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Le fattispecie di c.d. pericolosità qualificata

I SOGGETTI DESTINATARI DELLE MISURE DI PREVENZIONE

3. Le fattispecie di c.d. pericolosità qualificata

3.1. Premessa

Oltre che ai c.d. pericolosi generici, le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria possono essere disposte anche nei confronti dei soggetti rientranti nelle numerose categorie di cui all’art. 4 d.lgs. 159/2011. Si tratta di un catalogo ricco ed

detenuti presenti nelle carceri italiane rendesse di per sé négligeable il problema della tutela dei loro diritti fondamentali di fronte al potere coercitivo dello Stato» (corsivo aggiunto).

111 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 9 dicembre 1998, n. 4730.

112 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 28 aprile 2011, n. 34091, da cui emerge che il magistrato di sorveglianza aveva

applicato la libertà vigilata a un delinquente abituale. Segnala questa «deviazione dalla disciplina legislativa»

L. FERLA, Abitualità, infermità di mente e misure di sicurezza: il richiamo delle Sezioni Unite al principio di legalità, in

Riv. It. Med. Leg., 2012, I, p. 233 ss., nota 29.

113 Cfr. infra, sez. IV, par. 2.

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eterogeneo – peraltro di non agevole “accessibilità”115 – che solo alcuni mesi fa ha conosciuto un’ultima espansione116.

Come già anticipato117, in questa sede non ci si soffermerà sull’estensione delle singole categorie, ma si cercherà di mettere in luce quanto può ricavarsi in ordine all’accertamento che il giudice è chiamato a svolgere.

A questi fini, dovremo prestare particolare attenzione alle “fattispecie indiziarie”, cioè a quelle categorie in cui rientrano i soggetti “indiziati” di aver posto in essere determinate condotte penalmente rilevanti. Si tratta infatti del “modello” che ricorre più frequentemente nell’elenco di cui all’art. 4 del d.lgs. 159/2011.

In un secondo momento ci si soffermerà sulle restanti categorie, le quali, però, oltre a trovare scarsa applicazione nella prassi, sono meno “eloquenti” rispetto allo standard probatorio richiesto.

3.2. Le fattispecie “indiziarie”

Come si ricorderà, la legge “antimafia” del 1965 rese applicabili le misure di prevenzione disciplinate dalla legge Tambroni del 1956 anche ai soggetti “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”118. A quell’epoca, il codice penale non conosceva fattispecie incriminatrici specificamente dirette a combattere la mafia, e pertanto il processo di prevenzione sembrava ancora poter godere di una certa autonomia, quanto a res

judicanda, rispetto al processo penale. Meno di un ventennio dopo, però, fece la sua

comparsa l’art. 416-bis c.p., e nonostante l’introduzione del nuovo delitto il legislatore ritenne di continuare a colpire il fenomeno mafioso anche con il sistema preventivo119. Così, i due processi si avvicinarono, sotto il profilo del thema probandum, come mai era avvenuto prima120.

115 Esprime una dura critica sulla tecnica legislativa adottata nella formulazione dell’art. 4 cod. ant.,

definendolo una «selva inestricabile», T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 261.

116 Ci si riferisce alla l. 19 luglio 2019, n. 69, recante «[m]odifiche al codice penale, al codice di procedura

penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», il cui art. 9, co. 4, ha aggiunto nel testo dell’art. 4, co. 1, lett. i-ter), cod. ant. il richiamo al delitto di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” (art. 572 c.p.).

117 Cfr. supra, par. 1.3.

118 Cfr. supra, cap. I, sez. II, par. 3.1.1.

119 Cfr. supra, cap. I, sez. II, par. 4.1.

120 Cfr. A. BARGI, L’accertamento della pericolosità nelle misure di prevenzione, cit., p. 81: «L’intima correlazione

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Come si è messo in luce nel primo capitolo, a partire dal 2007 il “paradigma indiziario” – che individua i destinatari delle misure di prevenzione attraverso la formula “indiziati di…” – è stato più volte riproposto dal legislatore121 e al momento compare in sei delle dieci lettere con cui l’art. 4 cod. ant. individua i soggetti a pericolosità “qualificata”122.

Ad oggi, le misure di prevenzione risultano applicabili nei confronti dei soggetti

indiziati:

- di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p. (lett. a); - di uno dei numerosi delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. (lett. b)123;

- del delitto di “trasferimento fraudolento di valori”, prima disciplinato dall’art.

12-quinquies, co. 1, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 e oggi ricollocato sotto il nuovo art.

512-bis c.p. (lett. b)124;

- del delitto di cui all’art. 418 c.p., rubricato “assistenza agli associati” (lett. b)125;

- dei delitti di cui all’art. 51, co. 3-quater, c.p.p., e cioè di tutti i delitti, consumati o tentati, con finalità di terrorismo (lett. d);

norme non sono di poco momento: mai in passato la fattispecie preventiva è risultata così direttamente collegata alla fattispecie repressiva». Sul punto cfr. supra, cap. I, sez. II, par. 4.1.

121 Cfr. supra, cap. I, sez. II, par. 7.1 e par. 9.1.1.

122 Si tratta delle lettere a), b), d), i), i-bis), i-ter). In totale le lettere sono undici, ma la lettera c) richiama i

soggetti a pericolosità “generica” di cui all’art. 1 cod. ant.

123 Come noto, tale disposizione elenca i delitti rispetto ai quali le funzioni di pubblico ministero sono

attribuite all’ufficio del p.m. presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. In particolare, si tratta dei delitti – consumati o tentati – di cui agli articoli 416, co. 6 e 7 c.p.; 416 c.p., realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all’art. 12, co. 3 e 3-ter del testo unico immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286); 416 c.p., realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474, 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 c.p.; dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; dei delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico stupefacenti (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309) e dall’articolo 291-quater del testo unico approvato con d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43.

124 L’art. 4, co. 1, lett. b) cod. ant. ancora oggi fa riferimento alla vecchia disposizione.

125 All’indomani dell’introduzione di questa fattispecie indiziaria, la dottrina ha immediatamente osservato

come essa, «non delimita[ndo] il suo ambito di applicazione con riguardo ad una particolare associazione per delinquere ma a tutte le associazioni criminose descritte dal codice penale», si presti ad applicazioni paradossali: «chi dà assistenza a persone che partecipano ad un’associazione di cui all’art. 416 Cp esprime una pericolosità qualificata, mentre l’associato assistito da costui non la esprime, perché l’art. 416 Cp non è

richiamato dall’art. 4 d.lgs. n. 159/11», cfr. C. VISCONTI – G.TONA, Nuove pericolosità e nuove misure di

prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in Leg. Pen. (web), 14 febbraio

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- di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza in ambito sportivo di cui all’articolo 6 della l. 13 dicembre 1989, n. 401 (lett. i)126;

- del delitto di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” di cui all’art. 640-bis c.p. (lett. i-bis)

- del delitto di “associazione per delinquere” (art. 416 c.p.) finalizzato alla commissione di una serie di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (lett.

i-bis)127;

- del delitto di “atti persecutori” di cui all’art. 612-bis c.p. (lett. i-ter)128;

126 L’art. 6 della l. 13 dicembre 1989, n. 401, recante «[i]nterventi nel settore del giuoco e delle scommesse

clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive», è rubricato «divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive».

127 In particolare, si tratta dei delitti di cui all’art. 314, co. 1, c.p. (peculato); 316 c.p. (peculato mediante

profitto dell’errore altrui); 316-bis c.p. (malversazione a danno dello Stato); 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato); 317 c.p. (concussione); 318 c.p. (corruzione per l’esercizio della funzione); 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio); ter c.p. (corruzione in atti giudiziari);

319-quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità); 320 c.p. (corruzione di persona incaricata di un

pubblico servizio); 321 c.p. (disposizione che punisce il corruttore); 322 c.p. (istigazione alla corruzione);

322-bis c.p. (peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla

corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari

delle Comunità europee e di Stati esteri». Per un’analisi critica di questa fattispecie cfr. C. VISCONTI –G.

TONA, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice

antimafia, cit., §1.3, nonché C. VISCONTI, Codice antimafia: luci e ombre della riforma, in Dir. Pen. Proc., 2018, II, p. 145, ove l’Autore argomenta l’inopportunità di mettere sullo stesso piano l’associazione per delinquere di tipo mafioso e l’associazione per delinquere di tipo “semplice”, trattandosi di fenomeni strutturalmente ben differenti.

Si esprime invece a difesa della novella P. PERRONE, La legge n. 161/2017 e le sue modifiche al d.lgs. n. 159/2011

in tema di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali agli indiziati di reati contro la Pubblica amministrazione. Un invito alla magistratura: adelante con judicio, in Quest. Giust. (web), 11 dicembre 2017. Secondo V. MAIELLO,

La corruzione nel prisma della prevenzione ante delictum, in disCrimen (web), 4 dicembre 2018, §2.1, con questa

nuova fattispecie preventiva il legislatore avrebbe «tracciato i confini entro i quali la criminalità corruttiva può rilevare a fini preventivi» e, pertanto, si dovrebbe oggi mettere in discussione la legittimità dell’estensione della fattispecie di pericolosità “generica” a questo tipo di reati (cfr. supra, par. 2.2).

128 In dottrina, pur riconoscendosi la gravità di questo reato, si è affermato che il «soggetto indiziato del delitto

di “atti persecutori” appare […] un “corpo estraneo” all’interno […] di un sistema normativo caratterizzato da scelte politiche penali sicuritarie rivolte, almeno originariamente, a combattere e prevenire “fatti” e

comportamenti pericolosi per la sicurezza pubblica», cfr. F. SIRACUSANO, I destinatari della prevenzione personale

per “fatti di mafia”, in Arch. Pen. (web), 2018, II, p. 17. All’indomani della sua introduzione, il Tribunale di

Milano, sollecitato a sollevare una questione di legittimità costituzionale in relazione a questa fattispecie, ha preso posizione negandone l’incostituzionalità, cfr. Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 9 ottobre 2018, Pres.

Est. Roia, in Dir. Pen. Cont., 24 ottobre 2018, con nota di G. TONA, Il Tribunale di Milano dichiara

manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale della norma che estende le misure personali all’indiziato di stalking.

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- del delitto di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” di cui all’art. 572 c.p. (lett.

i-ter).

3.2.1. Cenni sul concetto di “appartenenza” alle associazioni di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p.

Prima di approfondire il tipo di accertamento che il giudice deve condurre in ordine alle fattispecie indiziarie, è opportuno soffermarsi brevemente sulla categoria di cui alla lett.

a) dell’art. 4 d.lgs. 159/2011 e in particolare sul concetto di “appartenenza” alle associazioni

di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p.

Tra le fattispecie di pericolosità c.d. qualificata, quella in esame è indubbiamente la più ricorrente nella prassi129. Conseguentemente, è su di essa che si è maggiormente concentrata l’elaborazione giurisprudenziale.

Questa fattispecie presenta una peculiarità che vale a differenziarla dalle altre fattispecie “indiziarie”. Si osservi, infatti, che essa non rapporta la parola “indiziati” direttamente al delitto di cui all’art. 416-bis c.p., bensì all’appartenenza alle associazioni di cui all’art. 416-bis del codice penale. Così, ci si è molto interrogati su quale significato si debba attribuire a tale locuzione130.

Nonostante le critiche di una parte della dottrina131, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che il concetto di “appartenenza” sia più ampio di quello di “partecipazione” rilevante ex art. 416-bis c.p.132.

129 Cfr. A. MANGIONE, Le misure di prevenzione, in Trattato di diritto penale. Parte generale – III. La punibilità e le

conseguenze del reato, A. Cadoppi – S. Canestrari – A. Manna – M. Papa (a cura di), Torino, Utet, 2014, p.

448, che parla di «categoria par excellence di destinatari delle misure di prevenzione».

130 Per un sintetico, ma efficace inquadramento del dibattito giurisprudenziale cfr. F. BASILE, Tassatività delle

norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione…, cit., §3.3.

131 Cfr., ad esempio, le considerazioni di F. MAZZACUVA, Le persone pericolose e le classi pericolose, cit., p. 104,

che ritiene artificiosi gli snodi argomentativi con cui la giurisprudenza include nella categoria in esame anche il c.d. concorrente esterno.

132 A partire dall’intervento delle Sezioni Unite “Mannino” nel 2005, la giurisprudenza definisce il “partecipe”

come «colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo “è” ma “fa parte” della (meglio ancora: “prende parte” alla) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima», cfr. Cass. pen., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, in Cass. Pen., 2005, III, p. 3732 ss., con nota

di G. BORRELLI, Tipizzazione della condotta e nesso di causalità nel delitto di concorso in associazione mafiosa.

Osserva F. SIRACUSANO, I destinatari della prevenzione personale per “fatti di mafia”, cit., p. 20, che la diversa

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Un approccio interpretativo assai risalente attribuiva al concetto di “appartenenza” un significato di impronta “sociologica”, comprendente qualsiasi comportamento che manifestasse adesione e omologazione a modelli, stili di vita e stereotipi mafiosi133.

La giurisprudenza più recente si è nettamente allontanata da questa impostazione, affermando che la «nozione di indizio di appartenenza alla associazione di stampo mafioso [...], va colta nella sua portata tassativizzante, con rifiuto [...] di approcci interpretativi tesi a degradarne il significato in termini di mera “contiguità ideologica”, comunanza di “cultura mafiosa” o riconosciuta “frequentazione” con soggetti coinvolti nel sodalizio»134. Tuttavia, pur escludendosi che nel concetto di “appartenenza” possano essere fatte rientrare «situazioni di mera contiguità o vicinanza al gruppo criminale»135, si è continuato ad affermare che esso sia più ampio di quello di “partecipazione” ex art. 416-bis c.p., ricomprendendo anche quella «situazione di contiguità all’associazione stessa che risulti funzionale agli interessi della struttura criminale, nel senso che il proposto deve offrire un

contributo fattivo alle attività ed allo sviluppo del sodalizio criminoso»136.

Recentemente, anche le Sezioni Unite hanno affermato che, perché possa dirsi integrato il concetto di “appartenenza” ex art. 4 cod. ant., è quantomeno necessaria «un’azione, ancorché isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi»137.

potrebbe essere giustificata alla luce del fatto che l’art. 416-bis c.p. è ricompreso anche nella lett. b) del medesimo articolo, tramite il rinvio all’art. 51, co. 3-bis c.p.p.

133 In questo senso cfr. Trib. Napoli, 30 gennaio 1986, in Foro it., 1987, II, p. 366, con nota di G. FIANDACA,

La prevenzione antimafia fra difesa sociale e garanzie di legalità. Sul punto cfr., in senso critico, anche A. BARGI,

L’accertamento della pericolosità nelle misure di prevenzione, cit., pp. 53-55, il quale rileva come il giudizio di

pericolosità giungesse a identificarsi con il giudizio di probabilità che gli indiziati finissero «per omologarsi completamente all’associato mafioso o camorristico», rimanendo così affidato «alle valutazioni del tutto soggettive del giudice, al suo grado di esperienza e di cultura, ed alla maggiore o minore sensibilità verso fenomeni per loro natura di difficile interpretazione e catalogazione; con conseguente possibilità di giudizi disancorati dalla realtà storica e, soprattutto, influenzati da fattori emotivi e del tutto personali».

134 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 14 giugno 2017, n. 54119, ove si osserva che «la dilatazione – impropria – del

significato del termine utilizzato dal legislatore in chiave di connotazione del comportamento – ove l’appartenenza evoca il “far parte” o almeno il rendere un contributo concreto al gruppo – sarebbe non solo di per sé illegittima, ma foriera di una inaccettabile esposizione del sistema interno a nuove denunzie di violazione dei parametri convenzionali, aspetto che deve orientare l’attività interpretativa verso linee di compatibilità, nel complesso quadro dei rapporti tra le fonti di produzione e interpretazione del diritto». Seppur in altro contesto, osservava che «la “contiguità” è […] un paradigma di genere, evanescente nei suoi contorni e dal contenuto ricco di sfumature; appartiene infatti a quella classe di concetti che si rivelano […]

dei “vuoti contenitori” […]» A. MANGIONE, La «contiguità» alla mafia fra “prevenzione” e “repressione”: tecniche

normative e categorie dogmatiche, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1996, p. 705 ss.

135 Così, da ultimo, Cass. pen., Sez. I, 1 febbraio 2018, n. 24707, §2.1 del “considerato in diritto”.

136 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 8 gennaio 2016, n. 3941 (corsivo aggiunto).

137 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 30 novembre 2017, n. 111, §6 del considerato in diritto. Nel commentare la

150

Questa presa di posizione del massimo organo nomofilattico ha indotto una parte della dottrina a osservare che oggi “appartenenza” potrebbe significare «solo due cose: o partecipazione in senso stretto, oppure concorso esterno»138.

Tuttavia, stando alla più recente giurisprudenza di legittimità, sembrerebbero poter venire in rilievo anche “contributi fattivi” inidonei a integrare gli estremi del concorso esterno139. Nelle pronunce che muovono proprio dall’interpretazione recentemente fornita dalle Sezioni Unite, e che a essa si adeguano, si legge infatti che sarebbe possibile «ricomprendere nella nozione di appartenenza tanto le condotte indicative della vera e propria partecipazione che quelle di supporto causale del non-associato, rientranti – sul versante penale – nell’area del concorso esterno […] o comunque idonee ad apportare un

“contributo fattivo” alle attività e allo sviluppo del sodalizio criminoso»140.

Conclusivamente, per quanto qui interessa, si deve rilevare che, da un punto di vista “sostanziale”, il concetto di “appartenenza” di cui alla lett. a) dell’art. 4 cod. ant. si colloca tendenzialmente nell’area del “penalmente rilevante”, sovrapponendosi al concetto di “partecipazione” di cui all’art. 416-bis c.p. e a quello di “concorso esterno”. La possibilità di ritagliare uno spazio di “autonomia” del concetto di “appartenenza” parrebbe correlata all’individuazione di “contributi fattivi” alle attività e allo sviluppo dell’associazione di tipo mafioso che non integrino già il delitto di “concorso esterno” o altri specifici reati.

3.3. Segue: l’accertamento delle fattispecie “indiziarie”

preventiva L. DELLA RAGIONE, “Appartenenza mafiosa” e “attualità della pericolosità sociale” nell’applicazione delle

misure di prevenzione per fatti di mafia, in Dir. Pen. Processo, 2019, I, 83, §5.

138 Così F. BASILE, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione…, cit., p. 14

(corsivo aggiunto). A sostegno di questa conclusione, l’Autore richiama la massima C.E.D. n. 271512, estratta dalla sentenza delle Sezioni Unite in esame (“Gattuso”), la quale è così formulata: «Il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale».

139 Per una completa ricostruzione dello “stato dell’arte” in tema di concorso esterno in associazione mafiosa

cfr. G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, III ed., Giuffrè, Milano, 2015, p. 460 ss. In breve, secondo la

ricostruzione operata dai principali arresti giurisprudenziali in materia, può essere definito concorrente esterno colui che, privo dell’affectio societatis e senza essere inserito organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione, agisce con la consapevolezza e la volontà di fornire un contributo concreto, specifico e causale alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative del sodalizio e alla attuazione, anche parziale, del programma criminoso.

140 Così Cass. pen., Sez. I, 1 febbraio 2018, n. 24707, §2.1 del “considerato in diritto”. Ancor più

151

Tratto comune delle diverse fattispecie “indiziarie” è quello di essere delineate – con approccio “soggettivizzante” – a partire, appunto, dal concetto di “indiziato”.

Se la fattispecie incriminatrice punisce «chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso» (art. 416-bis, co. 1, c.p.), la fattispecie preventiva si rivolge (anche) ai soggetti

indiziati di far parte delle medesime associazioni (art. 4, lett. a, cod. ant.). Se il codice penale

punisce «chiunque […] dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a talune delle persone che partecipano» a una associazione per delinquere (art. 418 c.p.), il codice antimafia colpisce i soggetti indiziati di aver posto in essere le medesime condotte (art. 4, lett. b, cod. ant.).

L’interprete, dunque, non si può sottrarre dal tentare di riempire di contenuto questo concetto.

Vigente il codice di rito del 1930, la disposizione che disciplinava l’«assunzione della qualità di imputato», i.e. l’art. 78 c.p.p., contemplava espressamente la figura dell’«indiziato di reità». In particolare, «al fine di dare la maggiore ampiezza possibile al riconoscimento dei “diritti dell’imputato”»141, il codice Rocco aveva equiparato l’“indiziato di reità” all’imputato “in senso proprio”142. Conseguentemente, è stato osservato che l’espressione “indiziato” rivestiva una funzione “garantistica” di stampo prettamente processuale143. Oltre a ciò, l’espressione in esame indicava anche «una sorta di graduazione del livello degli elementi probatori acquisiti», esprimendo «sinteticamente il grado dell’accertamento probatorio», con la precisazione che ciò che distingueva l’indiziato dall’imputato non era «tanto il tipo di prova (critica o rappresentativa), quanto la diversa soglia di attendibilità

141 Cfr. G. D. PISAPIA, Compendio di procedura penale, II ed., Cedam, Padova, 1979, p. 80.

142 L’art. 78, co. 1, c.p.p. 1930, così recitava: «Assume la qualità di imputato chi, anche senza ordine

dell’autorità giudiziaria, è posto in stato d’arresto a disposizione di questa, ovvero colui al quale in un atto qualsiasi del procedimento viene attribuito il reato». Tale disposizione sembrava concepire come identiche le due situazioni in essa descritte. Tuttavia, occorre precisare che un diffuso orientamento dottrinale le teneva ben distinte, parlando di “quasi imputato” nel primo caso (soggetto in stato d’arresto posto a disposizione dell’autorità giudiziaria) e di “imputato in senso proprio” soltanto nel secondo caso (soggetto cui era stato