ospitavano tutti i suoi ricordi: i giorni della dura adolescenza, la scuola e gli insegnan-ti, le regate domenicali sul Po, le manifestazioni aeronautiche in Piazza d'Armi, il lavoro, la Grande Guerra, La Fiat e tutto il resto.

Il 28 aprile Valletta sentì l'annuncio della radio: Agnelli, Came-rana e Valletta sono stati epurati dal C.L.N.; la direzione della Fiat è affidata ad un comitato di gestione formato da Aurelio Peccei, Ar-noldo Fogagnolo, Gaudenzio Bono e Battista Santhià. Il primo, 37 anni, con la sua provata capacità di funzionario, i suoi stretti legami con il Partito d'Azione e una ricca visione internazionale dei proble-mi industriali fornisce buone garanzie professionali e politiche. Ar-noldo Fogagnolo, direttore della Grandi Motori, noto per le sue sim-patie socialiste, oltre ad essere un tecnico di valore internazionale, è uno dei pochi direttori della Fiat politicamente presentabili. Bono ha un eccellente passato come direttore della SPA, la società del gruppo Fiat produttrice di autocarri; politicamente è un moderato. Santhià

Nel documento Vittorio Valletta (pagine 172-183)