I SOGGETTI DESTINATARI DELLE MISURE DI PREVENZIONE
4. Alcune considerazioni conclusive
4.1. Le fattispecie “oggettive” tra condotte specifiche e “trascorso criminale”
226 Cfr. F. MAZZACUVA, Le persone pericolose e le classi pericolose, cit., p. 115.
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Giunti al termine di questa panoramica sulle fattispecie che legittimano l’applicazione delle misure di prevenzione, sembra utile proporre al lettore alcune considerazioni conclusive.
Anzitutto, giova tornare brevemente sul “ruolo” che le disposizioni esaminate in queste pagine “giocano” nel sistema preventivo.
Proprio all’inizio di questa sezione228 si segnalava che, dall’analisi che ci si accingeva a svolgere, sarebbe stato possibile ricavare il thema probandum del processo di prevenzione. Gli articoli 1 e 4 del codice antimafia, infatti, non delineano dei “presupposti soggettivi” la cui esistenza legittima l’applicazione delle misure, ma tratteggiano delle vere e proprie “fattispecie oggettive”229, il cui accertamento è demandato al giudice della prevenzione. Proprio questa è, peraltro, la “lente” usata dalla giurisprudenza più recente, la quale ha addirittura affermato che «la descrizione della “categoria criminologica” di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 159 del 2011 ha il medesimo “valore” che nel sistema penale è assegnato alla norma
incriminatrice»230.
Volendo raggruppare queste fattispecie in base alla loro “estensione”, si potrebbe dire che, da un lato, ve ne sono alcune che richiedono l’accertamento di uno “stile di vita criminoso”, cioè di plurime condotte delittuose; dall’altro, invece, ve ne sono molte altre che si accontentano di singoli fatti.
Nella prima “classe” di fattispecie rientrano senza dubbio quelle afferenti alla c.d. pericolosità generica, dal momento che l’art. 1 cod. ant. richiede espressamente “abitualità” o “dedizione” rispetto a certi delitti. Lo stesso paradigma è però ricalcato anche dall’art. 4, lett. i) cod. ant., che, come si è visto, rende applicabili le misure di prevenzione ai soggetti “dediti” alla commissione di reati in occasione di manifestazioni sportive231.
228 Cfr. supra, par. 1.1.
229 Cfr. F. VIGANÒ, Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale…, cit., p. 898: «I presupposti usualmente
— ma fraudolentemente — definiti “soggettivi” della misura, e cioè i presupposti descritti nell’art. 4 c.a., sono in realtà le fattispecie astratte — i Tatbestände, nel linguaggio della teoria del diritto di matrice tedesca — al cui riscontro probatorio nel caso concreto è subordinata l’applicazione della misura stessa». In questo senso v.
anche S. FINOCCHIARO, La confisca e il sequestro di prevenzione, in Dir. Pen. Cont., 19 febbraio 2019, p. 8.
230 Così Cass. pen., Sez. I, 15 giugno 2017, n. 349, §3.4 (corsivo aggiunto). In termini analoghi cfr. Cass. pen.,
Sez. I, 14 giugno 2017, n. 54119, §5.
Ma per una diversa impostazione cfr. A. MARTINI, Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali,
Giappichelli, Torino, 2017, p. 125, secondo cui «gli status di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. 159/2011 […] rappresentano caratterizzazioni per tipi di autore. Essi non descrivono un fatto, ma piuttosto cercano di cogliere il modo di essere di una persona attraverso i segnali che promanano da una congerie di elementi imprecisi».
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Quest’ultima è però un’eccezione: le fattispecie di pericolosità c.d. qualificata, infatti, sono per lo più costruite attorno a condotte “puntuali”. Mettendo da parte la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso (art. 4, lett. a, cod. ant.) – che, per sua natura, può anche (ma non necessariamente) investire un significativo lasso temporale della vita di un soggetto – ci si accorge che le altre fattispecie (incluso il concorso esterno in associazione di tipo mafioso, che pure rientra nell’art. 4, lett. a, cod. ant.)232 possono essere integrate da condotte suscettibili di essere realizzate in contesti temporali ben circoscritti233.
A fronte di queste coordinate legislative, si espone a serie obiezioni quella ricorrente affermazione giurisprudenziale secondo cui il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione sarebbe una “condizione personale” o “esistenziale”, irriducibile a un fatto, «sia naturalisticamente che giuridicamente inteso»234. Tale assunto, in dottrina ritenuto “discutibile” già in relazione alla “pericolosità generica”235 , appare del tutto privo di fondamento normativo se si tenta di riferirlo alla maggior parte delle fattispecie di pericolosità c.d. qualificata236.
Uno sguardo sulla complessiva “condizione personale” del soggetto può indubbiamente rivelarsi utile per accertarne la pericolosità. Tant’è vero che un simile accertamento viene effettuato ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza237, e anche l’art. 274, co. 1, lett.
c), c.p.p. invita il giudice a formare il proprio convincimento sul pericolo di commissione
di determinati reati tenendo conto della personalità del soggetto sottoposto alle indagini o
232 Cfr. supra, par. 3.2.1.
233 In tal senso F. CONSULICH, Le misure di prevenzione personali tra Costituzione e Convenzione, in Leg. Pen. (web),
18 marzo 2019, §3, il quale osserva che può risultare sufficiente anche «un solo indizio di un solo reato, magari rappresentato da una condotta unisussistente».
234 Così, ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 16 luglio 2014, n. 32715, §17: «[…] il presupposto della misura di
prevenzione non è un “illecito” di qualsivoglia natura, quanto una “condizione”. I criteri ulteriori indicati prescindono dal superamento del dato “formale” della qualifica dell’illecito, in quanto ci troviamo a fronte di un presupposto totalmente differente e non comparabile. Non ci può essere confronto tra un fatto (sia naturalisticamente che giuridicamente inteso) e una condizione personale».
Anche le Sezioni Unite, nella nota sentenza “Spinelli”, in relazione alla confisca di prevenzione hanno affermato che essa «non presuppone […] la commissione di reati determinati, ma postula una condizione esistenziale, ossia una condotta di vita reputata estranea ai canoni legali della civile convivenza», cfr. Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014, n. 4880, §9.4.
235 In questo senso F. CAPRIOLI, Fatto e misure di prevenzione, cit., p. 55.
236 Secondo T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 277, questa espressione
giurisprudenziale «sembra voler in qualche modo colmare, con riferimenti ancora più incerti e labili, le carenze della base indiziante».
237 Per un’efficace rassegna degli elementi presi in considerazione dalla giurisprudenza ai fini
dell’accertamento della pericolosità, fra cui spiccano i precedenti penali, cfr. F. FIORENTIN, La pericolosità
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dell’imputato, desumibile da comportamenti o atti concreti, nonché dai suoi precedenti penali238. Ma il giudizio prognostico di pericolosità viene effettuato soltanto una volta che il soggetto sia già stato ritenuto riconducibile a una della “fattispecie preventive” di cui all’art. 4 cod. ant.239; pertanto, non può e non deve guidare l’interprete nell’analisi di queste.
4.2. Risposta a un quesito posto nel primo capitolo: la tendenziale “fuga dal processo penale”
Alla luce di quanto osservato nel paragrafo precedente, si può ora tentare di rispondere a un quesito che ci si era posti nel primo capitolo.
Quando, ripercorrendo brevemente l’evoluzione prerepubblicana del sistema preventivo, ci si è trovati ad attraversare il periodo fascista, abbiamo dedicato alcune righe alla prima “convivenza” tra le misure di polizia e le neonate misure di sicurezza240. In particolare, dopo aver segnalato che, secondo il legislatore fascista, le misure di sicurezza rappresentavano nuovi «provvedimenti amministrativi di polizia sostanzialmente non diversi da quelli disciplinati dalla legge di pubblica sicurezza»241, ci si era soffermati brevemente sull’ambito applicativo di questi ultimi. Così, si era potuto mettere in luce che, mentre le misure di sicurezza venivano (e vengono tutt’ora) applicate soltanto a seguito della commissione di un fatto previsto dalla legge come reato (art. 202, co. 1, c.p.), o, nei casi previsti dalla legge, di un fatto non previsto dalla legge come reato (art. 202, co. 2, c.p.), le misure di polizia erano in grado di colpire: “tipi d’autore”, come gli oziosi e i vagabondi; coloro che avessero manifestato anche solo il “proposito” di svolgere attività contrarie agli interessi del regime; soggetti ritenuti “colpevoli” di taluni reati o anche solo “pericolosi”
238 Come segnala A. PRESUTTI, Gli incerti confini delle esigenze cautelari: le cautele come forma di anticipazione della
pena, in AA.VV., Le fragili garanzie della libertà personale. Per una effettiva tutela dei principi costituzionali, Giuffrè, Milano, 2014, p. 54, nelle applicazioni giurisprudenziali i precedenti penali rivestono un «peso determinante, se non esclusivo». Peraltro, in giurisprudenza si ritiene che elementi utili per la prognosi sulla reiterazione del reato possano essere tratti da tutti gli elementi utili di cui all’art. 133 c.p., cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 19 gennaio 2005, n. 11179.
239 Cfr. infra, sez. II, par. 1.
240 Cfr. supra, cap. I, sez. I, par. 4.3.
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secondo la voce pubblica242. Sintetizzando: mentre le misure di sicurezza richiedevano l’accertamento di “fatti”, le misure di polizia ne facevano a meno243.
A fronte di questo scenario, ci si era chiesti in che modo il diritto di polizia fascista avrebbe potuto varcare i cancelli dell’Italia repubblicana e in quale direzione si sarebbe mossa la prevenzione “ante delictum” per continuare a mantenere una propria autonomia. È questo il quesito a cui si deve ora tentare di rispondere, dopo aver passato in rassegna le diverse fattispecie preventive oggi contemplate dal d.lgs. 159/2011.
Anzitutto, è emerso come la fattispecie di pericolosità generica maggiormente applicata e “versatile” (art. 1, lett. b, cod. ant.)244 sia stata costruita dal legislatore del 1988 (e ancor prima da quello del 1956) con una terminologia pressoché coincidente a quella usata dal legislatore fascista, all’art. 105 c.p., per delineare la figura del “delinquente professionale”245.
In entrambi i casi, infatti, il giudice deve accertare che il soggetto viva abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Tuttavia, mentre la dichiarazione di professionalità presuppone l’avvenuto accertamento, in sede penale, della commissione di un certo numero di reati (cfr. artt. 103 e 105 c.p.), nulla di tutto ciò è previsto dalla littera
legis che tratteggia la fattispecie preventiva. Il giudice della prevenzione, in questo modo, è
libero di ricostruire autonomamente le “attività delittuose” compiute dal soggetto proposto. In definitiva, qui le misure di prevenzione si differenziano dalle misure di sicurezza soltanto per non essere legate “a doppio filo” con il processo penale.
La medesima considerazione può peraltro essere svolta anche in relazione alle altre fattispecie che guardano al “trascorso criminale” del proposto246. Dovendo accertare che il
242 In particolare, secondo il t.u.l.p.s. del 1931 le misure di polizia potevano essere applicate a: i) oziosi e
vagabondi; ii) persone «designate dalla pubblica voce come pericolose socialmente o per gli ordinamenti politici dello Stato»; iii) persone «designat[e] dalla voce pubblica come abitualmente colpevol[i]» di determinati reati, quando per tali reati fossero state sottoposte a «procedimento penale terminato con sentenza di proscioglimento
per insufficienza di prove»; iv) coloro che «svolg[essero] o [avessero] manifestato il proposito di svolgere un’attività
rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, o un’attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali». Per i riferimenti normativi cfr. supra, cap. I, sez. I, par. 4.3.
243 Come osservava S. RANIERI, La pericolosità criminale nel codice penale vigente, in Scuola pos., 1933, p. 21, se la
pericolosità ex art. 203 c.p. va riferita: «a uno stadio successivo al fatto commesso, non è qualità di chi non ha delinquito mai, ma di chi ha delinquito almeno una volta o, eccezionalmente, ha tenuto una certa condotta
definita, in modo espresso, nella legge penale e, perciò, la sua nozione non è applicabile alle persone soltanto […] sospette dal punto di vista della polizia» (corsivo aggiunto).
244 Cfr. supra, par. 2.2.
245 Cfr. supra, par. 2.4.
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soggetto sia “dedito” alla commissione di determinati reati247, il giudice della prevenzione è infatti chiamato a ricostruire una “condizione soggettiva” assimilabile a quella di delinquente o contravventore “abituale”248, status che consentirebbe di applicare una misura di sicurezza “in ogni tempo”249. Anche qui, dunque, le misure di prevenzione si sono mosse verso i “territori” del processo penale, avendo ad oggetto fatti che, se accertati in quella sede, legittimerebbero l’applicazione di pene e misure di sicurezza.
In tutti questi casi, dunque, l’“utilità” del processo di prevenzione risiede essenzialmente nella sua “autonomia” rispetto al processo penale.
Un discorso in parte diverso meritano le fattispecie costruite attorno a “condotte specifiche”.
247 Nella fattispecie di pericolosità “generica” di cui all’art. 1, lett. c), cod. ant. rientrano «coloro che per il loro
comportamento debba ritenersi […] che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica».
Possono invece essere ricondotti nella fattispecie di pericolosità “qualificata” di cui all’art. 4, lett. i), cod. ant. le «persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi […] che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive».
248 L’art. 103 c.p., rubricato “abitualità ritenuta dal giudice”, prevede che «la dichiarazione di abitualità nel
delitto è pronunciata anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto». Analogamente, l’art. 104 c.p., nel disciplinare l’abitualità nelle contravvenzioni, prevede che «chi, dopo essere stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporta condanna per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133, ritiene che il colpevole sia
dedito al reato».
Sul punto cfr. A. MARTINI, Essere pericolosi…, cit., pp. 106-107: il quale osserva che la “dedizione” «è lo status
di chi sia dedicato, ovvero abbia attribuito un ruolo decisivo, nella propria esistenza, ad un certo modello comportamentale. […] Si tratta, in tal senso, di un connotato assai qualificante, che non può che discendere da analisi estremamente impegnative. Le alternative sono in effetti due: o si richiede che tale dedizione sia desumibile perché in passato si è espressa nella preesistenza di plurime condanne, ed allora la figura finisce per sovrapporsi a quella del delinquente qualificato (altrimenti destinatario di una misura di sicurezza), o piuttosto si ambisce a ricavarne dimostrazione anche prescindendo dal passato penale, ed allora assume contorni sfuocati […]».
249 Come già si è avuto modo di ricordare, l’art. 205, co. 2, n. 3, c.p. prevede che, «nei casi stabiliti dalla legge»,
le misure di sicurezza possono essere ordinate dal giudice – con provvedimento successivo rispetto alla sentenza di condanna e di proscioglimento – in ogni tempo. Uno di questi casi ricorre proprio nel caso di dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato. L’art. 109, co. 2, c.p. prevede infatti che «la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato può essere pronunciata in ogni tempo, anche dopo l’esecuzione della pena», e, ai sensi del comma precedente, «la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato […] importa l’applicazione di misure di sicurezza» (previo accertamento della pericolosità del soggetto).
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Molte di queste, come si è visto, «hanno il reato come punto di riferimento passato»250. In particolare, vengono in rilievo le fattispecie “indiziarie”251, le quali in nulla si differenziano, quanto a thema probandum, dalle fattispecie incriminatrici da esse richiamate252. Ancora una volta, evidentemente, le misure di prevenzione si sono spinte nel “territorio” del processo penale.
Altre fattispecie di pericolosità “qualificata”, invece, si prestano a ricomprendere condotte penalmente irrilevanti. Si tratta, in particolare, di quelle che danno rilievo agli “atti preparatori”, cui – sebbene non senza incertezze253 – sembra possibile ricondurre condotte che non integrano gli estremi del “delitto tentato”.
In un singolo caso, questa operazione è stata facilitata dallo stesso legislatore, il quale, dando rilevanza agli atti preparatori o esecutivi diretti a prendere parte a un conflitto in territorio estero con finalità terroristiche254, ha delineato una fattispecie che, oltre a essere autenticamente “sine delicto”, non ci sembra ponga particolari problemi interpretativi.
A ben vedere, però, neppure questa seconda “classe” di fattispecie attribuisce alle misure di prevenzione una funzione che le misure di sicurezza non avrebbero potuto assolvere. Queste ultime, infatti, nei casi previsti dalla legge possono essere applicate anche in presenza di un «fatto non preveduto dalla legge come reato» (art. 202, co. 2, c.p.).
In questi casi, tuttavia, il processo di prevenzione non sembra “sottrarre terreno” al processo penale, dal momento che quest’ultimo – come si avrà modo di osservare nel capitolo conclusivo di questo elaborato255 – non pare possa essere avviato al solo fine di applicare una misura di sicurezza per fatti non sussumibili nello schema di una fattispecie incriminatrice.
A parte queste ultime fattispecie, in tutti gli altri casi non è possibile ravvisare una vera e propria “divisione di compiti” tra processo penale e processo di prevenzione.
250 Così F. PALAZZO, Per un ripensamento radicale del sistema…, cit., p. 5.
251 Cfr. supra, par. 3.2.
252 Efficacemente, F. CAPRIOLI, Fatto e misure di prevenzione, cit., p. 54: «Quanto alle ipotesi “qualificate”
previste alle lettere a e b dell’art. 4 […], oggetto di prova non è che la colpevolezza del prevenuto in ordine ai reati presupposto».
253 Cfr. supra, par. 3.4.1.
254 Cfr. supra, par. 3.4.2.
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Sembrano allora dire il vero i giudici di legittimità quando osservano che «le misure di prevenzione mantengono una ragion d’essere di natura essenzialmente anticipatoria (rispetto
agli esiti dei giudizi penali correlati)»256.
Per questa via, il rito preventivo asseconda oggi una vera e propria “fuga dal processo penale”257: dalla sua struttura, dal suo sistema cautelare, dal suo standard probatorio, dalle sue regole sulla valutazione della prova258.
256 Così Cass. pen., Sez. I, 15 giugno 2017, n. 349. Nella stessa pronuncia viene altresì messa in luce la
funzione «di verifica “complessiva” della condotta tenuta dal soggetto in un determinato arco temporale». In proposito, però, si è già osservato supra, par. 2.4, che tale funzione non è estranea neppure al sistema delle misure di sicurezza.
257 In questo senso, recentemente, R. ORLANDI, L’emergenza figlia delle garanzie? Riflessioni intorno alle norme e
alle pratiche di contrasto alla mafia e al terrorismo, in disCrimen (web), 29 maggio 2019, p. 14: «In altre parole, il
procedimento di prevenzione, per come si è andato sviluppando dopo l’approvazione del codice antimafia e le successive anche recentissime modifiche, si presta ad essere il facile escamotage per aggirare garanzie che il codice di rito imporrebbe, persino a imputati di reati di mafia, terrorismo o criminalità organizzata». Segnala
il rischio di questa «fuga» F. BRIZZI, Le misure di prevenzione. Tra elaborazione giurisprudenziale e prospettive di
riforma, Key editore, Milano, 2015, p. 133.
258 Osserva A. MARTINI, Essere pericolosi…, cit., p. 83, che la «fiducia nelle misure di prevenzione è ispirata
piuttosto da un sentimento pratico. Esse sopravvivono e, anzi, prosperano, perché paiono utili, rispetto ad una politica criminale altrimenti resa imbelle dalle inefficienze del processo, chiamate a supplire a sue
manchevolezze e limiti». In termini analoghi G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato,